TAR Roma, sez. II, sentenza 2023-10-23, n. 202315617

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. II, sentenza 2023-10-23, n. 202315617
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202315617
Data del deposito : 23 ottobre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/10/2023

N. 15617/2023 REG.PROV.COLL.

N. 05977/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5977 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto dall’Associazione Il Grande Cocomero, in persona del suo legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocato S C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocato G P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l’annullamento

PER QUANTO RIGUARDA IL RICORSO INTRODUTTIVO

- della Determinazione Dirigenziale prot. N. QC 4871 del 29 febbraio 2016 n. 124 di Roma Capitale- Dipartimento Patrimonio Sviluppo e Valorizzazione - Direzione Gestione Amministrativa – U.O. concessioni – Locazioni - Servizio concessioni Immobili a Fini Societari, notificato in data 10.03.2016 all’Associazione Il Grande Cocomero, avente ad oggetto la procedura di riacquisizione della disponibilità del locale di proprietà capitolina sito in Roma via dei Sabelli 88/A nei confronti dell’Associazione Il Grande Cocomero, con estromissione degli stessi e delle eventuali masserizie ivi presenti, con delega alla Polizia Municipale e alle FFOO del compito di procedere all’esecuzione del provvedimento;

- dell’atto connesso n. prot. QC 4699 del 26 febbraio 2016 notificato anch’esso in data 10.03.2016

- di ogni atto e/o provvedimento presupposto, conseguente e comunque connesso agli atti impugnati, ancorché non conosciuto, in particolare l’atto Prot. QC 9819 del 15 aprile 2015;

PER QUANTO RIGUARDA I MOTIVI AGGIUNTI

- degli stessi atti impugnati con il ricorso introduttivo per le ulteriori ragioni esposte in detti motivi aggiunti;


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 ottobre 2023 il dott. Michele Tecchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il ricorso introduttivo in epigrafe, l’Associazione ricorrente – premesso di svolgere attività di volontariato per la ricerca e la cura nel campo della psichiatria dell’età evolutiva, nonché di aver goduto in regime di concessione di un immobile di proprietà di Roma Capitale sito in Via dei Sabelli n. 88/A (giusta atto concessorio del 31 luglio 1998 avente durate sessennale, scaduto in data 31 luglio 2004) – è insorta avverso il provvedimento di riacquisizione forzosa con cui Roma Capitale ha disposto il recupero coatto del possesso del bene (Determinazione Dirigenziale prot. N. QC 4871 del 29 febbraio 2016 n. 124), nonché avverso l’atto con cui Roma Capitale ha intimato alla stessa ricorrente il pagamento di una somma complessivamente pari ad € 116.438,72, a titolo di a titolo di indennità d’uso commisurata al valore di mercato “pieno” del bene immobile de quo (protocollo QC 4699 del 26 febbraio 2016), instando per il loro annullamento.

A sostegno della domanda di annullamento articolata con il ricorso introduttivo vengono sollevate, in particolare, le censure che di seguito si riassumono:

(i) con i primi tre motivi parte ricorrente si duole dell’illegittimità e/o eccesso di potere del provvedimento di riacquisizione forzosa, per essere lo stesso stato adottato in spregio della disciplina regolamentare comunale, in particolare delle norme sulla gestione delle concessioni dei beni comunali contenute nelle deliberazioni consiliari “storiche” n. 5625 del 1983, n. 26 del 1995 e n. 202 del 1996, nonchè nella più recente deliberazione della Giunta Capitolina n. 140 del 2015;
deliberazione quest’ultima che – pur prevedendo la necessità di un riordino delle concessioni di beni al fine di valorizzare il patrimonio comunale ed acquisire risorse economiche – ha però anche introdotto specifici criteri di azione e gradualità degli interventi, in modo da bilanciare l’interesse alla valorizzazione del patrimonio comunale con l’interesse delle associazioni che svolgono attività socialmente utili per l’Amministrazione;

(ii) con il quarto motivo (proposto da parte ricorrente in via meramente subordinata rispetto ai primi tre motivi), qualora si dovesse ritenere che la deliberazione di Giunta Comunale n. 140 del 2015 abbia modificato in senso peggiorativo le precedenti deliberazioni consiliari del 1983, 1995 e 1996, viene lamentata una presunta illegittimità per incompetenza di detta deliberazione giuntale, non potendo un atto della Giunta abrogare o modificare i regolamenti comunali adottati dall’organo consiliare;

(iii) con il quinto motivo parte ricorrente si duole dell’illegittimità e/o eccesso di potere del provvedimento di riacquisizione, per avere lo stesso violato – sotto le mentite spoglie di una generica esigenza di “ riordino gestionale del patrimonio capitolino ” – i principi scolpiti a livello costituzionale negli artt. 2, 3 e 118 Cost., in particolare il principio di sussidiarietà orizzontale di cui l’Associazione ricorrente è diretta espressione, in ragione delle attività sociali da essa meritoriamente svolte;

(iv) con il sesto motivo di ricorso parte ricorrente si duole dell’illegittimità dell’atto (protocollo QC 4699 del 26 febbraio 2016) con cui Roma Capitale ha intimato alla stessa ricorrente il pagamento di una somma complessivamente pari ad € 116.438,72 a titolo di indennità d’uso commisurata al valore di mercato “pieno” del bene de quo per il periodo successivo alla scadenza della concessione (e cioè dal 1° agosto 2004 in poi), nonché di indennità d’uso per gli spazi abusivamente occupati dal 2000 al 2004 (spazi diversi ed aggiuntivi rispetto a quelli oggetto di concessione), tutto ciò senza considerare la valenza sociale dell’attività svolta dall’Associazione (per la quale sarebbe giustificata l’applicazione di un’indennità ridotta del 20%, in tesi regolarmente versata) ed omettendo di valutare che i suddetti spazi sono stati bonificati e sanificati dalla ricorrente senza alcun reale utilizzo degli stessi.

Roma Capitale si è ritualmente costituita in giudizio, instando per la reiezione del ricorso di cui è stata eccepita l’infondatezza e - con riferimento all’atto di intimazione di pagamento dell’indennità d’uso - anche l’inammissibilità per difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo adìto.

All’esito della camera di consiglio fissata per la trattazione dell’istanza cautelare promossa con il ricorso introduttivo, il Collegio ha respinto detta istanza nella considerazione che “ il ricorso non appare assistito da adeguato fumus boni iuris in quanto l’impugnato provvedimento di riacquisizione si presenta come atto dovuto in assenza di idoneo titolo abilitativo all’occupazione dell’immobile ”.

Con successivi motivi aggiunti depositati in data 19 maggio 2017, parte ricorrente ha sollevato le seguenti ulteriori censure avverso gli atti già impugnati con il ricorso introduttivo:

(i) primo motivo : illegittimità del provvedimento di riacquisizione forzosa per essere lo stesso stato adottato in via “coatta”, in tesi soltanto a causa delle pressioni esercitate dal Vice Procuratore della Corte dei Conti nei confronti dei dirigenti del Dipartimento Patrimonio di Roma Capitale, i quali non sarebbero stati abbastanza solerti nelle iniziative di recupero degli immobili oggetto di concessioni (ormai scadute) in passato formalizzate con canone agevolato;

(ii) secondo motivo : illegittimità del provvedimento riacquisitivo impugnato per avere lo stesso disatteso le direttive impartite dalla deliberazione della Giunta Capitolina n.19 del 22 febbraio 2017, intitolata “ Integrazione della deliberazione della Giunta Capitolina n. 140 del 30 aprile 2015 recante “Linee guida per il riordino, in corso, del patrimonio in concessione ”.

Roma Capitale si è opposta anche alle doglianze sollevate con i summenzionati motivi aggiunti.

All’esito dell’udienza pubblica del giorno 8 marzo 2023, con ordinanza pubblicata in data 10 marzo 2023 il Collegio ha compulsato le parti a fornire alcuni chiarimenti istruttori in merito alla sussistenza (o meno) di una morosità dell’Associazione ricorrente alla data di emanazione del provvedimento riacquisitivo impugnato.

Seguiva il deposito di documenti e memorie in ottemperanza agli incombenti istruttori disposti dal Collegio.

All’udienza pubblica del giorno 11 ottobre 2023, il Collegio ha introiettato la causa in decisione.

DIRITTO

Il Collegio ritiene di dover esaminare partitamente i due gravami rispettivamente proposti con il ricorso introduttivo e i successivi motivi aggiunti, con la precisazione preliminare che:

(a) il primo contiene censure rivolte non soltanto nei confronti del provvedimento di riacquisizione forzosa dell’immobile, ma anche nei confronti dell’atto di intimazione di pagamento dei canoni concessori;

(b) il secondo contiene censure rivolte soltanto nei confronti del provvedimento di riacquisizione.

SUL RICORSO INTRODUTTIVO

Con i primi tre motivi di ricorso, parte ricorrente si duole di un’asserita contrarietà dell’atto impugnato rispetto alla disciplina regolamentare comunale, in particolare alle norme sulla gestione delle concessioni dei beni comunali contenute nelle deliberazioni consiliari “storiche” n. 5625 del 1983, n. 26 del 1995 e n. 202 del 1996, nonchè alla più recente deliberazione della Giunta Capitolina n. 140 del 2015.

In proposito, va osservato che se da un lato è vero che la Deliberazione della Giunta Capitolina n. 140 del 2015 imprime un ordine di graduazione temporale agli interventi di riacquisizione forzosa degli immobili che sono stati oggetto di concessioni scadute (sostanzialmente differendo – ma non impedendo affatto – i recuperi forzosi di immobili affidati in concessione ad associazioni che svolgono “ comprovate attività socialmente utili di interesse cittadino o municipale, su delega o per conto di Roma Capitale ”), dall’altro lato è anche vero, però, che rispetto a dette associazioni si rinvia per il resto al regolamento comunale n. 5625 del 1983.

Nel dettaglio, la Deliberazione della Giunta Capitolina n. 140 del 2015 stabilisce chiaramente che “ per gli utilizzatori quali Enti, organismi o Associazioni che svolgono comprovate attività socialmente utili di interesse cittadino o municipale, su delega o per conto di Roma Capitale, e enti ed organizzazioni internazionali riconosciute dall’ONU, si procederà nel rispetto del Regolamento sulle Concessioni (Consiglio Comunale n. 5625 del 1983)” .

Orbene, l’art. 3 delle norme transitorie e di prima attuazione di detto Regolamento n. 5625 del 1983 – pur prevedendo per le “ concessioni scadute ” che l’Amministrazione debba verificare se sia più opportuno (ai fini della miglior tutela dell’interesse pubblico) il recupero dell’immobile ovvero al contrario il rinnovo della concessione – stabilisce però anche che l’Amministrazione può procedere al rinnovo “ sempreché l’attività sia rimasta inalterata e non vi siano state gravi violazioni del disciplinare del rapporto scaduto ”.

Va da sé che in tanto può predicarsi l’obbligo di Roma Capitale di valutare l’ipotesi di un rinnovo della concessione affidata all’Associazione svolgente “ comprovate attività socialmente utili ”, in quanto quest’ultima non abbia commesso “ gravi violazioni del disciplinare del rapporto scaduto ”.

Il che non sembra essere il caso di specie, tenuto conto delle ripetute morosità di cui si è resa responsabile la ricorrente nel periodo che va dal 2013 al 2016, a titolo di indennità d’uso ridotta in misura pari al 20% del valore di mercato (vedasi a tal riguardo la nota di AequaRoma prot. 12587 del 29 maggio 2023, prodotta sub Allegato 8 da Roma Capitale in data 31 maggio 2023).

Ne discende che nel caso di specie il provvedimento di riacquisizione forzosa dell’immobile appare pienamente coerente con le direttive impartite dalla Deliberazione della Giunta Capitolina n. 140 del 2015, posto che a fronte della mancata corresponsione dell’indennità d’uso (in misura ridotta) nel periodo successivo alla scadenza della concessione, Roma Capitale non è tenuta a prendere in considerazione l’ipotesi di un rinnovo della concessione stessa.

Il che destituisce di fondamento l’assunto attoreo secondo cui l’Amministrazione resistente avrebbe dovuto – in base alla disciplina regolamentare – procedere a un giudizio di bilanciamento tra l’interesse erariale al recupero del cespite immobiliare e l’interesse pubblico alla continuazione del rapporto concessorio.

Va da sé che l’evocata Deliberazione della Giunta Comunale n. 140 del 2015 non incide affatto sull’ an del potere di riacquisizione forzosa dell’immobile concretamente esercitato nel caso di specie, ma semmai soltanto sul quando , non essendo per l’appunto revocabile in dubbio il fatto che Roma Capitale potesse recuperare anche gli immobili - oggetto di concessioni scadute e rispetto alle quali si sono riscontrate specifiche morosità - affidati in passato ad associazioni svolgenti attività socialmente utili.

Appurato quindi che nel caso di specie Roma Capitale era legittimata (sotto il profilo dell’ an ) all’adozione del provvedimento gravato, va aggiunto che detto provvedimento – oltre ad essere legittimo nell’ an appare immune da censure anche sotto il profilo del quando .

Ciò in quanto parte ricorrente avrebbe dovuto allegare e provare (al fine di dimostrare la presunta violazione dell’ordine temporale di azione stabilito dalla deliberazione giuntale n. 140 del 2015) che la riacquisizione forzosa intimata alla ricorrente è stata illegittimamente anticipata rispetto alla riacquisizione intimata ad altre associazioni svolgenti in tesi un uso socialmente “non meritorio” del bene oggetto di concessione.

Sennonchè, nulla di tutto questo è stato allegato e provato dall’odierna ricorrente.

Ne discende, pertanto, che non v’è in atti il benché minimo elemento da cui possa evincersi, anche solo indirettamente, che la riacquisizione forzosa di cui si discorre sia stata intimata in spregio dell’ordine “cronologico” prescritto dalla deliberazione n. 140 del 2015.

Né può postularsi alcun contrasto tra l’atto impugnato e le deliberazioni consiliari n. 26 del 1995 e n. 202 del 1996, atteso che il perimetro applicativo di detti regolamenti comunali – come si evince chiaramente dal disposto dell’art. 1 della deliberazione CC n. 26 del 1995 (successivamente confermato dalla posteriore deliberazione CC n. 202 del 1996) – ricomprende le sole “ occupazioni senza titolo formale accertate alla data del 31 dicembre 1994 di beni immobiliari ascritti al patrimonio disponibile ed indisponibile del Comune di Roma, ai fini delle loro regolarizzazioni che potranno essere deliberate nei termini di cui ai successivi articoli ”.

La disciplina regolamentare invocata da controparte e contenuta nelle deliberazioni consiliari n. 26 del 1995 e n. 202 del 1996 si applica, dunque, alle sole occupazioni sine titulo rimaste sempre prive di un “titolo formale”, e non anche ai rapporti concessori scaduti, rapporti che quindi – come nel caso di specie – sono stati regolati da un titolo formale.

Va da sé che la fattispecie de qua non rientra nel campo di applicazione delle deliberazioni consiliari n. 26 del 1995 e n. 202 del 1996, bensì in quello del surrichiamato regolamento n. 5625 del 1983 in materia di concessioni (a cui infatti rinvia la summenzionata deliberazione di Giunta Comunale n. 140 del 2015).

E si è già visto che detto regolamento comunale appare pienamente rispettato dal provvedimento di riacquisizione impugnato.

Le suesposte considerazioni conducono, pertanto, alla reiezione dei primi tre motivi di ricorso.

Quanto al quarto motivo di ricorso con cui parte ricorrente si duole - in via meramente subordinata - di un presunto vizio di incompetenza della deliberazione di Giunta Comunale n. 140 del 2015 (qualora essa venga interpretata come modifica peggiorativa delle precedenti deliberazioni consiliari del 1983, 1995 e 1996), anch’esso non appare meritevole di positiva valutazione.

Ciò in quanto la deliberazione di Giunta Comunale n. 140 del 2015 non ha introdotto alcuna modifica né delle deliberazioni consiliari del 1995 e 1996, né della deliberazione consiliare del 1983.

Non c’è alcuna modifica delle deliberazioni consiliari n. 26 del 1995 e n. 202 del 1996, perché la deliberazione n. 140 del 2015 va a regolare le concessioni scadute, mentre le deliberazioni consiliari del 1995 e del 1996 regolano la distinta fattispecie delle occupazioni rimaste sempre sine titulo .

Il perimetro applicativo della deliberazione n. 140 del 2015 è quindi sostanzialmente diverso rispetto a quello delle deliberazioni consiliari del 1995 e del 1996, ciò che esclude in radice che la prima possa aver modificato le seconde.

Non c’è poi alcuna modifica neppure della deliberazione consiliare del 1983 (e cioè del regolamento comunale sulle concessioni), atteso che in base a quanto già visto la deliberazione di Giunta Comunale n. 140 del 2015 rinvia proprio a detto regolamento comunale per le Associazioni no profit come l’odierna ricorrente.

Ne discende, pertanto, che anche il quarto motivo di ricorso va respinto.

Identica sorte merita, infine, anche il quinto motivo di impugnazione.

Il Collegio rileva, infatti, che il combinato disposto della deliberazione di Giunta comunale n. 140 del 2015 e dell’art. 3 delle norme transitorie e di prima attuazione della Deliberazione del Consiglio Comunale n. 5625 del 1983 (regolamento sulle concessioni) escludeva in radice la possibilità di un rinnovo della concessione nei confronti di un’Associazione di volontariato ripetutamente morosa, non potendosi ravvisare in tale disciplina regolamentare alcuna violazione dei principi “sociali” e di sussidiarietà orizzontale cristallizzati negli artt. 2, 3 e 118 Cost., bensì semmai un equo bilanciamento tra tutela dell’iniziativa sussidiaria delle formazioni sociali “intermedie” e tutela dell’interesse erariale a una prudente gestione del patrimonio pubblico.

Il che conduce alla reiezione anche del quinto motivo di ricorso.

Venendo infine all’esame del sesto motivo di ricorso, il Collegio non può fare a meno di osservare che esso pertiene esclusivamente al quantum dell’indennità di occupazione commisurata al canone di concessione.

Ne discende che tale motivo sconta il difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo adìto.

È evidente, infatti, che l’Amministrazione resistente quantifica la suddetta indennità non già nell’esercizio di un potere amministrativo discrezionale, bensì in applicazione di una cogente disciplina normativa.

In tal caso sussiste, per costante giurisprudenza in materia, la giurisdizione del Giudice Ordinario (cfr., da ultimo, Cassazione civile, sezioni unite 18 giugno 2020, n. 11867).

Tanto è confermato dal contenuto delle stesse censure articolate in gravame nei confronti della quantificazione dell’indennità di occupazione, che risultano tutte incentrate sui rigidi criteri di calcolo di detta indennità.

La pretesa a tutela della quale agisce la ricorrente, di conseguenza, attiene a un rapporto interno tra P.A. concedente e concessionario del bene o del servizio pubblico che si presta ad essere schematizzata nel binomio “obbligo-pretesa’”, mentre restano estranei alla fattispecie profili di verifica dell’azione autoritativa della P.A. sull’intera economia del rapporto concessorio, ciò che avrebbe ascritto il conflitto tra P.A. e concessionario al binomio “potere-interesse”, con conseguente configurabilità della giurisdizione del Giudice Amministrativo (per una diffusa analisi cfr. Tar Lazio Roma, sez. III ter, 23 dicembre 2015, n. 14510, che ha pure osservato come in tali casi si sia sostanzialmente in presenza di un’azione di accertamento in ordine alla spettanza o meno della riduzione, posizione che va qualificata come diritto soggettivo alla stregua del petitum sostanziale del ricorso, individuato dagli elementi oggettivi che caratterizzano la sostanza del rapporto giuridico posto a fondamento delle pretese).

Ne discende il difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo in ordine alle doglianze sollevate con il sesto motivo di gravame avverso il quantum dell’indennità di occupazione indicato nell’atto di intimazione di pagamento adottato da Roma Capitale in data 26 febbraio 2016 (protocollo QC 4699).

Per tutte le ragioni sopra esposte, pertanto, il ricorso introduttivo va respinto in quanto in parte infondato ( con riferimento al provvedimento di riacquisizione forzosa ) e in parte inammissibile per difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo ( con riferimento all’atto di intimazione di pagamento dell’indennità d’uso ), trattandosi di controversia riservata alla cognizione del Giudice Ordinario, innanzi al quale il processo potrà essere riproposto con le modalità e nei termini di cui all’art. 11 c.p.a.

SUI MOTIVI AGGIUNTI

I motivi aggiunti mirano a caducare il provvedimento di riacquisizione forzosa (già impugnato con il ricorso introduttivo) per ragioni in tesi ulteriori e sopravvenute rispetto a quelle invocabili alla data di notifica del ricorso introduttivo.

In disparte la questione della ricevibilità o meno di detti motivi aggiunti, il Collegio ritiene di poter prescindere da essa, tenuto conto della palese infondatezza delle doglianze con essi sollevate, in ossequio al criterio decisionale della “ragione più liquida”.

Il primo motivo aggiunto (con cui parte ricorrente si duole del fatto che il provvedimento impugnato sarebbe stato adottato dal dirigente di Roma Capitale nell’ambito di una situazione di metus rispetto al prospettato rischio di responsabilità erariale) è privo di fondamento in quanto basato su mere supposizioni e congetture.

Supposizioni che peraltro si infrangono su un dato irretrattabile, e cioè la pacifica scadenza della concessione, scadenza che rendeva necessario ed ineluttabile il provvedimento di riacquisizione forzosa adottato da Roma Capitale, irrilevante essendo la sussistenza (o meno) delle supposte pressioni.

Il primo motivo aggiunto va quindi respinto.

Identica sorte merita il secondo motivo aggiunto, con cui parte ricorrente si duole del fatto che il provvedimento di riacquisizione forzosa sarebbe stato adottato in dispregio delle direttive impartite dalla deliberazione della Giunta Capitolina n.19 del 22 febbraio 2017, intitolata “ Integrazione della deliberazione della Giunta Capitolina n. 140 del 30 aprile 2015 recante “Linee guida per il riordino, in corso, del patrimonio in concessione ”.

La ragione dell’infondatezza del motivo risiede nel fatto che l’invocata deliberazione della Giunta Capitolina risale al 22 febbraio 2017, e quindi ad una data successiva rispetto a quella in cui è stato adottato il provvedimento di riacquisizione ora impugnato (1° febbraio 2017).

Detta deliberazione non potrebbe quindi incidere retroattivamente sugli atti già adottati.

Anche il secondo motivo aggiunto va dunque respinto.

Conclusivamente, quindi, va rilevato che:

(i) il ricorso introduttivo va respinto in quanto in parte infondato e in parte inammissibile per difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo adìto;

(ii) i motivi aggiunti vanno respinti in quanto infondati.

Tenuto conto della peculiarità del caso e della natura no profit dell’associazione ricorrente, va disposta la compensazione delle spese del giudizio.

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