TAR Campobasso, sez. I, sentenza 2013-09-17, n. 201300537

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Campobasso, sez. I, sentenza 2013-09-17, n. 201300537
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Campobasso
Numero : 201300537
Data del deposito : 17 settembre 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00517/2009 REG.RIC.

N. 00537/2013 REG.PROV.COLL.

N. 00517/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 517 del 2009, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
F F, rappresentato e difeso dall'avv. G S, presso il cui studio in Campobasso, via P. di Piemonte n. 6/C, è elettivamente domiciliato,

contro

Ministero della Difesa, in persona del Ministro p. t., Comando della Legione Carabinieri Molise, in persona del Comandante p. t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Campobasso, via Garibaldi n. 124,

per l'annullamento

del decreto dirigenziale n. 0402/III-9/2009 del 29 ottobre 2009 con il quale è stato disposto nei confronti del ricorrente la sospensione disciplinare dall’impiego, ai sensi dell’art. 21 della legge 31 luglio 1954, n. 599 per la durata di mesi 2 (due) a decorrere dal 1° dicembre 2009, nonché di ogni atto presupposto, connesso o dipendente;

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’amministrazione intimata;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 luglio 2013 il dott. Massimo Santini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con sentenza n. 457 del 10 dicembre 2002, il Tribunale militare di Napoli dichiarava F F, maresciallo dei Carabinieri in servizio presso il nucleo radiomobile di Campobasso, colpevole del reato di truffa militare pluriaggravata, per avere utilizzato il timbro di quel reparto per spedire lettere di carattere strettamente personale, così procurandosi un ingiusto profitto, pari ad oltre 11 euro, equivalente ai costi di affrancatura e spedizione. Veniva dunque condannato alla pena di mesi due di reclusione militare, poi sostituita da misura pecuniaria.

In data 24 marzo 2005, veniva di conseguenza avviato il procedimento disciplinare che si concludeva con l’irrogazione della sanzione della sospensione disciplinare dall’impiego per mesi quattro.

Nel frattempo, veniva avviato un nuovo procedimento penale, per ulteriori analoghi fatti (questa volta per un ingiusto profitto pari ad oltre 118 euro), che si concludeva con la sentenza n. 5 del 3 febbraio 2009 di non doversi procedere per estinzione del reato in ragione dell’intervenuta prescrizione.

Osserva sin da ora il Collegio che il Tribunale militare di Napoli ha in ogni caso evidenziato, in quella stessa sede, la mancanza di elementi idonei a consentire un proscioglimento con formula piena, ai sensi dell’art. 129 c.p.p., tenuto conto dei numerosi elementi emersi a carico dell’imputato.

Veniva dunque avviato nuovo procedimento disciplinare, in data 10 giugno 2009, che si concludeva con l’ulteriore provvedimento di sospensione dall’impiego per mesi 2 (due).

Tale ultimo provvedimento viene qui impugnato per i motivi di seguito sintetizzati:

a) incompetenza, in quanto l’inchiesta disciplinare avrebbe dovuto essere condotta da un ufficiale con il grado non inferiore a Maggiore, mentre - nel caso di specie - è stata svolta da un Capitano;

b) difetto di motivazione, sia perché l’Amministrazione avrebbe utilizzato formule di stile, sia perché non avrebbe tenuto conto delle osservazioni formulate in sede disciplinare dall’odierno ricorrente;

c) illogicità e contraddittorietà dell’azione amministrativa in quanto, pur a fronte di fatti di identica natura, l’Amministrazione avrebbe adottato prima una sanzione pari a quattro mesi di sospensione, poi una sanzione più lieve pari a mesi due;

d) violazione dell’art. 117 del DPR n. 3 del 1957, in quanto l’Amministrazione non avrebbe atteso, prima di avviare l’inchiesta formale, l’esito della connessa vicenda penale;

e) eccesso di potere per violazione del principio del ne bis in idem , in quanto l’Amministrazione avrebbe punito il medesimo fatto per due volte con due distinte misure disciplinari, rispettivamente pari a mesi quattro e a mesi due di sospensione dall’impiego. Né avrebbe al riguardo proceduto alla riunione dei relativi procedimenti;

f) violazione di legge nella parte in cui l’Amministrazione avrebbe posto quale unico fondamento della propria decisione sanzionatoria le risultanze del processo penale militare, con conseguente violazione del principio di autonomia del procedimento penale e di quello disciplinare.

Si costituisce in giudizio l’Amministrazione intimata, per chiedere il rigetto del gravame, mediante articolate controdeduzioni che formeranno nel prosieguo oggetto di specifica trattazione.

Alla pubblica udienza del 25 luglio 2013 la causa è infine trattenuta in decisione.

Tutto ciò premesso in fatto, il ricorso è da ritenersi infondato, per le ragioni di seguito indicate.

Quanto al motivo sub a), si osserva che la circolare n. 457 del 15 ottobre 1955, recante norme applicative della legge n. 599 del 1954 per i giudizi disciplinari relativi a sottufficiali, prevede che <<qualora l’inquisito sia Sottufficiale dell’Arma dei Carabinieri, l’ufficiale inquirente deve appartenere all’Arma e può rivestire il grado di Capitano>>. Pertanto, correttamente l’inchiesta disciplinare è stata svolta da un ufficiale rivestente il grado di Capitano.

La censura deve, dunque, essere respinta.

Va parimenti respinta la censura sub b), riguardante il difetto di motivazione, atteso che il provvedimento, nel descrivere la condotta tenuta dal ricorrente, qualifica la medesima in termini di contrarietà <<ai principi di moralità e rettitudine che devono improntare l’agire di un militare, ai doveri attinenti al giuramento prestato ed ai doveri di correttezza ed esemplarità propri dello status di militare e di appartenente all’Arma dei Carabinieri>>.

Di qui la congruità della motivazione e la adeguata proporzionalità delle misura inflitta, che non può certamente essere scalfita, data la gravità delle infrazioni commesse, né dalle precedenti valutazioni caratteristiche, né tanto meno dalle pendenze penali conclusesi in favore del ricorrente stesso, in ragione della intervenuta prescrizione.

La censura non può, pertanto, trovare ingresso.

Quanto alla doglianza sub c), con la quale si lamenta illogicità e sproporzionalità dell’azione amministrativa, per avere l’Amministrazione irrogato, per fatti analoghi, prima una sanzione pari a quattro mesi di sospensione, poi a due mesi, si evidenzia in via assorbente come il ricorrente, impugnando soltanto la seconda, non abbia a ben vedere un concreto interesse a reagire contro la più lieve delle due sanzioni, di guisa che la censura è inammissibile. In altre parole, qualora si dovesse accedere alla tesi di parte ricorrente, occorrerebbe equiparare, in termini di entità, la seconda sanzione alla prima, il che sarebbe contrario e soprattutto illogico rispetto all’interesse coltivato dal ricorrente che, almeno in ipotesi, dovrebbe essere quello di eliminare del tutto il provvedimento disciplinare in questa sede impugnato e non quello di subire una sanzione più pesante quale quella in origine comminata.

E ciò a tacere del fatto che, per consolidata giurisprudenza, nel procedimento disciplinare nei confronti dei pubblici dipendenti, ivi compreso il personale militare, l’Amministrazione è titolare di un’ampia discrezionalità, in ordine alla valutazione dei fatti addebitati al dipendente, circa il convincimento sulla gravità delle infrazioni addebitate e sulla conseguente sanzione da infliggere (cfr.: T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 29 agosto 2012, n. 1482). Ne deriva che il sindacato giurisdizionale non può addentrarsi nel merito della valutazione della gravità dei comportamenti addebitati e della proporzionalità della sanzione inflitta, salvo che nei casi di manifesta irragionevolezza e illogicità o di palese incongruità e abnormità (cfr.: T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 1° giugno 2012, n. 5008).

Per le ragioni suddette, la censura non può dunque trovare ingresso.

La censura sub d), con la quale si lamenta la violazione dell’art. 117 del DPR n. 3 del 1957, è inattendibile in punto di fatto, dal momento che risulta per tabulas che la sentenza penale è divenuta irrevocabile il 10 aprile 2009, mentre il sotteso procedimento disciplinare è stato avviato mediante inchiesta formale soltanto il successivo 11 giugno 2009.

Parimenti, non sussiste la violazione del principio del ne bis in idem (censura sub e) atteso che, mentre la prima delle sanzioni si riferiva a due missive inviate ad altrettanti colleghi, che avrebbero dovuto comparire quali testimoni davanti a un processo in cui era coinvolto il ricorrente, la seconda sanzione riguarda plurime missive inviate a società private per affari personali, missive di auguri, lettere indirizzate a propri difensori in cause civili e penali, comunicazioni alla ex consorte e persino ordini di acquisto relativi a capi di abbigliamento.

Di qui la presenza di nuovi e diversi addebiti rispetto a quelli iniziali e, dunque, l’infondatezza della relativa censura, considerato peraltro che, ai sensi del regolamento interno di cui al decreto dirigenziale in data 10 agosto 2006 (recante <<Guida tecnica – norme e procedure disciplinari>>), la riunione dei due procedimenti, pure invocata da parte del ricorrente <<trova un limite nel caso in cui, per fatti diversi riconducibili alla stessa vicenda, risultino instaurati nei confronti dello stesso militare più procedimenti penali dei quali non sia stata disposta la riunione>>
(punto n. 7 della citata Guida).

Il motivo sub f) non può, del pari, trovare ingresso in quanto, anche a volere ammettere una autonoma istruttoria e valutazione della p.a., il ricorrente non ha in alcun modo contestato la dinamica dei fatti contestati, frutto, tra l’altro, di obiettivo accertamento nella competente sede penale (all’interno della quale, si rammenta, non si è pervenuti a una sentenza di assoluzione nel merito in quanto <<l’istruzione dibattimentale … ha comunque evidenziato sia una ricostruzione del fatto in termini di accertamento della sua sussistenza sia della sua attribuibilità all’odierno prevenuto>>).

A ciò si aggiunga che anche la Corte dei conti, con sentenza n. 119 del 23 marzo 2009, ha condannato il militare alla rifusione delle spese, per i danni procurati all’Erario.

Di qui la congruità dell’istruttoria e, in ogni caso, la genericità della censura, atteso che il ricorrente non ha in alcun modo eccepito, almeno in questa sede, l’insussistenza materiale delle condotte addebitategli.

In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Sussistono, peraltro, giusti motivi per compensare le spese di lite.

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