TAR Palermo, sez. II, sentenza 2021-09-09, n. 202102546

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Palermo, sez. II, sentenza 2021-09-09, n. 202102546
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Palermo
Numero : 202102546
Data del deposito : 9 settembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 09/09/2021

N. 02546/2021 REG.PROV.COLL.

N. 02291/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2291 del 2011, integrato da motivi aggiunti, proposto da T G, rappresentato e difeso dagli avvocati M B M e S B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico presso lo studio dell’avv. M B M in Palermo, via Nunzio Morello, 40;

contro

Comune di Palermo in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato G N, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico presso l’Ufficio Legale Del Comune, in Palermo, piazza Marina 39;

per l’annullamento

quanto al ricorso introduttivo :

- del provvedimento n. 30 dell'1.6.11, prot. n. 419753 di rigetto dell'istanza di concessione edilizia in sanatoria;

- di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale;

quanto al primo ricorso per motivi aggiunti :

- del provvedimento di diffida a demolire n. 169 del 18.2.2013;

- di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale;

quanto al secondo ricorso per motivi aggiunti :

- dell’atto di accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione a demolire n. 169.20109/107.2019PR del 17 aprile 2019 prot. 618526, notificato in data 23 aprile 2019;

- del rapporto di inadempienza n. 10A/827 (2013) del 24 febbraio 2015, “allegato A” dell'atto impugnato;

- della planimetria catastale, “Allegato B” dell'atto impugnato;

- della segnalazione n. 26/2015 del 24 febbraio 2015 del Corpo di Polizia Municipale;

ove occorra e per quanto di ragione, dell'ordinanza sindacale n°30/2013 emessa il 18/02/2013, non conosciuta dal ricorrente ed espressamente richiamata nei provvedimenti impugnati;

- di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguenziale.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Palermo;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 25, comma 2, del d.l. n. 137/2020 conv. in l. n. 176/2020;

Relatore il dott. Francesco Mulieri nell’udienza pubblica del giorno 18 giugno 2021, tenutasi tramite collegamento da remoto;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso notificato il 12 ottobre 2011 e depositato il 9 novembre successivo, il ricorrente - premesso di essere proprietario di un fabbricato sito in Palermo, esistente sin dai primi anni trenta del secolo scorso e nel quale sono stati realizzati lavori di manutenzione straordinaria - espone che:

- nel corso di un controllo volto alla repressione di reati edilizi, i Carabinieri ispezionavano detto fabbricato e ritenendo che il piano elevato dell’immobile fosse stato realizzato in mancanza del permesso di costruire, lo sottoponevano a sequestro preventivo (cfr. relazione di servizio del 13 gennaio 2010);

- il successivo 19 gennaio 2010, il G.I.P. presso il Tribunale di Palermo convalidava il sequestro preventivo disposto dalla Polizia Giudiziaria.

- con istanza del 6 settembre 2010, pur nel convincimento dell'inesistenza di un abuso così come ritenuto, nel tentativo di definire il più celermente possibile la situazione, presentava istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’articolo 13 della legge 47/85;

- con provvedimento n. 30 del giorno 1 giugno 2011 il Comune di Palermo rigettava detta istanza - sul presupposto che il fabbricato in questione è “in contrasto con l’art. 22 comma 3 delle Norme Tecniche di Attuazione ...” in quanto ricadente “... all’interno del vincolo di edificabilità nella fascia costiera dei 150 mt dalla battigia” ed avente ad oggetto la realizzazione di un “ampliamento volumetrico attraverso la realizzazione di un primo ed un secondo piano collegati da una scala in c.a.” –

Del suddetto provvedimento il ricorrente ha chiesto l’annullamento, articolando censure di:

1) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 13 della L. n. 47/85- Violazione e falsa applicazione dell’art. 22 comma 3 delle NTA al PRG del Comune di Palermo - Violazione e falsa applicazione dell’art. 18 L.R. 4/2003 – Eccesso di potere per difetto di istruttoria”.

Secondo il ricorrente l’immobile in questione si collocherebbe oltre la fascia di 150 metri dalla battigia;
l’intervento edilizio posto in essere sarebbe opera di “manutenzione straordinaria” e pertanto, quand’anche il predetto immobile ricada entro le “zone costiere” , di cui al comma 3 dell’art. art. 22 delle NTA, si tratterebbe comunque di intervento ammesso dalla disposizione citata. Il ricorrente contesta in particolare quanto riscontrato dal Comune (vale a dire la realizzazione di un ampliamento volumetrico attraverso la realizzazione di un primo ed un secondo piano), essendo l’immobile costituito, già nella sua originaria configurazione, da un piano terreno e da un primo piano (senza dunque che sia stata realizzata alcuna sopraelevazione);
deduce che il c.d. secondo piano altro non sarebbe che un soppalco realizzato tramite recupero del sottotetto esistente, in conformità a quanto disposto dall'art. 18 della I.r. 4/03, la scala che collega il primo al secondo (descritta dalla P.A. come una scala in cemento armato) sarebbe stata realizzata in struttura precaria e che la parte dell'edificio già destinata a magazzino conserverebbe ancora oggi, tale destinazione.

Per resistere al ricorso e sostenere la legittimità del provvedimento impugnato si è costituito il Comune di Palermo.

Con un primo ricorso per motivi aggiunti, notificato il 22 aprile 2013 e depositato il 17 maggio successivo, il ricorrente ha impugnato il provvedimento comunale del 18 febbraio 2013 di diffida a demolire per “illegittimità derivata trattandosi di atto che scaturisce dall'illegittimo provvedimento di diniego impugnato con il ricorso introduttivo” .

Con ordinanza del 06/06/2013 n. 377, la domanda cautelare del ricorrente è stata respinta.

Con un secondo ricorso per motivi aggiunti, notificato il 24 giugno 2019 e depositato il 25 giugno successivo, il ricorrente ha impugnato l’atto di accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione a demolire del 17 aprile 2019.

Il ricorrente oltre a riproporre il suesposto motivo ha articolato ulteriori censure che possono essere così sintetizzate:

1) non avendo il ricorrente prima del 18 marzo 2015 (v. verbale di dissequestro) la disponibilità dell'immobile, non avrebbe potuto essere redatto il rapporto di inadempienza;
inoltre l’atto di accertamento dell'inottemperanza ed il rapporto di inadempienza ad esso allegato si fondano dichiaratamente su “... ordinanza n. 30/2013 emessa in data 18/02/2013 a carico di T G...” , mai notificata al ricorrente ed in relazione alla quale nessuna ordinanza di demolizione sarebbe rimasta incontestata;

2) l’atto di accertamento dell'inottemperanza non permetterebbe di individuare con esattezza il bene da acquisire al patrimonio comunale, risultando indicati erroneamente i subalterni delle particelle catastali relative al fabbricato di proprietà del ricorrente;
la pretesa acquisizione al patrimonio del Comune di un’area non delimitata e dell'intero manufatto di proprietà del ricorrente (cioè anche del piano terra, non solo di quello sul quale sono stati effettuati lavori di manutenzione straordinaria) violerebbe il principio che impone vi sia proporzione tra sanzione ed entità dell'abuso.

Con ordinanza del 30/07/2019 n. 897, la domanda cautelare del ricorrente è stata accolta “limitatamente all’impugnato atto di accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione a demolire …, sussistendo anche il paventato danno grave e irreparabile” .

Il ricorrente ha depositato documenti e memorie in vista dell’udienza fissata per l’udienza di discussione del ricorso all’esito della quale il ricorso medesimo è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Con il ricorso introduttivo del presente giudizio il ricorrente ha impugnato il provvedimento n. 30 del giorno 1 giugno 2011 con il quale il Comune di Palermo ha rigettato l’istanza del 6 settembre 2010 di accertamento di conformità presentata dal ricorrente ai sensi dell’articolo 13 della legge 47/85 sul presupposto che il fabbricato in questione è in contrasto con l’art. 22 comma 3 delle Norme Tecniche di Attuazione del PRG di Palermo in quanto ricadente “all’interno del vincolo di edificabilità nella fascia costiera dei 150 mt dalla battigia” ed avente ad oggetto la realizzazione di un “ampliamento volumetrico attraverso la realizzazione di un primo ed un secondo piano collegati da una scala in c.a.”.

A tale provvedimento ha fatto seguito il provvedimento comunale del 18 febbraio 2013 di diffida a demolire.

Entrambi i provvedimenti sono stati censurati dal ricorrente che, con un unico motivo di ricorso, ha sostenuto che l’immobile in questione si collocherebbe oltre la fascia di 150 metri dalla battigia e quand’anche ricadesse entro le “zone costiere”, di cui al comma 3 dell’art. art. 22 delle NTA, si tratterebbe comunque di intervento ammesso dalla disposizione citata, in quanto rientrante nel concetto di “manutenzione straordinaria”.

La censura è infondata.

Il ricorrente si è limitato a sostenere genericamente che le opere in questione non sarebbero state realizzate entro la fascia di immodificabilità assoluta dei 150 metri dalla battigia senza tuttavia fornire alcun elemento utile al riguardo come sarebbe stato suo onere (giurisprudenza pacifica, cfr. TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 01/08/2019 n. 2007).

Dando dunque per assodato quanto affermato sul punto nel provvedimento impugnato, occorre rilevare che l’art. 22, comma 3, delle Norme Tecniche di Attuazione del PRG di Palermo, “zone costiere”, stabilisce che, fino all’approvazione dei piani di cui al comma 2 (ossia i piani particolareggiati di iniziativa pubblica o privata, inesistenti nell’area in esame), sono ammessi soltanto interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria.

Orbene le opere eseguite dal ricorrente non possono rientrare in tale ambito.

Come risulta con evidenza dalla documentazione versata in atti dal Comune resistente l’intervento edilizio eseguito dal ricorrente ha determinato un fabbricato costituito da piano terra, piano primo e piano secondo, con struttura in c.c., esteso mq 40 circa a piano e, quindi completamente diverso per natura e consistenza da quello preesistente.

E’ pertanto evidente che l’intervento edilizio avendo comportato un aumento di volumetria e del numero dei piani del preesistente manufatto non può in alcun modo rientrare tra quelli previsti dall’art. 20 della L.R. 71/78 (manutenzione straordinaria) e dall’art.18 comma 1 della L.R. 4/2003 (recupero abitativo del sottotetto).

Il ricorrente non ha fornito neppure adeguata dimostrazione della circostanza che l’immobile in argomento sarebbe costituito, già nella sua originaria configurazione, da un piano terra e da un primo piano. Il contenuto dell’atto di compravendita del 30.04.2009 di acquisto del Sig. Tarantino nonché le risultanze catastali prodotte dal Comune consentono di affermare che l’originario manufatto era costituito da due distinte unità immobiliari censite al foglio 25 della p.lla 710 ed in particolare:

1) Il subalterno n. 1 costituito da un piano terra, con accesso dal civico n.49, destinato a civile abitazione di 3,5 vani catastali, così come si rileva dalla planimetria catastale redatta nel periodo compreso tra il 1939 e il 1942;

2) il subalterno n. 2 anch’esso costituito da un piano terra, con accesso dal civico n. 50, destinato a magazzino o locale deposito, esteso 3 mq.

Non appaiono idonee a confutale tale conclusioni le considerazioni contenute nelle perizie di parte depositate dal ricorrente le quali si basano su mere supposizioni fondate sulla consistenza delle abitazioni limitrofe a due o tre elevazioni fuori terra.

Sulla scorta di quanto precede, pertanto il ricorso principale ed il ricorso per motivi aggiunti vanno rigettati in quanto infondati.

Passando all’esame del secondo ricorso per motivi aggiunti, giova premettere che, con riferimento al provvedimento impugnato di acquisizione gratuita al patrimonio comunale, per consolidata giurisprudenza anche di questo Tribunale:

- presupposto essenziale affinché possa configurarsi l’acquisizione gratuita è la mancata ottemperanza all’ordine di demolizione dell’immobile abusivo entro il termine di novanta giorni fissato dalla legge;

- l’effetto traslativo della proprietà avviene ipso iure e costituisce l’effetto automatico della mancata ottemperanza all'ingiunzione a demolire;

- in coerenza con tale assunto, il provvedimento di acquisizione presenta una natura meramente dichiarativa, non implicando alcuna valutazione discrezionale (Cons. Stato Sez. VI, 27-03-2019, n. 2034;
T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 07/09/2020, n. 1835);

- posto che sussiste la giurisdizione esclusiva in materia edilizia (art. 133, comma 1, lett. f c.p.a.) in controversie, come quella in esame, volte a verificare la produzione degli effetti conseguenti all’eventuale inottemperanza ad un’ordinanza di demolizione (cfr. T.A.R. Sicilia Palermo Sez. II, 28-02-2019, n. 612), la domanda della ricorrente può essere riqualificata come domanda di accertamento negativo dei presupposti per l’inottemperanza e, dunque, per l’acquisizione al patrimonio comunale e la trascrizione dei registri immobiliari.

Ciò premesso, va esaminata la censura con la quale il ricorrente ha evidenziato il dato del verbale di dissequestro del 18 marzo 2015 (in atti), il quale dà atto della data in cui il ricorrente è tornato nella disponibilità del bene per inferire che in data 24 febbraio 2015 non avrebbe potuto essere redatto alcun rapporto di inadempienza e che quello redatto sarebbe palesemente illegittimo. Inoltre, secondo il ricorrente, sarebbe illegittimo anche l’ordine di demolizione emesso in un momento in cui l'immobile era sottoposto a sequestro penale e non poteva essere eseguito.

La censura è da ritenersi tardivamente proposta se riferita all’ordine di demolizione in relazione al quale, con il primo ricorso per motivi aggiunti, tale censura non è mai stata formulata.

È fondata se riferita all’atto di acquisizione al patrimonio comunale.

Ed invero il C.G.A., nella sentenza del 20/12/2019 n. 1074, ha rilevato come « la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato abbia superato, con persuasivi rilievi, il precedente indirizzo secondo il quale l’esistenza di un sequestro penale non sarebbe di ostacolo all’esecuzione dell’ordine di demolizione poiché esisterebbe per il privato la possibilità di ottenere a tale fine il dissequestro dell’immobile, proprio per evitarne l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale.

Invero, con le decisioni della Sezione VI 17 maggio 2017, n. 2337, e 20 luglio 2018, n. 4418, sono stati offerti, in particolare, i seguenti incisivi argomenti (il testo è tratto da questa seconda pronuncia, nella parte in cui si illustrano i contenuti della prima e vi si aderisce).

“Si afferma, invero, … che l’eseguibilità dell’ingiunzione di demolizione di un bene sequestrato non può essere sostenuta sulla base dell’assunto della configurabilità di un dovere di collaborazione del responsabile dell’abuso ai fini dell’ottenimento del dissequestro;
tanto sia perché si riferisce ad una eventualità futura, astratta ed indipendente dalla volontà dell’interessato la stessa possibilità materiale di esecuzione dell’ingiunzione, sia perché finisce per imporre al privato una condotta priva di qualsiasi fondamento normativo, sia infine perché si risolve nella prescrizione di una iniziativa processuale (l’istanza di dissequestro) che potrebbe contraddire le strategie difensive liberamente opzionabili dall’imputato nel processo penale, interferendo inammissibilmente nell’esercizio di un diritto costituzionalmente protetto, quale quello di difesa.

Si aggiunge ancora che le misure contemplate dall’art. 31, commi 3 e 4 del T.U. Edilizia hanno un carattere chiaramente sanzionatorio e, come tali, esigono l’ascrivibilità dell’inottemperanza alla colpa del destinatario dell’ingiunzione rimasta ineseguita, elemento non sussistente in quanto il comportamento inerte del privato dipende non già da sua colpa ma da un altro provvedimento giudiziario che gli ha sottratto la disponibilità giuridica e fattuale del bene.

Da ultimo, si evidenzia che non può esigersi – e, giuridicamente, non lo si può in difetto di un’espressa previsione di legge in tal senso, stante anche il divieto di prestazioni imposte se non che per legge, ex art. 23 Cost. - che il cittadino impieghi tempo e risorse economiche per ottenere la restituzione di un bene di sua proprietà, ai soli fini della sua distruzione.

Orbene, il Collegio condivide le argomentazioni sopra esposte, al fine di affermare che, in presenza di un sequestro penale e nella vigenza dello stesso, il termine per l’ottemperanza non decorre fino a che tale misura cautelare non sia venuta meno ed il bene ritornato nella disponibilità del privato.

Deve, pertanto, ritenersi che l’ingiunzione comunque non possa produrre i suoi effetti nei confronti del privato fino alla restituzione del bene ad esso sottratto.

Da tale momento cominciano, infatti, a decorrere i 90 giorni per l’ottemperanza e, pertanto, l’acquisizione gratuita al patrimonio del Comune si verifica solo ove non si sia data esecuzione all’ingiunzione entro tale nuovo termine » (C.G.A., 20/12/2019 n. 1074).

Nel caso in esame è vero che il ricorrente non avrebbe potuto ottemperare in pendenza del sequestro penale, ed è altrettanto vero che, una volta avvenuto il dissequestro (in data del 18 marzo 2015), iniziavano a decorrere i 90 giorni per l’ottemperanza e, pertanto, l’amministrazione comunale avrebbe dovuto, prima di acquisire il bene al proprio patrimonio, verificare nuovamente la mancata esecuzione all’ordine di demolizione entro tale termine.

Merita condivisione anche la censura relativa alla errata indicazione nel provvedimento impugnato dei subalterni delle particelle catastali relative al fabbricato questione: si tratterebbe dei subalterni nn. 1 e 2 in luogo del subalterno n. 3 (per la prima volta indicato nell’atto di acquisizione al patrimonio comunale), dovuta probabilmente alle vicende che hanno interessato anche catastalmente il predetto fabbricato e che hanno determinato confusione non solo nei tecnici dell’amministrazione comunale ma anche in quelli di parte ricorrente (cfr. perizia di parte depositata in data 4 maggio 2021 che, nel descrivere l’immobile, lo individua come “identificato al NCEU al foglio di mappa n. 25, particella n. 710, subalterno 4”).

Peraltro, la planimetria catastale allegata all’atto impugnato (all. “B”) non specifica i cc.dd. “Subalterni”, essendo indicata, senza specificazione alcuna, l’intera particella n. 710 del mappale n. 25.

In assenza del requisito dell’identità o della esatta corrispondenza tra il contenuto dell’ordinanza di demolizione e quello dell’atto di acquisizione, quest’ultimo avrebbe dovuto autonomamente motivare le ragioni dell’acquisizione al patrimonio comunale dei beni ivi indicati, non potendosi produrre - in assenza di detta identità - l’effetto di (automatico) trasferimento del diritto sul bene e sulle aree indicate dall’art. 31, comma 2 del D.P.R. n. 380 del 2001.

Entro i limiti anzidetti il ricorso per motivi aggiunti va accolto, e per l’effetto va dichiarata l’inefficacia della disposta acquisizione al patrimonio comunale dell’immobile censito al foglio n. 25, particella n. 710, subalterno 3 del N.C.E.U. del Comune di Palermo, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione.

In conclusione il ricorso principale ed il primo ricorso per motivi aggiunti vanno rigettati;
il secondo ricorso per motivi aggiunti va accolto nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.

Il limitato accoglimento delle censure proposte giustifica la compensazione delle spese di lite.

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