TAR Salerno, sez. III, sentenza 2024-05-22, n. 202401113
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Testo completo
Pubblicato il 22/05/2024
N. 01113/2024 REG.PROV.COLL.
N. 00315/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 315 del 2024, proposto -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avv. F F, con domicilio digitale come da PEC
francesco.fersini@ordineavvocatiferrara.eu,
e dall’avv. C S, con domicilio digitale come da PEC
claudia.spirito@ordineavvocatiferrara.eu;
contro
Ministero dell’Interno –-OMISSIS-, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Salerno, domiciliata
ex lege
in Salerno al Corso Vittorio Emanuele, 58;
per l’annullamento
del -OMISSIS-
-Visti il ricorso e i relativi allegati;
-Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;
-Visti tutti gli atti della causa;
-Relatore nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2024 il dott. P R e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
-Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
FATTO e DIRITTO
1. Premesso che l’impugnato provvedimento di diniego del permesso di soggiorno è stato motivato dalla Prefettura di Salerno sulla scorta dell’esistenza di una sentenza di patteggiamento emessa nei confronti dell’odierno deducente dal Tribunale di Modena per l’illecito penale punito dall’art. 73, comma 1, D.p.r. n. 309/1990.
2. Al riguardo, parte ricorrente ha contestato l’esito dell’istruttoria svolta dall’Amministrazione, nella parte in cui è stata affermata la sussistenza del citato precedente penale, atteso che il Tribunale di Modena si sarebbe pronunciato, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., con riferimento al diverso illecito di cui all’art. 73, comma 5, D.p.r. n. 309/1990, reato non ostativo al rilascio dell’agognato titolo.
3. All’udienza del 9 aprile 2024 il Collegio ha rilevato la necessità di acquisire agli atti del giudizio la sentenza de qua, onerando, al riguardo, le parti costitute rinviando, pertanto, l’esame della domanda cautelare alla Camera di consiglio del 21 maggio 2024.
3.1. A seguito dell’acquisizione del richiamato provvedimento, depositato in atti il 24 aprile 2024 dall’Avvocatura Distrettuale costituita, è emerso come il Tribunale di Modena, in data 16 ottobre 2018, ha emesso a carico del deducente una sentenza di patteggiamento per il reato di cui all’art. 73, comma 5, D.p.r. n. 309/1990. Illecito, peraltro, dichiarato estinto con Ordinanza del 7 novembre 2023 del Tribunale di Modena – Sezione Penale.
All’udienza del 21 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione, con preavviso di possibile sentenza breve.
4. Rilevato, al riguardo, che con sentenze di accoglimento n. 1836 del 26 luglio 2023 e n. 2013 del 19 settembre 2023, rese su analoghi ricorsi, questa Sezione Staccata di Salerno ha dato continuità all’orientamento tracciato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 88/2023, secondo il quale è manifestamente irragionevole “ il provvedimento amministrativo di diniego, avente ricadute sulla regolarità del soggiorno dello straniero sul territorio nazionale, consegua automaticamente alla pronuncia di una sentenza di condanna per uno dei reati di cui all'art. 381 cod. proc. pen., proprio perché questi ultimi "non [sono] necessariamente sintomatici della pericolosità di colui che li ha commessi": è, infatti, significativo che l'applicabilità di detta misura richieda una valutazione in concreto circa la gravità del fatto commesso o la personalità del soggetto, risultando cioè subordinata "ad una specifica valutazione di elementi ulteriori rispetto a quelli consistenti nella mera prova della commissione del fatto" (sentenza n. 172 del 2012). Ne consegue che, all'esito dello specifico procedimento di emersione dal lavoro irregolare, è oggi possibile il rilascio del permesso di soggiorno a favore dello straniero, pur condannato per uno dei reati indicati dall'art. 381 cod. proc. pen., beninteso qualora l'amministrazione ritenga, con valutazione da compiersi caso per caso e rimessa alla sua discrezionalità di giudizio, che non sussistano minacce per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. […] Tale profilo svela un primo aspetto di manifesta irragionevolezza della disciplina generale sul rinnovo dei titoli di soggiorno. Infatti, la condanna per il reato qui preso in esame, se anche, ex ante, non influisce sul buon esito del procedimento di emersione (né sul conseguente rilascio del permesso per lavoro), determina invece il mancato rinnovo del titolo di soggiorno per lavoro qualora essa sopraggiunga ex post rispetto all'emersione stessa, con conseguente espulsione automatica del lavoratore emerso. Se, pertanto, in applicazione della "speciale" disciplina dell'emersione, come corretta dalla sentenza n. 172 del 2012 di questa Corte, è ben possibile il rilascio del permesso di soggiorno in favore di un lavoratore straniero condannato per il reato ex art. 73, comma 5, del D.P.R. n. 309 del 1990, è proprio la natura "unitaria" del complessivo procedimento e, insieme, la funzionalizzazione dell'emersione al rilascio del titolo a richiedere che i due sub-procedimenti siano uniformati, a livello di disciplina, verso un unico e coerente modello. In questa prospettiva, la conclusione cui è giunta questa Corte con la sentenza n. 45 del 2017 (di inammissibilità per contraddittorietà e lacunosità della motivazione dell'ordinanza di rimessione), in merito alla disciplina "speciale" applicabile all'intera sequenza procedimentale che parte dall'emersione e giunge al rilascio del permesso di soggiorno per lavoro, non può non trovare logico e coerente approdo anche nell'ambito della disciplina "generale" di cui all'art. 4, comma 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998, con riguardo al rinnovo di tale permesso. […] La disciplina censurata presta il fianco a ulteriori rilievi critici. Nel caso oggi in esame, esiste, infatti, la possibilità concreta di accadimenti contrari alla presunzione introdotta dalla norma censurata. Ben può verificarsi, invero, che uno straniero commetta il reato di cui all'art. 73, comma 5, del D.P.R. n. 309 del 1990, il quale, per la sua lieve entità, per le circostanze del fatto, per il tempo ormai trascorso dalla sua commissione, per il percorso rieducativo eventualmente seguito alla condanna, non sia tale da comportare un giudizio di pericolosità attuale riferito alla persona del reo. Risulta allora contrario al principio di proporzionalità, letto anche alla luce dell'art. 8 CEDU, escludere, in dette ipotesi, la possibilità che l'amministrazione valuti la situazione concreta, in relazione al percorso di inserimento nella società. Tanto più ove si consideri che si fa qui riferimento, come chiarito, alla sola ipotesi di rinnovo, e non di rilascio, del permesso di soggiorno: ciò che lascia intravvedere − particolarmente in considerazione della circostanza che si tratta di permesso per lavoro − un possibile processo di integrazione dello straniero, processo che sarebbe irreversibilmente compromesso ove non si consentisse la prosecuzione del percorso lavorativo intrapreso. Di tanto è necessario che l'amministrazione procedente dia conto nella valutazione che deve essere alla stessa rimessa, in sede di disamina della domanda di rinnovo del permesso, al fine di evitare che tale valutazione si traduca in un giudizio astratto e, per ciò solo, lesivo dei diritti garantiti dall'art. 8 CEDU. Il che, peraltro, è quanto già sostanzialmente accade nel nostro ordinamento per le fattispecie di rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. A norma dell'art. 9, comma 4, del D.Lgs. n. 286 del 1998, invero, il permesso di soggiornante di lungo periodo "non può essere rilasciato agli stranieri pericolosi per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato", con la precisazione che, ai fini di valutare la pericolosità, "si tiene conto" anche di eventuali condanne "per i reati previsti dall'articolo 380 del codice di procedura penale, nonché, limitatamente ai delitti non colposi, dall'articolo 381 del medesimo codice". Da ciò la necessità che l'amministrazione sia chiamata a compiere, caso per caso, un proprio apprezzamento, in quanto la pericolosità non è fatta discendere dalla mera sussistenza di una sentenza di condanna penale. Questa Corte ha, al riguardo, già avuto modo di precisare che, nel giudizio di legittimità costituzionale di norme che limitano, nei confronti degli stranieri, il godimento di diritti fondamentali della persona, non può ammettersi una differenziazione tra la situazione di coloro che godono dello status di soggiornanti di lungo periodo rispetto a quella di coloro che, comunque, sono legalmente residenti sul territorio nazionale, sia pure in forza dell'ordinario permesso di soggiorno (sentenza n. 54 del 2022). […] Va, infine, sottolineato che l'interesse dello Stato alla sicurezza e all'ordine pubblico non subisce alcun pregiudizio dalla sola circostanza che l'autorità amministrativa operi, in presenza di una condanna per il reato di cui si tratta, un apprezzamento concreto della situazione personale dell'interessato, a sua volta soggetto all'eventuale sindacato di legittimità operato dal giudice ”.
5. Recentemente, la Corte costituzionale, con sentenza n. 43 del 19 marzo 2024, ha altresì ribadito simili coordinate ermeneutiche con precipuo riferimento alla procedura in esame e all’art. 73 comma 5 del D.p.r. 309/1990: “In sostanza, al reato di piccolo spaccio si applica proprio quella disciplina dell’art. 381 cod. proc. pen., di cui si avvale l’art. 103, comma 10, lettera d), per attrarre i reati rispetto ai quali l’avvenuta condanna può essere adottata solo come indice di pericolosità da accertare in concreto, e non da presumere in astratto. 7.– Quanto appena illustrato evidenzia come il reato di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 – sia per come viene concepito dal legislatore nel sistema, sia per come si rapporta all’indice di pericolosità connesso all’arresto in flagranza – denoti una limitata offensività che contrasta in maniera sensibile con la presunzione assoluta di pericolosità, tanto più in quanto comporta l’automatica esclusione da procedure che consentono di addivenire alla regolarizzazione del rapporto di lavoro o alla stipula del contratto di lavoro. 7.1. – Questa Corte ha già in passato chiarito che le presunzioni assolute «violano il principio di eguaglianza se sono arbitrarie e irrazionali ovvero “se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell’id quod plerumque accidit”» (sentenza n. 253 del 2019, che richiama sul punto la sentenza n. 57 del 2013). Si disvela, dunque, una irragionevolezza della «presunzione assoluta tutte le volte in cui sia “agevole” formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa (ex plurimis, sentenza n. 213 del 2013, nello stesso senso, sentenze n. 202 e n. 57 del 2013)» (sentenza n. 88 del 2023). Ebbene, la norma oggetto dell’odierna censura associa alla condanna per un reato di lieve entità una presunzione assoluta di pericolosità che inibisce la possibilità stessa di verificare in concreto se lo straniero continui o meno a rappresentare una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza, al momento in cui viene presentata l’istanza di accesso alle procedure di cui all’art. 103, commi 1 e 2, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito. Sennonché questo contraddice l’id quod plerumque accidit, poiché, con riguardo a un reato di ridotta offensività, ben può desumersi la non pericolosità attuale di chi in passato ha subito per tale reato una condanna da una combinazione di indici che tengano conto: del tempo trascorso dal momento della condanna, dell’avvenuta espiazione della pena, del percorso rieducativo eventualmente seguito, del comportamento tenuto successivamente alla condanna e di ulteriori eventuali fattori ritenuti idonei (sentenze n. 88 del 2023, n. 202 del 2013 e n. 172 del 2012). L’irragionevolezza manifesta sottesa alla citata presunzione assoluta si dimostra tanto più evidente, in quanto determina l’automatica esclusione dalle procedure di cui all’art. 103, commi 1 e 2, di cittadini stranieri che, attraverso l’emersione del lavoro irregolare e la stipula di contratti di lavoro, possono acquisire tutti i diritti riconosciuti al lavoratore dal nostro ordinamento. La scelta di «subordinare la regolarizzazione del rapporto di lavoro al fatto che la permanenza nel territorio dello Stato non sia di pregiudizio ad alcuno degli interessi coinvolti dalla disciplina dell’immigrazione […] deve costituire il risultato di un ragionevole e proporzionato bilanciamento degli stessi, soprattutto quando sia suscettibile di incidere sul godimento dei diritti fondamentali dei quali è titolare anche lo straniero extracomunitario (sentenze n. 245 del 2011, n. 299 e n. 249 del 2010), posto che la condizione giuridica dello straniero non deve essere “considerata – per quanto riguarda la tutela di tali diritti – come causa ammissibile di trattamenti diversificati o peggiorativi” (sentenza n. 245 del 2011)» (sentenza n. 172 del 2012). 7.2.– L’automatismo previsto, con riferimento al reato di piccolo spaccio, dall’art. 103, comma 10, lettera c), del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, non solo vìola in maniera manifesta il principio di ragionevolezza, ma contrasta altresì con quello della proporzionalità, poiché inibisce l’accesso alle procedure di emersione del lavoro irregolare e di stipula di contratti di lavoro, quando in concreto può non sussistere alcuna minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza. L’estromissione assoluta di chi sia stato condannato per il piccolo spaccio dalle procedure di emersione e di conclusione di contratti di lavoro – stante la ridotta gravità di tale reato che non può di per sé escludere la dimostrazione della cessata pericolosità – esorbita dallo scopo di negare l’accesso a chi si dimostri una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza. A tal fine, infatti, basta consentire un accertamento in concreto della pericolosità, come quello previsto dal medesimo art. 103, comma 10, lettera d), che considera la condanna per i reati meno gravi, quelli di cui all’art. 381 cod. proc. pen., «quale indice di pericolosità dello straniero» da porre a base di un accertamento da effettuare in concreto e non da postulare in astratto. Di conseguenza, l’inquadramento del reato di piccolo spaccio nell’art. 103, comma 10, lettera c), del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, vìola in maniera manifesta i principi di ragionevolezza e di proporzionalità, tradendo la stessa ratio dell’art. 103, ispirata all’istanza di favorire l’integrazione lavorativa e sociale di persone che con il proprio lavoro avevano contribuito, spesso in condizioni di carenza di tutele, (o che potevano contribuire) ad apportare significativi benefici alla comunità dei consociati nel contesto dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. 7.3.– In definitiva, pur dovendosi riconoscere alla disciplina in esame una natura speciale, rispetto alla quale «il legislatore gode di ampia discrezionalità» (sentenza n. 209 del 2023), nondimeno, la norma censurata travalica il limite della manifesta irragionevolezza e sproporzione (ancora sentenza n. 209 del 2023 e, in senso conforme, sentenze n. 88 del 2023 e n. 172 del 2012) e, pertanto, la questione sollevata in riferimento all’art. 3 Cost. è fondata”.
6. Ritenuto, pertanto, che sussistono i presupposti stabiliti dall’art. 60 del cod. proc. amm. per la definizione del presente giudizio con sentenza in forma semplificata, palesandosi la manifesta fondatezza del motivo di gravame – con cui l’interessato ha lamentato che il gravato provvedimento non è supportato da un’adeguata motivazione circa gli elementi rilevanti da valutare discrezionalmente in concreto con riferimento alla sua presunta pericolosità sociale – e che il carattere assorbente del vizio dispensa il Collegio dall’esame delle restanti censure;
7. Ritenuto, in conclusione, di dover accogliere il ricorso, con l’annullamento dell'atto impugnato, facendo salve le ulteriori determinazione dell’Autorità amministrativa, chiamata a valutare in concreto la pericolosità sociale del ricorrente tenendo conto, da un lato, del tipo di reato commesso e, dall'altro, della sua condizione familiare e lavorativa in base agli elementi di fatto forniti dall'interessato ed operando, quindi, il necessario bilanciamento tra gli opposti interessi, fornendo un'adeguata motivazione sulla scelta operata.
8. Ritenuto di poter compensare eccezionalmente le spese di giudizio, fatto salvo il contributo unificato, che per legge va posto a carico dell’Amministrazione soccombente;
9. Ravvisati d’ufficio, infine, i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata;