TAR Trieste, sez. I, sentenza 2015-11-04, n. 201500479

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Trieste, sez. I, sentenza 2015-11-04, n. 201500479
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Trieste
Numero : 201500479
Data del deposito : 4 novembre 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00096/2015 REG.RIC.

N. 00479/2015 REG.PROV.COLL.

N. 00096/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 96 del 2015, proposto da:
Marina Resort Punta Gabbiani s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. R B, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. M G T in Trieste, Foro Ulpiano 3;

contro

Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dall'avv. M D dell’Avvocatura regionale, domiciliata in Trieste, piazza Unità D'Italia 1 presso gli Uffici dell’Avvocatura medesima;

per l'annullamento, previa sospensione cautelare

- del provvedimento in data 14 gennaio 2015, prot. n. 00000624/P, con il quale il Direttore del Servizio demanio e consulenza tecnica della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia ha rideterminato il canone demaniale dovuto dalla ricorrente, ai sensi dei commi 250 e ss. legge n. 296/2006 per gli anni che vanno dal 2007 al 2015;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 settembre 2015 la dott.ssa Manuela Sinigoi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

La società Marina Resort Punta Gabbiani s.p.a. espone di essere concessionaria nella Laguna di Marano di uno specchio acqueo della superficie di mq 70.382, di cui mq 53.750 per attracco natanti e mq 16.632 per area parcheggio, giusta decreto del Magistrato delle Acque di Venezia dd. 20 marzo 1986, prot. n. 20/0243 e disciplinare intercorso con il Provveditorato regionale alle OO.PP. dd. 20 febbraio 1986 (originariamente attribuito a S.A.F.I. s.p.a.).

Espone, inoltre, che la concessione, per la durata di 50 anni a decorrere dal 20 marzo 1986, era stata attribuita per la realizzazione (e conseguente manutenzione), con oneri a carico del concessionario, di un approdo turistico, costituito da pontili prefabbricati in c.a., il tutto per un ricovero di 278 natanti sul lato laguna e 141 sul lato interno, per un costo stimato di lire 2.934.416.500 e ulteriori lavori necessari per lire 949.320.680.

Il canone annuo previsto era di complessive lire 40.000.000, di cui lire 32.000.000 per lo specchio a laguna e lire 8.000.000 per lo specchio acqueo interno, in seguito ridotto a lire 32.000.000, in quanto la concessionaria, nel corso degli anni, non aveva realizzato la porzione di darsena su terreno privato.

Il direttore del Servizio demanio e consulenza tecnica della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, con provvedimento in data 14 gennaio 2015, prot. n. 00000624/P, ha rideterminato, però, il canone demaniale dovuto dalla società, ai sensi dei commi 250 e ss. dell’art. 1 della legge n. 296/2006 per gli anni che vanno dal 2007 al 2015.

Da qui il ricorso della società, affidato ai seguenti motivi di diritto:

1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 734, della legge 27.12.2013, n. 147

Parte ricorrente lamenta, in primo luogo, la violazione della seconda parte del comma, laddove è precisato che “La determinazione del canone contenuta nei provvedimenti di concessione rilasciati dal Magistrato delle acque di Venezia fino al 31 dicembre 2009 resta ferma fino alla scadenza della concessione e comunque non oltre il 31 dicembre 2020” . Ritiene, invero, che tale norma reca una disposizione di salvaguardia per tutte le concessioni rilasciate dal Magistrato delle Acque di Venezia entro il termine del 31 dicembre 2009, a prescindere, quindi, dal fatto che si tratti di concessioni di aree e pertinenze demaniali marittime relative alla laguna di Venezia (come prevede, invece, la prima parte del comma). Pone in evidenza, in particolare, l’effetto discriminatorio e violativo del principio di uguaglianza e parità di trattamento che si verificherebbe laddove tale disposizione venisse interpretata nel senso ritenuto dalla Regione ovvero se il blocco degli aumenti valesse solo per le concessioni relative alla Laguna di Venezia.

Rileva, inoltre, che:

- il trasferimento delle competenze relative al demanio marittimo è avvenuto a far data dall’1/7/2008, sicché il potere di rideterminare i canoni demaniali ha (eventualmente) decorrenza 1/1/2009;

- i canoni dal 2007 a 2009 sono coperti da prescrizione e non possono essere né rideterminati, né pretesi. Trova, invero, applicazione la prescrizione quinquennale ex art. 2948, per cui la rideterminazione, ove ammissibile, può riguardare le annualità a partire dal 2011.

Ritiene, infine, che il canone vada commisurato a ciò che è stato concesso e non in base a quanto è stato realizzato (che, tra l’altro, ha comportato un costo per il concessionario), anche in considerazione del fatto che, per quanto riguarda le strutture dedicate alla nautica da diporto, continua a trovare applicazione il d.m. 343/1998, non espressamente abrogato.

2. Violazione e falsa applicazione dei commi 251 e 252 dell’art. 1 della legge 296/2006. Violazione dell’art. 7 e ss. della legge 241/1990. Eccesso di potere nella configurazione dell’ingiustizia manifesta e del travisamento dei fatti, difetto assoluto di motivazione.

Parte ricorrente ritiene che l’iter procedimentale che ha condotto l’Amministrazione a determinare la nuova misura del canone è radicalmente viziato e, inoltre, che la nuova normativa (Legge Finanziaria 2007) non può trovare applicazione nella fattispecie, per i seguenti ordini di motivi:

- difetto di istruttoria e di motivazione, anche con riferimento agli accordi presi col privato nella fase precontrattuale e alla possibilità di imporre un sacrificio di tale portata;

- le nuove misure dei canoni si applicano alle nuove concessioni e non a quelle in corso. Investimento, canone e durata sono, infatti, elementi tra loro inscindibili. In un contratto in cui prevale l’aspetto privatistico non pare, peraltro, consentito a uno dei due contraenti mutare autoritativamente e in assenza di adeguata motivazione uno degli elementi del contratto, pena la frustrazione dei principi dell’affidamento e della buona fede;

- la possibilità di operare modifiche delle condizioni contrattuali nei rapporti di durata va contemperata con il rispetto del limite della ragionevolezza;

- nel caso di specie, non è dato verificare il corretto esercizio del potere discrezionale dell’Amministrazione volto a stabilire in concreto la determinazione del canone concessorio, con riferimento ai criteri astrattamente fissati dalla legge, in relazione alle caratteristiche dei beni in concessione. Il tutto, peraltro, senza inviare alla ricorrente la comunicazione di avvio del procedimento e senza consentirle di partecipare allo stesso;

- bisognerebbe, in ogni caso, distinguere tra le tipologie di concessione.

3. Contrasto della normativa di cui ai commi 251 e 252 dell’art. 1 della legge finanziaria 2007 con gli artt. 3, 4 e 97 della Costituzione della Repubblica Italiana.

Parte ricorrente ritiene che la previsione normativa contrasta con il principio dell’affidamento, con la tutela dell’impresa e con gli artt. 3 e 41 Cost., laddove dispone l’aggiornamento dei canoni demaniali per i rapporti concessori in corso senza prendere in considerazione le specifiche situazioni fattuali, senza tenere conto che i canoni sono determinati avuto riguardo anche agli investimenti effettuati dal concessionario e senza escludere dal suo ambito di applicazione per lo meno le concessioni che già contemplano canoni in linea con i prezzi di mercato avuto riguardo anche agli investimenti posti a carico del concessionario.

In via gradata, solleva anche questione di legittimità costituzionale.

4. Illegittimità del provvedimento per difetto di motivazione, dei conteggi e della esplicazione della misura dell’aumento

La Regione intimata si è costituita, con memoria, per resistere al ricorso. Dopo aver delineato il quadro di riferimento normativo (affermando che “… interviene anche in materia di canoni demaniali, rideterminandoli e introitandone il valore a partire dall’1/4/2009” e ciò sulla scorta degli artt. 9, comma 5, d.lgs. 111/2004 e 3 d.p.c.m. 9/2/2009) e ricostruito la vicenda procedurale, ha contestato la fondatezza delle censure ex adverso svolte e concluso per la declaratoria di inammissibilità per avvenuta acquiescenza e/o per la reiezione del gravame e della preliminare istanza incidentale volta alla concessione di misure cautelari.

Dopo la rinuncia della ricorrente all’istanza cautelare, la causa è stata chiamata alla pubblica udienza del 23 settembre 2015, in vista della quale le parti hanno affidato alle rispettive memorie conclusionali le proprie argomentazioni difensive.

La ricorrente ha ribadito, in particolare, che l’art. 1, comma 734, seconda parte, della legge 27.12.2013, n. 147 reca una disposizione di salvaguardia per tutte le concessioni rilasciate dal Magistrato delle Acque di Venezia entro il termine del 31 dicembre 2009, che il canone va commisurato a ciò che è stato concesso e non in base a quanto è stato realizzato e che la rideterminazione operata altera, in maniera irragionevole, il sinallagma contrattuale, in quanto non tiene conto degli (onerosi) interventi realizzati dal concessionario per la valorizzazione dei beni demaniali.

La Regione ha insistito, invece, per la declaratoria d’inammissibilità del ricorso, per lo meno con riferimento ai canoni versati fino all’annualità 2013, dato che, a suo avviso, parte ricorrente vi avrebbe prestato acquiescenza mediante il pagamento dei canoni in misura maggiorata, senza formulare alcuna riserva. Ne ha invocato, in ogni caso, la reiezione.

Parte ricorrente ha brevemente replicato, evidenziando, tra l’altro, l’insussistenza dei presupposti fattuali e giuridici per potersi ritenere operante l’istituto dell’acquiescenza.

Celebrata l’udienza, l’affare è stato introitato.

Va, in primo luogo, affermata la giurisdizione del giudice amministrativo, venendo in rilievo, nel caso di specie, non la mera determinazione del canone demaniale, ma la stessa applicabilità del canone (rideterminato) al rapporto ovvero la verifica dell’azione autoritativa della P.A. sul rapporto concessorio sottostante. Al riguardo, vanno, invero, confermate le considerazioni svolte da questo Tribunale nelle decisioni n. 18/2014 e n. 637/2014, cui si rinvia, nonché condivise le argomentazioni svolte da parte ricorrente nel ricorso introduttivo.

Va, poi, disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per intervenuta acquiescenza, sollevata dalla difesa della Regione, in quanto devesi convenire con parte ricorrente che l’acquiescenza – si atteggi essa quale acquiescenza ad un atto amministrativo o ad una decisione giurisdizionale - postula la (previa) esistenza di un atto (amministrativo o giurisdizionale, per l’appunto), di cui il destinatario, attraverso atti, comportamenti o dichiarazioni univoci, posti liberamente in essere, manifesta la chiara ed incondizionata volontà di accettare gli effetti e l’operatività. Non è, infatti, concepibile una rinuncia alla tutela giurisdizionale prima che l'interesse legittimo abbia subito concreta lesione.

Nel caso di specie, è, tuttavia, pacifico che l’unico atto amministrativo emesso nei confronti della società Marina Resort Punta Gabbiani è quello qui gravato, a dimostrazione che l’interessata non aveva nessuna intenzione di accettarlo. Nessun rilievo possono, pertanto, assumere i pagamenti in eccedenza, precedentemente effettuati dalla ricorrente in base alla (mera) convinzione dell’applicabilità delle disposizioni di cui alla legge n. 296/2006 al rapporto concessorio in essere.

Ad avviso del Collegio, in assenza di una disciplina positiva dell’acquiescenza nel settore pubblicistico, soccorrono, invero, ad avvalorare le considerazioni dianzi svolte le disposizioni di cui agli artt. 329 c.p.c. e 15, comma 2-bis, d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218.

Nel merito, il ricorso è fondato e va accolto.

Il Collegio ritiene, infatti, meritevoli di conferma e condivisione le considerazioni svolte da questo Tribunale su questioni analoghe nelle sentenze n. 18/2014 e 637/2014, cui si rinvia.

In particolare, nella prima delle due pronunce è stato opportunamente evidenziato che “Il concessionario (…) si trova al cospetto di un atto che, sebbene costituisca applicazione di una clausola di adeguamento dell'entità del canone a parametri normativamente stabiliti, produce tuttavia l'effetto della non riconoscibilità del rapporto nei suoi tratti originari e, dunque, in quelli che sono i suoi elementi essenziali.

Non può, infatti, ignorarsi che il canone di una concessione demaniale costituisce non solo il corrispettivo per il godimento e l'uso di un bene pubblico che si è attribuito ad un privato, ma rappresenta anche elemento capace di incidere significativamente sul calcolo della convenienza economica che l'operazione può avere per il concessionario.

Risulta evidente che la stima della redditività della gestione di un bene in regime di concessione è condizionata dalla possibilità di confidare ragionevolmente su un graduale aggiornamento dell'entità del canone che ponga al riparo il concessionario dal rischio di un imprevisto ed eccessivamente oneroso impegno contrattuale”.

Nella seconda “come assuma rilievo ai fini della decisione la circostanza che nel caso di specie la società concessionaria abbia effettuato consistenti investimenti per la realizzazione di strutture portuali, fabbricati e manufatti accessori, che al termine della concessione diverranno di proprietà dell’Ente concedente.

Ne discende una differenza sostanziale rispetto alla fattispecie presa in esame dall’articolo 1, comma 251, L. n. 296/2006, perche non si tratta di opere già esistenti, che la concessionaria ha ricevuto in concessione, ma di opere effettuate a proprie spese, e con un impegno economico di cui all’evidenza si è tenuto conto in sede di determinazione convenzionale del sinallagma, e in particolare del canone concessorio e della durata della concessione, pattuiti in misura tale da consentire di ammortizzare l’investimento.

Pertanto, la disciplina sopravvenuta deve intendersi come applicabile solamente agli impianti insistenti su aree demaniali, già di proprietà dell’Ente concedente e attribuiti in concessione al privato, che, dunque, non effettua rilevanti esborsi per realizzarle o per manutenerle. Solamente in questo modo viene salvaguardato il sinallagma originario della concessione di lunga durata e vengono differenziate le due su viste diverse ipotesi di concessione.

D’altro canto, una applicazione indifferenziata della nuova disciplina si risolverebbe in una modificazione in costanza di rapporto di uno degli elementi essenziali dello stesso, con il rischio che il concessionario si ritrovi vincolato in un impegno non più economicamente conveniente. La rimuneratività dell’investimento è, infatti, legata alla durata della concessione e all’ammontare del corrispettivo di concessione. Qui non si tratta, invero, di un mero adeguamento del canone concessorio, rientrante nella ordinaria evoluzione di un rapporto di lunga durata, ma di una sostanziale anticipazione, ai fini della determinazione del canone concessorio, del trasferimento degli impianti realizzati dal concessionario.

Pertanto, un’interpretazione costituzionalmente corretta non può che condurre ad una applicazione della disciplina di cui alla L. Finanziaria 2007 che tenga conto delle caratteristiche del bene oggetto di concessione quali erano all’atto di avvio del rapporto concessorio ovvero delle modifiche intervenute a cura e spese dell’Ente concedente, e non anche di quanto ivi realizzato, con investimenti in proprio, da parte del concessionario”.

Sicché, in accoglimento delle censure contenute e/o svolte nel primo e nel terzo motivo di impugnazione (laddove parte ricorrente rileva che: a- il canone va commisurato a ciò che è stato concesso e non in base a quanto è stato realizzato, anche in considerazione del fatto che, per quanto riguarda le strutture dedicate alla nautica da diporto, continua a trovare applicazione il d.m. 343/1998, non espressamente abrogato;
b- la previsione normativa contrasta con il principio dell’affidamento, con la tutela dell’impresa e con gli artt. 3 e 41 Cost., nella parte in cui dispone l’aggiornamento dei canoni demaniali per i rapporti concessori in corso senza prendere in considerazione le specifiche situazioni fattuali, senza tenere conto che i canoni sono determinati avuto riguardo anche agli investimenti effettuati dal concessionario e senza escludere dal suo ambito di applicazione per lo meno le concessioni che già contemplano canoni in linea con i prezzi di mercato avuto riguardo anche agli investimenti posti a carico del concessionario) e assorbite tutte le altre (dato che la pretesa di parte ricorrente trova comunque piena soddisfazione), il ricorso va accolto e, per l’effetto, annullato il provvedimento impugnato.

Le spese di lite possono essere, in ogni caso, compensate per intero, atteso che la decisione poggia su considerazioni di carattere interpretativo, rispetto alle quali non si è ancora formato un orientamento consolidato.

Ai sensi di legge, la Regione intimata sarà, però, tenuta a rimborsare alla società ricorrente (all’atto del passaggio in giudicato della sentenza), ai sensi dell’art. 13, comma 6 bis.1, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, come modificato dall’art. 21 della L. 4 agosto 2006, n. 248, il contributo unificato nella misura versata.

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