TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2018-03-02, n. 201802343

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2018-03-02, n. 201802343
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201802343
Data del deposito : 2 marzo 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/03/2018

N. 02343/2018 REG.PROV.COLL.

N. 09812/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9812 del 2015, proposto da:
F M, C M, rappresentati e difesi dagli avvocati S B, L P, con domicilio eletto presso lo studio S B in Roma, piazza Attilio Friggeri, 13;

contro

Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura dello Stato, con domicilio in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

R M non costituita in giudizio;

per l'annullamento, previa sospensione,

- del provvedimento prot. 2410 del 30 aprile 2015 che ha reso parere negativo definitivo in merito alla richiesta di collocazione di ascensore nel corpo scala di servizio presso l'immobile sito in Roma, piazza del Colosseo n. 9 (palazzo Cappi).


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 gennaio 2018 la dott.ssa C A e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il presente ricorso è stata impugnata la nota della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici del Comune di Roma del 30 aprile 2015, che ha espresso parere negativo in ordine alla richiesta presentata dai ricorrenti per la realizzazione di un ascensore nel corpo scala di servizio dell’immobile sito in Piazza del Colosseo 9 (Palazzo Cappi), sottoposto a vincolo storico- artistico con decreto del 7 febbraio 2006.

Il parere negativo è basato sulla incompatibilità del progetto presentato con la tutela del vincolo, in relazione alle modifiche della scala (taglio dei gradini, riduzione della larghezza della parte dritta della rampa, rimozione della balaustra e del corrimano) con effetti generali sulla alterazione della configurazione della scala e sulla labilità della struttura;
il parere negativo faceva altresì riferimento, inoltre, alla possibilità della installazione di un servo-scala.

Avverso tale atto sono stati proposti i seguenti motivi di censura:

- violazione degli articoli 10, 21, 22 e 29 del d.lgs. n. 42 del 2004;
eccesso di potere per illogicità, carenza e contraddittorietà della motivazione;
difetto di istruttoria e travisamento dei fatti, ingiustizia manifesta e sviamento;
violazione del d.p.r. 380 del 2001;
incompetenza, carenza e superficialità della motivazione;
violazione e falsa applicazione degli articoli 3, 7 e 10 della legge n. 241 del 1990, in tema di garanzie di partecipazione al procedimento;
degli articoli 2 e 4 della legge n. 13 del 1989;
difetto di motivazione, travisamento dei presupposti di fatto e di diritto
.

Il Ministero dei beni e delle attività culturali e del Turismo si è costituito solo con atto di forma.

A seguito della camera di consiglio del 30 ottobre 2015 è stata respinta la domanda cautelare di sospensione del provvedimento impugnato.

All’udienza pubblica del 30 gennaio 2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Il ricorso è fondato.

La legge n. 13 del 9 gennaio 1989, "Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati", all’art. 1 indica espressamente le opere considerate necessarie per favorire il superamento o eliminare tali barriere (da realizzare obbligatoriamente nella costruzione di nuovi edifici e nella ristrutturazione di interi edifici), tra cui, alla lettera d), “l'installazione, nel caso di immobili con più di tre livelli fuori terra, di un ascensore per ogni scala principale raggiungibile mediante rampe prive di gradini”.

Ai sensi degli articoli 4 e 5 della medesima legge, qualora la realizzazione di tali interventi avvenga su immobili soggetti a vincolo, la competente soprintendenza è tenuta a provvedere entro centoventi giorni dalla presentazione della domanda, anche impartendo, ove necessario, apposite prescrizioni;
la mancata pronuncia nel termine equivale ad assenso;
l'autorizzazione può essere negata solo ove non sia possibile realizzare le opere senza serio pregiudizio del bene tutelato;
il diniego deve essere motivato con la specificazione della natura e della serietà del pregiudizio, della sua rilevanza in rapporto al complesso in cui l'opera si colloca e con riferimento a tutte le alternative eventualmente prospettate dall'interessato.

Sulla base di tale normativa, di particolare favore per la rimozione delle barriere architettoniche, il Consiglio di Stato afferma che, anche nel caso di immobili vincolati, “l'interesse alla protezione della persona svantaggiata può soccombere di fronte alla tutela del patrimonio artistico solo in casi eccezionali”, imponendo quindi all’Amministrazione un onere motivazionale particolarmente intenso circa il serio pregiudizio per il bene storico-artistico derivante dall’intervento di eliminazione delle barriere architettoniche (Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 ottobre 2017, n. 4824). In particolare, “in una valutazione comparativa fra diversi interessi di forte rilevanza sociale, il legislatore ha ritenuto che gli interventi di natura edilizia volti a favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche, negli edifici privati che sono sottoposti a disposizioni di tutela per il loro particolare interesse paesaggistico o storico artistico, possono essere non consentiti, dalle amministrazioni cui spetta l'esercizio delle funzioni di tutela, solo se recano un serio pregiudizio al bene tutelato. Per effetto delle indicate disposizioni può essere, pertanto, anche ammesso un pregiudizio ad un bene che è tutelato, per il suo particolare valore paesaggistico o storico-artistico, tenuto conto del rilievo sociale che assumono (anche) le opere necessarie ad eliminare le barriere architettoniche, purché tale pregiudizio non sia serio e quindi non comprometta in modo rilevante il bene tutelato. Alle amministrazioni che esercitano le funzioni di tutela spetta quindi il delicato compito di valutare la rilevanza del pregiudizio che il bene tutelato potrebbe subire per effetto dell'intervento edilizio progettato al fine di eliminare le barriere architettoniche. Tale attività valutativa si connota peraltro di una sua peculiarità rispetto alle valutazioni che sono da tali amministrazioni normalmente compiute nell'esercizio del loro potere/dovere di tutela, perché, quando l'intervento edilizio è progettato al fine di eliminare le barriere architettoniche, le amministrazioni di tutela possono ritenere possibili anche interventi in grado di arrecare un pregiudizio (purché non sia rilevante) al bene tutelato e consentire, quindi, anche una parziale alterazione di un bene che altrimenti non potrebbe essere alterato” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 7 marzo 2016, n. 905).

Inoltre, sotto il profilo soggettivo, la normativa di favore di cui alla legge n. 13 del 1989 si applica anche quando si tratti di persone anziane le quali, pur non essendo portatrici di disabilità vere e proprie, soffrano comunque di disagi fisici e di difficoltà motorie. La legge in questione infatti, in base ad un'interpretazione costituzionalmente orientata, esprime il principio secondo il quale i problemi delle persone affette da una qualche specie di invalidità devono essere assunti dall'intera collettività, e in tal senso ha imposto in via generale che nella costruzione di edifici privati e nella ristrutturazione di quelli preesistenti, le barriere architettoniche siano eliminate indipendentemente dalla effettiva utilizzazione degli edifici stessi da parte di persone disabili, trattandosi comunque di garantire diritti fondamentali (Consiglio di Stato n. 4824 del 2017).

Anche questa Sezione ha già affermato in casi analoghi che il legislatore, “nel bilanciamento degli interessi in gioco inerenti da una parte alla tutela del patrimonio storico ed artistico nazionale e dall'altra alla salvaguardia dei diritti alla salute ed al normale svolgimento della vita di relazione e socializzazione dei soggetti in minorate condizioni fisiche - espressamente tutelati dagli artt. 3, comma 2, e 32 della Costituzione - ha inteso dare prevalenza ai menzionati diritti della persona relegando il diniego dell'autorizzazione ai soli casi di accertato e motivato serio pregiudizio del bene vincolato. Se da un lato non vige un principio di superabilità e derogabilità assoluta e automatica dei vincoli posti a tutela del patrimonio culturale, da un altro le valutazioni negative devono farsi carico della presenza del serio pregiudizio, da rapportare alle concrete caratteristiche del bene protetto. Ne consegue che l'Amministrazione, per dar luogo a una pronuncia negativa della domandata autorizzazione, deve identificare ed esternare gli elementi che caratterizzano il pregiudizio e la sua serietà, in concreto rapporto alle caratteristiche proprie del bene culturale in cui l'intervento andrebbe a collocarsi” (Tar Lazio, II quater, 25 luglio 2017, n. 8928).

Applicando tali principi giurisprudenziali al caso di specie emerge la illegittimità del provvedimento impugnato, che non ha operato il dovuto contemperamento tra le esigenze di tutela dei richiedenti e la “serietà” del pregiudizio arrecato al bene tutelato.

Tale pregiudizio è, infatti, costituito, in base al provvedimento impugnato, dalla alterazione della scala dell’edificio.

In base all’orientamento giurisprudenziale sopra citato, il pregiudizio al bene tutelato non conduce di per se’ al diniego di autorizzazione, ma deve essere specificamente valutato in relazione alle esigenze di tutela poste a base della richiesta di rimozione delle barriere architettoniche con l’analisi del singolo intervento, “contestualizzata con riferimento al complesso edilizio entro il quale l’opera si colloca” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 21 aprile 2017, n. 1878, in un caso in cui l’ascensore era posizionato in un cortile secondario;
n. 4824 del 2017 e n. 905 del 2016, con riferimento alla collocazione di ascensori in cortili interni non visibili dalla pubblica strada).

Nel caso di specie, il pregiudizio effettivo per il bene tutelato consiste sostanzialmente nel taglio dei gradini (con residua larghezza della scala di 80 centimetri), considerato che nella relazione tecnica, presentata nel corso del procedimento e depositata nel presente giudizio, si fa riferimento al reinserimento della ringhiera e del corrimano esistenti.

Si deve, peraltro, considerare che tale pregiudizio riguarda la scala di servizio dell’edificio, vincolato nel suo complesso, e che, quindi, l’Amministrazione avrebbe dovuto valutare la specifica rilevanza di tale scala di servizio nell’ambito dell’insieme del bene tutelato;
ciò, in particolare, rispetto alla concreta lesione della situazione giuridica dei ricorrenti tutelata dall’ordinamento proprio tramite la normativa di favore per gli interventi di rimozione delle barriere architettoniche, quale espressione dei principi costituzionali di uguaglianza e non discriminazione.

Il provvedimento impugnato contiene, inoltre, il riferimento alla “labilità” della struttura della scala a causa del taglio dei gradini. Si tratta di un riferimento generico che, comunque, se inteso come riguardante un pericolo per la intera struttura della scala, avrebbe potuto e dovuto essere esaminato ai fini delle specifiche prescrizioni, espressamente previste dall’art. 5 della legge n. 13 del 1989, proprio al fine di salvaguardare il bene tutelato, pur consentendo gli interventi di eliminazione delle barriere architettoniche (cfr. Consiglio di Stato n. 905 del 2016).

Quanto poi alla possibilità della soluzione alternativa prospettata nel parere, ovvero la collocazione dell’impianto servo scala, si deve tenere presente che, sul piano normativo, l’impianto di servo scala non è considerato integralmente sostitutivo delle funzionalità dell’ascensore, tenuto conto che la ricorrente Marini risulta dagli atti di causa residente al quarto piano del palazzo. Infatti, nella stessa disciplina dell’art. 1 della legge n. 13 del 1989 si fa riferimento all’ascensore in caso di immobili con più di tre livelli fuori terra;
inoltre, ai sensi delle norme tecniche di cui all’art.

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