TAR Parma, sez. I, sentenza 2015-09-17, n. 201500217

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Parma, sez. I, sentenza 2015-09-17, n. 201500217
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Parma
Numero : 201500217
Data del deposito : 17 settembre 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00354/2014 REG.RIC.

N. 00217/2015 REG.PROV.COLL.

N. 00354/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna

sezione staccata di Parma (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 354 del 2014, proposto da:
-OMISSIS- rappresentato e difeso dall'Avv. R M, con domicilio eletto presso la Segreteria del Tar in Parma, piazzale Santafiora n. 7;

contro

Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato presso la quale è ex lege domiciliato, in Bologna, via Guido Reni n. 4;

per l'annullamento

del provvedimento di sospensione disciplinare - provv. prot. n. -OMISSIS- -OMISSIS-;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Difesa erariale;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 52 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, commi 1 e 2;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 giugno 2015 il dott. Marco Poppi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con nota del 24 ottobre 2013, il Comando Provinciale della Guardia di Finanza (GdF) di Parma informava il paritetico Comando di Reggio Emilia che nel corso di indagini di polizia giudiziaria (concluse con l’arresto di n. 5 persone per gravi reati) era emersa l’esistenza di rapporti, non meglio circostanziati, -OMISSIS-

Con atto dell’11 febbraio 2014 il Comando di Reggio Emilia riscontrava la citata segnalazione chiedendo al Comando di Parma un approfondimento in ordine agli elementi già forniti ai fini delle valutazioni circa la sussistenza dei presupposti per l’avvio di un procedimento disciplinare.

Detta richiesta veniva evasa con nota del 12 marzo 2014 contenente, fra le altre informazioni, le sintesi delle -OMISSIS-

Il Comando di Reggio Emilia, “ esperiti gli opportuni approfondimenti per la formazione del convincimento in ordine alla sussistenza e alla gravità della mancanza attribuita al militare ”, con nota 10 aprile 2014, proponeva al superiore Comando Regionale l’avvio di un procedimento disciplinare di stato.

L’Autorità regionale, con nota del -OMISSIS-, ordinava un’inchiesta formale a carico del ricorrente e, con nota del 4 successivo, l’Ufficiale Inquirente incaricato formulava al ricorrente le formali contestazioni.

Acquisite a più riprese le deduzioni difensive dell’interessato, con rapporto conclusivo del 30 luglio 2014 l’Ufficiale inquirente proponeva l’adozione a carico del ricorrente della sanzione di mesi 8 di sospensione disciplinare dall’impiego.

Dette conclusioni venivano condivise dal Comandante regionale che le rassegnava al Comandante Interregionale il quale adottava la sanzione proposta.

Il ricorrente impugnava il provvedimento sanzionatorio deducendo la violazione dei termini procedimentali e l’inutilizzabilità a proprio carico delle intercettazioni telefoniche, nonché, negando la sussistenza degli elementi fattuali posti alla base dell’azione disciplinare intrapresa.

L’Amministrazione si costituiva in giudizio affermando la legittimità del proprio operato e chiedendo la reiezione del ricorso.

All’esito della pubblica udienza del 25 giugno 2015 la causa veniva trattenuta in decisione.

Il ricorrente censura con il presente ricorso il provvedimento con il quale l’Amministrazione ha sanzionato disciplinarmente il comportamento specificato come segue nella citata nota del -OMISSIS-, i cui contenuti sono confluiti nel provvedimento di sospensione:

- frequentazione di personaggi “ gravati da precedenti penali per gravi reati ” intrattenuti anche mediante l’utilizzo di un’utenza telefonica intestata a terzi;

- partecipazione ad attività commerciali con conferimento di consistenti some di denaro “ con piena e cosciente consapevolezza di rapportarsi con soggetti dediti ad attività illecite ”;

- aver fatto ricorso nei confronti di uno di detti soggetti a “ toni minacciosi e intimidatori ” per addivenire al recupero delle somme conferite;

- “ consapevolezza di rapportarsi con soggetti dediti ad attività illecite ”: condotte ritenute costituire “ violazione del giuramento prestato e dei doveri di correttezza e lealtà connessi con lo status rivestito, nonché, con la qualifica di p.t., di p.g. ed agente di p.s. ” rivestite.

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente contesta la tempistica procedimentale deducendo la violazione dell’art. 1392, comma 2, del D. Lgs. n. 66/2010 e dell’art. 1040, comma 1, lett. d). n. 19 del d.P.R. n. 90/2010 per erronea individuazione del termine di avvio del procedimento disciplinare e violazione dei termine di contestazione degli addebiti.

Il motivo è infondato.

L’art. 1392, comma 2, del D. Lgs. n. 66/2010 prevede che “ il procedimento disciplinare di stato a seguito di infrazione disciplinare deve essere instaurato con la contestazione degli addebiti all'incolpato, entro 60 giorni dalla conclusione degli accertamenti preliminari, espletati dall'autorità competente, nei termini previsti dagli articoli 1040, comma 1, lettera d), numero 19 e 1041, comma 1, lettera s), numero 6 del regolamento ”.

Il comma 1 della stessa norma dispone che “ il procedimento disciplinare di stato a seguito di giudizio penale, deve essere instaurato con la contestazione degli addebiti all'incolpato, entro 90 giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale irrevocabili, che lo concludono, ovvero del provvedimento di archiviazione ” e il successivo comma 4 che “ in ogni caso, il procedimento disciplinare si estingue se sono decorsi novanta giorni dall'ultimo atto di procedura senza che nessuna ulteriore attività è stata compiuta ”.

Ai sensi, infine, dell’art. 1040, comma 1, lett. d). n. 19 del d.P.R. n. 90/2010 il termine per gli accertamenti preliminari disciplinari di stato é di 180 giorni dalla conoscenza del fatto da parte dell'autorità competente.

Così ricostruito il contesto normativo di riferimento il ricorrente afferma che, relativamente al termine previsto per l’espletamento degli accertamenti preliminari, il dies a quo decorrerebbe dal giorno in cui l’Amministrazione “ complessivamente intesa ” e non il Comando di appartenenza, è venuta a conoscenza del fatto e tale momento non potrebbe che essere individuato nel momento in cui i fatti disciplinarmente rilevanti sarebbero venuti a conoscenza del Comando di Parma, ovvero, sin dall’esecuzione delle operazioni di intercettazione telefonica.

Pur considerando le esigenze di riserbo investigativo che ne avrebbero impedito l’utilizzo, il fatto si dovrebbe considerare come noto quanto meno dalla data in cui veniva disposta l’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare a carico degli indagati, ovvero il 27 giugno 2013.

Sarebbe, pertanto, erronea l’individuazione operata dall’Amministrazione del termine di avvio del procedimento disciplinare nel 24 ottobre 2013: data nella quale il Comando di Parma effettuava la prima comunicazione al Comando di Reggio Emilia.

Ciò premesso, l’Amministrazione (che il ricorrente afferma non aver in ogni caso provveduto ad alcun accertamento preliminare) avrebbe dovuto procedere alla contestazione dell’addebito disciplinare entro il termine di 60 giorni decorrente dal 27 giugno 2013 e scadente il 26 agosto 2013 con la conseguenza che la contestazione effettuata dall’Ufficiale inquirente all’incolpato (il ricorrente) avvenuta in data 4 giugno 2014 dovrebbe considerarsi tardiva.

La posizione del ricorrente non è corretta.

Preliminarmente deve ritenersi che l’acquisizione degli elementi rilevanti ai fini dell’esercizio dell’azione disciplinare risalga alla data del 24 ottobre 2013 (data della prima comunicazione al Comando di Reggio Emilia) non potendosi considerare “ conoscenza del fatto illecito ” emergenze investigative non ancora criticamente vagliate ai fini della loro qualificazione come elementi disciplinarmente rilevanti.

Tale esame preliminare deve ritenersi concluso al momento in cui l’Amministrazione, acquisiti e valutati gli elementi di interesse, ha ritenuto la sussistenza dei presupposti per l’avvio del procedimento disciplinare.

La proposta di avvio del procedimento, come già rilevato datata 10 aprile 2014, è tempestiva poiché intervenuta prima dello spirare del termine di 180 giorni di cui all’art. 1040, comma 1, lett. d). n. 19 del d.P.R. n. 90/2010 (169° giorno) e la successiva contestazione degli addebiti è intervenuta in data 4 giugno 2014 nel rispetto dell’ulteriore termine di 60 giorni di cui all’art. 1392, comma 2, del D. Lgs. n. 66/2010.

La fase inquirente, infine, si è conclusa con la proposta dell’Ufficiale incaricato datata 8 agosto 2014, cui è seguita l’adozione del provvedimento impugnato in data 15 settembre 2014, ossia nel pieno rispetto del termine di 90 giorni di cui al comma 4 del medesimo art. 1392.

Ne deriva l’infondatezza della dedotta violazione della tempistica procedimentale.

Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente deduce eccesso di potere per illegittima utilizzazione delle risultanze investigative ed erronea valutazione delle stesse, travisamento dei fatti, nonché, violazione dei principi di proporzionalità e di gradualità nell’irrogazione della sanzione.

Il ricorrente, in particolare, pur riconoscendo che l’acquisizione dei contenuti delle intercettazioni telefoniche in questione veniva autorizzata dalla competente Autorità giudiziaria, rileva che il loro utilizzo a fini disciplinari sarebbe in ogni caso consentito nei confronti dei soli indagati e imputati e non degli estranei al procedimento penale in cui sono state disposte.

Censura inoltre nel merito provvedimento impugnato allegando che l’Amministrazione non avrebbe acquisito alcun elemento a sostegno della contestata “ promiscuità e reiterata aderenza dell’ispettore con soggetti manifestamente dediti a condotte antigiuridiche e dalla dubbia moralità ” così come non sarebbero stati comprovati né il proprio coinvolgimento in “ operazioni commerciali ” di dubbia liceità né il ricorso a “ manifestazioni intimidatorie ed aggressive ”.

Le tesi difensive, si afferma ulteriormente, troverebbero conferma nelle dichiarazioni rese dagli stessi soggetti indagati o comunque coinvolti nella vicenda, che avrebbero smentito i fatti addebitati: dichiarazioni che l’Amministrazione avrebbe ignorato.

Il motivo è infondato.

Quanto al primo profilo, deve rilevarsi che l’art. 270, comma 1, c.p.p. dispone che “ i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza ”.

L’inutilizzabilità in “ procedimenti diversi ” prevista dalla norma non è generalizzata atteso che, come precisato dalla giurisprudenza, “ il citato art. 270, comma 1, riguarda specificamente il processo penale, deputato all'accertamento delle responsabilità appunto penali che pongono a rischio la libertà personale dell'imputato (o dell'indagato), cosa questa che giustifica l'adozione di limitazioni più stringenti in ordine all'acquisizione della prova, in deroga al principio fondamentale della ricerca della verità materiale. In ragione di tanto, è solo con riferimento ai procedimenti penali che una ipotetica, piena utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni nell'ambito di procedimenti penali diversi da quello per cui le stesse intercettazioni erano state validamente autorizzate contrasterebbe con le garanzie poste dall'art. 15 Cost., a tutela della libertà e segretezza delle comunicazioni. In relazione poi al profilo della utilizzabilità in concreto, è stato precisato che presupposto per l'utilizzo esterno delle intercettazioni è la legittimità delle stesse nell'ambito del procedimento in cui sono state disposte" (Cass. S.U. 23 dicembre 2009 n. 27292 in motivazione) ” (Cass. civ., Sez. Un., 12 febbraio 2013, n. 3271).

Da ciò deriva che su un piano generale deve riconoscersi che “ le intercettazioni telefoniche conseguite nell'ambito di un processo penale (nel quale nemmeno sia stato affrontato il problema della loro corretta acquisizione) sono utilizzabili nel procedimento disciplinare ” (Cons. Stato, Sez. VI, 10 dicembre 2009, n. 7703).

Quanto alla pretesa inutilizzabilità delle intercettazioni nei confronti del soggetto rimasto estraneo al giudizio penale nell’ambito del quale sono state disposte, deve ritenersi che la questione sia irrilevante ai fini della presente decisione.

L’Amministrazione, infatti, non si è limitata all’acquisizione dei contenuti delle conversazioni intercettate ma ha svolto una accurata istruttoria ricorrendo anche all’assunzione di informazioni da parte dei soggetti coinvolti nella vicenda giudiziaria che hanno sostanzialmente confermato i fatti e le circostanze oggetto di contestazione disciplinare.

Detta attività ha confermato le frequentazioni del ricorrente con personaggi gravati da precedenti penali e la consapevolezza da parte del ricorrente della natura delle attività da questi svolte.

-OMISSIS-(pluripregiudicato per emissione di assegni a vuoto, violazione elle norme sul diritto d’autore, acquisto di cose di sospetta provenienza, frode in commercio, usura tentata, appropriazione indebita, ricettazione e sostituzione di persona) al quale il ricorrente ha erogato un prestito mediante assegno di € 15.000,00, sentito a verbale il 25 giugno 2014, pur affermando che il prestito in questione proveniva da tale -OMISSIS-, ammetteva che le richieste di restituzione della somma di denaro venivano avanzate dal ricorrente confermando sostanzialmente le minacce oggetto d’intercettazione.

Nell’occasione, infatti, ammetteva di essere stato fatto oggetto di richieste di restituzione delle somme da parte del ricorrente “ con toni seri ” o “ toni accesi ”, cercando di “ inculcare timore ” tanto che prima di venire a conoscenza della sua appartenenza alla Guardia di Finanza, “ considerato il tenore di alcune telefonate ” si era “ formato il convincimento che fosse un tipo da strada, ossia non un bandito ma nemmeno una persona per bene ”.

Nell’occasione pur negando, come già esposto, che il prestito fosse stato erogato dal ricorrente, ammetteva di aver intestato un assegno costituente parte della restituzione del prestito, proprio a quest’ultimo.

D’altra parte l’interessamento del ricorrente al recupero della somma prestata è confermata da altri due personaggi gravati da precedenti penali i cui rapporti di conoscenza con il primo sono confermati dagli stessi interessati.

-OMISSIS-(che ammette di essere stato denunziato per droga), sodale del -OMISSIS-, sentito il 27 giugno 2014 confermava di conoscere il ricorrente nella sua qualità di finanziere e di essere in contatto anche telefonico con il medesimo.

Affermava ulteriormente che il ricorrente era solito recarsi nell’azienda del -OMISSIS- e confermava, altresì, che questi doveva al ricorrente una somma di denaro che quest’ultimo aveva a più riprese cercato di riavere.

Anche-OMISSIS-(pregiudicato per porto abusivo di armi, ricettazione e falsità materiale), sentito il 30 giugno 2014, confermava di conoscere il ricorrente ed i rapporti di questi con il -OMISSIS- che era debitore verso il primo di una somma di denaro.

Tutti e tre i citati personaggi, infine, confermavano che le somme prestate dal ricorrente dovevano finanziare una operazione di acquisto di frigoriferi di non precisata provenienza.

Ciò premesso non può che riconoscersi la fondatezza del contesto relazionale addebitato al ricorrente, il quale ha intessuto una fitta rete di contatti con persone di dubbia moralità e rettitudine con i quali è incontestabile abbia intessuto rapporti anche di natura economica attesa la comprovata attività del -OMISSIS-nel recupero delle somme dovute dal pregiudicato -OMISSIS-.

La frequentazione di personaggi di dubbia moralità e rettitudine, la partecipazione, anche solo mediante conferimento di capitali, ad operazioni commerciali e il ricorso ad atteggiamenti percepiti come intimidatori da parte degli interessati (e aventi tale oggettiva valenza) per addivenire al recupero delle somme conferite nell’affare, integra una palese violazione dei doveri connessi allo status di militare della Guardia di Finanza censurabile sotto il profilo disciplinare.

Nessun sintomo di incongruità può pertanto essere ravvisato nell’operato dell’Amministrazione che ha ritenuto i fatti accertati passibili di sanzione.

Circa l’entità della sanzione, che il ricorrente ritiene lesiva del principio di proporzionalità, il collegio non ha motivo di discostarsi dal granitico orientamento giurisprudenziale per il quale la valutazione della gravità di un comportamento ai fini disciplinari e della proporzione tra la sanzione irrogata ed i fatti contestati costituisce manifestazione del discrezionale apprezzamento dell'Amministrazione, suscettibile di sindacato di legittimità solo per macroscopici vizi logici (Cons. Stato, Sez. IV, 25 maggio 2005, n. 2705;
15 maggio 2003, n. 2624;
30 ottobre 2001, n. 5868;
12 aprile 2001, n. 2259;
31 luglio 2000, n. 3647) che, nel caso di specie, per le suesposte ragioni, non ricorrono.

L’adozione della grave misura della sospensione dal servizio in presenza di frequentazioni di appartenenti alle Forze dell’ordine con soggetti malavitosi è stata, peraltro, già ritenuta congrua dalla giurisprudenza (TAR Puglia, Lecce, Sez. III, 15 ottobre 2010, n. 2079).

Per quanto precede il ricorso deve essere respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio nella misura liquidata in dispositivo.

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