TAR Napoli, sez. I, sentenza 2016-07-20, n. 201603755
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N. 03755/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00408/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 408 del 2016, proposto da:
Emilia Romagna Factor S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. G M e F I, con domicilio eletto presso gli stessi in Napoli, piazza Bovio, 22;
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente pro tempore e Commissario Straordinario del Governo ex Art. 33 D.L. 133/2013, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria in Napoli, Via Diaz, 11;
nei confronti di
Agenzia Nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Fabio Cintioli e Giuseppe Lo Pinto, con domicilio eletto presso lo studio legale dell’avvocato Maria Giulia De Marca in Napoli, Via Parco Margherita, 34;
Fallimento Bagnoli Futura S.p.a. non costituito;
per l'annullamento
in parte qua del d.p.c.m. del 15/10/2015 "interventi per la bonifica ambientale e la rigenerazione urbana dell'area di Bagnoli-Coroglio”.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dell’Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti S.p.a. e del Commissario Straordinario del Governo ex Art. 33 D.L. 133/2013;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 giugno 2016 il dott. Antonio Andolfi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso notificato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e all’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti, oltre che al fallimento Bagnoli Futura società per azioni e al commissario straordinario del governo ex articolo 33 del decreto-legge numero 133 del 2013, la società ricorrente impugna il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 15 ottobre 2015, pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 10 novembre 2015, con cui sono stati disposti interventi per la bonifica ambientale e la rigenerazione urbana dell’area di Bagnoli - Coroglio.
La Presidenza del Consiglio dei Ministri e il commissario straordinario governativo si costituiscono in giudizio per resistere al ricorso, con il patrocinio dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli.
Si costituisce anche l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti che chiede il rigetto del ricorso.
Con memoria depositata in prossimità dell’udienza fissata per la trattazione del ricorso, l’Agenzia nazionale resistente eccepisce la improcedibilità del gravame.
La società ricorrente, depositando memoria difensiva, insiste per l’accoglimento del ricorso.
L’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse viene eccepita anche dall’Avvocatura dello Stato.
All’udienza pubblica del 22 giugno 2016, il ricorso è trattato e posto in decisione.
DIRITTO
Il provvedimento impugnato è stato adottato in esecuzione dell’articolo 33 del decreto legge 12 settembre 2014, numero 133, cosiddetto decreto sblocca Italia, convertito in legge 11 novembre 2014, numero 164.
Come è noto, il citato articolo 33 del decreto sblocca Italia è dedicato alla bonifica ambientale e alla rigenerazione urbana delle aree di rilevante interesse nazionale.
Al comma 11 e ai commi seguenti, in deroga alla disciplina generale sulla bonifica delle aree inquinate di interesse nazionale, sono dettate regole speciali per il comprensorio di Bagnoli - Coroglio, giustificate dalle condizioni di estremo degrado ambientale in cui versano tali aree.
Al comma 12, in particolare, è individuata come soggetto attuatore delle attività in programma l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti, società per azioni “in house” dello Stato. Ad essa, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, la cui emanazione era prevista per la data del 30 settembre 2015, avrebbe dovuto essere trasferita la proprietà delle aree e degli immobili di cui risultava precedentemente titolare la società Bagnoli Futura, in stato di fallimento.
Lo stesso comma 12, prima della modifica legislativa recata dal decreto legge 30 dicembre 2015, numero 210, prevedeva che il soggetto attuatore costituisse una società di scopo, con capitale azionario aperto anche a soggetti privati;tale società avrebbe dovuto riconoscere alla procedura fallimentare di Bagnoli Futura un corrispettivo per le aree espropriate, determinato in base al valore di mercato degli immobili. Il corrispettivo avrebbe potuto essere versato anche mediante azioni o altri strumenti finanziari emessi dalla società di scopo. Il rimborso di questi titoli finanziari era comunque legato all’incasso effettivo delle somme che la società avrebbe acquisito all’atto della vendita delle aree e degli immobili ad essa trasferiti. Le modalità di tale rimborso avrebbero dovuto essere indicate con lo stesso decreto con cui si sarebbe disposta la nomina del soggetto attuatore.
Il provvedimento impugnato, decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 15 ottobre 2015, recante interventi per la bonifica ambientale e la rigenerazione urbana dell’area di Bagnoli - Coroglio, dispone l’attuazione della normativa appena richiamata.
In particolare, all’articolo 6, il decreto impugnato trasferisce all’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti la proprietà delle aree e degli immobili appartenenti alla società Bagnoli Futura in fallimento. Si dispone, quindi, il trasferimento di tali immobili da parte del soggetto attuatore alla società per azioni di scopo di cui al successivo articolo 7.
L’articolo 7 del provvedimento, pertanto, prevede che l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti costituisca la società per azioni di scopo e che, a fronte del trasferimento delle aree già appartenenti a Bagnoli Futura, la società di scopo così costituita riconosca alla procedura fallimentare di Bagnoli Futura un importo determinato in base al valore di mercato degli immobili, come valutato dall’Agenzia del demanio.
Il provvedimento prosegue stabilendo che, una volta determinato il valore di mercato degli immobili, la società di scopo versi tale corrispettivo alla procedura fallimentare mediante azioni o altri strumenti finanziari emessi dalla società stessa, da sola o congiuntamente al soggetto attuatore.
Si prevede, peraltro, che le azioni e gli strumenti finanziari di cui sopra potranno essere rimborsati ai legittimi titolari solo dopo che la società di scopo avrà conseguito il pagamento del corrispettivo della futura vendita delle aree bonificate;tale corrispettivo costituirà il valore massimo rimborsabile per le azioni o gli altri strumenti finanziari emessi. Le modalità di rimborso, comunque, saranno individuate con successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
Il provvedimento amministrativo appena esposto è impugnato dalla società ricorrente, in quanto lesivo degli interessi della curatela fallimentare della società Bagnoli Futura.
La società ricorrente rappresenta il proprio interesse a impugnare il provvedimento in quanto titolare di un diritto di credito nei confronti della curatela fallimentare.
Considerato che il patrimonio immobiliare di Bagnoli Futura costituisce pressoché totalmente la massa attiva su cui si possono soddisfare i creditori della società fallita, la ricorrente, in quanto creditrice, chiede l’annullamento del provvedimento governativo a tutela del proprio diritto di credito.
Il ricorso è proposto, principalmente, per illegittimità derivata del provvedimento impugnato, sollevando, con il primo motivo di impugnazione, la questione di legittimità costituzionale delle norme primarie di cui l’atto amministrativo costituisce attuazione.
Con il secondo motivo, peraltro, si deducono vizi propri del provvedimento attuativo, nella parte in cui si porrebbe in violazione dello stesso articolo 33 del decreto legge di cui si contesta la legittimità costituzionale.
Con il primo motivo, quindi, la ricorrente muove al provvedimento impugnato un duplice ordine di censure.
Innanzitutto, essa lamenta la illegittimità costituzionale delle norme cui viene data attuazione, sotto il profilo della violazione dei canoni di ragionevolezza e proporzionalità della legge, della violazione del principio del giusto indennizzo a fronte dei provvedimenti ablatori della proprietà, della violazione dei principi posti a tutela dei diritti patrimoniali dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo che costituiscono, a norma dell’articolo 117 della Costituzione, norme integrative dei parametri di costituzionalità delle leggi.
La ricorrente deduce, in particolare, l’illegittimità del provvedimento amministrativo in quanto riproduttivo delle regole recate dall’articolo 33, comma 12, del decreto sblocca Italia.
Si tratterebbe di una disciplina che rende l’indennizzo, apparentemente commisurato al valore di mercato dei beni, sostanzialmente incerto, indeterminato e sottoposto alla arbitraria determinazione di soggetti privati.
Infatti, non solo non sarebbero indicati i tempi di erogazione dell’indennizzo, ma esso sarebbe subordinato alla futura vendita dei beni espropriati da parte di una società di scopo aperta al capitale privato.
Inoltre, il rimborso dei titoli azionari che costituirebbero formalmente l’indennizzo troverebbe un limite nel corrispettivo che la società di scopo potrebbe ricavare dalla vendita degli immobili. Ne deriva che, qualora tale società, di natura privatistica, decidesse di vendere a prezzo inferiore a quello di mercato le aree interessate, l’effetto negativo di tale vendita non remunerativa andrebbe a ricadere esclusivamente sui titolari delle azioni ovvero la curatela fallimentare e i creditori del fallimento.
A giudizio del Collegio, la decisione sulla fondatezza delle censure dedotte deve dipendere necessariamente dalla valutazione delle sopravvenienze normative.
Come eccepito dalle controparti pubbliche, il comma 12 dell’articolo 33 del decreto legge sblocca Italia è stato completamente modificato dall’articolo 11 bis del decreto legge 30 dicembre 2015 numero 210, cosiddetto decreto milleproroghe, convertito in legge 25 febbraio 2016, numero 21.
La riscrittura della disposizione ha determinato la completa soppressione della società di scopo aperta ai privati.
Anche il meccanismo di indennizzo della curatela fallimentare di Bagnoli Futura è profondamente modificato, nel senso che il nuovo comma 12 riconosce alla procedura fallimentare un importo, corrispondente al valore di mercato delle aree e degli immobili trasferiti, come rilevato dall’Agenzia del demanio alla data del trasferimento della proprietà, da versare alla curatela fallimentare mediante strumenti finanziari di durata non superiore a 15 anni.
L’intervento del legislatore incide sulla procedibilità del ricorso, in relazione a questo primo gruppo di censure.
È vero che, in linea generale, l’abrogazione della legge anteriormente alla rimessione della questione di costituzionalità non determina, di per sé l’inammissibilità della questione per difetto di rilevanza, ove un determinato atto amministrativo sia stato adottato sulla base della norma poi abrogata (confronta Consiglio di Stato, sezione 6ª, 11 marzo 2015, numero 1261) dovendo essere esaminata la legittimità dell’atto con riguardo alla situazione di diritto e di fatto esistente al momento della sua adozione.
L’abrogazione, normalmente, opera solo per l’avvenire, a differenza della dichiarazione di incostituzionalità che rende la norma inefficace retroattivamente.
Per altro deve essere considerato, in senso contrario, che il provvedimento amministrativo impugnato produce i suoi effetti mediante distinti sub-procedimenti, ognuno necessariamente disciplinato dalla nuova legge.
In particolare, la determinazione dell’indennizzo spettante alla curatela fallimentare non potrà che avvenire in attuazione dei criteri introdotti dalla nuova formulazione del comma 12 del decreto-legge. Nello stesso senso, non sarà più possibile compensare la procedura fallimentare mediante titoli azionari, essendo ora previsto dalla legge che l’indennizzo sarà versato mediante strumenti finanziari di durata non superiore a 15 anni. È oramai escluso qualsiasi condizionamento della effettività dell’indennizzo rispetto alla vendita futura e incerta di beni di cui non è prevedibile la data di commerciabilità. Neppure sussiste la dedotta subordinazione della concreta determinazione dell’indennizzo rispetto alla volontà di soggetti privati, ora completamente estromessi dal procedimento amministrativo. In sostanza, sono venute meno tutte le ragioni di contestazione della legittimità del provvedimento impugnato, almeno con riferimento a questo primo ordine di motivi.
Ciò non significa che sia in radice esclusa la potenziale lesività della nuova disciplina dell’indennizzo.
Tuttavia, in assenza di alcun provvedimento applicativo della nuova norma di legge, impugnabile anche per illegittimità derivata, qualora anche la nuova normativa fosse sospettata di illegittimità costituzionale, deve ritenersi improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, l’impugnazione del provvedimento sotto i profili esaminati.
Con una seconda censura, proposta sempre nell’ambito del primo motivo di ricorso, la ricorrente deduce ancora la illegittimità derivata del decreto governativo, sollevando, questa volta, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 33 del decreto-legge per violazione del diritto di difesa, recato dall’articolo 24 della Costituzione e dall’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La lesione deriverebbe dall’aver sottratto alla disponibilità della procedura fallimentare le attività che avrebbero potuto costituire ristoro dei creditori di Bagnoli Futura.
La questione è manifestamente infondata, non essendo sostenibile una sorta di immunità della massa attiva fallimentare rispetto alla procedura espropriativa. I beni del fallimento, al pari di tutti gli altri beni di proprietà dei privati, possono essere espropriati, per ragioni di pubblico interesse, nei limiti stabiliti dalla Costituzione e dalla legge. Ne deriva che non esiste uno speciale privilegio a favore dei creditori fallimentari qualora anche i beni dell’impresa fallita siano espropriati legittimamente. Inoltre, come risulta dalla stessa proposizione del ricorso che viene deciso, nulla impedisce ai creditori della società fallita di agire in giudizio a tutela delle proprie pretese.
Con il secondo motivo, infine, la ricorrente impugna il provvedimento governativo per un vizio proprio.
Il decreto, non prevedendo espressamente le modalità di rimborso e i tempi dello stesso, si porrebbe in diretta violazione del richiamato articolo 33 del decreto-legge, dove era stabilito che le modalità di rimborso sarebbero state indicate proprio con il decreto di nomina del soggetto attuatore.
Il motivo è improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, per le stesse ragioni esposte a motivazione della dichiarazione di improcedibilità delle prime censure.
La ricorrente, in realtà, non ha più interesse a censurare la omessa indicazione, con il decreto di nomina del soggetto attuatore, delle modalità di rimborso delle azioni che la società di scopo avrebbe dovuto emettere a suo favore. Tali azioni, come risulta dalla normativa sopravvenuta, non verranno mai emesse, non essendo più nemmeno destinata ad esistere la società di scopo, per cui è venuto meno l’interesse della ricorrente a contestare la omessa indicazione dei criteri di rimborso delle azioni.
Il ricorso, in conclusione, è improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, fatta eccezione per la seconda questione di legittimità costituzionale sollevata con il primo motivo, in relazione alla quale l’interesse persiste, ma di cui è stata accertata la manifesta infondatezza, con conseguente reiezione della connessa impugnazione del provvedimento attuativo per illegittimità derivata.
Le spese processuali, tenuto conto della novità e della complessità delle questioni trattate, devono essere interamente compensate tra le parti.