TAR Roma, sez. 3T, sentenza 2011-05-19, n. 201104378
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N. 04378/2011 REG.PROV.COLL.
N. 00364/1999 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 364 del 1999, proposto da:
Società Art Film Srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti R C e S G, con domicilio eletto presso S G in Roma, via di Monte Fiore,22;
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento dello Spettacolo, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
DINIEGO RICONOSCIMENTO QUALIFICA ''INTERESSE CULTURALE NAZIONALE'' DEL FILM ''IL CASO DI PADRE PIO''
della nota prot. n. 4906/CF12226, del 23 ottobre 1998, con la quale il Dirigente del Dipartimento dello Spettacolo presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha comunicato alla Art Film s.r.l che la domanda da quest’ultima presentata il 29.5.1998, volta ad ottenere che il film intitolato "Il caso di Padre Pio" fosse riconosciuto di “interesse culturale nazionale” ai sensi della legge n. della legge 153/94 e del d.p.c.m. 24.3.1994, come modificato dal d.p.c.m. 24.3.1997, era stata respinta con determinazione dirigenziale del 22.10.1998, su conforme parere della Commissione Consultiva Cinema, nonché ogni ulteriore atto ancorché non conosciuto, ivi compresi detta determinazione dirigenziale ed il parere espresso dalla Commissione Consultiva Cinema presso il Dipartimento dello Spettacolo nella seduta del 13 luglio 1998;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento dello Spettacolo;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 maggio 2011 il I ref. R P e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in epigrafe la società Art Film s.r.l. ha impugnato, chiedendone l’annullamento, la nota con la quale l’Amministrazione intimata ha comunicato all’interessata che, con determinazione dirigenziale del 22.10.1998, su conforme parere della Commissione Consultiva Cinema presso il Dipartimento dello Spettacolo - atti del pari gravati - era stata respinta la domanda dalla stessa presentata, in data 29.5.1998, volta ad ottenere che il film intitolato "Il caso di Padre Pio" fosse riconosciuto di “interesse culturale nazionale” ai sensi della legge n. della legge 153/94 e del d.p.c.m. 24.3.1994, come modificato dal d.p.c.m. 24.3.1997.
La Commissione Consultiva Cinema presso il Dipartimento dello Spettacolo, riunitasi il 13 luglio 1998, esprimeva parere negativo con il seguente giudizio: “Curioso tentativo di agiografia che punta sull’onirico e sul sensazionalistico. Purtroppo lo sforzo di rendere spettacolare il caso di Padre Pio va a scapito del mistero della sua santità. Da qui la mancanza di vera originalità e di interesse culturale e nazionale”.
((… il precedente sistema del riconoscimento della nazionalità di cui all’art. 4 della l. 1213/65 è stato interamente sostituito dall’art. 2 della legge 153/94 che ha previsto in modo analitico le nuove “quote” da rispettare ai fini dell’ammissione del film ai benefici previsti dalla legge. Pertanto, per quanto concerne le lettere d) ed e) del comma 2 dell’art. 2 della l. 153/94 (interpreti principali in maggioranza italiani ed interpreti secondari per tre quarti italiani), è venuta sicuramente meno la possibilità prevista dalla precedente legge di consentire l’impiego di interpreti stranieri in aumento delle quote per questi previste in caso di residenza in Italia da oltre tre anni e nei casi c.d. di genotipia. Peraltro, proprio allo scopo di temperare la rigidità della nuova normativa, l’art. 10 della l. 203/95 ha ulteriormente modificato i requisiti di cui al citato art. 2 della le. 153/94, riducendo da tre a due le componenti di cui alle lettere d), e) ed f) dell’art. 2, comma 2, della citata l. 153/94. A fronte di quanto sopra esposto non è possibile procedere al rilascio del richiesto riconoscimento di nazionalità del film”.))
L’Amministrazione intimata si è costituita nel presente giudizio, per chiedere il rigetto del ricorso siccome infondato nel merito.
Con ordinanza collegiale n. 76/1999 del 21 gennaio 1999, la Sezione ha respinto la domanda incidentale di sospensione dell’atto impugnato.
La ricorrente società, con un unico, articolato motivo deduce:
- violazione e falsa applicazione dell’art. 2, commi 4 e 5, della legge 1° marzo 1994, n. 153;dei principi di cui al d.p.c.m. 24 marzo 1994, così come modificato dal d.p.c.m. 24.3.1997;dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990;eccesso di potere per difetto di motivazione e difetto di istruttoria, illogicità e contraddittorietà;eccesso di potere per sviamento.
La ricorrente lamenta, in primo luogo, il difetto di motivazione e di istruttoria del provvedimento di diniego gravato il quale, a fronte della molteplicità e della eterogeneità dei requisiti richiesti dalla legge per il riconoscimento della qualità di “film lungometraggio di interesse culturale nazionale”, negherebbe il richiesto riconoscimento al film “Il caso di Padre Pio” senza dare conto dei requisiti in concreto mancanti e senza evidenziare le speciali ragioni per cui l’opera non poteva essere riconosciuta di interesse culturale nazionale;in secondo luogo, l’interessata deduce che il film possedeva tutti i requisiti, sia di ordine tecnico che di qualità, di cui all’art. 2, comma 5, del d.l. 14 gennaio 1994, n. 26, conv. nella legge 1° marzo 1994, n. 153, e pertanto la scelta effettuata dalla Commissione Consultiva per il Cinema, le cui conclusioni negative venivano poste a base del diniego in questione, sarebbe arbitraria e illogica in quanto contrastante con la stessa realtà documentale in suo possesso;risulterebbe inoltre incomprensibile il fatto che la Commissione abbia potuto ritenere privo di “qualità culturale” un film avente ad oggetto un tema “sentito come pochi altri nella coscienza popolare civile e religiosa del nostro Paese”;la ricorrente contesta l’erroneità e l’infondatezza del giudizio espresso dalla Commissione, che avrebbe artificiosamente messo in relazione la presunta spettacolarità del film con il mistero della santità di Padre Pio e ritenuto la mancanza di vera originalità dell’opera.
Le censure non hanno pregio.
Si osserva preliminarmente che il precitato art. 2 del d.l. n. 26/1994 - che sostituiva il precedente sistema del riconoscimento della nazionalità italiana delle opere cinematografiche di cui all’art. 4 della legge n. 1213/65, prevedendo in modo analitico le nuove “quote” delle componenti artistiche e tecniche dell’opera da rispettare ai fini in parola – al comma 5 stabilisce:
“ Per film lungometraggio di interesse culturale nazionale si intende il film di durata superiore a 75 minuti, postsincronizzato in lingua italiana, realizzato da imprese produttrici nazionali, che abbia il regista e lo sceneggiatore italiano, l'autore del soggetto italiano o in maggioranza italiani, la maggioranza degli interpreti principali, i tre quarti degli interpreti secondari, che utilizzino la lingua italiana sia per la ripresa sonora diretta sia per l'eventuale postsincronizzazione, la troupe italiana, che presenti quattro delle componenti di cui alle lettere g), h), i), l) e m) e le tre componenti di cui alle lettere o), p) e q) del comma 2 e che corrisponda ad un interesse culturale nazionale in quanto oltre ad adeguati requisiti di idoneità tecnica, presenti significative qualità artistiche e culturali o spettacolari senza pregiudizio della libertà di espressione”.
Le componenti di cui al comma secondo dell’art. 4, richiamate dal riportato comma 5, sono le seguenti: g) direttore della fotografia italiano;h) montatore italiano;i) autore della musica italiano;l) scenografo italiano;m) costumista italiano;nonché o) riprese in esterni ed interni effettuate in maggioranza in Italia;p) uso di industrie tecniche italiane;q) uso di teatri di posa italiani.
Dalle disposizioni normative in rassegna risulta dunque evidente che un’opera cinematografica, per essere riconosciuta “film lungometraggio di interesse culturale nazionale”, deve corrispondere ad un interesse culturale nazionale in quanto presenti, oltre ad adeguati requisiti di idoneità tecnica, significative qualità artistiche e culturali o spettacolari senza pregiudizio della libertà di espressione.
Venendo al gravato diniego di riconoscimento, giova considerare che nella motivazione viene fatto proprio il parere negativo reso dalla Commissione Consultiva per il Cinema nella seduta del 13 luglio 1998: in quest’ultima sede, il giudizio negativo sul film in questione era stato motivato con “la mancanza di vera originalità e di interesse culturale e nazionale” dell’opera, e pertanto la valutazione espressa dalla Commissione era da porre in diretta ed esclusiva relazione con la carenza di significative qualità artistiche e culturali dell’opera, quali richieste dall’art. 2, comma 5 in esame;non erano invece posti in discussione i requisiti di idoneità tecnica, pure prescritti dalla richiamata disposizione.
Tanto premesso, risulta evidente l’insussistenza del lamentato difetto di motivazione e di istruttoria degli atti impugnati.
E invero la Commissione, nel motivare il proprio giudizio complessivamente negativo sull’opera filmica, correttamente menzionava le sole “qualità” ritenute insufficienti ad attribuire all’opera il carattere di “interesse culturale nazionale”, non essendo, viceversa, certamente tenuta ad indicare anche tutti gli altri requisiti prescritti dalla normativa di riferimento per il riconoscimento in parola, e ritenuti soddisfatti dall’opera in contestazione.
Quanto alle rimanenti censure, con le quali dialetticamente si contesta il merito intrinseco delle valutazioni compiute dalla Commissione in ordine alla mancanza di originalità e di interesse culturale e nazionale dell’opera filmica, il Collegio non può che rilevarne l’inammissibilità, perché con esse in questa sede vorrebbe darsi ingresso ad un controllo sul giudizio compiuto dalla Commissione, avente natura eminentemente tecnico-discrezionale, che è invece sottratto al giudice della legittimità, salvo il caso, nella specie indimostrato, della macroscopica illogicità o irrazionalità del provvedimento.
Per le ragioni suesposte il ricorso è infondato nel suo complesso e deve pertanto essere respinto.
Sussistono peraltro giusti motivi per compensare tra le parti le spese del presente giudizio.