TAR Roma, sez. II, sentenza 2013-05-31, n. 201305506

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. II, sentenza 2013-05-31, n. 201305506
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201305506
Data del deposito : 31 maggio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03004/2013 REG.RIC.

N. 05506/2013 REG.PROV.COLL.

N. 03004/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3004 del 2013, proposto da L G, rappresentato e difeso dall’avvocato A R M, procuratore antistatario, con la quale è elettivamente domiciliato in Roma, via Acquedotto Paolo n. 22, presso il signor B M;

contro

il Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore , non costituito in giudizio;

per l’esecuzione del giudicato

formatosi sul Decreto n. 57938/07 dalla Corte d’Appello di Roma, Sez. Equa Riparazione, depositato il 27 maggio 2010, notificato al Ministero dell’Economia e delle Finanze in data 12 novembre 2010, e non gravato da ricorso per Cassazione, come da timbro della Corte d’appello di Roma in data 3 luglio 2012.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2013 il dott. Carlo Polidori e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La Corte d’Appello di Roma con il decreto in epigrafe indicato ha condannato il Ministero dell’Economia e delle Finanze a pagare, in favore del ricorrente, la somma di euro 2.500,00, oltre agli interessi legali, a seguito della violazione del termine di ragionevole durata del processo, ai sensi della legge n. 89/2001.

2. A fronte dell’inadempienza dell’Amministrazione, il ricorrente chiede a questo Tribunale: A) di dichiarare la mancata esecuzione del giudicato e, per l’effetto, ordinare al Ministero dell’Economia e delle Finanze di eseguire il pagamento della la somma di euro 2.500,00, oltre agli interessi legali, così come indicato nel suddetto Decreto;
B) di disporre, fin d’ora, per il caso di ulteriore inerzia dell’Amministrazione, la nomina di un Commissario ad acta , con l’incarico di porre in essere, in via sostitutiva, tutti gli adempimenti contabili e finanziari e di qualsiasi altra natura occorrenti a garantire l’esecuzione del giudicato di cui trattasi, oltre il pagamento di quanto dovuto al ricorrente a titolo di rivalutazione monetaria ed interessi legali, dalla maturazione del credito fino a quella di effettivo soddisfo;
C) stante l’ulteriore pregiudizio derivante dal ritardato pagamento, di condannare il Ministero dell’Economia e delle Finanze a pagare l’ulteriore somma, a titolo di risarcimento dei danni da ritardo connessi alla mancata esecuzione del giudicato, quantificata ai sensi dell’art. 114, comma 4, lett. e), cod. proc. amm., in euro 150,00 per ogni mese o frazione di mese di ritardo;
D) di condannare l’Amministrazione al pagamento delle spese di giudizio, da distrarsi in favore del procuratore antistatario;

3. La Difesa Erariale si è costituita in giudizio con atto di mera forma.

4. Il ricorso è stato chiamato e trattenuto per la decisione alla camera di consiglio del 22 maggio 2013.

DIRITTO

1. Il ricorso merita accoglimento, nei limiti di seguito indicati.

2. Innanzi tutto risulta fondata la prima domanda proposta dal ricorrente. Infatti: A) secondo la prevalente giurisprudenza del Consiglio di Stato, formatasi nel vigore degli articoli 27, n. 4, del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, e 37 della legge 6 dicembre 1071, n. 1034 (ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 27 maggio 2010, n. 3383), il decreto di condanna emesso ai sensi dell’art. 3 della c. d. legge Pinto, ha natura decisoria su diritti soggettivi e, essendo idoneo ad assumere valore ed efficacia di giudicato, vale ai fini della ammissibilità del ricorso per l’ottemperanza;
B) nessun dubbio può comunque sorgere oggi, in merito all’esperibilità del giudizio di ottemperanza in una fattispecie come quella in esame, alla luce dell’art. 112, comma 2, lett. c), cod. proc. amm., secondo il quale l’azione di ottemperanza può essere proposta per ottenere l’esecuzione “delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati del giudice ordinario al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato”;
C) tenuto conto di quanto precede - sussistendo nel caso in esame il presupposto dell’inoppugnabilità per decorso dei termini previsti ex lege , come attestato dalla cancelleria della Corte d’Appello, ed essendo altresì decorso il termine di cui all’art. 14, comma 1, del decreto legge 31 dicembre 1996, n. 669, convertito dalla legge 28 febbraio 1997, come modificato dall’art. 147 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e dall’art. 44 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, (Cons. Stato, Sez. IV, 17 maggio 2012, n. 2831) - si deve ordinare al Ministero intimato di provvedere entro trenta giorni al pagamento delle somme indicate nel Decreto in epigrafe indicato.

3. Diverse considerazioni valgono per la richiesta di applicazione congiunta delle misura prevista dalla disposizione dell’art. 114, comma 4, lettera d), cod. proc. amm. (che prevede la “nomina, ove occorra, un commissario ad acta”), e delle misura prevista dalla disposizione dell’art. 114, comma 4, lettera e), cod. proc. amm. (secondo il quale “salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e se non sussistono altre ragioni ostative, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del giudicato;
tale statuizione costituisce titolo esecutivo”).

Quanto alla misura prevista dalla disposizione dell’art. 114, comma 4, lettera e), cod. proc. amm., il Collegio non ritiene di doversi uniformare all’orientamento giurisprudenziale invocato dai ricorrenti (Cons. Stato, Sez. V, 14 maggio 2012, n. 2744;
T.A.R. Lazio, Sez. I, 24 ottobre 2012, n. 8476;
idem, 12 novembre 2012, n. 9265) - secondo il quale tale misura ha un portata applicativa più ampia che nel processo civile e può trovare applicazione anche nel caso di sentenze di condanna al pagamento di somme di denaro, perché la predetta disposizione non ha riprodotto il limite, stabilito della norma di rito civile (art. 614-bis cod. proc. civ.), della riferibilità del meccanismo al solo caso di inadempimento degli obblighi aventi per oggetto un non fare o un fare infungibile - alla luce delle seguenti considerazioni.

Innanzi tutto occorre rammentare che, secondo il giudice d’appello (da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, sentenza 4 settembre 2012, n. 4685), la misura di cui trattasi, comunemente detta penalità di mora o astreinte (in quanto modellata sulla falsariga del corrispondente istituto prevista dall’ordinamento francese) può trovare applicazione se sussistono tutti i tre presupposti stabiliti dall’art. 114 comma 4, lettera e), cod. proc. amm., ossia quello positivo, costituito dalla richiesta di parte, e quelli negativi, costituiti dall’insussistenza di profili di manifesta iniquità e dall’insussistenza di altre ragioni ostative.

In ragione di quanto precede, questa Sezione (T.A.R. Lazio Roma, Sez. II, 5 dicembre 2012, n. 9037) ha recentemente prestato adesione al diverso orientamento giurisprudenziale ( ex multis , T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, 15 aprile 2011, n. 2162;
T.A.R. Lazio Roma, Sez. I, 29 dicembre 2011, n. 10305) secondo il quale non è possibile far ricorso alla astreinte quando l’esecuzione del giudicato consista (come nel caso in esame) nel pagamento di una somma di denaro, facendo leva sui predetti requisiti negativi (costituiti dall’insussistenza di profili di manifesta iniquità e dall’insussistenza di altre ragioni ostative), ossia in ragione della «iniquità della correlata condanna, consistente nel pagamento di una somma di denaro, laddove l’obbligo oggetto di domanda giudiziale di adempimento è esso stesso di natura pecuniaria, ed è già assistito, a termine del vigente ordinamento, per il caso di ritardo nel suo adempimento, dall’obbligo accessorio degli interessi legali, cui la somma dovuta a titolo di astreinte andrebbe ulteriormente ad aggiungersi. Nell’avversata ipotesi, infatti, per un verso, si duplicherebbero ingiustificatamente le misure volte a ridurre l’entità del pregiudizio derivante all’interessato dalla violazione, inosservanza o ritardo nell’esecuzione del giudicato, per altro verso, si determinerebbe un ingiustificato arricchimento del soggetto già creditore, oltre che della prestazione principale, di quella accessoria» (in tal senso, T.A.R. Lazio Roma, Sez. I, n. 10305/2011 cit.).

Quest’ultimo orientamento - a giudizio del Collegio - appare senz’altro preferibile alla luce dei seguenti argomenti, evidenziati dalla più recente giurisprudenza (T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, 3 dicembre 2012, n. 4887), secondo la quale: a) «non sembra utilmente richiamabile un proprium dell’ottemperanza costituito dalla limitata configurabilità di atti non surrogabili nell’esecuzione tramite c.p.a., atteso che dell’istituto della astreinte si discute proprio sino alla nomina del commissario ad acta, la cui attività trasforma l’infungibilità del facere in una surrogazione giudiziale. Nel giudizio di ottemperanza la misura accessoria della astreinte ha quindi la funzione di incentivare l’esecuzione di condanne di facere o non facere infungibile, appunto prima dell’intervento del commissario ad acta , che comporta normalmente maggiori oneri per l’amministrazione, oltre che maggior dispendio di tempo per il privato»;
b) «si impone una considerazione finale a tutela della omogeneità dell’ordinamento e del principio di eguaglianza: qualora il giudizio di ottemperanza sia prescelto dalla parte per l’esecuzione di sentenza di condanna pecuniaria del giudice ordinario (il che frequentemente accade) la tesi favorevole alla ammissibilità della applicazione della astreinte finirebbe per consentire una tutela diversificata dello stesso credito a seconda del giudice dinanzi al quale si agisca. In altri termini, il creditore pecuniario dell’amministrazione pubblica nel giudizio di ottemperanza potrebbe ottenere maggiori e diverse utilità rispetto a quelle conseguibili nel giudizio di esecuzione civile (ove in base alla pressoché unanime interpretazione, l’istituto del 614-bis c.p.c. è applicabile alle sole condanne ad un facere infungibile), e tanto semplicemente in base ad una opzione puramente potestativi. Per contro, alla luce del principio di eguaglianza, il legislatore è chiamato ad effettuare, a parità di situazioni sostanziali, scelte identiche, ed un regime di tutela differenziato in tanto sarebbe legittimo in quanto rispondente ad un principio di ragionevolezza. Nella specie, non sembra legittima né ragionevole una tutela differenziata offerta al cittadino (ed a scelta meramente potestativa di quest’ultimo) all’interno di un sistema che svolge la stessa funzione esecutiva, ancorché dinanzi a giudici diversi».

A tali argomenti si deve poi aggiungere che, nel caso in esame, la domanda di applicazione della misura prevista dalla disposizione dell’art. 114, comma 4, lettera e), cod. proc. amm. è stata proposta unitamente alla domanda di nomina di un Commissario ad acta ai sensi dell’art. 114, comma 4, lettera d), cod. proc. amm. e, quindi, seppure si prestasse adesione all’orientamento secondo il quale la misura della astreinte può trovare applicazione anche nel caso di sentenze di condanna al pagamento di somme di denaro, si dovrebbe affrontare il problema della compatibilità di tale misura con la nomina del Commissario ad acta . Ebbene, a tal riguardo la giurisprudenza (T.A.R. Piemonte Torino, Sez. I, 21 dicembre 2012, n. 1386) ha già avuto modo di evidenziare che la nomina del commissario ad acta , per il caso di persistente inerzia dell’Amministrazione esclude la possibilità di condannare quest’ultima anche al pagamento della astreinte, perché diversamente opinando si corre il rischio di far gravare, ingiustamente, sull’amministrazione le conseguenze sanzionatorie di eventuali ulteriori ritardi imputabili non ad essa, bensì all’ausiliario del giudice.

4. Tenuto conto delle suesposte considerazioni il Collegio ritiene che non sussistano i presupposti per accedere alla richiesta di applicazione alla richiesta di applicazione della misura prevista dell’art. 114, comma 4, lettera e), cod. proc. amm. e che si debba piuttosto nominare sin d’ora un Commissario ad acta - nella persona del Dirigente responsabile dell’Ufficio IX della Direzione Centrale dei Servizi del Tesoro del Dipartimento dell’Amministrazione Generale, del Personale e dei Servizi del Ministero dell’Economia e delle Finanze - affinché provveda, in sostituzione dell’amministrazione, entro il termine di sessanta giorni dalla scadenza del termine di trenta giorni già assegnato al Ministero intimato per provvedere al pagamento delle somme dovute al ricorrente, a dare corso al pagamento medesimo, compiendo tutti gli atti necessari, comprese le eventuali modifiche di bilancio, a carico e spese dell’Amministrazione inadempiente.

5. Le spese di giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza e, giusta quanto stabilito dall’art. 93, comma 1, cod. proc. civ., devono essere distratte in favore del procuratore antistatario, come dallo stesso richiesto nell’atto introduttivo del giudizio.

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