TAR Trieste, sez. I, sentenza breve 2011-01-13, n. 201100022

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Trieste, sez. I, sentenza breve 2011-01-13, n. 201100022
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Trieste
Numero : 201100022
Data del deposito : 13 gennaio 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00577/2010 REG.RIC.

N. 00022/2011 REG.PROV.COLL.

N. 00577/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 60 e 74 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 577 del 2010, proposto da:
G M, rappresentato e difeso dagli avv. D C, L M, con domicilio eletto presso L M Avv. in Trieste, via Coroneo 17;

contro

Ministero della Difesa, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata per legge in Trieste, piazza Dalmazia 3;

per l'annullamento

del provvedimento di perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari (D.M. n. 0323/III-9/2010 dd. 9.7.2010, notificato al ricorrente in data 9.8.2010;

-di ogni altro atto antecedente, presupposto, connesso e consequenziale;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2010 il dott. O S e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;


Il ricorrente chiede l’annullamento del provvedimento del Ministero della Difesa con il quale è stata disposta nei suoi confronti la perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari.

Il procedimento disciplinare è scaturito dal fatto che il 7 settembre 2009 il Caporalmaggiore scelto Marano veniva trovato da operatori della Polizia di Stato in possesso di grammi 1,72 di eroina, a detta del graduato detenuta per uso personale, acquistata poco prima da un cittadino extracomunitario datosi alla fuga alla vista degli agenti.

Il Comandante di Corpo del Marano avuta contezza di tale circostanza in data 15 settembre 2009, ricevendo la nota della Questura di Padova, avviava l'istruttoria volta a stabilire l'eventuale sussistenza, in relazione alla condotta di specie, dei presupposti per l'adozione di un provvedimento disciplinare di stato.

La linea gerarchica del graduato esprimeva univocamente parere in tal senso e, da ultimo, l'alto Comandante competente, il 23 gennaio 2010, disponeva che il Marano venisse sottoposto a inchiesta formale, ai sensi degli articoli 64 e seguenti della legge 31 luglio 1954 n.599, all'epoca vigente.

L'ufficiale inquirente incaricato dell'istruttoria disciplinare l’11 febbraio 2010 avviava il procedimento disciplinare di stato a mezzo della contestazione degli addebiti.

Il 12 aprile 2010 il Comandante delle forze operative terrestri, concordando con le conclusioni dell'inquirente, deferiva il Marano al giudizio di una commissione di disciplina e questa, il 17 maggio 2010, all'unanimità riteneva che il Marano non fosse meritevole di conservare il grado rivestito.

La Direzione Generale per il Personale Militare, valutata l'istruttoria disciplinare, in linea con gli orientamenti consolidati dell'amministrazione militare in materia di stupefacenti, con decreto del 9 luglio 2010 disponeva nei confronti del graduato la perdita del grado per rimozione, con l’atto in questa sede impugnato per i seguenti motivi:

1. Violazione di legge - articoli 97 e 120 del decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957;
articolo 9 della legge n. 19 del 1990 - Violazione dei termini perentori di legge nonché delle garanzie partecipative;

2. Violazione di legge - articolo 59 del regolamento di disciplina militare;
articolo 103 del decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957 - eccesso di potere per violazione dei termini per l'instaurazione di un procedimento disciplinare;

3. Violazione di legge - articoli 60, 61, 63 della legge n. 599 del 1954;
articolo 27, lettera f) del decreto legislativo n. 196 del 1995;
violazione dei principi ex art. 97 Cost. di buona amministrazione nonché sul giusto procedimento;
violazione articoli 3 e 10 della legge n. 241 del 1990 - eccesso potere per difetto di presupposto, istruttoria e motivazione del grave provvedimento adottato - eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità, ragionevolezza, travisamento e sviamento - violazione del principio di proporzionalità.

Con il primo motivo di ricorso si sostiene che, essendo il "dies a quo" del procedimento volto all'emissione del provvedimento impugnato quello dalla data della piena conoscenza dell'evento che ha determinato gli addebiti (consistente in ogni caso – come rileva il Collegio - nella data di recepimento della relazione di servizio della Questura di Padova, avvenuto il 15 settembre 2009 ) ed essendosi concluso il procedimento con l'emissione del decreto il 9 luglio 2010, il provvedimento risulterebbe viziato in quanto emesso oltre i 270 giorni complessivi previsti dalla legge 7 febbraio 1990 n. 19.

Tale censura risulta completamente priva di pregio;
i termini perentori di cui al secondo comma dell'articolo 9 della legge n. 19 del 1990 non sono stati mai applicati ai procedimenti disciplinari per fatti desunti da sentenze di patteggiamento o, come nel caso di specie, conseguenti a meri illeciti disciplinari gravi, per i quali i termini erano 180 giorni per la contestazione degli addebiti (di cui al decreto ministeriale 16 settembre 1993 n. 603) e 90 giorni per ciascun atto formale del procedimento disciplinare (ai sensi dell'articolo 120 del testo unico n. 3 del 1957), essendo infatti previsti unicamente per le sentenze di condanna ("...dalla data in cui l'amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna") .

Il procedimento disciplinare in questione si sarebbe estinto, pertanto, soltanto laddove fossero inutilmente trascorsi 90 giorni dall'ultimo atto formale compiuto dall'amministrazione e non allo spirare del termine di 270 giorni previsto per le sentenze di condanna dalla citata legge n. 19 del 1990.

La "ratio" di tale distinzione risiede nel fatto che, mentre per il procedimento disciplinare conseguente a una sentenza di condanna penale irrevocabile - tipologia di sentenza recante in sé un accertamento positivo incontrovertibile della storicità dei fatti - l'amministrazione può prescindere dalla necessità di una ricostruzione istruttoria dei fatti addebitati, potendo limitarsi meramente ad attribuire il grado di antigiuridicità agli stessi, così come "aliunde" accertati - per contro, nei procedimenti conseguenti a gravi fatti disciplinari, oltre alla corretta valutazione del disvalore disciplinare dei fatti commessi, sussiste la necessità dell'accertamento stesso dei fatti.

Nel caso di specie, tutti gli atti formali dell'istruttoria disciplinare risultano essere stati compiuti entro il termine di 90 giorni di cui all'articolo 120 del decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957.

Anche la seconda censura risulta palesemente infondata, in quanto introduce il concetto del "senza ritardo", concepito dal legislatore per i soli procedimenti disciplinari di corpo in relazione alle ben diverse finalità di tale tipologia di sanzione, la quale, com'è noto, possiede una natura educativa e correttiva del militare che verrebbe frustrata qualora tali sanzioni non fossero irrogate nell'immediatezza dei fatti commessi.

Per contro, i termini normativi per l'instaurazione e la conclusione del procedimento disciplinare di stato, in quanto preordinati a un tipo di accertamento ben più complesso e in relazione a fatti potenzialmente incompatibili con lo "status", risultano assai più ampi.

Nel caso di specie, la notizia della condotta disciplinarmente rilevante è stata ricevuta dall'amministrazione il 15 settembre 2009 (recepita da organo periferico incompetente ad instaurare il procedimento disciplinare di stato) e l'11 febbraio 2010 sono stati contestati gli addebiti disciplinari di stato.

Nel caso in questione, il termine di 180 giorni decorrenti dal 15 settembre 2009, data dell'acquisizione della notizia dell'illecito disciplinare, sarebbe spirato il 14 marzo 2010, mentre la contestazione degli addebiti è stata effettuata già l’11 febbraio 2010, ben entro, quindi, il termine perentorio di 180 giorni, previsto dal decreto ministeriale 16 settembre 1993 n. 603 (tabella f let. 11, 16).

Nessun pregio rivestono quindi i richiami a normative non applicabili allo specifico caso in questione.

Anche il terzo e ultimo motivo di gravame non si rivela fondato.

In primo luogo, il ricorrente contesta l'assenza di una recidività specifica del graduato nella specifica condotta costituente causa della sanzione destituiva, dimenticando che nel diritto disciplinare - a differenza che nel diritto penale - non sussiste una rigida tipizzazione dei fatti costituenti illecito disciplinare.

In materia disciplinare, per poter configurare una recidiva che sia rilevante al fine dell’aggravio degli esiti del giudizio (di merito) sul grado di disvalore della condotta, non occorre necessariamente dover far riferimento a un’identica fattispecie, bastando, per contro, rinvenire, nella carriera del manchevole, l'esistenza di una precedente condotta contrastante con doveri disciplinari della medesima natura.

Nel decreto impugnato, quindi, non si è inteso affatto far riferimento alla sussistenza di una recidività specifica dell'ex graduato nel consumo di sostanze stupefacenti, quanto, piuttosto, a una recidività del medesimo in attività implicanti detenzione o, comunque, affinità a diverso titolo alle sostanze stupefacenti, quali condotte entrambe gravemente contrastanti al medesimo profilo delle necessarie e preminenti istanze di sicurezza, coesione interna ed efficienza della compagine militare.

Sotto il profilo regolamentare, inoltre, qualsiasi condotta del militare, ancorché al di fuori dal servizio, laddove tenuta in spregio al giuramento o ai precipui doveri del militare, costituisce illecito disciplinare grave e, come tale, sanzionabile disciplinarmente dall'amministrazione.

Del pari, non può essere condivisa l'argomentazione che postula che gli illeciti relativi alle sostanze stupefacenti, laddove posti in essere da un militare delle Forze armate, comportino un disvalore trascurabile rispetto ai medesimi illeciti compiuti da un appartenente alla Guardia di Finanza o delle forze di polizia perché solo in tali casi il previo contatto con il fornitore senza aver intrapreso le azioni doverose in quanto appartenente alle forze di polizia in genere, risulta incompatibile con i doveri di servizio.

Risulta invece che l’amministrazione si è data carico di analizzare in maniere puntuale ed approfondita il contrasto tra la condotta del ricorrente e i doveri dello stesso - principalmente dal punto di vista della peculiarità dei compiti delle forze armate ed alla connotazione strategica che in tale ambito viene attribuita ai graduati.

Inoltre, tali attività, prevedendo il maneggio continuo e l'uso potenziale di armi da guerra e di sistemi d'arma a elevata lesività, non possono prescindere dal possesso di un equilibrio psicofisico ottimale da parte del militare sul quale l’amministrazione deve poter riporre completa fiducia.

Per le considerazioni che precedono il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Le spese possono essere compensate tra le parti per giusti motivi.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi