TAR Bologna, sez. I, sentenza 2024-01-29, n. 202400064

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Bologna, sez. I, sentenza 2024-01-29, n. 202400064
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Bologna
Numero : 202400064
Data del deposito : 29 gennaio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 29/01/2024

N. 00064/2024 REG.PROV.COLL.

N. 00779/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 779 del 2022, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato M P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, non costituito in giudizio;
Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria ex lege in Bologna, via A. Testoni, 6;

per l'annullamento

- del provvedimento -OMISSIS- del 9 aprile 2022 con cui è stato inflitto al ricorrente il provvedimento sanzionatorio della consegna di 5 giorni;

- del verbale del 19 aprile 2022 del Comando Legione Carabinieri Emilia Romagna con cui veniva confermato il provvedimento della consegna di cui al precedente punto;

- del provvedimento n. -OMISSIS-., notificato al ricorrente in data 1 agosto 2022, con cui il Comando Legione Carabinieri Emilia Romagna

SM

Ufficio personale riteneva di disporre il rigetto del ricorso gerarchico avverso la sanzione punitiva inflitta al ricorrente;

- del provvedimento prot. -OMISSIS- del Comando Legione Carabinieri ER, Ufficio Personale, notificato al ricorrente in data 1 agosto 2022, con cui è stato negato l’avanzamento in carriera nel 2015 e 2016 proprio a causa delle sue condotte censurate sotto il profilo squisitamente disciplinare;

- di ogni altro atto o provvedimento, presupposto o connesso al precedente, con riserva di eventuali motivi aggiunti.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 gennaio 2024 la dott.ssa Mara Bertagnolli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

L’odierno ricorrente, maresciallo capo dei Carabinieri, è stato sottoposto a procedimento disciplinare in quanto, come si legge nella contestazione degli addebiti, “Nel periodo compreso tra il 18 maggio ed il 2 ottobre 2012, allorquando la S. V. prestava servizio quale Maresciallo Capo presso la Stazione di”..omissis…, “anche con funzioni vicarie, procedeva sia personalmente, sia impartendo il corrispondente ordine a quattro militari, anch'essi in forza al medesimo reparto - ad elevare contravvenzioni al CdS, in particolare per divieto di sosta, ex art. 158 comma 2, su area destinata al carico/scarico di cose, posta in corrispondenza del civico”…omissis… “(indirizzo ove insisteva anche la Sua abitazione) — area così destinata a seguito di richiesta avanzata dalla titolare del lì prospicente negozio di fiori, con la quale Lei ed altro condomino - Suo amico di famiglia - avevate avuto contrasti. In tal modo determinava l'emissione di un abnorme numero di verbali di contravvenzioni al CdS, nei confronti - nella maggioranza dei casi - dei clienti dell'anzidetto esercizio, procurando intenzionalmente un danno ingiusto, principalmente, alla predetta fioraia, per i riflessi negativi che le sono derivati dai disagi subiti dai suoi clienti e, quindi, sulla sua attività commerciale, con il proposito di farla rinunciare allo stallo in questione.”.

Per tali comportamenti il ricorrente, condannato in primo e in secondo grado per il reato di abuso d’ufficio (in appello gli è stata riconosciuta solo la non menzione della pena), ha poi ottenuto l’annullamento senza rinvio della condanna, in quanto la Cassazione ha ravvisato l’intervenuta prescrizione del reato.

L’Amministrazione ha però ritenuto, conosciuta la sentenza che ha chiuso il giudizio penale, che la condotta tenuta avesse integrato comunque una fattispecie disciplinarmente rilevante e perciò ha dato avvio al procedimento disciplinare che, nonostante le osservazioni formulate dall’interessato, si è concluso con l’applicazione della sanzione della consegna per cinque giorni.

Avverso l’irrogazione della sanzione il ricorrente ha notificato il ricorso in esame, in cui si sottolinea come, almeno per i reati per cui è stato assolto in tutti i gradi di giudizio per insussistenza del fatto ascritto, non vi sarebbe stato spazio per procedere all’avvio del procedimento disciplinare. Il gravame è stato, dunque, affidato ai seguenti motivi di diritto:

1. violazione e falsa applicazione dell’art. 97 della Costituzione e degli artt. 323 c.p. e 23 del d.l. n. 76 del 2020, in ragione del fatto che l’Amministrazione non avrebbe tenuto in considerazione che nella sentenza della Corte di Cassazione sarebbe stato dato atto che, come sostenuto anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 8 del 2022, per potersi configurare l’abuso d’ufficio sarebbe necessaria la violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge, come sarebbe stato specificato anche attraverso la novella del d.l. 76/2020. Nel caso di specie, l’Arma non avrebbe individuato quale specifica norma il ricorrente avrebbe violato con il proprio comportamento;

2. omessa pronuncia sul capo di impugnazione dedotto nel ricorso gerarchico con riferimento proprio a tali considerazioni.

L’Amministrazione si è costituita in giudizio, ma senza dispiegare alcuna difesa ovvero depositare alcun documento.

Neanche parte ricorrente esercitato ulteriore attività difensiva, essendosi limitata a depositare un’istanza di prelievo in data 16 maggio 2023.

Alla pubblica udienza del 24 gennaio 2024, la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il ricorso non può trovare positivo apprezzamento.

Deve essere preliminarmente chiarito che l’odierno ricorrente, contrariamente a quanto parrebbe adombrare nel ricorso, è stato inequivocabilmente sottoposto a procedimento disciplinare esclusivamente per i fatti qualificati come integranti il capo d’accusa sub a), rappresentato dal reato di abuso d’ufficio e non anche per gli ulteriori reati contestati ai capi d’accusa b), c) e d), per i quali è intervenuta l’assoluzione “in quanto i fatti non sussistono”. Un tanto si desume sia dalla contestazione degli addebiti (che dà conto delle assoluzioni intervenute), che dal provvedimento irrogativo della sanzione, che fa riferimento solo al comportamento qualificato come abuso d’ufficio.

Ciò precisato, l’art. 653 del c.p.p. stabilisce che “ La sentenza penale irrevocabile di assoluzione ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l'imputato non lo ha commesso ”.

Nel caso di specie la Cassazione ha annullato senza rinvio la condanna in appello “perché il reato è estinto per prescrizione”.

È pur vero che la pronuncia indugia nel dare conto dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui la violazione del principio costituzionale di imparzialità non integra il requisito della violazione di legge, salvo il caso in cui tale principio si traduca in una regola di comportamento così precisa da risultare di immediata applicazione e, nel fare questo, precisa che “la perdurante pluralità di indirizzi interpretativi costituisce ovviamente motivo per non ritenere manifestamente infondata la specifica doglianza formulata dal ricorrente sul punto”. Cionondimeno, tale inciso non può essere qualificato alla stregua dell’accertamento “ che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l'imputato non lo ha commesso ”, poiché la pronuncia in rito non contiene, in concreto, nemmeno implicitamente, alcun accertamento. L’espressione utilizzata ha, infatti, un chiaro tenore meramente dubitativo.

Dunque, posto che «nelle rimanenti ipotesi di conclusione del giudizio, per le quali non si è giunti ad una condanna in conseguenza dell’intervento di cause di prescrizione o di altre cause di estinzione del reato, non si ha un giudicato sulla commissione dei fatti di carattere assolutorio e l’Amministrazione può legittimamente utilizzare a fini istruttori gli accertamenti effettuati nella sede penale senza doverli ripetere, salva la possibilità del dipendente di addurre elementi ed argomenti che, qualora dotati di oggettivo spessore e valenza, devono essere adeguatamente ponderati» (così si legge nella sentenza del Consiglio di Stato, n.-OMISSIS-, l’Arma dei Carabinieri risulta aver fatto buon uso delle regole che governano l’esercizio dell’azione disciplinare, procedendo a valutare la rilevanza del comportamento tenuto dal militare in relazione a tale profilo, diverso ed autonomo rispetto a quello della responsabilità penale esclusa per effetto del decorso del termine di prescrizione del reato.

È, peraltro, vero che i fatti contestati - ove, come nel caso in esame, non definitivamente acclarati in sede penale - devono costituire oggetto di adeguata istruttoria in sede disciplinare, la quale può legittimamente concludersi con l’adozione di un provvedimento sanzionatorio soltanto ove sia raggiunto un sufficiente grado di certezza in ordine ai comportamenti tenuti dal dipendente (cfr.

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