TAR Palermo, sez. II, sentenza 2023-08-24, n. 202302661

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Palermo, sez. II, sentenza 2023-08-24, n. 202302661
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Palermo
Numero : 202302661
Data del deposito : 24 agosto 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 24/08/2023

N. 02661/2023 REG.PROV.COLL.

N. 01367/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1367 del 2019, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati M M, A S e L I, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

l’Assessorato Territorio e Ambiente, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, domiciliata in Palermo, via Valerio Villareale, n. 6;
il Comune di Sciacca, non costituito in giudizio;

per l'annullamento

del diniego di sanatoria, prot. gen n.-OMISSIS-, prot. urb. n. -OMISSIS- (notificato il 08/04/2019).


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Siciliana - Assessorato Territorio e Ambiente;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 23 giugno 2023 la dott.ssa A G C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con provvedimento prot.-OMISSIS- del 28 marzo 2019 il Comune di Sciacca ha rigettato la richiesta di permesso di costruire in sanatoria presentata dal ricorrente ai sensi della l.r. n. 37/1985.

L’istanza riguarda un fabbricato composto da piano terra e primo piano ricadente all’interno della particella n. -OMISSIS- del foglio n. -OMISSIS-, sito in Contrada -OMISSIS- e realizzato, come da dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà del 30 giugno 1986, nel 1978.

L’abuso veniva ritenuto insuscettibile di sanatoria, rientrando nelle ipotesi di insanabilità di cui alla lett. b) dell’art. 33 della L. 47/1985, nonché dell’art. 23, comma 10, della L.R. 37/1985 e ss.mm.i., della Circolare Assessoriale Regionale n. 2 del 31/08/1985, dell’art. 15 della L.R. n. 78/1976, dell’art. 2, comma 3 della L.R. n. 15/1991, della Circolare Assessorato Regionale Territorio e Ambiente n. 1/95 DRU punto 3, rattandosi di opere realizzate dopo il 31/12/1976 entro la fascia di rispetto di 150 mt. dalla battigia.

2. Con ricorso ritualmente proposto il signor -OMISSIS- è insorto contro tale provvedimento lamentandone la illegittimità sotto i seguenti profili:

I. ECCEZIONE DI ILLEGITTIMITÀ

INCOSTITUZIONALE DELLA LEGGE REGIONALE SICILIANA

10

AGOSTO

1985, N. 37, ALL’ART. 23,

COMMA

10;
ILLEGITTIMITÀ DEL DINIEGO IMPUGNATO

In base alla legislazione italiana, sino alla data di entrata in vigore della legge l. 8 agosto 1985 n. 431 (c.d. Legge Galasso), ovvero il 22 agosto 1985, la costruzione entro la fascia di rispetto dei 300 metri dalla battigia non era vietata.

In Sicilia, invece, il combinato disposto dell’art. 15 della l.r. n. 78/1976, 23 della l.r. n. 37/1985 e 2 della l.r. 15/1991 preclude la sanabilità delle opere realizzate nella fascia di 150 metri dal mare i cui lavori siano iniziati dopo l’entrata in vigore della l.r. 78/1976.

Nella Regione Siciliana, pertanto, gli abusi commessi prima dell’entrata in vigore della legge n. 431/1985 avrebbero un trattamento diverso da quello riservato agli abusi commessi nel resto d’Italia.

Tale disparità di trattamento non sarebbe in alcun modo legittimata dall’art. 14 dello Statuto Siciliano che attribuisce alla competenza legislativa esclusiva della Regione la materia “urbanistica” nonché la tutela del paesaggio, conservazione delle antichità e delle opere artistiche.

Dalla mancata ammissione alla richiesta di concessione o di autorizzazione in sanatoria ed al pagamento dell’oblazione che la deve accompagnare o seguire secondo l'ordinamento generale dello Stato, deriva il venir meno delle condizioni indispensabili per estinguere, in base al testuale disposto dell'art. 38, secondo comma, della L. 47/1985, tutta una serie di reati.

La normativa regionale siciliana avrebbe, pertanto, impedito agli autori degli abusi in questione di estinguere i reati commessi.

Osserva, inoltre, il ricorrente che il fabbricato di che trattasi insiste in una zona completamente urbanizzata, in seconda fila rispetto al mare e non visibile dallo stesso essendo schermato dalle altre costruzioni e dai relativi muri di recinzione.

Il Comune stesso, peraltro, aveva autorizzato il ricorrente a costruire un muro di contenimento dando atto del fatto che tali opere con contrastavano con gli interessi urbanistici ed ambientali.

La normativa regionale sarebbe, inoltre, in contrasto con l’art. 1 del protocollo n. 1 alla CEDU, che tutela il diritto al rispetto dei beni, letto anche congiuntamente con l’art. 14 CEDU, che sancisce il divieto di discriminazione − in questo caso tra gli autori di abusi, quali quello per cui è causa, nel territorio della Regione Siciliana, che sono una minoranza nazionale rispetto agli autori di abusi nelle altre Regioni d’Italia;
l’art. 7 CEDU, che stabilisce il divieto di condanna per un’azione o omissione che non costituisce reato;
nonché, l’art. 8 CEDU, che sancisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare.

II. DIFETTO DI ISTRUTTORIA E DIFETTO DI MOTIVAZIONE, VIOLAZIONE DELL’ART. 3 E DELL’ART. 21-NONIES DELLA LEGGE N. 241/90, NEL TESTO INTRODOTTO DALL’

ARTICOLO

14 DELLA LEGGE N. 15/2005 COME RECEPITA IN SICILIA DALLA L.R. 10/1991;
14 VIOLAZIONE DEL LEGITTIMO AFFIDAMENTO DELL’ISTANTE;
VIOLAZIONE DELL’ART. 1 DEL PROTOCOLLO N. 1 ALLA CEDU, DIRITTO AL RISPETTO DEI BENI, LETTO ANCHE CONGIUNTAMENTE CON L’ART. 14 CEDU;
VIOLAZIONE DELL’ART. 7 CEDU, NULLA POENA SINE LEGE;
VIOLAZIONE DELL’ART. 8 CEDU, DIRITTO AL RISPETTO DELLA VITA PRIVATA E FAMILIARE

Il diniego impugnato si porrebbe, inoltre, in contrasto con il principio del legittimo affidamento non avendo l’amministrazione comunale tenuto nella debita considerazione le seguenti circostanze:

- sono trascorsi 40 anni dalla realizzazione dell’abuso e 33 della presentazione dell’istanza di sanatoria;

- con autorizzazione del 1983 – 1984 (doc. 2) è stata autorizzata la realizzazione di un muro di contenimento a monte del fabbricato abusivo a tutela dello stesso;

- con successiva autorizzazione del 27 gennaio 1984 prot. N -OMISSIS- (doc. 3), il Comune ha autorizzato il ricorrente ad eseguire le opere consistenti nella realizzazione delle pendenze al tetto di copertura nonché nell’intonacatura delle pareti esterne al fabbricato abusivo, al fine di salvaguardare l’immobile da infiltrazione di acque piovane;

- le opere, inoltre, avrebbero consolidato il terreno che, pur trovandosi all’esterno delle aree a rischio di dissesto idrogeologico, si trova a valle di un corpo di frana “che si è attivato recentemente a causa degli interventi antropici realizzati da terzi all’interno o in prossimità dello stesso (costruzione di immobili, appesantimento del pendio con interventi parecchio discutibili, magari anche autorizzati dal Comune) e della mancata realizzazione da parte del Comune di interventi di consolidamento del pendio o di regimentazione delle acque”.

A tali circostanze il provvedimento impugnato non farebbe alcun riferimento rilevandosi carente anche sotto il profilo motivazionale.

III. VIOLAZIONE DELL’ART. 7 CEDU, NULLA POENA SINE LEGE;
VIOLAZIONE DELL’ART. 1 DEL PROTOCOLLO N. 1 ALLA CEDU, DIRITTO AL RISPETTO DEI BENI, LETTO ANCHE CONGIUNTAMENTE CON L’ART. 14 CEDU, DIVIETO DI DISCRIMINAZIONE;
VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÀ;
VIOLAZIONE DELL’ART. 8 CEDU, DIRITTO AL RISPETTO DELLA VITA PRIVATA E FAMILIARE
.

L’impugnato diniego di costruire in sanatoria e la possibile demolizione del fabbricato che ne deriverebbe si pongono in contrasto con il divieto ex art. 7 CEDU di comminare una sanzione penale in assenza di una sentenza di condanna.

Nel caso di specie, con sentenza del -OMISSIS- gennaio 1984, n. -OMISSIS-, il Pretore di Sciacca ha dichiarato “di non doversi procedere nei confronti del sig. -OMISSIS-, per estinzione dei reati in virtù di verificata prescrizione degli stessi alla data del verbale della Polizia Urbana di Sciacca”. Ne consegue che il provvedimento impugnato commina una sanzione penale, la demolizione, in assenza di una sentenza di condanna, in violazione dell’art. 7 CEDU.

3. Il Comune di Sciacca, pur ritualmente intimato, non si è costituito in giudizio.

Con atto di mero stile depositato il 26 giugno 2019 si è costituito l’Assessorato Territorio e Ambiente.

4. Con memoria ex art. 73 c.p.a. il ricorrente ha insistito per l’accoglimento del ricorso o per la rimessione alla Corte Costituzionale delle questioni sollevate, evidenziando la novità delle stesse che fanno leva, a differenza degli altri casi già esaminati da questo TAR, sull’impossibilità di interrompere con leggi regionali il nesso fra sanzioni penali e sanzioni amministrative, venendosi altrimenti a ledere l'indispensabile uniformità di trattamento in tutto il territorio del Paese .

5. All’udienza di smaltimento del 23 giugno 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

6. Ritiene preliminarmente il Collegio che non siano fondate le eccezioni di legittimità costituzionale sollevate da parte ricorrente.

Questo Tribunale ha più volte affrontato la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 15 della legge regionale 78/76 per contrasto con l’art. 117 comma 2 lettere s) ed l), che riservano allo Stato la potestà legislativa in tema di tutela dell’ambiente e dell’ordinamento civile, e per contrasto con l’art. 14 dello Statuto della Regione siciliana, il quale non prevedrebbe la tutela dell’ambiente tra le materie attribuite alla potestà legislativa esclusiva della Regione (cfr, tra le tante, sez. II, sentenza n. 731/2022).

È stato, invero, più volte precisato che il legislatore regionale siciliano, godendo di potestà legislativa esclusiva, ben può dettare un regime vincolistico in difesa delle coste più intenso rispetto a quelli esistenti nel resto del territorio nazionale (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 14 marzo 2012, n. 532;
T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. III, 4 marzo 2008, n. 287).

Non consentono di pervenire a diverse conclusioni quelle pronunce della Corte Costituzionale (v. la sentenza n. 164/2009), relative alle previsioni con cui la Regione, muovendosi in direzione opposta rispetto a quanto avvenuto con la l.r. 78/76, ha di fatto ridotto, rispetto alle previsioni statali di cui al d.lgs. 42/04, l’ambito di tutela del paesaggio, con l’effetto di porsi in contrasto con la Costituzione ed i principi generali dell’ordinamento.

È noto, invero, il rilievo preminente riconosciuto nell’ordinamento alla tutela del paesaggio:

- “alla stregua del valore assolutamente prevalente che proprio la Costituzione assegna alla difesa del paesaggio, rispetto al quale ogni altro interesse è sicuramente recessivo… l’interesse paesaggistico viene considerato dalla giurisprudenza costituzionale prevalente nella gerarchia degli interessi pubblici” (Cons. giust. amm. Sicilia sez. giurisd., 28 giugno 2021, n. 622);

- “la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico è principio fondamentale della Costituzione (art. 9) ed ha carattere di preminenza rispetto agli altri beni giuridici che vengono in rilievo nella difesa del territorio” (Cons. Stato, II, 14 novembre 2019, n. 7839).

L’unanime riconoscimento della centrale rilevanza della tutela del paesaggio, rispetto ad altri interessi contrapposti, trova espressione anche nella rinnovata nozione di “beni pubblici”, delineata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. civ. sez. un., 14 febbraio 2011, n. 3665), che hanno ritenuto che il principio della tutela della umana personalità e del suo corretto svolgimento trovano espressione anche nell’ambito del “paesaggio”, costituito dai beni che, per loro intrinseca natura o finalizzazione risultino funzionali al perseguimento e al soddisfacimento degli interessi della collettività.

Nello stesso senso si muove il recente riconoscimento dell’ambiente quale bene costituzionalmente tutelato, per effetto delle modifiche apportate dalla legge costituzionale n. 1/2022 all’art. 9 Cost.

In tale contesto, appare manifestamente infondata la censura rivolta avverso la scelta del legislatore regionale, di esercitare la propria autonomia normativa nel senso di garantire una tutela più pregnante (rispetto a quella di cui al d.lgs. 42/04) al territorio costiero.

Né colgono nel segno gli ulteriori profili di illegittimità costituzionale eccepiti da parte ricorrente ed afferenti alla pretesa impossibilità di estinguere il reato edilizio a causa della insanabilità, solo in ambito regionale, di opere realizzate tra il 1976 ed il 1983 nella fascia di 150 metri dal mare o alla pretesa interruzione del nesso tra sanzione penale e sanzione amministrativa.

Sotto il primo profilo è sufficiente osservare, infatti, che ai sensi dell’art. 39 della legge n. 47/1985 “L'effettuazione dell'oblazione, qualora le opere non possano conseguire la sanatoria, estingue i reati contravvenzionali, di cui all'articolo 38” riconoscendo, pertanto, agli autori degli abusi la possibilità di ottenere l’estinzione dei reati edilizi pur in presenza di opere non condonabili.

Né, sotto il secondo profilo, coglie nel segno il richiamo alla sentenza della Corte Costituzionale n. 179/1986 che, al contrario, si preoccupa di valorizzare il rapporto tra l’estinzione dei reati e la sanatoria delle opere abusive sottolineando il fatto che è la prima (estinzione dei reati) a costituire il presupposto della seconda (sanatoria degli abusi) ma non anche viceversa.

La Corte Costituzionale, invero, ha dichiarato la illegittimità costituzionale della legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana il 2 aprile 1986, intitolata "Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 10 agosto 1985, n. 37, con la quale erano state introdotte, a differenza delle disposizioni qui esaminate, disposizioni di maggior favore per gli autori degli abusi consentendo agli stessi di ottenere la sanatoria delle opere abusive anche in assenza delle condizioni per ottenere l’estinzione dei corrispondenti reati edilizi.

La legge regionale dichiarata costituzionalmente illegittima aveva previsto, infatti, la possibilità di ottenere la sanatoria delle opere abusive senza il pagamento dell’oblazione, mediante la presentazione di una mera dichiarazione di rinuncia a “conseguire gli effetti discendenti dalla corresponsione dell'oblazione prevista dall'art. 34 della legge 28 febbraio 1985, n. 47”, in tal modo separando “la prevista estinzione dei pregressi reati urbanistici dalla relativa sanatoria delle opere abusive (senza affatto tener conto che la prima rappresenta, nell'ambito di tale normativa, la necessaria premessa della seconda)” , così interferendo nell'applicazione delle stesse norme penalmente rilevanti, dettate dalla legge n. 47/1985 e determinando la situazione “paradossale” in cui “la demolizione delle opere abusive ordinata dal giudice penale con la sentenza di condanna cui si riferisce l'ultimo comma dell'art. 7 (richiamato dall'art. 40, primo comma, della legge n. 47)” finisse con l’apparire “incompatibile … con la sanatoria di opere che a questo punto dovrebbero dirsi legittime”.

7. La demolizione del manufatto abusivo, inoltre, non può ritenersi una “pena” nel senso individuato dalla giurisprudenza della CEDU

Essa, invero, “ha natura di sanzione amministrativa che assolve ad un'autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, configura un obbligo di fare, imposto per ragioni di tutela del territorio, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, producendo effetti sul soggetto che è in rapporto con il bene, indipendentemente dall'essere stato o meno quest'ultimo l'autore dell'abuso.

Non si ravvisa, pertanto, alcuna violazione dell’art. 7 della CEDU che prevede il divieto di comminare una sanzione penale in assenza di una sentenza di condanna.

8. Sono altresì infondate le ulteriori censure afferenti ad una pretesa violazione del principio dell’affidamento atteso che sia il provvedimento con cui è stata autorizzata la realizzazione che la successiva autorizzazione del 27 gennaio 1984 prot. N -OMISSIS- per l’esecuzione delle opere di rifacimento del tetto di copertura e di intonacatura delle pareti esterne al fabbricato abusivo hanno espressamente fatto salve le ulteriori determinazioni dell’amministrazione in relazione alla natura abusiva del fabbricato.

9. Nessun affidamento da tutelare deriva, inoltre, dal mero decorso del tempo dalla commissione dell’abuso.

Deve condividersi, invero, il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il lungo lasso di tempo trascorso tra la presentazione della domanda e l’adozione dell’atto di diniego non può costituire elemento utile per ritenere consolidato il legittimo affidamento circa la rituale presentazione (e il positivo esito del procedimento) o circa la conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare (cfr. ex multis, Tar Catania, sez. II, sentenza n. 2261 dell’11 agosto 2022;
n.

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