TAR Venezia, sez. I, sentenza 2013-02-20, n. 201300260
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N. 00260/2013 REG.PROV.COLL.
N. 03016/1999 REG.RIC.
N. 00731/2001 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3016 del 1999, proposto da:
Idromacchine Srl, rappresentato e difeso dagli avv. R B, G F, con domicilio presso la segreteria del Tar Veneto;
contro
Provveditorato al Porto di Venezia - (Ve), rappresentato e difeso dall'avv. F Z, con domicilio eletto presso F Z in Venezia-Mestre, Via Cavallotti, 22;
nei confronti di
I.C.C.O. Srl;
sul ricorso numero di registro generale 731 del 2001, proposto da:
Idromacchine Srl, rappresentato e difeso dall'avv. R B, con domicilio presso la Segreteria del Tar Veneto;
contro
Autorita' Portuale di Venezia - (Ve), rappresentato e difeso dall'avv. Annamaria Tassetto, con domicilio eletto presso Annamaria Tassetto in Venezia-Mestre, Via Cavallotti, 22;
per l'annullamento
quanto al ricorso n. 3016 del 1999:
demanio: annullamento della decisione dell’Autorità portuale di Venezia, comunicata all’interessata in data 6 settembre 1999, con la quale, considerata libera l’area demaniale sita in Porto Marghera, Via dell’Azoto, veniva attivata, su richiesta della controinteressata, la procedura per l’assegnazione della citata area.
quanto al ricorso n. 731 del 2001:
demanio: annullamento ordinanza del Presidente dell’Autorità portuale di Venezia n. 954 del 23 gennaio 2001 che ha ingiunto alla ricorrente lo sgombro dell’area demaniale sita in Porto Marghera, Via dell’Azoto, nonché dell’ordinanza del Presidente dell’Autorità portuale di Venezia n. 4132 del 21 marzo 2001, con la quale è stato ordinato lo sgombero della predetta area entro 15 giorni.
Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Provveditorato al Porto di Venezia - (Ve) e di Autorita' Portuale di Venezia - (Ve);
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 dicembre 2012 il dott. R V e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Ritiene il Collegio opportuno provvedere, come richiesto, alla riunione dei ricorsi in epigrafe indicati attesa la identità oggettiva e soggettiva degli stessi.
La questione concerne l’area demaniale che insiste, per circa mq 3.163, in Porto Marghera (VE).
Consta dagli atti e la circostanza non è oggetto di contestazione che la ricorrente deteneva tale area sin dal 1970, avendo acquistato dalla società CITEC un capannone industriale ubicato proprio nell’area demaniale in questione e corrisposto all’Autorità portuale i canoni arretrati dovuti dalla società CITEC per l’occupazione della detta area. Conseguentemente aveva ottenuto, dalla competente autorità, il subentro nella originaria concessione per l’utilizzo della indicata area a decorrere dal 1° luglio 1971, successivamente rinnovata sino al 30 settembre 1978.
Per completezza espositiva deve rappresentarsi che asserite esigenze industriali avevano indotto la società ricorrente ad edificare, nel 1974, nella medesima, un ulteriore capannone senza la prescritta autorizzazione della proprietà ed in difetto della prevista licenza edilizia.
Successivamente alla scadenza della indicata concessione la ricorrente avanzava istanza sia per il rinnovo del predetto titolo, che per l’autorizzazione in sanatoria dell’edificato ed abusivo capannone industriale, mantenendo, nel frattempo, la detenzione del bene.
L’autorità portuale di Venezia, nel giugno 1979, in riscontro alla riferita richiesta, richiedeva, alla parte ricorrente, il versamento di una cauzione e di un canone provvisorio.
Canone che veniva corrisposto, anno per anno, secondo la quantificazione operata dalla stessa Autorità portuale di Venezia.
Nel 1986 la ricorrente presentava istanza di condono edilizio, a cui veniva allegato il nulla osta della autorità portuale di Venezia in qualità di proprietario dell’area ove era stata realizzata la costruzione.
Nel 1989 il Provveditorato al porto di Venezia concedeva il provvedimento di sanatoria delle opera già realizzate con contestuale previsione ed imposizione di un indennizzo, nonchè l’esito favorevole dell’istruttoria volta al formale rilascio della concessione per l’utilizzo dell’area in questione.
Nel 1995 il comune di Venezia rilasciava la richiesta licenza edilizia in sanatoria dell’abuso posto in essere dalla ricorrente.
Seguiva una corrispondenza tra le parti perchè l’autorità portuale aveva richiesto, alla attuale ricorrente, i documenti necessari alla regolarizzazione dell’occupazione dell’area.
Tale procedura non veniva definita con alcun provvedimento formale, tuttavia la ricorrente continuava nella detenzione del bene.
In data 6 settembre 1999, l’Autorità portuale di Venezia comunicava alla ricorrente che era stata avanzata istanza di concessione, per l’occupazione dell’area illegittimamente detenuta dalla ricorrente, da parte della società I.C.C.O..
Avverso tale comunicazione la ricorrente si opponeva e contestualmente richiedeva, essa stessa, l’assegnazione dell’area.
Contestualmente la parte ricorrente, in data 15 novembre 1999, proponeva ricorso avverso la indicata nota sostenendo nel ricorso, la sussistenza di una sua legittima aspettativa alla stipulazione della concessione, attesa la incontestabile situazione di fatto che si protraeva sin dal 1979, con correlativo pagamento, annuo, della indennità di occupazione.
La vicenda procedurale per la concessione dell’area veniva, dall’amministrazione, sospesa perché, a detta della stessa parte resistente, con l’approvazione del piano operativo triennale (200/2002) :”… insorgeva la necessità di disporre dell’area di controparte per le ditte già titolari di concessioni, per ivi trasferirle in via provvisoria così da permettere l’esecuzione dei lavori stessi ( allargamento ferroviario) ( pag. 5 e 10 della memoria datata 7 novembre 2012).
Solo in data 23 gennaio 2001 ( ricevuta il 26 gennaio 2001) l’Autorità portuale di Venezia ingiungeva alla ricorrente l’immediato accesso all’area in questione, nonchè, entro trenta giorni, lo sgombero completo di tutti gli impianti e manufatti ivi esistenti di proprietà della ricorrente.
In data 21 marzo 2001 la medesima autorità portuale, ribadita la natura abusiva della occupazione dell’area da parte della ricorrente, richiedeva, nei confronti della predetta, l’intervento della Capitaneria di porto competente per tutti gli interventi di polizia giudiziaria necessari, riducendo a quindici giorni, il termine per lo sgombero.
Contro i due ultimi provvedimenti la ricorrente provvedeva con separato ricorso e con richiesta di misura cautelare.
In particolare la ricorrente affidava il ricorso a tre nuovi motivi di gravame, oltre a ribadire quello già sollevato con il precedente ricorso ed avanzava richiesta di risarcimento del danno quantificata in euro 5.164.568,99.
A ridosso della camera di consiglio fissata per il giorno 11 aprile 2001, la ricorrente notificava un nuovo ricorso per motivi aggiunti avverso la citata ordinanza n.4132 del 21 marzo 2001, con la quale, come detto, la predetta autorità intimava lo sgombero dell’area da persone e cose entro quindici giorni, pena l’esecuzione in danno.
Con ordinanza n. 302/2001 il Collegio respingeva la richiesta misura cautelare.
E’ di pacifica evenienza e l’assunto non merita particolare approfondimento che la questione riguarda quella che viene definita una concessione contratto.
Ossia l’evenienza negoziale, individuata nei termini della procedura ad evidenza pubblica, accede al provvedimento autoritativo della p.a. per il godimento del bene demaniale.
Ciò esclude che tale strumento giuridico possa dar luogo ad un contratto sinallagmatico a prestazioni corrispettive perché i soggetti della vicenda svolgono la loro azione su piani diversificati ed indipendenti che non possono omogeneizzarsi, anzi l’obbligazione del privato è condizionata dalla sussistenza del provvedimento ( Cons. St., sez. VI, 20 febbraio 2007, n.912).
Individuato così l’istituto è necessario scrutinare le eccezioni di inammissibilità dei ricorsi avanzate dalla parte resistente perché, asseritamente, la ricorrente, anziché censurare il provvedimento di sgombero, doveva avanzare istanza di rinnovo della concessione e censurare l’eventuale diniego, ovvero il silenzio della p.a., inoltre il ricorrente non ha impugnato il piano operativo triennale (2000-2002).
Tali rilievi sono infondati.
Emerge dagli atti che il ricorrente ha formulato istanza di rinnovo della concessione, a seguito della quale è stata attivata una adeguata attività istruttoria che non si è conclusa con l’adozione di un provvedimento formale, tanto che, nelle more, il ricorrente ha continuato nella detenzione del bene demaniale, così che nessun rilievo poteva essere avanzato nei confronti di atti endoprocedimentali che non potevano punto pregiudicare la sua situazione soggettiva.
Quanto alla mancata censura del piano operativo triennale, osserva il Collegio che questo è inconferente rispetto ai provvedimenti censurati, i quali sono stati assunti prima dell’adozione del citato piano e riguardano, oltretutto, una diversa area di impegno rispetto a quella individuata dal piano operativo triennale.
Passando all’esame del merito della presente vicenda, rileva preliminarmente il Collegio che è pacifico e incontrovertibile che il titolare di una concessione, anche al tempo dei fatti oggetto del presente giudizio, non aveva titolo per vantare una posizione poziore rispetto ad eventuali altri aspiranti :”… secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, da cui non v'è motivo di discostarsi (v., per tutte, Cons. St., sez. VI, 25 settembre 2009, n. 5765;Cons. St., sez. VI, 25 gennaio 2005, n. 168), il c.d. diritto di insistenza conferito dall'art. 37 cod. nav. in favore del titolare della concessione demaniale marittima in scadenza, in occasione del suo rinnovo, non può considerarsi tale da determinare sempre e comunque la prevalenza dell'insistente rispetto agli altri eventuali concorrenti, che abbiano prodotto regolare istanza di concessione in relazione agli stessi spazi demaniali, non potendo tale previsione normativa, secondo un'interpretazione conforme ai principi di concorrenzialità di derivazione comunitaria, essere intesa come un meccanismo capace di elidere ogni confronto concorrenziale tra più istanze in competizione (orientamento, sostanzialmente recepito sul piano legislativo dall'1, comma 18, d.l. 30 dicembre 2009, n. 194, convertito in l. 26 febbraio 2010, n. 25, che, modificando l'art. 37 cod. nav., ha eliminato ogni diritto di preferenza, in sede di rinnovo, in favore del precedente concessionario) (Consiglio di Stato sez. VI, 26 maggio 2011 n. 3160).
Così come infondate, trattandosi dell’assegnazione di una concessione, e non di una attività contrattuale, sono le asserite aspettative maturate dal ricorrente e connesse al comportamento tenuto dalla p.a. “ nel corso delle trattative”. E’ appena il caso di ricordare come l’utilizzazione di un bene demaniale avviene attraverso la procedura di evidenza pubblica, per cui prima dell’avvenuta assegnazione non può individuarsi alcuna culpa in contraendo della p.a.( Cons.St., sez. IV, n.5633/2008).
Né la questione riguarda la revoca del titolo, atteso che, pacificamente, il ricorrente non era titolare di alcun provvedimento concessorio in merito all’area in questione, anzi lo stesso era occupante abusivo della stessa per cui provvedeva attraverso annuali indennità.
Nondimeno ritiene il Collegio che il primo ed assorbente motivo di ricorso deve essere accolto.
E’ opinione tramandata che i provvedimenti amministrativi si contraddistinguano per la loro tipicità e nominatività.
L’amministrazione ha utilizzato il provvedimento di rilascio del bene per finalità ulteriori e diverse da quelle proprie dell’atto utilizzato.
La p.a. aveva, come testualmente rappresentato in atti, una impellente esigenza : sistemare altre società già trasferita da aree demaniali oggetto di intervento per la realizzazione di infrastrutture portuali ( pag. 5 e 10 della memoria datata 7 novembre 2012).
Tali dichiarate finalità del provvedimento in argomento consentono di evidenziare un chiaro fattore sintomatico dell’eccesso di potere, così come censurato dal ricorrente nel primo motivo del ricorso n. 731/2001.
Infatti il provvedimento di rilascio del bene demaniale è finalizzato esclusivamente a riacquisire il possesso del bene illegittimamente utilizzato da terzi.
Se tale evenienza è invece funzionale ad altre e diverse esigenze, la p.a. deve utilizzare i conseguenti strumenti, propri ed adeguati al fine da realizzarsi.
Né di contro può rilevarsi una necessaria parcellizzazione dei fenomeni procedimentali adottati, così che la richiesta di rilascio del bene risulterebbe autonoma rispetto al futuro impiego dell’area così recuperata.
E’ la stessa parte resistente che in più occasioni rappresenta tale inscindibile collegamento procedurale, sicchè esso assume una valenza unitaria in cui le finalità dello stesso non possono essere lette in modo disgiunto ed atomistico.
Non si tratta di un processo alle intenzioni, ma, di contro, intenzioni manifeste e concrete che hanno, in via esclusiva, determinato la p.a. al provvedimento di rilascio del bene demaniale, dopo che per diversi anni, questa, aveva tollerato tale abusiva occupazione.
E’ vero che la utilizzazione del bene pubblico l’autorità competente mantiene ampia discrezionalità, non sindacabile da questo giudice, ma tale esercizio deve svolgersi nel quadro normativo predefinito.
La natura pubblica del bene in questione ne impone, conseguentemente, un uso esclusivamente pubblico, teleologicamente orientato alla soddisfazione dell’interesse ritenuto prevalente secondo un’esatta ed attenta valutazione comparativa delle opposte esigenze.
Le finalità imprenditoriali perseguite con la concessione impongono, sempre, l’adozione della procedura ad evidenza pubblica ( Tar Lazio- Latina, 2 febbraio 2012, n.66).
Nel caso in questione, come già detto, la p.a. ha ritenuto necessario utilizzare l’area in questione onde sistemare alcune aziende, già concessionarie di altre aree pubbliche oggetto di interventi strutturali.
Tale evenienza, però, riguarda esclusivamente situazioni singolari che nulla hanno a che fare con il provvedimento di rilascio del bene, che, invece è informato a distinte e diverse finalità.
Gli assunti provvedimenti di revoca delle concessioni in essere a favore di altre società, non comportano, conseguentemente, l’obbligo per la p.a di reperire ulteriori aree ove ubicare le aziende non più concessionarie, o quanto meno la stessa non può utilizzare, per tale fine, uno strumento istituzionalmente rivolto ad altri fini.
L’istituto della revoca ha proprie dinamiche e propri presupposti, l’osservanza dei quali non genera alcuna ulteriore e successiva incombenza circa la eventuale collocazione degli impianti e delle strutture delle imprese cui è stata revocata l’originaria concessione.
Conseguentemente tale esigenza doveva essere, quanto meno, oggetto di una valutazione comparativa tra i diversi soggetti che aspiravano alla concessione dell’area ( tra cui certamente anche gli eventuali concessionari revocati) e non già comportare la sospensione - in realtà annullamento - della procedura di confronto concorrenziale di cui all’art. 37 del codice della navigazione.
Pertanto gli atti impugnati con ricorso 731/2001 e meglio in epigrafe indicati devono essere annullati.
Mentre il ricorso n. 3016/1999, deve essere dichiarato inammissibile, non avendo il provvedimento censurato prodotto alcun nocumento della posizione soggettiva del ricorrente.
Quanto al richiesto risarcimento del danno richiesto dalla parte ricorrente e dalla stessa quantificato in euro 5.164.568,99, osserva il Collegio che tale richiesta non risulta punto dimostrata, limitandosi, la parte ricorrente, a formulare meri ragionamenti deduttivi circa i costi sostenuti per il trasloco, non dimostrando né la significativa probabilità di ottenere la concessione, atteso che la situazione soggettiva vantata rappresenta una mera aspettativa di fatto, né gli effettivi costi dalla stessa sostenuti sono stati puntualmente documentati, né infine sono state dimostrate le eventuali perdite economiche sopportate a cagione del trasferimento.
Quindi la genericità e la mancata prova del nocumento subito comportano la reizione della richiesta di risarcimento del danno.
Considerata la parziale soccombenza si compensano le spese di lite.