TAR Genova, sez. II, sentenza 2016-05-13, n. 201600469

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Genova, sez. II, sentenza 2016-05-13, n. 201600469
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Genova
Numero : 201600469
Data del deposito : 13 maggio 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00850/2015 REG.RIC.

N. 00469/2016 REG.PROV.COLL.

N. 00850/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 850 del 2015, proposto da:
D M, L M, G M, L M, G P, C V, F B S, N R, G Bgalupo, P P, G P, D B, P D, L S, G M, P T e C D M, tutti rappresentati e difesi dall'avv. D G, con domicilio eletto presso il suo studio in Genova, via Bartolomeo Bosco 31/4;

contro

Croce Rossa Italiana, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Genova, domiciliata in Genova, v.le B. Partigiane, 2;

per l'accertamento,

previa concessione di misure cautelari, dell’illegittimità del recupero di somme erogate a titolo di indennità sostitutiva di mensa.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Croce Rossa Italiana;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 aprile 2016 il dott. Angelo Vitali e uditi per le parti i difensori, come specificato nel verbale di udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso notificato in data 15.9.2015 un gruppo di appartenenti al Corpo militare della Croce Rossa Italiana (di seguito, C.R.I. senz’altro), agisce per l’accertamento dell’insussistenza dei presupposti per procedere al recupero, nei loro confronti, delle somme erogate a far tempo dal 2002 e fino al 2009, a titolo di indennità sostitutiva di mensa (c.d. buoni pasto), nonché per la condanna dell’amministrazione alla cessazione della procedura di recupero ed alla restituzione degli importi indebitamente trattenuti sulle retribuzioni.

In punto di fatto premettono: - che la C.R.I. ha istituito, fin dal 1998, il servizio sostitutivo di mensa mediante corresponsione di “buoni pasto”, dell’importo iniziale di € 4,65 (art. 17 del D.P.R. 16.3.1999, n. 255);
- che tale importo venne confermato dall’art. 17 del D.P.R. 13.6.2002, n. 163 (recante recepimento dello schema di concertazione per le Forze armate relativo al quadriennio normativo 2002-2005 ed al biennio economico 2002-2003);
- che la disciplina dei buoni pasto è contenuta nel contratto collettivo nazionale integrativo 2006-2009 per il personale non dirigente della C.R.I., che, all’art. 25 comma 6, esclude espressamente “ogni forma di monetizzazione indennizzante”;
- che, con determinazioni dirigenziali 12.10.2002, n. 107 e 13.7.2004, n. 224, l’importo del buono mensa venne fissato, rispettivamente, in € 7,23 e in € 8,93;
- che, a seguito di una verifica amministrativo-contabile condotta nell’anno 2008 dal Ministero dell’Economia e delle Finanze sulla C.R.I., sarebbe emersa – tra l’altro – l’illegittima erogazione di buoni pasto per importi superiori al dovuto (€ 4,65), sicché, con ordinanza commissariale 20.1.2009, n. 20 la C.R.I. rideterminò il buono pasto nella misura originariamente fissata dall’art. 17 del D.P.R. n. 255/1999 e confermata dall’art. 17 del D.P.R. n. 163/2002;
- che, nel frattempo, a decorrere dal 31.12.2008 il buono pasto spettante al personale delle Forze armate veniva rideterminato in € 7,00 dall’art. 7 del D.P.R. 16.4.2009, n. 51;
- che pertanto, con ordinanza commissariale 18.6.2009, n. 191, la C.R.I. rideterminava, con decorrenza 1.1.2009, il buono pasto nella misura di € 7.00 anche per il personale appartenente al Corpo militare della C.R.I.;
- che, con determinazione dirigenziale del capo del dipartimento risorse umane e organizzazione 4.8.2011, n. 122, la C.R.I. disponeva l’avvio del procedimento di recupero del valore dei buoni pasto erogato in eccesso nel periodo dal 2002 al 2009;
- che, sulla base di tali presupposti, la C.R.I. ha avviato, dal mese di dicembre 2011, il procedimento finalizzato al recupero delle maggiori somme versate a titolo di indennità sostitutiva di mensa per il periodo 2002-2009, per gli importi evidenziati a fianco del nome di ciascun ricorrente (pp.

6-8 del ricorso).

Fatta una breve premessa circa l’ammissibilità del ricorso, a sostegno del gravame hanno dedotto, nel merito, quattro motivi di ricorso, rubricati come segue.

1. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2033 cod. civ. in relazione alla violazione e/o falsa applicazione dell’ordinanza commissariale n. 20 del 20.1.2009. Eccesso di potere per difetto assoluto del presupposto. Travisamento. Sviamento di potere. Perplessità. Violazione del principio dell’affidamento. Violazione dei principi di imparzialità, trasparenza, buon andamento e pubblicità dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost.. Violazione del principio di tipicità degli atti amministrativi.

La C.R.I. avrebbe contravvenuto alle norme ed ai principi rubricati sotto tre profili: a) sia perché il procedimento di recupero è stato avviato a distanza di quasi dieci anni dalla erogazione dei buoni pasto nella misura contestata, quando nei ricorrenti si era ormai ingenerato un affidamento sulla congruità del loro valore nominale;
b) sia perché il recupero è derivato da un errore contabile commesso dall’amministrazione;
c) sia perché mai venne contestata ai ricorrenti la correttezza del numero di buoni pasto richiesti ed ottenuti.

Inoltre, il recupero delle somme indebitamente corrisposte sarebbe stato effettuato mediante un atto atipico.

2. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1219 e 2033 cod. civ. in relazione alla violazione e/o falsa applicazione dell’ordinanza commissariale n. 20 del 20.1.2009. Eccesso di potere per difetto assoluto del presupposto. Travisamento. Sviamento di potere. Perplessità. Violazione del principio del legittimo affidamento. Violazione dei principi di imparzialità, trasparenza, buon andamento e pubblicità dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost.. Violazione del principio di tipicità degli atti amministrativi.

Nel caso di specie, attesa la funzione dei buoni pasto – che non hanno natura di remunerazione economica, bensì sostitutiva di un servizio essenziale come il soddisfacimento delle esigenze alimentari dei lavoratori - ed il correlativo divieto di una loro monetizzazione, non si configurerebbe un caso di pagamento non dovuto (o “indebito oggettivo”) suscettibile di ripetizione ex art. 2033 cod. civ. (cita a conforto Cons. di St., VI, 27.10.2014, n. 5315).

In ogni caso, stante la buona fede dei percipienti, l’azione intrapresa dall’amministrazione avrebbe dovuto essere preceduta da un’adeguata ponderazione dei contrapposti interessi in gioco e della peculiare natura delle somme da recuperare.

3. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1219 e 2033 cod. civ. in relazione alla violazione e/o falsa applicazione dell’ordinanza commissariale n. 20 del 20.1.2009 sotto ulteriore e diverso profilo. Eccesso di potere per difetto assoluto del presupposto. Travisamento. Sviamento di potere. Perplessità. Violazione del principio del legittimo affidamento. Violazione dei principi di imparzialità, trasparenza, buon andamento e pubblicità dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost.. Violazione del principio di tipicità degli atti amministrativi.

L’amministrazione non avrebbe potuto procedere al recupero delle somme, ostando a ciò il legittimo affidamento ingenerato nei ricorrenti circa la legittimità dei buoni pasto erogati e la congruità del relativo valore nominale.

4. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1219 e 2033 cod. civ. in relazione alla violazione dell’art. 6 della legge 7.8.1990, n. 241 e s.m.i.. Eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria e di motivazione. Travisamento. Sviamento di potere. Perplessità. Violazione del principio del legittimo affidamento. Violazione del principio di imparzialità, trasparenza, buon andamento e pubblicità dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost.. Violazione del principio di tipicità degli atti amministrativi.

L’amministrazione avrebbe dovuto effettuare un’adeguata attività istruttoria circa il corretto valore nominale dei buoni pasto prima di erogarli, non a distanza di molti anni e su impulso di un organo di controllo (il Ministero dell’Economia e delle Finanze).

Si è costituita in giudizio con memoria di mero stile la C.R.I., instando per la reiezione del ricorso.

Con ordinanza 15.10.2015, n. 251 la Sezione ha accolto la domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione delle trattenute stipendiali.

Alla pubblica udienza del 22 aprile 2016 il ricorso è stato trattenuto dal collegio per la decisione.

DIRITTO

Preliminarmente, si osserva come non sussistano dubbi sulla giurisdizione del giudice amministrativo e sulla ammissibilità del ricorso, versandosi in un caso di giurisdizione esclusiva concernente il personale militare (artt. 3 comma 1 e 63 comma 4 del D. Lgs. 30.3.2001, n. 165).

Ciò posto, il ricorso è infondato.

Può innanzitutto darsi per pacifica la circostanza dell’indebita erogazione, dal 2002 al 2009, dei buoni pasto per un valore superiore a quello previsto per il personale militare della C.R.I. dall’art. 17 del D.P.R. 16.3.1999, n. 255 (€ 4,65) e, successivamente, dall’art. 17 del D.P.R. 13.6.2002, n. 163.

La circostanza – invero neppure contestata dai ricorrenti – è stata definitivamente confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato, VI, 31.1.2011, n. 722, che ha rigettato il ricorso proposto avverso i provvedimenti (segnatamente, l’ordinanza commissariale 20.1.2009, n. 20 – doc. 7 delle produzioni 9.10.2015 di parte resistente) di rideterminazione del valore dei buoni pasto.

Chiarito che vi è stato un indebito oggettivo, è noto come, secondo una costante giurisprudenza che il collegio condivide, “in caso di indebita erogazione di denaro pubblico l'affidamento del percettore delle somme e la stessa buona fede non sono di ostacolo all'esercizio, da parte dell'amministrazione, del potere dovere di recupero, in linea con il canone costituzionale di buon andamento, né l'amministrazione è tenuta a fornire un'ulteriore motivazione sull'elemento soggettivo riconducibile all'interessato o all'interesse pubblico al recupero, che è rinvenibile in re ipsa. Il solo temperamento al principio dell'ordinaria ripetibilità dell'indebito, è rappresentato dalla regola per cui le modalità di recupero devono essere non eccessivamente onerose in relazione alle condizioni di vita del debitore” (così Cons. di St., III, 21.1.2015, n. 201;
nello stesso senso cfr. id., 9.6.2014, n. 2902;
id., 3.2.2014, n. 470).

Considerato che non risulta maturata la prescrizione, e che i ricorrenti non contestano né l’esattezza degli importi da recuperare da ciascuno di essi, né l’eccessiva onerosità delle modalità di recupero poste in essere dall’amministrazione, nessuna rilevanza al fine di stabilire la legittimità della procedura di recupero può dunque assumere la buona fede dei percipienti ed il conseguente loro affidamento, che rilevano – semmai – ai limitati fini dell’obbligo di corrispondere i frutti e gli interessi, nel caso di specie non richiesti dall’amministrazione.

Parimenti, nessuna rilevanza assume la circostanza – pacifica - che il recupero derivi da un errore contabile commesso dall’amministrazione, ciò che non esclude la sussistenza dell’indebito oggettivo.

Infondata è anche la censura che contesta la atipicità del provvedimento amministrativo di recupero.

Nel caso di specie si verte infatti in materia di diritti soggettivi a contenuto patrimoniale (cfr. Cons. di St., n. 470/2014 cit.), in ordine ai quali le manifestazioni di volontà dell’amministrazione non comportano l’emanazione di provvedimenti amministrativi propriamente detti, adottati nell’esercizio di potestà discrezionale (così detti atti autoritativi), bensì comportano atti di adempimento a contenuto vincolato (così detti atti paritetici), rispetto ai quali non è predicabile la caratteristica della tipicità/atipicità.

Da ultimo, i ricorrenti affermano che, attesa la funzione dei buoni pasto – che non hanno natura di remunerazione economica, bensì sostitutiva di un servizio essenziale come il soddisfacimento delle esigenze alimentari dei lavoratori - ed il correlativo divieto di una loro monetizzazione (art. 25 comma 6 del contratto collettivo nazionale integrativo 2006-2009 per il personale non dirigente della C.R.I.), non si configurerebbe un caso di pagamento non dovuto, o indebito oggettivo, suscettibile di ripetizione ex art. 2033 cod. civ..

La tesi non è persuasiva, per due ordini di concorrenti ragioni.

Innanzitutto, perché la disposizione di cui all’art. 25 comma 6 del contratto collettivo nazionale integrativo 2006-2009 per il personale non dirigente della C.R.I. (“è esclusa ogni forma di monetizzazione indennizzante”) vale soltanto a vietare l’adempimento dell’obbligo contrattuale mediante datio in solutum di denaro, ciò che, in assenza della norma, sarebbe di regola consentito con il consenso del lavoratore ex art. 1197 cod. civ., ma non esclude certamente il carattere patrimoniale dell’attribuzione del buono pasto (art. 1174 cod. civ.), la cui valutazione economica è quella volta a volta stabilita dai C.C.N.L..

In secondo luogo – e soprattutto – perché, secondo la concorde dottrina e la giurisprudenza, nell'art. 2033 cod. civ. il termine “pagamento” non è riferibile soltanto ad una somma di danaro, bensì è comprensivo dell'effettuazione di ogni prestazione derivante da un vincolo obbligatorio, che risulti a posteriori non dovuta, abbia essa ad oggetto un dare o un facere, e ciò sia alla luce della disciplina dell'istituto, chiaramente concernente anche cose determinate diverse dal danaro, sia in base alla ratio degli artt. 2033 e seguenti c. c., diretti ad apprestare un rimedio giuridico completo per tutte le situazioni in cui un'attribuzione patrimoniale a favore di taluno sia stata eseguita senza una giustificata ragione giuridica (così Cass., 2.4.1982, n. 2029).

Dunque, la circostanza che il buono pasto sia sostitutivo del servizio di mensa non esclude affatto il suo carattere patrimoniale, e la sua indebita erogazione configura certamente un pagamento suscettibile – in mancanza di causa giuridica – di ripetizione ex art. 2033 cod. civ..

Sussistono nondimeno i presupposti di legge per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.

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