TAR Roma, sez. 2T, sentenza 2020-07-27, n. 202008753

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2T, sentenza 2020-07-27, n. 202008753
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202008753
Data del deposito : 27 luglio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/07/2020

N. 08753/2020 REG.PROV.COLL.

N. 01266/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1266 del 2020, proposto da Gruppo Bonifaci S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato B G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via delle Quattro Fontane n. 20;

contro

Agenzia delle Entrate, Agenzia delle Entrate - Direzione Provinciale

III

Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Fallimento Gruppo Bonifaci S.r.l. non costituito in giudizio;

per la declaratoria ex art. 116 c.p.a., dell’illegittimità del diniego tacitamente formatosi sull’istanza inoltrata dalla Società in data 5 dicembre 2019, con la quale si chiedeva l’accesso (i) al parere della Direzione Regionale Lazio prot. n. 173413 del 18 novembre 2019;
(ii) alla richiesta/comunicazione dell’Ufficio inviata alla Direzione Regionale del Lazio per il rilascio del suddetto parere;
(iii) a ogni altro documento presente nel fascicolo che consenta di riscontrare le motivazioni che hanno condotto l’amministrazione resistente ad esprimere voto sfavorevole all’approvazione della proposta di concordato preventivo;

nonché per l’accertamento del diritto della ricorrente di prendere visione ed estrarre copia integrale della documentazione suddetta;

e per la condanna dell’amministrazione resistente all’ostensione dei documenti richiesti.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Agenzia delle Entrate e di Agenzia delle Entrate - Direzione Provinciale

III

Roma;

Visti tutti gli atti della causa;

Considerato che l’udienza è soggetta alla disciplina dell’art. 84 commi 5 e 6, del D.L.n.18 del 17 marzo 2020, e si svolge attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto dalla circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 26 maggio 2020 la dott.ssa F M;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La società ricorrente ha chiesto dichiararsi l’illegittimità del silenzio rigetto formatosi sull’istanza di accesso dalla medesima presentata alla Agenzia delle Entrate in data 5 dicembre 2019, finalizzata all’ostensione degli atti relativi all’espressione del voto sfavorevole reso dall’Agenzia nell’ambito della procedura di cui agli articoli 160 e ss. e 182 ter del Regio Decreto 16.03.1942, n. 267 (Legge Fallimentare).

La ricorrente, in particolare, ha esposto che:

- in data 20.06.2018 ha presentato istanza di “transazione fiscale” ai sensi dell’art. 182 ter della legge fallimentare contestualmente alla richiesta di ammissione alla procedura di concordato preventivo in continuità aziendale, ai sensi della medesima legge;

- in data 18.11.2019 l’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale Roma III – ha espresso voto sfavorevole sulla istanza di transazione fiscale e di concordato (come da documento di voto versato in atti), senza esternare alcuna motivazione e limitandosi a votare “conformemente al parere” della Direzione regionale del Lazio dell’Agenzia delle Entrate prot. n. 174313 del 18.11.2019, non allegato (il diniego è stato impugnato dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, con ricorso pure versato in atti);

- il voto sfavorevole ha determinato la mancata approvazione della intera proposta di concordato presentata dalla società e, di conseguenza, con sentenza n. 931 del 19.12.2019 il Tribunale di Roma ha dichiarato il fallimento della società (la sentenza è stata impugnata dinanzi alla Corte di appello di Roma);

- con istanza del 5.12.2019, nelle more delle descritte procedure, la ricorrente, ai sensi degli art. 22 e ss. della Legge n. 241/1990, tenuto conto che il 3.12.2019 si era tenuta l’udienza collegiale ai sensi degli artt. 179 e 162, secondo comma, Legge Fallimentare, e che vi era un termine per depositare da parte della Società osservazioni sull’informativa dei commissari giudiziali in merito all’esito della votazione, ha richiesto all’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale Roma III – l’ostensione dei seguenti documenti: - parere della Direzione Regionale del Lazio prot. n. 173413 del 18.11.2019 - richiesta/comunicazione dell’Ufficio inviata alla Direzione Regionale del Lazio per il rilascio del suddetto parere - ogni altro documento presente nel fascicolo che consenta di riscontrare le motivazioni che hanno condotto l’Ufficio ad esprimere voto sfavorevole all’approvazione della proposta di Concordato Preventivo.

A fronte del silenzio diniego formatosi sulla predetta istanza, con ricorso notificato in data 31.01.2020 e depositato in data 12.02.2020, la società si è rivolta a questo Tribunale, richiedendo l’accertamento della illegittimità del silenzio diniego e del suo diritto prendere a visione ed estrarre copia integrale della documentazione suddetta, con conseguente condanna dell’Amministrazione all’ostensione dei documenti richiesti.

Al riguardo la ricorrente ha denunciato: “ Violazione dei principi di trasparenza dell’attività amministrativa di cui all’art. 97 Cost. Violazione degli artt. 22-ss. della legge n. 241/1990 ”, evidenziando, in primo luogo, che la fattispecie di cui si discute non rientra in alcune delle esclusioni del diritto di accesso contemplate nell’art. 24, comma 1, della legge n. 241/1990 e che peraltro, con il gravato silenzio, l’Amministrazione ha violato le previsioni di cui agli artt. 25, comma 4, e 2 della stessa legge. Inoltre la società ha sottolineato le necessità difensive sottese alla richiesta di accesso, tenuto anche conto delle contestazioni dalla medesima svolte avverso il rifiuto di transazione fiscale e di concordato.

L’Agenzia delle Entrate si è costituita in data 20.02.2020, chiedendo il rigetto del gravame con memoria esclusivamente di rito.

In vista dell’udienza in camera di consiglio fissata per il 26.05.2020, soltanto la ricorrente ha depositato, in data 7.05.2020, rituale memoria nei termini di rito.

La resistente, invece, in data 11.05.2020 ha depositato uno scritto difensivo definito “memoria di replica”, in cui ha per la prima volta espresso le proprie tesi difensive.

A tale scritto ha comunque fatto seguito, con salvezza del contraddittorio altrimenti pregiudicato dal descritto comportamento processuale, una rituale memoria di replica della ricorrente, depositata in data 15.05.2020.

All’udienza del 26.05.2020 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è fondato e merita accoglimento.

Sussistono, invero, i requisiti soggettivi ed oggettivi previsti dalla legge per l’ostensione dei documenti richiesti.

Preliminarmente va chiarito che tali documenti sono formati dall’Amministrazione finanziaria nell’ambito dello speciale procedimento previsto dall’art. 182 ter Legge Fallimentare, oggi rubricato “ Trattamento dei crediti tributari e contributivi ”, dopo la riformulazione operata dall’art. 1, comma 81, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, a seguito della sentenza 7 aprile 2016 (C-546/2014) della Corte di Giustizia dell’Unione europea che ha ammesso, entro determinati limiti, la falcidiabilità dell’Iva.

Come è pacifico tra le parti, non si tratta di un “procedimento tributario” finalizzato all’accertamento della pretesa, per cui opererebbero le peculiari regole sull’accesso di cui all’art. 24, comma 1, lettera b), della Legge n. 241/1990, bensì di un procedimento che presuppone il già intervenuto accertamento del credito tributario ed è finalizzato alla sua soddisfazione, in ipotesi anche soltanto parziale o dilazionata nel tempo, secondo uno schema analogo a quello della “transazione fiscale”, in precedenza disciplinata dalla medesima norma dell’art. 182 ter e riservata, come oggi, alle imprese in crisi.

In particolare, la norma ora citata disciplina il sub procedimento (ormai obbligatorio) che il soggetto (che presenta un piano di concordato, ai sensi degli articoli 160 e ss. della stessa Legge fallimentare, o un accordo di ristrutturazione dei debiti, ai sensi dell’art. 182 bis ), deve necessariamente attivare, qualora sia debitore anche nei confronti dell’Erario, per proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi e dei relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali, nonché dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie e dei relativi accessori.

Per quanto qui di rilievo, il primo comma della norma detta una compiuta disciplina sui criteri alla luce dei quali deve essere presentata (dal debitore) e valutata (dall’ufficio) la proposta di accordo sui debiti tributari annessa al piano di concordato.

Il secondo comma, invece, regola le modalità operative della presentazione della proposta e gli adempimenti conseguenti, anche ai fini dell’integrazione con la procedura concorsuale in atto.

Il terzo comma, poi, prevede che “ Relativamente al credito tributario complessivo, il voto sulla proposta concordataria è espresso dall'ufficio, previo parere conforme della competente direzione regionale, in sede di adunanza dei creditori, ovvero nei modi previsti dall'articolo 178, quarto comma ” (vale a dire a distanza, entro il termine previsto).

La ricorrente ha chiesto di accedere a tale parere e alla connessa richiesta formulata dall’ufficio, nonché agli altri atti del procedimento.

Sotto il profilo dell’interesse all’accesso, il Collegio ritiene che in capo alla ricorrente sussista un interesse diretto, attuale e concreto, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata ai documenti di cui si è chiesta l’ostensione, tenuto conto dell’incidenza significativa, pacifica fra le parti, che il voto sfavorevole reso dall’Agenzia delle Entrate sulla proposta di concordato preventivo, con contestuale istanza di transazione fiscale, ha avuto sulla sua sfera giuridica, determinando – in ultima analisi – la dichiarazione di fallimento (stante il mancato raggiungimento delle maggioranze previste dall’art. 177 Legge Fallimentare).

Nella fattispecie, la ricorrente ha anche chiaramente illustrato le necessità difensive correlate all’istanza di accesso (inizialmente pure urgenti, stante la fissazione di un termine per osservazioni sull’informativa dei commissari giudiziali in merito all’esito della votazione), così soddisfacendo il necessario profilo motivazionale dell’istanza stessa.

Non spetta al Tribunale in questa sede (tantomeno alla resistente, che, invece, sul punto si dilunga) accertare se il voto espresso dall’Amministrazione finanziaria sia sindacabile in giudizio, in ipotesi per pervenire ad affermare, come nelle difese, che non esisterebbe una posizione soggettiva meritevole di tutela ed azionabile da parte della società ricorrente, poiché le contestazioni avverso il voto sarebbero in ogni caso inammissibili (pag. 3 e ss. dello scritto dell’Agenzia).

In disparte il rilievo che detta tesi trova smentita da molteplici pronunce (cfr. Comm. trib. prov. Salerno, sent. n. 240/2020;
Comm. trib. prov. Milano, sent. n. 5429/2019 – che ha finanche richiamato l’art. 113 Cost. – ;
Comm. trib. prov. Roma, sent. n. 26135/2017;
Consiglio di Stato, sent. n. 4021/2016;
Cass. Civ. SSUU, sent. n. 25632/2016), è noto che l’interesse all’accesso documentale non è necessariamente condizionato, in prospettiva strumentale, alle esigenze di tutela giurisdizionale, essendo correlato ad un bene della vita anche autonomamente apprezzabile (che consiste nella trasparenza e nella conoscibilità degli atti amministrativi che incidono sulla sfera giuridica dell’interessato), distinto dalla situazione legittimante all'impugnativa dell'atto.

La legittimazione all'accesso va dunque riconosciuta a chi è in grado di dimostrare che tali atti hanno prodotto o possano produrre effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, da cui deriva il suo bisogno di conoscenza (c.d. “ need to know ”, cfr. da ultimo Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza n. 10/2020), a prescindere dalla intervenuta lesione di una posizione giuridica o dalla compiuta percezione della stessa (tra l’altro, di sovente è soltanto a seguito dell’esercizio del diritto di accesso che l’interessato acquisisce gli elementi utili a valutare le azioni esperibili).

Pertanto, nell’accertare l’interesse all’accesso in capo al richiedente rispetto a determinati documenti, il Giudice deve verificarne la concretezza, l’attualità e il collegamento con una situazione giuridica meritevole di tutela (nella specie addirittura con un complesso di situazioni giuridiche, quali il diritto alla iniziativa economica privata e l’interesse alla continuità aziendale), senza spingersi sino a sindacare l’utilità concreta che la conoscenza dei documenti amministrativi possa poi effettivamente determinare per il medesimo soggetto, ben potendo la documentazione richiesta costituire soltanto, genericamente, mezzo utile per la difesa (cfr. in questi termini Consiglio di Stato sent. n. 282/2020;
fra le molteplici altre, Tar Lazio, sent. n. 10620/2019;
Tar Lombardia, Brescia, n. 32/2020;
Consiglio di Stato, nel tempo, sentenze n. 5781/2019;
n. 3017/2019;
n. 3953/2018;
n. 4372/2016;
n. 511/2013;
nonché le sentenze ivi richiamate).

Peraltro, le azioni esperibili nella vicenda in esame certamente non si esauriscono in quelle già debitamente rappresentate dalla ricorrente e ritenute inammissibili dalla resistente. Infatti, l’espressione del voto (come qualsiasi altro atto o comportamento proveniente dalla Pubblica Amministrazione, ivi incluso quello inadempiente sull’accesso, di cui qui si discute) è anche il risultato della condotta personale di pubblici funzionari, la quale è senza dubbio sindacabile al ricorrere dei presupposti normativamente previsti.

Sotto il profilo oggettivo, l’art. 22, comma 1, lettera d) della Legge n. 241/1990, prevede che il diritto di accesso può esercitarsi su atti e documenti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale, con le sole eccezioni puntualmente indicate dal successivo art. 24.

Posto che l'accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell'attività amministrativa, al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza, le dette eccezioni sono di stretta interpretazione e – lungi dal garantire segretezza o libertà di azione alla Pubblica Amministrazione, secondo un’impostazione anacronistica ormai ampiamente superata – rispondono alla necessità di tutela di superiori interessi pubblici ovvero di esigenze di riservatezza di terzi privati (che, peraltro, potrebbero anche recedere ove l’accesso sia richiesto e puntualmente motivato, come nella fattispecie, per necessità difensive).

L’Agenzia delle Entrate, tuttavia, afferma di non dover concedere l’ostensione dei documenti richiesti, poiché in sede concordataria agirebbe come creditore, sia pure speciale, iure privatorum , compiendo valutazioni che esulano dai canoni di giudizio dell’attività amministrativa tributaria.

Secondo l’Agenzia, in particolare “ Nel caso di specie, l’Amministrazione finanziaria è chiamata a manifestare un mero “voto” favorevole o contrario ad una proposta di concordato con transazione fiscale al pari di qualsiasi creditore coinvolto (al pari dei creditori privati, es. banche). La procedura, meramente interna, attraverso cui l’Agenzia esprime il suo voto attiene ad un piano organizzativo/amministrativo: il parere della Direzione Regionale è oggetto di apposita formalizzazione e protocollazione interna non determina, per ciò solo, che si tratti di “atti accessibili”: si tratta non già di manifestazione di potere della PA, nella accezione tradizionale della categoria, ma di mere considerazioni e riflessioni interne recanti elementi valutativi che – verso l’esterno – prendono la forma del “voto”, così come previsto dalla Legge Fallimentare. Il meccanismo del voto evoca la natura del tutto interna e non necessariamente tracciata del sotteso processo di valutazione, estrinsecato nella pura manifestazione di volontà favorevole o meno. Da ciò consegue che il debitore non ha alcun diritto di accedere a quelli atti interni attraverso i quali l’Agenzia ha formulato le sue valutazioni. Ciò che conta per il debitore è solamente il “voto” che non può essere oggetto di nessun sindacato afferendo alla sfera della tutela del credito ”.

La resistente richiama anche la sentenza della Corte Costituzionale n. 225/2014, sulla natura negoziale della transazione fiscale, e conclude affermando che, in ogni caso, anche laddove si dovesse ritenere l’esercizio di attività pubblicistica, le sue valutazioni rientrerebbero nell’insindacabile merito amministrativo.

La tesi è del tutto infondata e delinea un atteggiarsi dell’azione amministrativa che non trova riconoscimento nell’ordinamento giuridico.

Già l’esame delle pertinenti norme positive (art. 182 ter Legge Fallimentare, oggi rubricato “ Trattamento dei crediti tributari e contributivi ” e non più “ Transazione fiscale ”) conduce categoricamente ad escludere che la decisione dell’Amministrazione possa fondarsi sul libero apprezzamento dei suoi funzionari.

L’art. 182 ter citato, invero, indica i criteri economici, da rispettare nella proposta, per la possibilità di soddisfacimento del credito erariale in misura non inferiore a quello ricavabile in sede di liquidazione, il cui esame e la cui ponderazione specifica, pertanto (insieme alle altre valutazioni di cui alle circolari in materia, emanate dalla stessa Agenzia), costituiscono attività doverosa e parametro di legittimità dell’azione amministrativa di valutazione della proposta stessa.

Tale attività, dunque, è procedimentalizzata e si deve estrinsecare, per legge, nell’esercizio di competenze tecnico/economiche demandate alla Direzione regionale, tenuta a redigere apposito parere, cui l’ufficio si deve conformare nel momento in cui esprime il voto.

Detto parere, peraltro, non è atto meramente interno (il che, comunque, non osterebbe alla sua accessibilità, ai sensi del già richiamato art. 22 della Legge n. 241/1990), bensì integra la forma, legislativamente prevista, della necessaria motivazione del voto del creditore pubblico sulla proposta di concordato con annesso “trattamento del credito tributario”, che può infatti essere legittimamente espresso soltanto ove conforme al parere stesso.

Inoltre, non rileva la natura negoziale della transazione fiscale e del rapporto da essa scaturente, invocata dalla resistente.

In disparte la considerazione che la pronuncia della Corte Costituzionale in materia risale a prima che l’istituto di cui all’art. 182 ter citato fosse significativamente rivisto (si noti che è stato espunto il riferimento al consolidamento del debito e alla cessazione della materia del contendere nelle liti tributarie), deve comunque ricordarsi che gli atti di cui è chiesta l’ostensione attengono alla fase di formazione della (asserita) volontà negoziale dell’amministrazione, che soggiace alle regole pubblicistiche e all'applicazione dei principi di imparzialità e di buon andamento, poiché l’Amministrazione finanziaria deve naturalmente perseguire i fini previsti dalla legge anche nella conclusione delle transazioni fiscali (e ciò, comunque, vale persino con riguardo alla fase meramente esecutiva degli accordi, come ricordato di recente da Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza n. 10/2020).

In altre parole, l’ordinamento a ben vedere non conosce ipotesi in cui l’azione amministrativa possa effettivamente ritenersi libera al pari di quella dei soggetti privati, in quanto nessuna scelta amministrativa potrebbe mai legittimamente essere sorretta da finalità individuali/egoistiche (che invece possono, all’occorrenza, determinare l’azione dei privati).

Valga infatti ricordare che la pubblica amministrazione deve agire sempre ed esclusivamente per il perseguimento del pubblico interesse, assicurando il risultato previsto dalla legge secondo i principi di efficienza, economicità ed efficacia. Anche il merito amministrativo, per quanto insindacabile, deve comunque fondarsi su criteri di ragionevolezza e proporzionalità rispetto al fine perseguito e consentire l’intelligibilità, la comprensione e, perlomeno astrattamente, la condivisibilità dei processi decisionali nell’ottica dell’interesse della collettività, pur se in ipotesi sfavorevoli per il singolo interessato.

I pubblici funzionari, pertanto, devono svolgere i loro compiti con competenza e diligenza, nell’interesse comune, e se ne devono assumere la responsabilità, esternando le decisioni nelle forme previste dalla legge, che in nessun caso contempla le “ mere considerazioni e riflessioni interne ”, iure privatorum , come sostiene la resistente.

Quanto sopra vale anche allorquando alla P.A. sia attribuita la facoltà di esprimersi tramite mero “voto” (che peraltro, non a caso, la Legge Fallimentare impone conforme ad un parere tecnico) ed è tanto più vero, nella fattispecie, ove si consideri che, ai sensi degli articoli 174 e ss. della stessa Legge, prima dell’espressione del voto, il debitore ha la possibilità di conoscere, anche – e persino – dai creditori privati, riuniti nell’adunanza, le ragioni per le quali non sono ritenute ammissibili o convenienti le proposte di concordato e di rispondere al riguardo (cfr. art. 175 “ Discussione della proposta di concordato ”).

In definitiva, esattamente al contrario di quanto sostenuto dall’Agenzia delle Entrate, l’attività valutativa di cui si discute non può certamente definirsi libera come quella di un qualsiasi creditore, rientrando de plano nell’esercizio di pubbliche funzioni attinenti alla tutela del credito tributario, che è materia di rilevante interesse per la collettività, non soltanto in generale, bensì anche, a maggior ragione, con riguardo alle speciali procedure dedicate alle imprese in crisi.

Si ritiene, quindi, che gli atti richiesti dalla ricorrente siano pienamente accessibili, in quanto formati e detenuti dalla Pubblica Amministrazione nell’ambito di uno specifico procedimento riguardante la ricorrente medesima, avente ad oggetto attività di pubblico interesse e puntualmente disciplinato dalla legge.

In conclusione, il ricorso deve essere integralmente accolto;
per l’effetto il Tribunale annulla il silenzio rigetto formatosi in ordine all’istanza di accesso presentata dalla ricorrente in data 5.12.2019, dichiara che la Gruppo Bonifaci S.r.l. ha diritto di accedere agli atti richiesti e condanna l’Agenzia delle Entrate a consentire l’accesso agli atti indicati nella predetta istanza entro il termine di giorni trenta decorrente dalla comunicazione, in via amministrativa, o dalla notifica, ad istanza di parte, del presente provvedimento.

Le spese di lite, liquidate come nel dispositivo secondo il principio della soccombenza e tenuto conto del complessivo comportamento delle parti, possono essere compensate per la metà soltanto in ragione della novità della fattispecie.

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