TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2024-01-11, n. 202400577

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2024-01-11, n. 202400577
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202400577
Data del deposito : 11 gennaio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/01/2024

N. 00577/2024 REG.PROV.COLL.

N. 05348/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5348 del 2020, proposto da -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avvocato M M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l’annullamento

del provvedimento del Ministero dell’Interno -OMISSIS- del 13 marzo 2020, con il quale è stata respinta la domanda di concessione della cittadinanza italiana presentata dall’odierna ricorrente in data 3 luglio 2013, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 novembre 2023 il dott. E M e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe si contesta la legittimità del provvedimento del Ministero dell’Interno -OMISSIS- del 13 marzo 2020, con il quale è stata respinta la domanda di concessione della cittadinanza italiana ex art 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992, presentata dall’odierna ricorrente in data 3 luglio 2013, essendo emerso a suo carico una sentenza di condanna non definitiva, emessa in data -OMISSIS- dal G.I.P. presso il Tribunale Ordinario di Venezia, per i reati di cui agli artt. 3 e 4 legge 20 febbraio 1958 n. 75 (favoreggiamento della prostituzione) e di cui all’art. 416 c.p. (associazione a delinquere).

L’impugnativa è stata affidata ai seguenti motivi di diritto:

I. Violazione dell’art. 27, comma 2, della Costituzione , fondandosi il diniego su una sentenza penale di condanna non definitiva, sub iudice in grado d’appello.

II. Eccesso di potere per difetto di motivazione , essendosi l’Amministrazione limitata a citare la sentenza di condanna del G.I.P. presso il Tribunale Ordinario di Venezia del -OMISSIS-, senza assolutamente tenuto conto del fatto che la ricorrente è presente in Italia da molti anni ed ha sempre mantenuto una buona condotta, conformando la propria esistenza alle regole della civile convivenza.

Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio per resistere al ricorso, contestando le censure ex adverso svolte e concludendo per il rigetto della domanda di annullamento del provvedimento impugnato.

In data 18 maggio 2023 la ricorrente ha depositato la sentenza della Corte d’Appello di Venezia n. -OMISSIS-, con la quale è stata assolta per i reati a lei contestati “perché il fatto non costituisce reato” .

All’udienza pubblica del giorno 14 novembre 2023, la causa è passata in decisione.

Il ricorso è infondato e va respinto.

Giova al riguardo osservare, alla luce della giurisprudenza di recente sintetizzata dalla Sezione (cfr., T.A.R. Lazio, Roma, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2947, 3018, 3471, 5130 del 2022), che l’acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone un’amplissima discrezionalità in capo all’Amministrazione, come si ricava dalla norma, attributiva del relativo potere, contenuta nell’art. 9, comma 1, della legge n. 91/1992, ai sensi del quale la cittadinanza “può” essere concessa.

Tale discrezionalità si esplica, in particolare, in un potere valutativo in ordine al definitivo inserimento dell’istante all’interno della comunità nazionale, in quanto al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti – consistenti, sostanzialmente, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consente, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si chiede di entrare a far parte), e nella possibilità di assunzione di cariche pubbliche – ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo;
si tratta infatti di determinazioni che rappresentano un’esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (cfr. Consiglio di Stato, AG, n. 9/1999 del 10.6.1999;
sez. IV n. 798/1999;
n. 4460/2000;
n. 195/2005;
sez, I, 3.12.2008 n. 1796/08;
sez. VI, n. 3006/2011;
Sez. III, n. 6374/2018;
n. 1390/2019, n. 4121/2021;

TAR

Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012;
n. 3920/2013;
4199/2013).

L’interesse dell’istante a ottenere la cittadinanza deve quindi necessariamente coniugarsi con l’interesse pubblico a inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale.

Se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura “composita”, in quanto teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile dunque comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’agire del soggetto (il Ministero dell’Interno) alla cui cura lo stesso è affidato.

In questo quadro, pertanto, l’Amministrazione ha il compito di verificare che il soggetto istante sia in possesso delle qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprima integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile.

La concessione della cittadinanza rappresenta infatti il suggello, sul piano giuridico, di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di “cittadinanza sostanziale” che giustifica l’attribuzione dello status giuridico.

In altri termini, l’inserimento dello straniero nella comunità nazionale può avvenire (solo) quando l’Amministrazione ritenga che quest’ultimo possieda ogni requisito atto a dimostrare la sua capacità di inserirsi in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato (cfr., ex multis , T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I ter, n. 3227/2021;
n. 12006/2021 e sez. II quater, n. 12568/2009;
Cons. St., sez. III, n. 4121/2021;
n. 8233/2020;
n. 7122/2019;
n. 7036/2020;
n. 2131/2019;
n. 1930/2019;
n. 657/2017;
n. 2601/2015;
sez. VI, n. 3103/2006;
n.798/1999).

Tanto chiarito sulla natura discrezionale del potere de quo , ne deriva che il sindacato giurisdizionale sulla valutazione compiuta dall’Amministrazione – circa il completo inserimento o meno dello straniero nella comunità nazionale – non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell’esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole.

Applicando le suesposte coordinate giurisprudenziali al caso di specie, il Collegio ritiene infondate le censure formulate con il ricorso, avendo l’Amministrazione valutato in maniera non manifestamente illogica la situazione dell’odierna ricorrente, nei cui confronti risultava, al momento dell’emanazione del diniego impugnato, adottato in data 13 marzo 2020, una sentenza di condanna (ancorché non definitiva), emessa in data -OMISSIS- dal G.I.P. presso il Tribunale Ordinario di Venezia, per i reati di cui agli artt. 3 e 4 legge 20 febbraio 1958 n. 75 (favoreggiamento della prostituzione) e di cui all’art. 416 c.p. (associazione a delinquere), la cui particolare gravità e allarme sociale necessariamente riverberano ai fini del complessivo giudizio sull’aspirante cittadino, tanto che sono addirittura preclusivi all’autorizzazione al soggiorno dello straniero in Italia.

L’attività in parola infatti comporta la contiguità con il mondo della criminalità organizzata, che notoriamente ne gestisce l’esercizio;
tanto che la partecipazione a tale attività è ostativa al rilascio del visto di ingresso nel Paese e del permesso di soggiorno ai sensi degli artt. 4 e 5 del Testo Unico Immigrazione e costituisce una giusta causa di revoca del visto o del permesso di soggiorno, ai sensi dell’art. 6 del predetto TU, oltre che un’aggravante specifica del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ai sensi dell’art. 12 del medesimo TUI.

È pertanto evidente il disvalore giuridico della condotta, alla stregua del criterio di valore adottato dal legislatore nazionale, che ha ritenuto le attività connesse all’esercizio della prostituzione ostative persino al riconoscimento dello status di lungo soggiornante UE, mediante rilascio della cd Carta di Soggiorno (vedi ex multis T.A.R. Lazio, sez. II quater, n. 34969/2010 per un caso di revoca della Carta di soggiorno a causa dell’esercizio della prostituzione ovvero mancato rilascio del titolo, T.A.R. Piemonte, sez. II, n. 340/2010;
T.A.R. Lombardia, n. 459/2010 per rilascio/revoca del permesso di soggiorno).

Tali principi, che esprimono uno sfavor nell’ambito della logica di procedimenti meramente autorizzatori di polizia, ispirati a meri principi di precauzione e tutela dell’ordine pubblico, valgono a fortiori, più in generale, nell’ambito di procedimenti concessori che presuppongono l’apprezzamento delle condotte ai fini della formulazione dei giudizi prognostici basati sul comportamento dei soggetti, anche ove si tratti del mero rilascio di provvedimenti aventi natura abilitativa, in cui occorre stimare l’idoneità di un soggetto ad essere stabilmente inserito in un’organizzazione, e sono validi, a maggior ragione, in caso di provvedimenti concessori di status, in particolare quelli attributivi della cittadinanza per naturalizzazione, che comportano l’attribuzione non tanto di situazioni giuridiche soggettive da far valere nei confronti di una PA, bensì dal conferimento di diritti politici, oltre che del dovere di difendere la Patria in caso di guerra, in cui proprio la reciprocità di diritti e doveri evidenzia il “nocciolo duro” della nozione di cittadinanza - che determina l’ambito degli elementi rilevanti per valutare la “meritevolezza” dell’ammissione nella Comunità nazionale - che trovano la loro “causa” nel particolare nesso che lega una persona ad un Paese in cui virtù non del mero fatto giuridico della prolungata presenza sul suo territorio, ma anche del possesso di quel “sentimento di appartenenza ideale”, di comunione di valori, che induce la persona a contribuire al progresso economico-sociale, nonché alla difesa, del Corpo cui viene ad essere stabilmente inserito). Ed in tale prospettiva è stato pertanto ritenuto controindicato alla naturalizzazione persino l’esercizio del meretricio (T.A.R. Lazio, Roma, sez. V bis, n. 13000/2023).

Tanto chiarito in merito al disvalore in sé della condotta contestata va disattesa anche la prospettazione attorea ove intende sminuire la valenza della condanna riporta in quanto non ancora divenuta definitiva.

Tale impostazione non può essere seguita in considerazione del principio di tutela avanzata che governa il procedimento di conferimento dello status (irrevocabile) in contestazione, che può essere richiesto solo quando ormai qualunque dubbio sull’attitudine dell’interessato ad assumersi tutti i doveri, oltre ai diritti, che gravano sul cittadino, con la conseguenza che l’istanza può essere presentata solo dopo la positiva conclusione dei procedimenti penali a proprio carico, oppure, in caso di condanna, dopo aver conseguito la riabilitazione.

Deve a tale riguardo essere ribadito, confermando la giurisprudenza anche di questo Tribunale, dalla quale non vi è motivo per discostarsi, che la discrezionalità dell’Amministrazione procedente nella concessione dello status civitatis , di cui sono stati delineati sopra gli ampi margini di esercizio – a tutela dei rilevanti interessi dello Stato – nella valutazione in ambito amministrativo della condotta e dell’inserimento sociale dell’interessato, consente che “le valutazioni volte all’accertamento di una responsabilità penale si pongano su di un piano assolutamente differente e autonomo rispetto alla valutazione del medesimo fatto ai fini dell’adozione di un provvedimento amministrativo, con la possibilità che le risultanze fattuali oggetto della vicenda penale possano valutarsi negativamente, sul piano amministrativo, anche a prescindere dagli esiti processuali penali” ( ex multis , T.A.R. Lazio, Sez. I ter, nn. 10323/2021, 3345/2020, 347/2019, 6824/2018, Sez. II, n. 1833/2015).

Alla luce di siffatta osservazione – che si fonda sul noto fenomeno della “pluriqualificazione” del fatto giuridico, per cui lo stesso comportamento può assumere diversa rilevanza, sul piano penale, civile, fiscale, amministrativo, ecc., a seconda dei settori d’azione, delle materie e delle finalità perseguite [poiché simile scrutinio si pone su un piano differente e autonomo rispetto alla valutazione dello stesso fatto ai fini dell’accertamento di una responsabilità penale (cfr. Cons. St., sez. III, 15/02/2019 n. 802)] – non potrebbe neppure valere l’osservazione di parte ricorrente in ordine alla non definitività della condanna per i reati ascrittigli, dovendo l’Amministrazione decidere allo stato degli atti, anche in un’ottica di precauzione adeguatamente avanzata, che impone di tenere conto non soltanto dei fatti penalmente rilevanti, ma anche della loro prevenzione e di qualsivoglia situazione di astratta pericolosità sociale, con accurati apprezzamenti sulla personalità e sulla condotta di vita del naturalizzando, al fine di valutare quale sia la probabilità che questi possa arrecare in futuro pregiudizio alla sicurezza dello Stato (cfr., di recente, Consiglio di Stato sez. III, 14 febbraio 2022, n.1057).

In conclusione, alla luce delle considerazioni sopra svolte si deve ritenere che comportamenti addebitati all’istante sono stati quindi correttamente valutati quali fatti indicativi di una personalità non incline al rispetto delle norme penali e delle regole di civile convivenza, tale da giustificare il rigetto della domanda di cittadinanza (da ultimo, cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. V bis, 13910/2022), a prescindere dalla non definitività delle condanne riportate al momento dell’emanazione del diniego, anche in considerazione del fatto che nel caso di specie il termine per la definizione del procedimento di cittadinanza, pari a settecentotrenta giorni dalla data di inoltro della domanda - presentata dalla ricorrente in data 3 luglio 2013 - risultava ampiamente decorso, esponendo così l’Amministrazione ad un eventuale ricorso al giudice amministrativo per la dichiarazione dell’obbligo di provvedere espressamente sulla domanda medesima (Tar Lazio, sez. II - quater, sentenze n. 1171 del 2012;
n. 4021 del 2012;
n. 4369 del 2013).

Vale inoltre osservare che la sentenza d’appello in forza della quale la ricorrente è stata assolta per i reati di favoreggiamento della prostituzione e di associazione a delinquere è stata pubblicata soltanto in data 2 febbraio 2023, sicché l’Amministrazione non avrebbe potuto in alcun modo valutarla ai fini della concessione della cittadinanza.

Peraltro è appena il caso di rilevare che l’assoluzione è stata disposta perché la prova non era stata raggiunta “oltre ogni ragionevole dubbio” (peraltro sulla base di testimonianza degli stessi clienti delle operatrici del sesso operanti presso la struttura in contestazione, la cui reticenza è giustificata dal comprensibile imbarazzo, inficiandone l’attendibilità.

Sotto altro profilo, occorre evidenziare come neanche l’integrazione della ricorrente nel tessuto sociale italiano, testimoniata dall’attività lavorativa, assurge a elemento degno di speciale merito, in grado di far venir meno il constatato motivo ostativo alla concessione dello status di cittadino, visto che lo stabile inserimento è solo il prerequisito della richiesta di cittadinanza.

Il riconoscimento della cittadinanza, per sua natura irrevocabile (salvi i casi di revoca normativamente previsti), si fonda infatti su determinazioni che rappresentano un’esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (Cons. Stato, Sez. III, 7 gennaio 2022, n. 104) e, pertanto, presuppone che “nessun dubbio, nessuna ombra di inaffidabilità del richiedente sussista, anche con valutazione prognostica per il futuro, circa la piena adesione ai valori costituzionali su cui Repubblica Italiana si fonda” (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 14 febbraio 2017, n. 657).

D’altronde, la particolare cautela con cui l’Amministrazione valuta la rilevanza di condotte antigiuridiche è compensata dalla facoltà di reiterazione dell’istanza (già a distanza di un anno dal primo rifiuto) che l’ordinamento riconosce al richiedente una volta mutate le condizioni oggettive sottese all’esito negativo originario.

Le considerazioni che precedono impongono il rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio seguono, come da regola, la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo.

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