TAR Roma, sez. 3Q, sentenza 2019-07-02, n. 201908571
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Pubblicato il 02/07/2019
N. 08571/2019 REG.PROV.COLL.
N. 09081/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9081 del 2010, proposto da
A G, rappresentato e difeso dall'avvocato M P, domiciliato presso la Tar Lazio Segreteria TAR Lazio in Roma, via Flaminia, 189;
contro
Cri - Croce Rossa Italiana, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
dell’ordinanza commissariale n. 239 – 10 in data 26.5.2010 portata a conoscenza a mezzo plico racc. a.r. in data 14.6.2010 con cui la CRI disponeva il recupero della somma di euro 6.182,71 percepita in eccedenza rispetto a quanto asseritamente dovuto;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Cri - Croce Rossa Italiana;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 10 maggio 2019 il dott. Riccardo Savoia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Il ricorso non merita accoglimento.
Giova premettere che la legge 3 luglio 2001. n. 250 (art. 2, p. 3 bis) ha inteso attribuire agli ufficiali che abbiano prestato servizio senza demerito per 13 anni e 23 anni nel grado di sottotenente o dalla qualifica di aspirante lo stipendio spettante rispettivamente al Colonnello e al Brigadiere Generale e gradi equiparati, a decorrere dal 1° aprile 2001.
Il ricorrente ha beneficiato della disposizione testé riportata, avendo avuto computato tutto il periodo di servizio, compreso quello reso nella qualità di graduato di truppa.
L’Amministrazione ha ritenuto, tuttavia, che quest’ultimo periodo non fosse computabile, posto che il beneficio della c.d. “omogeneizzazione” va riconosciuto soltanto al personale che ha prestato servizio come Ufficiale, con esclusione, quindi, del periodo in cui è stato prestato servizio non come Ufficiale.
Orbene, è noto che, nel pubblico impiego, il servizio militare è periodo valido a tutti gli effetti e, quindi, non può pregiudicare la posizione lavorativa del cittadino, intesa come status del quale l’anzianità costituisce elemento integrativo (Cass. Civ. – sez. Lavoro – 1° settembre 1997, n. 8279).
L’art. 52 Cost. appresta massima tutela alla posizione di lavoro del cittadino che presta servizio militare obbligatorio sia nella conservazione del posto di lavoro che nell’anzianità e nella situazione di carriera effettivamente ricoperta al momento del servizio di leva.
Tuttavia, la legge 3 luglio 2001. n. 250 (art. 2, p. 3 bis)), stabilisce che la omogeneizzazione stipendiale spetta agli ufficiali che abbiano prestato servizio militare senza demerito per 13 anni e 23 anni dal conseguimento della nomina ad Ufficiale.
E' chiara, pertanto, la lettera della legge nell'indicare il dies a quo dalla nomina ad Ufficiale come pure la continuità del servizio reso in tale qualità, né diverse letture possono dedursi in via interpretativa.
La ratio della disposizione in argomento è quella di dare il dovuto riconoscimento alla specifica professionalità degli Ufficiali, sicché nel computo dell’anzianità di servizio, ai fini considerati, non può essere incluso il periodo in cui il soggetto non abbia svolto il servizio nella qualità di Ufficiale, nella specie, della C.R.I.;mentre è stato valutato il servizio pregresso reso dal ricorrente in quella veste.
Può aggiungersi che la norma richiama un altro elemento costitutivo della fattispecie, vale a dire quello di aver prestato servizio da Ufficiale “senza demerito”. Consegue, come logico corollario di tale premessa, che se il soggetto non ha svolto il servizio nella qualità di Ufficiale non è possibile documentare la modalità del servizio stesso, che deve essere stato reso “senza demerito”.
Il prematuro percepimento, da parte del ricorrente, della c.d. omogeneizzazione stipendiale per aver erroneamente incluso nel computo anche il servizio di leva in qualità di soldato semplice, ha comportato l’obbligo, da parte dell’Amministrazione, di attivare il recupero di quanto erroneamente corrisposto al predetto personale.( cfr. da ultimo, Cons. St, sez.IV, 12.2.2018, n.875)
Il Collegio ritiene, con riguardo alla problematica del recupero delle somme erroneamente corrisposte dall'Amministrazione, di non ignorare come talvolta la giurisprudenza (T.A.R. Campania, Napoli, VII, 12.12.2007, n. 16222) abbia sostenuto che siffatto recupero non costituirebbe un atto assolutamente vincolato, trattandosi, nella sostanza, di un atto di autotutela che dovrebbe, pertanto, tener conto del "peso" del recupero sulla situazione concreta, dell'affidamento ingenerato nel dipendente, nonché dello stato di buona fede dello stesso (Cons. Stato, VI, 28.6.2007, n. 3773;V, 13.7.2006, n. 4413;15.10.2003, n. 6291), attesa la natura discrezionale puntualizzata dallo stesso art. 21-nonies, comma 1, della Legge n. 241/1990.
Il Collegio ritiene, tuttavia, di aderire all’indirizzo giurisprudenziale prevalente che ritiene legittimo il recupero delle somme non tenendo conto della buona fede del percipiente e considerando il recupero come un atto dovuto non rinunziabile espressione di una funzione pubblica vincolata (ex multis, Cons. Stato, IV, 24.5.2007, n. 2651;12.5.2006, n. 2679;22.9.2005, nn. 4964 e n. 4983;T.A.R. Toscana, I, 8.11.2004, n. 5465;T.A.R. Sicilia, Catania, II, 12.8.2003, n. 1272;T.A.R. Lazio, Latina, 11.2.1993, n. 143). In capo all'Amministrazione che abbia effettuato un pagamento indebitamente dovuto ad un proprio dipendente si riconosce, perciò, una posizione soggettiva che deve essere qualificata come diritto soggettivo alla restituzione, alla quale si contrappone, avendo gli atti che si riferiscono ad un credito derivante da un rapporto di impiego natura paritetica e non autoritativa, una correlativa obbligazione del dipendente. Qualora l'Amministrazione intenda recuperare le somme indebitamente corrisposte, non deve annullare l'atto di corresponsione delle stesse in quanto l'indebito si configura come tale per l'obiettivo contrasto con una norma, con la conseguenza che non vi è obbligo di motivare circa l'interesse pubblico che induce ad effettuare il recupero patrimoniale (T.A.R. Campania, Napoli, IV, 25.2.1998, n. 681).
In definitiva la Sezione ritiene di fare proprio il principio della normale ripetibilità di tali crediti da parte della P.A, perché il recupero delle somme indebitamente corrisposte ai dipendenti pubblici ha natura di atto dovuto ex art. 2033 c.c., con la conseguenza che la buona fede del percettore rileva ai soli fini delle modalità con cui il recupero deve essere effettuato, in modo cioè da non incidere in maniera eccessivamente onerosa sulle esigenze di vita del dipendente. Pertanto lo stato psicologico del debitore, in ipotesi in buona fede, di per sé non preclude l'attività di recupero dell'indebito, ma impone l'obbligo di una più approfondita valutazione degli interessi implicati, in particolare sotto il profilo del grado di lesione di quello del dipendente.
Ne consegue che l'interesse del dipendente a trattenere gli emolumenti percepiti non può prevalere su quello pubblico alla ripetizione delle somme erogate indebitamente, che è di per sé sempre attuale e concreto (Cons. Stato, IV, 8.6.2009, n. 3516;V, 23.3.2004, n. 1535;T.A.R. Veneto, III, 2.4.2009, n. 1072;T.A.R. Lazio, Roma, I-ter, 8.6.2009, n. 5466;I, 1.4.2008, n. 2764;T.A.R. Campania, Salerno, I, 7.3.2006, n. 237), inoltre, l'obbligo ex lege di recupero preclude la facoltà di rinunciare agli effetti favorevoli del decorso del tempo (Cons. Stato, IV, 11.12.2001, n. 6197).
Per le suesposte ragioni, il ricorso deve essere respinto.
In considerazione della particolarità della fattispecie, può disporsi la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.