TAR Venezia, sez. II, sentenza 2018-05-24, n. 201800566

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Venezia, sez. II, sentenza 2018-05-24, n. 201800566
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Venezia
Numero : 201800566
Data del deposito : 24 maggio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 24/05/2018

N. 00566/2018 REG.PROV.COLL.

N. 00061/1999 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 61 del 1999, proposto da:
B D, rappresentata e difesa dagli avvocati M S, A S e F B, con domicilio eletto presso lo studio A S in Venezia, Santa Croce, 205;

contro

Comune di Sona (Vr), in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati F Z e G S, con domicilio eletto presso lo studio F Z in Venezia-Mestre, via Cavallotti, 22;

per l’accertamento

del diritto della ricorrente a percepire l'indennità economica di maternità di cui all'art. 15 L. 1204/71 e la condanna del Comune di Sona al relativo pagamento;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Sona (Vr);

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 aprile 2018 la dott.ssa Daria Valletta e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il ricorso di cui in epigrafe la B rappresentava di avere lavorato alle dipendenze del Comune di Sona, in forza di contratto di lavoro a tempo determinato, a far data dal 14.03.1989 e fino al 31.03.1990. All’epoca di cessazione del rapporto di lavoro la ricorrente era in stato di gravidanza, ed infatti in data 16.07.1990 diventava madre di una bambina: dunque, in data 5.05.1990, inoltrava all’INPS richiesta di pagamento dell’indennità economica di maternità, ma l’ente replicava che tale pagamento doveva essere richiesto al Comune datore di lavoro. Pertanto, in data 5.06.1990, la ricorrente indirizzava la richiesta di pagamento al Comune di Sona ma, vedendosi anche in questo caso opporre un rifiuto, adiva il Pretore del lavoro di Verona convenendo in giudizio entrambi gli enti, al fine di ottenere la condanna di quello tra i due che all’esito del giudizio fosse risultato debitore. Il Pretore di Verona, accertata la fondatezza della pretesa della B, condannava l’INPS al pagamento in favore della ricorrente dell’importo di L. 6.310.293, oltre interessi legali;
a seguito di impugnazione della sentenza, il Tribunale di Verona dichiarava il proprio difetto di giurisdizione quanto alla domanda avanzata nei confronti del Comune di Sona e confermava la condanna dell’INPS al pagamento dell’indennità di maternità, stabilendo però la decorrenza degli interessi legali dovuti in favore della B a far data dal 2.11.1990 (e cioè decorsi 120 giorni dalla presentazione della richiesta di liquidazione della prestazione).

Avverso la decisione di secondo grado l’INPS proponeva ricorso per Cassazione: la Suprema Corte, con la sentenza nr. 1745 del 6.03.1996, ritenute fondate le censure svolte dall’ente, accoglieva il ricorso, statuendo che, alla luce della disposizione interpretativa di cui all’art. 8 D.L. 103/91 come convertito in L.166/91, il soggetto tenuto alla corresponsione del trattamento economico di maternità doveva individuarsi nel Comune datore di lavoro. Di conseguenza la B, poiché il Comune di Sona non provvedeva al pagamento neppure in seguito, adiva questa Corte per ottenere la condanna di parte resistente al versamento delle somme dovute.


Il Comune di Sona, costituitosi in giudizio, eccepiva la prescrizione del diritto vantato dalla ricorrente: nel merito, l’ente contestava l’interpretazione delle norme applicabili al caso di specie siccome offerta dalla Suprema Corte nella sentenza già citata.

In particolare, osservava che l’art. 8 della legge n. 166 del 1991 non disciplinerebbe l’ipotesi qui in esame, e cioè quella in cui il rapporto di lavoro a tempo determinato sia venuto a cessare in epoca anteriore all’inizio del periodo di astensione dal lavoro da parte della lavoratrice: in tale ipotesi l’ente al quale compete la corresponsione dell’indennità di maternità dovrebbe continuare a individuarsi nell’INPS, come ritenuto dalla giurisprudenza anteriore all’intervento normativo in esame. Ed infatti, secondo la prospettazione di parte resistente, l’art. 8 della legge n. 166 del 1991 non avrebbe inteso risolvere in via di interpretazione autentica lo specifico problema dell’individuazione del soggetto obbligato nell’ipotesi di rapporto già cessato al momento dell’inizio del periodo di astensione.

Peraltro la norma, essendo entrata in vigore in epoca successiva al periodo per il quale veniva domandata l’indennità (maggio-ottobre1990), non potrebbe applicarsi, ratione temporis , al caso in questione: a tale norma, infatti, in quanto norma di interpretazione autentica, potrebbe attribuirsi efficacia retroattiva limitatamente alle specifiche questioni che essa intende risolvere in via interpretativa, e non anche in relazione a fattispecie diverse da quelle prese in considerazione.

Il Comune di Sona concludeva, dunque, per il rigetto del ricorso.

DIRITTO

1. Il ricorso è fondato e pertanto deve trovare accoglimento.

Preliminarmente, quanto all’eccezione di prescrizione del diritto azionato (genericamente sollevata dal Comune resistente in occasione della costituzione in giudizio e successivamente non coltivata), deve osservarsi che la stessa non è meritevole di accoglimento: la documentazione versata in atti comprova l’esistenza di molteplici atti interruttivi del corso della prescrizione che impediscono di ritenere maturata la fattispecie estintiva invocata (ed infatti, a seguito della richiesta di pagamento inoltrata al Comune nell’anno 1990, la ricorrente intraprendeva azione civile nei confronti dell’ente e il giudizio di secondo grado si concludeva con sentenza pubblicata in data 20.12.1993;
di seguito, il presente giudizio veniva introdotto con ricorso notificato in data 16.12.1998).


2. Nel merito si osserva che la pretesa vantata dalla ricorrente trova fondamento nel disposto degli artt. 15- 17, comma 3, L. 1042/1971, da leggersi alla luce della norma di interpretazione autentica dettata dall’art. 8 d.l. 29 marzo 1991, n. 103, convertito in legge 1 giugno 1991, n. 166: alla stregua del combinato disposto di tali norme deve affermarsi che spetta alle lavoratrici assunte a tempo determinato dalle amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo, dalle regioni, dalle province, dai comuni e dagli altri enti pubblici, il trattamento economico di maternità, da corrispondersi a carico delle amministrazioni o enti di appartenenza;
tale trattamento trova infatti titolo immediato e diretto nel rapporto di pubblico impiego, anziché in un rapporto previdenziale autonomo e distinto da esso.

Tali conclusioni, avvalorate da costanti orientamenti giurisprudenziali a far data dall’entrata in vigore della norma di interpretazione autentica citata ( cfr . Cass. 11 novembre 1992, n. 12149;
Cass. 15 dicembre 1994 n.10758; Consiglio di Stato, sez. V, 27 febbraio 1998, n. 205) devono ritenersi senz’altro applicabili al caso di specie, non apparendo in alcun modo condivisibile la tesi proposta dal Comune di Sona, a mente della quale la norma di interpretazione autentica non dovrebbe applicarsi nelle ipotesi –quale quella in ordine alla quale si controverte in questa sede- in cui il rapporto di lavoro sia venuto a cessare anteriormente all’inizio del periodo di astensione dal lavoro della lavoratrice madre. Si tratta, infatti, di una soluzione interpretativa che, pretendendo di distinguere nell’ambito delle ipotesi disciplinate dall’art. 8 citato tra i casi in cui il rapporto di lavoro sia ancora in corso all’inizio dell’astensione e quelli in cui sia già venuto a cessare, non trova alcun addentellato nella lettera (né nello spirito) della norma in esame.

Come infatti già osservato dalla Suprema Corte nella sentenza resa tra l’odierna ricorrente e l’INPS (sentenza nr. 1745 del 6.03.1996, resa all’esito di giudizio al quale il Comune di Sona era rimasto estraneo), la norma di interpretazione autentica introdotta nel 1991 si riferisce a tutte le ipotesi contemplate nell’art. 17 L. 1204/1971, e non vi sono ragioni per distinguere nell’ambito di esse tra le varie ipotesi e cioè tra quella contemplata dal primo comma, in cui la risoluzione del rapporto interviene durante i periodi di interdizione dal lavoro per astensione obbligatoria e tutte le altre ipotesi nelle quali il rapporto è già cessato quando ha avuto inizio il periodo di astensione. In tutti i casi in considerazione, infatti, l'insorgenza dell'obbligo di corrispondere l'indennità di maternità è comunque collegata al preesistente rapporto di lavoro: di qui l’individuazione nell’ultimo datore di lavoro del soggetto obbligato al versamento delle somme dovute.

Deve dunque concludersi che anche nel caso di cessazione del rapporto di lavoro a termine in epoca anteriore all’inizio dell’astensione obbligatoria è prorogata ex lege la tutela assicurativa della lavoratrice da parte del suo datore di lavoro ( cfr. Tar Veneto, 4 luglio 2012 nr. 1120): ne consegue che non appare in alcun modo rilevante la circostanza evidenziata da parte resistente per la quale il periodo in relazione al quale la B ha maturato il diritto al trattamento economico di maternità è anteriore all’intervento legislativo di cui all’art. 8 DL 103/91. Ciò in quanto, trattandosi di norma di interpretazione autentica che, come evidenziato, si riferisce anche alle ipotesi –quale quelle in esame- di cessazione del rapporto di lavoro anteriore all’inizio del periodo di astensione, essa non può che operare retroattivamente.

Poiché nel caso di specie è pacifico tra le parti che la B si trova nelle condizioni di cui all’art. 17, comma 3, L. 1204/1971 previste per la fruizione del trattamento economico di maternità (essendo venuto a cessare il rapporto di lavoro con il Comune in data 30.03.1990 ed essendo divenuta madre in data 16.07.1990), parte resistente deve essere condannata alla corresponsione in suo favore della somma di euro 3.258,99 (pari all’importo di L.

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