TAR Catania, sez. IV, sentenza 2020-05-04, n. 202000930

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Catania, sez. IV, sentenza 2020-05-04, n. 202000930
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Catania
Numero : 202000930
Data del deposito : 4 maggio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/05/2020

N. 00930/2020 REG.PROV.COLL.

N. 02143/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2143 del 2018, proposto da
-OMISSIS-., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato F L P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale Catania, domiciliataria ex lege in Catania, via Vecchia Ognina, 149;

per l'annullamento

previa sospensione cautelare degli effetti

del decreto m_dg.-OMISSIS- del 19 Ottobre 2018, con il quale il Direttore del Dipartimento per gli Affari di Giustizia – Direzione Generale della Giustizia Civile del Ministero della Giustizia ha revocato l'autorizzazione allo svolgimento dell'attività di vendita, custodia e amministrazione dei beni mobili e immobili, quale istituto vendite giudiziarie, nell'ambito delle circoscrizioni dei Tribunali di -OMISSIS-conferita con decreto dirigenziale del 12 Novembre 2003

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore il dott. M A P F nella camera di consiglio del 23 aprile 2020, tenutasi mediante collegamento da remoto in videoconferenza, secondo quanto disposto dall’art. 84, comma 6, D.L. 17 marzo 2020, n. 18;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

L’Ente -OMISSIS- (di seguito denominata -OMISSIS-) svolgeva, su autorizzazione del Dipartimento della Giustizia Civile del Ministero della Giustizia, il servizio di vendita, custodia e amministrazione dei beni mobili e immobili pignorati nell’ambito dei Distretti di Corte d’Appello di -OMISSIS-ed esattamente presso le circoscrizioni dei Tribunali di -OMISSIS-, sin dal 2003, e di -OMISSIS-, -OMISSIS-e -OMISSIS-dal 2009. Durante l’espletamento negli anni di siffatta attività non era sorto alcun problema sino a quando -OMISSIS- ed -OMISSIS-, rispettivamente amministratore e dipendente della società ricorrente, sono stati accusati di avere commesso, in concorso tra loro, reati di falso e peculato nella gestione delle vendite nell’ambito del Distretto di Corte d’Appello di -OMISSIS-.

Il Ministero della Giustizia disponeva la revoca dell’autorizzazione rilasciata per l’espletamento dell’attività di vendita, custodia e amministrazione dei beni mobili ed immobili pignorati nell’ambito del Distretto di Corte d’Appello di -OMISSIS-, avviando, in seguito, il procedimento di revoca, in ragione dei medesimi fatti, anche in relazione all’analoga attività svolta presso il Distretto di Corte -OMISSIS-. La società ricorrente partecipava al procedimento precisando che i fatti in questione non riguardavano in modo alcuno il servizio di vendita, custodia e amministrazione dei beni mobili ed immobili espletato presso il Distretto di Corte -OMISSIS-.

Con nota -OMISSIS-, la Corte -OMISSIS- contestava alla ricorrente ulteriori irregolarità ed inefficienze nella gestione dell’attività in questione presso il Distretto etneo, tra le quali, in particolare, il tardivo accreditamento al Portale delle vendite pubbliche. L’-OMISSIS- si difendeva in sede procedimentale presentando un’apposita memoria difensiva.

Con decreto del 18 giugno 2018, il Ministero della Giustizia, preso atto che la concessione del servizio di Istituto vendite giudiziarie per le circoscrizioni dei -OMISSIS- e -OMISSIS- era stata assegnata all’Ente -OMISSIS- con provvedimento del 12 novembre 2003 per la durata di cinque anni ed era stata già prorogata per ben due volte;
preso atto della prossima scadenza del termine di durata quinquennale;
ritenuta l’opportunità, al fine di improntare l’azione amministrativa a principi di trasparenza ed economicità, nonché tenuto conto della lunga durata del servizio svolto, di non rinnovare la concessione in scadenza e di indire una “ nuova procedura di gara per verificare quale soggetto, allo stato, possa fornire le migliori garanzie in ordine ad un efficiente svolgimento del servizio, con possibile accesso nel mercato anche di nuovi operatori economici ”;
decretava la cessazione, alla data di scadenza del giorno 11 novembre 2018, della predetta concessione.

Avverso il predetto decreto l’-OMISSIS- presentava un’istanza di annullamento in autotutela che il Ministero della Giustizia accoglieva con decreto del 5 ottobre 2018, adottando, però, il 19 ottobre 2018 un nuovo decreto di revoca stavolta motivato sulla base delle riscontrate gravi irregolarità contestate con riguardo alla gestione dell’attività espletata tanto nel Distretto di Corte d’Appello di -OMISSIS- quanto nel Distretto di Corte -OMISSIS-.

Con ricorso spedito a mezzo P.E.C. in data 11 dicembre 2018 ai sensi della legge 53/1994 ed il medesimo giorno notificato ai sensi dell’art.41 c.p.a. al Ministero della Giustizia presso l’indirizzo P.E.C. dell’avvocatura dello Stato Distrettuale di Catania, nonché depositato il 19 dicembre 2018 ai sensi dell’art.45 c.p.a. presso la segreteria del T.A.R. Sicilia, Sezione Staccata di Catania, unitamente all’istanza di fissazione dell’udienza di merito ai sensi e per gli effetti degli artt.55 co.4 e 71 c.p.a., l’-OMISSIS- impugnava il predetto decreto del 19 ottobre 2018, domandandone l’annullamento, previa sospensione cautelare degli effetti, per i seguenti motivi: 1) violazione e falsa applicazione dell’art.41 D.M. 109/1997 – violazione e falsa applicazione dell’art.2 L. 241/1990 – eccesso di potere per violazione del principio del legittimo affidamento – perché l’Amministrazione, da un lato, non avrebbe adeguatamente contestato le presunte gravi irregolarità che avrebbero giustificato la controversa revoca della concessione del servizio, e dall’altro, avrebbe adottato il provvedimento impugnato oltre il termine ragionevole di durata del relativo procedimento, così violando non soltanto l’art.2 L. n.241/1990 ma anche il legittimo affidamento riposto dalla ricorrente nella prosecuzione del rapporto concessorio in atto, tanto più considerato che il procedimento di revoca doveva ritenersi già concluso con l’adozione del decreto del 18 giugno 2018, successivamente ritirato in autotutela con il decreto del 5 ottobre 2018;
2) violazione e falsa applicazione dell’art.41 D.M. 109/1997 sotto altro profilo – eccesso di potere per difetto dei presupposti e travisamento dei fatti – illogicità ed ingiustizia manifesta – perché i fatti contestati con riguardo alla gestione dell’attività di vendita, custodia e amministrazione di beni mobili ed immobili presso il Distretto di Corte d’Appello di -OMISSIS- non potrebbero giustificare la revoca della concessione concernente la medesima attività svolta presso il diverso Distretto di Corte -OMISSIS- e perché il controverso provvedimento si baserebbe, da un lato, su fatti oggetto dell’ordinanza del 24 aprile 2018 del Tribunale del Riesame di -OMISSIS- che la Corte di Cassazione ha annullato con la sentenza n. -OMISSIS-e, dall’altro, su presunti inadempimenti destituiti di fondamento, considerato che nessuna scadenza perentoria era prevista dalla normativa di riferimento per l’accreditamento al Portale delle Vendite Pubbliche.

Si costituiva il Ministero della Giustizia, opponendosi all’accoglimento del ricorso in quanto infondato in fatto e in diritto.

Con ordinanza n.-OMISSIS-, il Collegio rigettava l’istanza cautelare di sospensione proposta dalla ricorrente per carenza di fumus boni iuris , tenuto conto, da un lato, che il potere di revoca di cui all’art.41 del D.M. 109/1997 appariva particolarmente ampio e suscettibile di esercizio ogniqualvolta fosse venuto meno il rapporto fiduciario intercorrente con il destinatario dell’autorizzazione in questione in ragione di gravi irregolarità o abusi accertati nel funzionamento dell’istituto e debitamente contestati, e, dall’altro, che il reato di peculato contestato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di -OMISSIS- a fondamento della richiesta di misura cautelare accolta dal G.I.P. e confermata dal Tribunale del Riesame di -OMISSIS- sembrava essere stato ritenuto sussistente dalla Corte di Cassazione con la pronuncia della sentenza 1823 del 17 luglio 2018 quanto meno sul piano dei gravi indizi di colpevolezza ai sensi dell’art.273 c.p.p.

La ricorrente proponeva appello cautelare che il C.G.A. accoglieva con ordinanza -OMISSIS- “ Considerato, anche alla luce del ridimensionamento apportato dalla pronuncia della Corte di Cassazione menzionata in atti all’impostazione accusatoria penale a base della revoca in contestazione, che le doglianze mosse dalla società ricorrente non appaiono prive del necessario fumus boni iuris ”, che “ quest’ultima valutazione può farsi anche con riferimento alla censura di natura procedimentale richiamata nella parte conclusiva del presente appello ” ed “ infine, che l’Amministrazione nelle more del giudizio potrà valutare la possibilità di ottenere dalla società gli adeguamenti organizzativi utili alla migliore tutela dell’interesse pubblico ”.

Le parti depositavano delle memorie conclusive.

Nella camera di consiglio del 23 aprile 2020, tenutasi mediante collegamento da remoto in videoconferenza, secondo quanto disposto dall’art. 84, comma 6, D.L. 17 marzo 2020, n. 18, il Collegio tratteneva il ricorso in decisione.

DIRITTO



1. Con il primo motivo, si deduce l’illegittimità del provvedimento impugnato perché: 1) il procedimento amministrativo avviato ai sensi dell’art.41 D.M. 109/1997 per la revoca dell’autorizzazione all’espletamento del servizio sulla base delle presunte irregolarità rilevate doveva ritenersi già concluso con il provvedimento di cessazione per scadenza del rapporto emanato il 18 giugno 2018 ai sensi dell’art.40 D.M. 109/1997 e non poteva, dunque, più proseguire per l’emanazione del provvedimento impugnato;
2) perché sarebbe stato violato il termine di durata prevista dall’art.2 L. n.241/1990 per il procedimento in questione;
3) perché sarebbe stato violato il legittimo affidamento riposto dalla ricorrente nella prosecuzione del rapporto, considerato l’intervenuto ritiro in autotutela del provvedimento del 18 giugno 2018 con cui si decretava il mancato rinnovo dell’autorizzazione.

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