TAR Bari, sez. II, sentenza 2020-02-17, n. 202000269
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Testo completo
Pubblicato il 17/02/2020
N. 00269/2020 REG.PROV.COLL.
N. 01190/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1190 del 2015, proposto dal sig. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avv. L S, con studio in Bari alla via Martiri d’Otranto n. 78 e con domicilio digitale come da P.E.C. iscritta al registro generale degli indirizzi elettronici (ReGIndE);
contro
Ministero dell’Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Bari alla via Melo n. 97;
per l’annullamento
- del decreto del Prefetto di Bari prot. n. -OMISSIS-cont./Aerea O.P. I° Ter del 9.3.2015 notificato il 4.6.2015 di diniego della licenza per porto d’armi per tiro a volo.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 dicembre 2019 il dott. Lorenzo Ieva e uditi per le parti i difensori avv. Filippo Panizzolo, su delega dell’avv. L S, e avv. dello Stato Ines Sisto;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- Con ricorso depositato come previsto in rito, il ricorrente impugnava il diniego opposto dalla Questura e poi dalla Prefettura, adita con ricorso gerarchico, sull’istanza presentata nell’anno 2015 per il rilascio del porto d’armi per uso sportivo per c.d. “tiro a volo”.
2.- A fondamento del diniego sono stati posti alcuni riscontri istruttori ostativi, quali la registrazione di non meglio precisate tre denunce penali e due controlli con soggetti non meglio identificati gravati da precedenti penali, che farebbero venir meno il requisito della buona condotta, indispensabile ai sensi dell’art. 42-43 T.U.L.P.S., al fine di poter ottenere il rilascio del titolo di polizia anelato.
3.- Il ricorrente censura la violazione di legge e l’eccesso di potere, in quanto le tre denunce penali sono state tutte archiviate, come risulta agli atti. Mentre, con riferimento ai presunti incontri con soggetti pregiudicati, oltre alla episodicità degli stessi risalenti all’anno 2006, l’istante evidenzia che, negli atti istruttori di polizia, non risultano identificati i nominativi di tali soggetti.
4.- Si costituiva con memoria formale l’Amministrazione.
5.- All’udienza in camera di consiglio del 2 luglio 2019, il Collegio rilevava il mancato deposito degli atti come previsto dall’art. 46, comma 2, del codice del processo amministrativo. Pertanto con ordinanza istruttoria del 5 agosto 2019 n. 1125 ne richiedeva la produzione in giudizio all’amministrazione, così come chiedeva, ai sensi dell’art. 63, comma 1, del codice del processo amministrativo, chiarimenti, considerato il lasso di tempo trascorso.
6.- L’Amministrazione indi deposita i documenti essenziali, dai quali si evince l’archiviazione delle tre denunce per mancanza della condizione di procedibilità della querela di parte. Continua a non evincersi alcun dettaglio in ordine alle due frequentazioni pregiudizievoli risalenti all’anno 2006.
7.- All’udienza pubblica del 17 dicembre 2019 l’Avvocatura erariale non ha aggiunto ulteriori elementi e il Collegio ha introitato il ricorso in decisione.
8.- Il ricorso è fondato, in quanto gli impugnati atti di diniego sono viziati da eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria.
8.1.- In via preliminare, va rammentato che il porto d’armi non costituisce un diritto , bensì un’ eccezione , al generale divieto di portare le armi, sancito dall’art. 699 codice penale e dall’art. 4 comma 1, della legge 18 aprile 1975 n. 110 (Cons. St., sez. III, 7 giugno 2018 n. 3435;Cons. St, sez. III, 10 gennaio 2018 n. 91;Cons. St., sez. III, 14 dicembre 2016 n. 5276). La trasgressione delle modalità legittime di portare armi e il divieto di portarle in taluni casi sono muniti di sanzione penale (art. 4 legge 18 aprile 1975 n. 110), così come è penalmente sanzionato il porto abusivo di armi (art. 4 legge 2 ottobre 1967 n. 895;art. 699 codice penale), la cui condanna comporta l’applicazione facoltativa della misura di sicurezza della libertà vigilata (art. 701 codice penale), poiché la pericolosità sociale del reo è ritenuta come intrinseca al fatto illecito commesso.
La deroga al principio generale de quo è dunque giustificata, in quanto ancorata ai limiti previsti e, in particolare, all’affidamento nel non abuso delle armi, per le qualità soggettive dell’interessato, tal da potersi ritenere insussistente il pericolo della compromissione dell’ordine pubblico e della tranquilla convivenza civile (Cons. St., sez. III, 23 maggio 2017 n. 2404).
8.2.- La giurisprudenza ascrive all’autorità amministrativa un’ampia potestà discrezionale, tal da far ritenere che il giudizio posto a fondamento del diniego di uso delle armi debba essere più severo del giudizio di responsabilità penale o di pericolosità sociale, in quanto il divieto può essere adottato anche in base a situazioni che non hanno dato luogo a condanne penali o all’applicazione di misure di pubblica sicurezza (Cons. St., sez. III, 1 luglio 2019 n. 4511). Tuttavia, deve sempre potersi inferire l’esercizio di detto potere discrezionale a elementi di fatto motivati, documentati e riscontrabili.
8.3.- I provvedimenti sfavorevoli sono stati adottati, assumendo l’esistenza di tre procedimenti penali per ricettazione, truffa e concorso in falsità di registri, che però risultano archiviati per mancata proposizione di querela della parte offesa e quindi in alcun modo delibati dall’A.G. procedente.
Circa il controllo effettuato dai carabinieri di Castellana Grotte che avrebbe colto il ricorrente, quasi dieci anni prima della presentata istanza di rilascio del titolo di polizia, ossia nei mesi di febbraio e di maggio 2006, “in compagnia” di persone gravate da precedenti penali per associazione a delinquere, contrabbando di tabacchi lavorati esteri e reati contro il patrimonio, non v’è evidenza documentale, che consenta di appurare il luogo e la natura dell’incontro, né l’identità dei soggetti.
9.- In ultima analisi, in base agli atti messi a disposizione del Collegio, i provvedimenti impugnati si appalesano, come dedotto dal ricorrente, illegittimi per eccesso di potere per difetto di presupposto, motivazione e carente istruttoria, tanto da comportarne l’annullamento, fermo restando il potere dell’amministrazione di valutare, con la dovuta ponderazione, la sussistenza dei requisiti previsti dalla normativa di P.S. in materia di armi.
Sia pure il diniego del porto d’armi non implichi un concreto e accertato abuso nella tenuta delle armi, risultando sufficiente che il soggetto non dia affidamento di non abusarne, sulla base del prudente apprezzamento di tutte le circostanze di fatto rilevanti nella concreta fattispecie, è però necessario che le predette circostanze di fatto siano chiaramente indicate, specificate e argomentate negli atti dell’amministrazione, dovendo potersi ricostruire la valutazione discrezionale effettuata.
Inoltre, le motivazioni addotte nel provvedimento di diniego devono essere supportate da presupposti validi e verificabili.
Orbene, nella fattispecie concreta, le denunce di reato sono state archiviate, né è stata offerta dall’Autorità prefettizia alcuna motivazione illustrativa e documentata, circa la rilevanza degli indizi che hanno comportato le denunce. Inoltre, i soggetti “incontrati” dal ricorrente nell’anno 2006, gravati da precedenti penali, non sono noti, come neanche indicate e sviluppate sono le circostanze dei due incontri.
Pertanto, appare lacunosa l’attività istruttoria procedimentale e carente l’apporto documentale processuale prodotto nel presente giudizio.
10.- In conclusione, il ricorso va accolto, con annullamento degli atti impugnati per le ragioni esposte.
11.- Le spese vanno comunque compensate, data la particolarità della fattispecie, alla stregua di quanto previsto dall’art. 26, comma 1, del codice del processo amministrativo, come inciso dalla sentenza della Corte costituzionale 19 aprile 2018 n. 77 e come inoltre interpretato dalla giurisprudenza amministrativa, per le controversie che involgono atti amministrativi (Cons. St., sez. IV, 23 settembre 2019 n. 6290).