TAR Trieste, sez. I, sentenza 2010-06-10, n. 201000372

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Trieste, sez. I, sentenza 2010-06-10, n. 201000372
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Trieste
Numero : 201000372
Data del deposito : 10 giugno 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00007/2001 REG.RIC.

N. 00372/2010 REG.SEN.

N. 00007/2001 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7 del 2001, proposto da:
M S F, rappresentato e difeso dagli avv. S G, E N, con domicilio eletto presso Euro Buzzi Avv. in Trieste, via Giustiniano 8;

contro

Comune di San Vito al Tagliamento, rappresentato e difeso dagli avv. A A, M M, con domicilio eletto presso A A Avv. in Trieste, via Lazzaretto Vecchio 2;

per l'annullamento

previa sospensione dell'efficacia,

la revoca del provvedimento di intimazione dd. 11.10.2000 e annullamento e revoca di tutti gli atti connessi, coordinati e conseguenti.


Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di San Vito al Tagliamento;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 maggio 2010 il dott. Vincenzo Farina e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il ricorso n. 7/01

MIOTTO

Secondo Felice ha chiesto l’annullamento del provvedimento adottato dal Sindaco del Comune di S. Vito al Tagliamento prot. n. 24134 in data 11.10.2000, con il quale gli è stato ordinato di presentare entro il termine di 90 giorni dalla notifica del provvedimento stesso un progetto di ripristino dello stato dei luoghi, conseguente alla realizzazione, in area vincolata ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497, di un manufatto in blocchi di calcestruzzo e copertura con soletta di calcestruzzo, in assenza della prescritta concessione edilizia.

Il ricorrente esordisce ricordando di essere proprietario degli immobili siti in Comune di S. Vito al Tagliamento distinti in mappa al F. 5 Mapp. 176-177: i suddetti immobili sono stati da lui acquistati per atto di divisione intercorso con Miotto Enzo Luigi in data 15.11.1983, nello stato di fatto e di diritto in cui ancora oggi si trovano;
in particolare, veniva realizzato nel corso del 1963 sul mappale di cui sopra un manufatto in blocchi di calcestruzzo e copertura con soletta di calcestruzzo delle dimensioni di mt. 6,00, 3,90, 2,40.

La data di realizzazione del sedime – prosegue il deducente - risulta con chiarezza dalla perizia asseverata del Geom. Pighin allegata al ricorso;
il manufatto, sin dall’origine, ha avuto le caratteristiche di costruzione rurale ed è stato da allora destinato a deposito di attrezzature agricole;
in data 25.10.2000, il Comune di S. Vito al Tagliamento provvedeva a notificare all’odierno esponente un’intimazione avente ad oggetto la presentazione di un progetto di ripristino dello stato dei luoghi relativamente alla costruzione realizzata sul mappale sopra indicato: tale atto si fonda su una asserita mancanza di concessione edilizia necessaria per la realizzazione del manufatto “de quo”, come si legge sulla parte motiva del provvedimento comunale:

“Visto il rapporto del comando di Polizia Municipale in data 24.08.2000, dal quale risulta che presso gli immobili siti […..] sono state eseguite opere edili in assenza della prescritta concessione edilizia.

Accertato che le opere realizzate in assenza della prescritta concessione […..]

Visto l’art. 101 LR 52/91 […..]”

A sostegno del gravame il ricorrente ha dedotto i seguenti quattro mezzi:

1. VIOLAZIONE DI LEGGE PER FALSA APPLICAZIONE

L’intimazione del Sindaco di S. Vito al Tagliamento dell’11.10.2000 si fonda su una presunta assenza della concessione edilizia necessaria per costruire nel territorio del Comune: va tenuto presente – sottolinea l’istante - che l’immobile per cui è causa è stato edificato nel 1963;
pertanto, per giudicare la sua legittimità è necessario fare riferimento alla legislazione vigente all’epoca della costruzione.

A questo proposito il deducente ricorda che in Italia la legislazione urbanistica ha subito una evoluzione nel corso degli ultimi 60 anni, che ha visto progressivamente l’affermarsi di un regime via via più restrittivo: si è passati, infatti, da un codice di regolamentazione dell’edilizia libero, con il solo ambito di riferimento agli strumenti urbanistici ove esistevano (come disciplinato dalla L. n. 1150/1942), ad una più marcata pianificazione, quanto meno di contenimento laddove la strumentazione comunale non esisteva;
venne in tal senso promulgata prima la legge di riforma n. 765 del 1967, per poi giungere alla L. n. 10/1977 sulla edificabilità dei suoli;
nell’ambito della legislazione italiana il principio della licenza di costruzione venne introdotto per la prima volta dal D.L. n. 640/1935, il quale prescriveva l’obbligo della preventiva licenza del Sindaco al fine di eseguire costruzioni o portare modificazioni alle costruzioni esistenti in qualsiasi parte del territorio comunale.

Tuttavia – continua il ricorrente - con la successiva L. n. 1150/1942 la necessità di preventiva licenza venne limitata alle costruzioni interne ai centri abitati e alle zone destinate dal piano regolatore alla loro espansione (art. 31 L. cit.);
solo con la L. n. 765/1967 si torna all’obbligo generalizzato di licenza edilizia;
nel 1977 venne introdotto il regime concessorio, il quale impone tale provvedimento quale presupposto necessario per l’edificazione.

Nel provvedimento impugnato – si duole l’istante - il Comune di S Vito al Tagliamento ha omesso di indicare la data di realizzazione del sedime, ponendo in essere un’impropria applicazione della normativa contenuta nella legge regionale n. 52/1991 poiché in assenza di un necessario presupposto.

2. VIOLAZIONE DELL’ART. 3 L. 291/90 (recte: 241/90)

La motivazione su cui si fonda il provvedimento in oggetto – puntualizza il ricorrente - consiste nell’assenza di concessione edilizia;
ora, il sedime – come già ricordato - non necessitava della concessione edilizia: di qui l’erroneità della motivazione a causa di un colposo travisamento dei fatti sulla base dei quali si dispone la demolizione.

Già prima del 1990 – ricorda il deducente - la giurisprudenza riteneva che gli atti sfavorevoli dovessero recare adeguate e corrette motivazioni operate dall’amministrazione;
con la L. n. 241/90 il legislatore ha rafforzato il principio della corretta e puntuale motivazione, in forza del quale la potestà discrezionale dell’amministrazione pubblica può ritenersi esercitata solo quando la determinazione in cui essa si sostanzia si dimostra corretta: in base all’art. 3 L. n. 241/90 è imposto alla Pubblica Amministrazione di evidenziare con chiarezza i presupposti concreti dai quali muove l’iniziativa stessa;
nel caso di specie tali presupposti sono erronei cosicché la motivazione risulta viziata.

3. VIOLAZIONE DELL’ART. 7, C. 1° E DELL’ART. 8 L. 291/90 (recte: 241/90)

Sotto diverso profilo il ricorrente rileva che il procedimento impugnato risulta viziato per violazione ed inosservanza dell’obbligo della Pubblica Amministrazione di comunicare l’avvio del procedimento sanzionatorio ai sensi dell’art. 7 e 8 L. n. 291/90: costante ed uniforme giurisprudenza ritiene che la garanzia procedimentale sancita dalle succitate disposizioni e concretantesi nel rispetto dei principi della trasparenza, ha portata generale e non ammette deroghe se non nei casi previsti dall’art. 13 L. n. 291/90 (Atti normativi di generalità di pianificazione di programmazione);
l’intimazione impugnata non rientra in alcune delle succitate ipotesi previste per legge;
la Pubblica amministrazione aveva l’obbligo di comunicare tempestivamente all’odierno ricorrente l’avvio del procedimento amministrativo indicando secondo il disposto dell’art. 8 L. n. 241/90 l’amministrazione competente, l’oggetto del provvedimento, l’ufficio e la persona responsabile e l’ufficio nel quale sono depositati gli atti per la visione.

4. ULTERIORE MOTIVO

Risulta infine inconferente ed illegittimo il riferimento alla L. n. 1497/1939 – si lamenta il deducente – poiché l’organo competente a provvedere nell’ambito disciplinato da tale normativa è solo ed esclusivamente la Regione e non anche il Comune: di qui un possibile ulteriore vizio dell’atto per incompetenza oltre che per violazione di legge.

Si è costituito in giudizio l’intimato Comune di S. Vito al Tagliamento , chiedendo il rigetto del gravame.

Quest’ultimo è stato introitato dal Collegio ed è passato in decisione nella pubblica udienza del 26.5.2010.

In via prioritaria ed assorbente, coglie nel segno la censura relativa alla mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, in spregio all’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e, in subordine, la censura relativa alla insufficienza motivazionale, in relazione all’epoca della realizzazione del manufatto per cui è causa.

Sotto il primo profilo va detto che il citato art. 7 così recita:” 1. Ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento, l'avvio del procedimento stesso è comunicato, con le modalità previste dall'articolo 8, ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi. Ove parimenti non sussistano le ragioni di impedimento predette, qualora da un provvedimento possa derivare un pregiudizio a soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari, l'amministrazione è tenuta a fornire loro, con le stesse modalità, notizia dell'inizio del procedimento”.

Il Collegio osserva che costituisce principio generale dell'ordinamento quello secondo il quale deve essere sempre assicurata la partecipazione degli interessati al procedimento, di talché ogni disposizione che limiti o escluda tale diritto va interpretata in modo rigoroso e restrittivo al fine di evitare di vanificare o eludere il principio stesso;
pertanto, la comunicazione è necessaria pure in presenza di atti vincolati, in quanto la pretesa partecipativa del privato riguarda anche l'accertamento e la valutazione dei presupposti, sia di fatto che di diritto, sui quali deve comunque fondarsi la determinazione amministrativa, come nel caso di esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi e con specifico riferimento all'ingiunzione a demolire (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 29 gennaio 2004, n. 296 e 22 maggio 2001, n. 2823;
Sez. VI, 20 aprile 2000, n. 2443;
T.A.R. Lombardia, Brescia, 30 maggio 2006, n. 647).

Ed invero, non è fondatamente confutabile che la comunicazione è necessaria pure in presenza di atti vincolati, in quanto la pretesa partecipativa del privato riguarda anche l’accertamento e la valutazione dei presupposti, sia di fatto che di diritto, sui quali deve comunque fondarsi la determinazione amministrativa (Cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 29 gennaio 2004, n. 296 e 22 maggio 2001, n. 2823;
VI, 20 aprile 2000, n. 2443;
sez. V, 29 gennaio 2004, n. 296;
T.A.R. Lombardia, Brescia, 30 maggio 2006, n. 647): l’apporto del destinatario dell’atto è proficuo, potendo egli rappresentare fatti, elementi e circostanze utili, idonei da un lato ad indurre l’amministrazione a desistere dall’adozione di provvedimenti restrittivi e dall’altro a perseguire l’obiettivo della deflazione dei ricorsi, poiché in caso contrario al privato – per la difesa dei propri interessi – non residuerebbe che l’azione giurisdizionale, in contrasto con il principio di economicità dei giudizi.

La regola in commento non patisce eccezione nel caso di esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi e con specifico riferimento all'ingiunzione a demolire, tenuto conto che la giurisprudenza ha già avuto modo di affermare l’illegittimità dell’ordine di demolizione di un manufatto se non preceduto dall'avviso dell'avvio del relativo procedimento, ai sensi dell'art. 7 della L. n. 241/90 (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. II, 30 settembre 2005, n. 15724).

Nel caso di cui alla presente controversia va ulteriormente sottolineato che l’interessato non aveva già avuto modo di interloquire con il Comune procedente (come accade nel caso in cui l’ordine di demolizione sia preceduto da quello di sospensione dei lavori: la giurisprudenza ha ribadito, al riguardo, l’equivalenza ai fini della comunicazione di avvio del procedimento della ordinanza di sospensione dei lavori: cfr. Cons. St., V, 30 dicembre 1998, n. 1968 e 30 settembre 2002, n. 5058).

Va soggiunto che non può trovare applicazione l’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990, dato che l’amministrazione non ha dimostrato in giudizio che il contenuto del provvedimento impugnato non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Sotto questo assorbente profilo – la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento – il ricorso va accolto.

Quanto al secondo profilo – logicamente subordinato al primo – riguardante l’epoca della realizzazione del manufatto per cui è causa, il Collegio osserva che l’Autorità procedente non ha effuso adeguati ragguagli circa l’epoca di esecuzione del contestato abuso.

Occorre premettere che il provvedimento impugnato è stato adottato a mente dell’art. 101 della legge regionale 19 novembre 1991, n. 52.

Questa disposizione – per quello che qui rileva - così recita:

Interventi eseguiti in assenza di concessione, in totale difformità o con variazioni essenziali.

[……]

2. Il Sindaco, accertata l'esecuzione di opere in assenza di concessione, in totale difformità dalla medesima ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell'articolo 102, ingiunge la demolizione.

3. Se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime nonché l'area di pertinenza urbanistica sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del Comune.

[……]

12 bis. Qualora gli interventi ricadano in area vincolata, ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497, i provvedimenti sanzionatori previsti dal presente articolo assorbono quelli previsti dall'articolo 15 della legge 29 giugno 1939, n. 1497.

12 ter. Al fine dell'emissione dell'ingiunzione di cui al comma 2 il Sindaco intima al responsabile dell'abuso di presentare entro congruo termine il progetto di ripristino.

[……]”.

Ora, non sembra fondatamente dubitabile che la locuzione: “accertata l'esecuzione di opere in assenza di concessione” comporti in via prioritaria – prima della adozione dei provvedimenti repressivi - la positiva verifica da parte del Sindaco, attraverso una puntuale attività accertativa, che le opere necessitassero, all’epoca della loro realizzazione, della concessione edilizia.

L’indagine sindacale deve, pertanto, appurare: 1) l’epoca della realizzazione dell’opera;
2) l’assoggettamento o meno di quest’ultima – a quell’epoca - a concessione edilizia.

Contrariamente opinando, si violerebbe la ratio e la lettera dell’art. 101, che è volto a sanzionare le opere sprovviste dell’indispensabile titolo edilizio, con riferimento – evidentemente - all’epoca della loro realizzazione.

Nel caso di cui alla attuale controversia è mancata questa preliminare attività accertativa, dato che il verbale del sopralluogo eseguito dalla Polizia municipale il 24.8.2000 si limita, in modo del tutto apodittico, a riferire che il fabbricato sarebbe stato “realizzato da circa trent’anni […..]”.

Questo cenno all’epoca della costruzione in argomento non è stato, peraltro, neppure riprodotto nella gravata ordinanza, che nulla dice circa l’epoca della costruzione.

In sede di ricorso – come si è visto – il Miotto contesta il dato relativo all’epoca della costruzione de qua e, a sua volta, nella memoria difensiva, il Comune conferma il dato adducendo a sostegno alcune considerazioni.

Sotto quest’ultimo profilo occorre ricordare che, alla stregua dei principi generali, le postume argomentazioni difensive della Amministrazione resistente, nella parte in cui tendono ad integrare surrettiziamente la motivazione del provvedimento impugnato, non possono avere ingresso (Cfr., tra le molte, Cons. Stato, IV Sez., 21 luglio 1997, n. 732 e VI Sez., 24 luglio 1996, n. 988;
T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 23 luglio 2001, n. 418;
T.A.R. Calabria, Reggio Calabria,10 marzo 1999, n. 306): la motivazione dell'atto amministrativo non può essere formulata per la prima volta, o integrata, in sede processuale, ma deve trovare collocazione nel corpo dello stesso (Cfr. Cons. Stato, IV Sez., 28 marzo 1992, n. 347;
T.A.R. Basilicata, 23 dicembre 1996, n. 348).

Non sembra inutile aggiungere che il cenno comunale al regime di tutela paesaggistica – regime, peraltro, formalmente intervenuto solo nel 1989 – cui sarebbe sottoposta l’area su cui insiste il manufatto de quo, si appalesa inconferente, posto che il provvedimento impugnato si fonda essenzialmente sulla mancanza della concessione edilizia (pur richiamando la natura vincolata dell’area).

Ordunque, le postume motivazioni comunali non possono avere ingresso.

Occorre riferirsi esclusivamente al bagaglio giustificativo recato nel provvedimento impugnato.

Se così è, non può non constatarsi una obbiettiva carenza di quest’ultimo, anche in relazione alla propedeutica attività istruttoria, palesemente insufficiente sul punto: di qui la illegittimità del provvedimento anche per l’accertata violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990.

Sotto forma di obiter dictum – atteso che questo profilo non figura nel ricorso – può ravvisarsi anche la violazione dell’art. 101 della legge regionale 19 novembre 1991, n. 52, per essere mancata la propedeutica attività accertativa di cui si è detto, con conseguenziali riflessi sul quadro motivazionale del provvedimento repressivo.

In conclusione, alla stregua delle suesposte considerazioni – assorbiti gli altri mezzi - il ricorso va accolto, e, per l’effetto, va annullato il provvedimento impugnato, meglio indicato in epigrafe.

Le spese del giudizio – alla stregua della regola generale - seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

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