TAR Roma, sez. II, sentenza 2011-05-04, n. 201103836

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. II, sentenza 2011-05-04, n. 201103836
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201103836
Data del deposito : 4 maggio 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 07744/2005 REG.RIC.

N. 03836/2011 REG.PROV.COLL.

N. 07744/2005 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7744 del 2005, proposto da:
R A, rappresentato e difeso dall'avv. A F T, con domicilio eletto presso A F T in Roma, viale delle Medaglie D'Oro, 266;

contro

Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Comando Generale Guardia di Finanza;

per l'annullamento

della determinazione del 19/05/05 che ha disposto la perdita del grado per rimozione e la messa a disposizione del distretto militare competente come semplice soldato


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Economia e delle Finanze;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 aprile 2011 il dott. Luigi Tosti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso depositato il 23 agosto 2005 il Sig. Alvaro Ricci, brigadiere della guardia di finanza,

chiedeva l’annullamento della determinazione 19 maggio 2005, a lui notificata il 6 giugno 2005, con la quale, all’esito di procedimento disciplinare, gli era inflitta la sanzione della perdita del grado per rimozione dall’impiego.

Dopo avere riassunto i punti salienti della vicenda che lo aveva coinvolto in un procedimento penale (definito con sentenza irrevocabile di non luogo a procedere per maturata prescrizione del reato) e che aveva costituito poi la ragione dell’inchiesta disciplinare conclusa con la misura espulsiva il ricorrente deduce i seguenti motivi di diritto:

Illegittimità per violazione dell’art. 120 primo comma del D.P.R. 1957 n. 3, per essersi il procedimento estinto con il decorso di oltre novanta giorni tra la data di chiusura dell’attività demandata alla Commissione di disciplina e quella di notifica al destinatario della sanzione della perdita del grado.

Illegittimità per violazione dell’articolo 97 del D.P.R. 1957 n. 3 ed eccesso di potere per errore sul presupposto, in quanto la potestà disciplinare si era estinta con la conoscenza, da parte dell’Amministrazione della prima sentenza pronunciata nei riguardi del ricorrente per lo stesso fatto storico. Detta sentenza aveva assolto l’imputato con formula piena (perchè il fatto non sussiste). Il procedimento disciplinare doveva quindi essere ritualmente avviato nel termine di 180 giorni dalla notizia della sentenza assolutoria, essendo invece ininfluente il successivo giudicato di estinzione per prescrizione relativo alla medesima vicenda.

Eccesso di potere per travisamento dei fatti, carenza di istruttoria, carenza di autonoma valutazione dei fatti posti a fondamento della sanzione, carenza di motivazione in merito agli elementi a discarico del ricorrente;
violazione dell’art. 97 Cost. e dell’art. 3 comma 3 della legge n. 241/1990.

Eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità manifesta, carenza di motivazione in merito alle concrete modalità di svolgimento da parte del ricorrente del fatto addebitato.

Eccesso di potere per travisamento dei fatti, erroneità e/o carenza dei presupposti, illogicità, carenza di motivazione, violazione del principio di proporzionalità e di gradualità della sanzione, irragionevolezza.

Con atto di motivi aggiunti il ricorrente deduceva inoltre:

violazione dell’art. 21 bis della legge n. 241 del 1990, nel testo introdotto dalla legge 11 febbraio 2005 n. 15, in quanto il provvedimento di perdita del grado per rimozione contiene una illegittima clausola di immediata efficacia;

illegittimità per violazione dello stesso art. 21 bis , eccesso di potere per difetto di motivazione sull’apposizione della clausola di immediata efficacia.

violazione del citato art. 21 bis in quanto il provvedimento con il quale l’Amministrazione ha determinato la perdita del grado è intervenuto successivamente all’estinzione del procedimento disciplinare di stato, verificatosi ex lege per il decorso di un lasso temporale superiore a 90 giorni dal compimento dell’ultimo atto (verdetto di non meritevolezza a conservare il grado).

Alla Camera di Consiglio del 29 settembre 2005 questa Sezione respingeva la domanda di sospensiva. Ma l’istanza cautelare era accolta dal giudice amministrativo di appello con ordinanza n. 5857 del 2005.

L’Amministrazione resistente, nella memoria difensiva, ha chiesto il rigetto del ricorso perché infondato.

DIRITTO

Il ricorso si appalesa fondato, in relazione al motivo di estinzione del procedimento disciplinare per decorso del termine di 90 giorni prescritto dall’articolo 120 del T.U. approvato con D.P.R. 1957 n. 3 dedotto nell’atto introduttivo del giudizio e di violazione dell’articolo 21 bis della legge 1990 n. 241, nel testo introdotto dalla legge 2005 n. 15, vigente alla data di definizione del procedimento disciplinare a carico del ricorrente, dedotto con l’atto di motivi aggiunti.

In punto di fatto è incontestato che l’ultimo atto rilevante della procedura è costituito dalla delibera della Commissione di disciplina in data 21 febbraio 2005;
che il decreto di destituzione (perdita del grado per rimozione) fu sottoscritto e datato il 19 maggio 2005 ma venne notificato al destinatario soltanto il successivo 6 giugno, e quindi oltre il termine di estinzione, se (come esattamente chiede il ricorrente) computato dalla data della pronuncia dell’organo collegiale.

Il Collegio, pur consapevole della prevalenza di orientamenti contrari alla tesi dell’istante, ritiene fondate le censure dallo stesso dedotte per le seguenti considerazioni:

i termini perentori imposti dalla legge per il compimento dell’attività disciplinare (ed in primo luogo quello di chiusura dei 90 giorni previsto in via generale dall’articolo 120 del testo unico del 1957) sono dettati a tutela del dipendente incolpato, che non può essere esposto per tempi troppo lunghi alla potestà sanzionatoria con incertezza sul proprio stato di impiego. Non si vede perché la tutela accordata dall’articolo 120 non debba comprendere anche la conoscenza dell’atto terminale del procedimento, tanto più quando si tratti di misura espulsiva che inibisce l’ulteriore prosecuzione del rapporto.

È vero che la notifica del provvedimento finale è atto successivo alla chiusura dell’inchiesta disciplinare ma nel caso si tratta di tipico atto recettizio, la cui operatività è rimessa alla collaborazione del destinatario il quale, dalla data di conoscenza della misura sanzionatoria, dovrà alla stessa attenersi, astenendosi dall’ulteriore prestazione lavorativa, nel caso di destituzione.

Né al riguardo sembra utile invocare il dato fattuale prevalente, relativo all’ordinaria posizione di sospensione cautelare dall’impiego in dipendenza del procedimento disciplinare ed anche anteriormente, in pendenza del procedimento penale ormai definito, trattandosi di circostanza irrilevante in punto di diritto.

Viene quindi in rilievo, quale ulteriore elemento di interpretazione dell’articolo 120 nella questione in esame, l’art, 21 bis della legge sul procedimento amministrativo, nel testo vigente alla data di pronuncia della commissione di disciplina e quindi delle successive fasi dell’iter sanzionatorio a carico del ricorrente, per il quale “ il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso effettuata”.

La norma, dettata in favore degli amministrati, ha l’evidente fine di tutelare i destinatari di provvedimenti con effetti negativi e rende essenziale la comunicazione, quale momento di inizio degli effetti dell’atto lesivo.

In tal modo, nel procedimento segnato dagli atti contemplati dalla suddetta norma, si verifica una significativa dequotazione del momento perfezionativo del provvedimento destinato ad incidere sulla sfera giuridica del soggetto privato (Consiglio di Stato, Sez. IV, Sent. n. 73 del 2008).

Deve quindi concludersi nel senso che l’effetto estintivo previsto dall’articolo 120, per il decorso di oltre novanta giorni tra uno ed altro atto della procedura disciplinare, si produce non solo con la mancata adozione nei termini della sanzione, ma anche con la notifica tardiva al dipendente, trattandosi di atto a carattere recettizio e ritenuto quindi che il decorso del tempo di attesa assegnato al soggetto passivo è idoneo a radicare nello stesso la ragionevole convinzione che l’attività sanzionatoria si sia conclusa senza conseguenze lesive, così ponendo fine allo stato di incertezza e di ansia legato alla sottoposizione all’attività repressiva dell’Amministrazione.

Il ricorso deve essere quindi accolto, restando assorbito dalla ritenuta tardività dell’atto finale del procedimento l’esame di ogni altra censura dedotta.

Sussistono tuttavia giusti motivi per compensare le spese di giudizio tra le parti.




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