TAR Trieste, sez. I, sentenza breve 2019-02-11, n. 201900061
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Testo completo
Pubblicato il 11/02/2019
N. 00061/2019 REG.PROV.COLL.
N. 00391/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 391 del 2018, proposto da
Valter del Do' S.r.l., in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati B S ed E P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato R G B in Trieste, via Foro Ulpiano 6;
contro
Agenzia delle Dogane e dei Monopoli - Agenzia delle Dogane, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Trieste, domiciliataria ex lege, con sede in Trieste, piazza Dalmazia, 3;
per l'annullamento
del provvedimento emesso in data 12 ottobre 2018, protocollo 17501/RU, con il quale veniva respinta l'istanza del ricorrente del 27 agosto 2018 e protocollata in ingresso al n. 14614/RU, per l'autorizzazione allo stoccaggio di prodotti energetici presso depositi di terzi in quanto, a parere dell'Agenzia “non risultano sussistenti i requisiti soggettivi prescritti dall'articolo 23, comma 6, del T.U.A. -D.Lgs n. 504/1995, così come richiamati dall'art.1, comma 948, della legge n. 205/2017”, nonché per l'annullamento di tutti gli atti a quello suindicato comunque connessi, coordinati ed anteriori, compresa la comunicazione del 27 settembre 2018, protocollo n. 16425/RU (comunicazione ai sensi degli articoli 10-bis e 21-quinquies della legge n. 241/1990).
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Agenzia delle Dogane e dei Monopoli - Agenzia delle Dogane;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 6 febbraio 2019 il dott. N B e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
1. La Società ricorrente impugna il provvedimento, in epigrafe richiamato, con il quale l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha respinto la richiesta di autorizzazione allo stoccaggio presso depositi di terzi, di prodotti energetici, in regime di sospensione di imposta, per assenza dei prescritti requisiti soggettivi.
In particolare, la Società avrebbe ricevuto la notificazione dell’avviso di accertamento n.T1503BB01073/2018, prot. 40333/2018, emesso in data 24 settembre 2018 dall’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Gorizia, con il quale, in relazione all’anno 2016, venivano contestate rilevanti violazioni delle norme tributarie, consistenti nell’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, acquisite all’interno di un articolato sistema di interposizioni fittizie di soggetti esteri, con un’evasione d’imposta pari a € 13.839.216,00, a titolo di IVA, per un carico complessivo, comprendente le sanzioni, di € 28.024.412,40.
Preso atto dell’avvenuta notificazione del suddetto avviso di accertamento, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli emetteva il provvedimento impugnato, precisando che “ il combinato disposto dell’art. 1, comma 948, della Legge n.205/2017 e dell’art. 23, comma 6, del T.U.A. – D. Lgs. n.504/1995 prevede espressamente quale causa di diniego dell’autorizzazione la commissione di violazioni gravi e ripetute, per loro natura od entità, alle disposizioni che disciplinano l’accisa, l’imposta sul valore aggiunto e i tributi doganali, in relazione ai quali siano state contestate sanzioni amministrative nell’ultimo quinquennio ”. Specificava inoltre che, ai fini del diniego dell’autorizzazione allo stoccaggio presso terzi di prodotti energetici, non è in alcun modo richiesto, come invece sostenuto dalla ricorrente nel corso dell’interlocuzione procedimentale (instaurata a seguito della notificazione del preavviso di rigetto), che “ l’atto di contestazione delle sanzioni amministrative debba rivestire il carattere di definitività in quanto non impugnato ovvero confermato da sentenza definitiva ”.
2. Avverso tale provvedimento sono proposti in questa sede tre motivi di impugnazione;viene contestata: la violazione dell’art. 3, L. n. 241 del 1990, per difetto di motivazione (l’Amministrazione si sarebbe limitata a richiamare i soli presupposti normativi che sorreggono il diniego – 1° motivo);il difetto di presupposto, in quanto l’avviso di accertamento con il quale sono contestate le violazioni finanziarie, richiamate dall’Agenzia delle Dogane, non sarebbe definitivo (2° motivo);l’eccesso di potere per violazione del canone di ragionevolezza, in quanto il diniego darebbe luogo a conseguenze del tutto sproporzionate, tali da paralizzare, di fatto, la realtà aziendale (3° motivo).
3. Si è costituita l’Amministrazione che ha controdedotto nel merito, salvo rilevare, nel corso dell’udienza, che la messa in liquidazione della Società ricorrente comporterebbe da un lato, l’obbligo di interruzione del giudizio (onde consentire agli organi della liquidazione di costituirsi nella controversia) e, dall’altro lato, una situazione di carenza di interesse, stante l’interruzione dell’attività aziendale.
4. Preliminarmente vanno disattesi i rilievi in rito, svolti oralmente dalla difesa erariale.
Si deve osservare in proposito che la messa in liquidazione della società (peraltro suscettibile di revoca da parte dell’assemblea dei soci - art. 2487-ter c.c.), quanto meno fino al perfezionamento di essa e alla conseguente estinzione, non comporta, a differenza della procedura di liquidazione coatta amministrativa (cui si riferisce parte della giurisprudenza sottoposta al Collegio), il venir meno della legittimazione processuale, sussistendo (a differenza di quanto accade nelle procedure concorsuali) un regime di naturale continuità giuridica tra i preesistenti organi amministrativi e il soggetto volontariamente investito dai soci dei compiti connessi all’attività di liquidatore (cfr. artt. 2488 e 2489, c.c.).
Parimenti infondata è l’eccezione di sopravvenuto difetto di interesse, in quanto, come può desumersi dal verbale dell’assemblea dei soci, prodotto dall’Amministrazione il 4 febbraio 2019 (all. 1), la messa in liquidazione non comporta di per sé l’interruzione dell’attività aziendale (che prosegue in regime di esercizio provvisorio, ai sensi dell’art. 2487, 1° comma. lett. c), c.c.), sicché al momento permane intatta l’utilità sottesa all’accoglimento dell’impugnazione (utilità che non può essere invece connessa ad una possibile cessione dell’azienda, come cespite autonomo, in quanto il rilascio dell’autorizzazione all’utilizzo del deposito fiscale appare condizionato al vaglio dei requisiti soggettivi del futuro cessionario, il quale sarebbe quindi tenuto alla rinnovazione della richiesta).
5. Nondimeno il ricorso è manifestamente infondato, sicché sussistono i presupposti per definire il giudizio nella presente sede cautelare, con sentenza in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a., eventualità di cui le parti sono state ritualmente informate nel corso dell’udienza, come attestato nel relativo verbale.
6. In relazione alla prima censura, si deve osservare che la motivazione, sottesa al diniego, risulta adeguatamente esplicitata mediante il dettagliato rinvio all’avviso di accertamento notificato alla Società e alle violazioni da esso desumibili, nonché ai contenuti della comunicazione di preavviso di rigetto (emessa ai sensi dell’art. 10 bis, L. n. 241 del 1990) nella quale sono stati peraltro indicati gli ingentissimi importi oggetto di recupero da parte dell’Amministrazione finanziaria.
7. Quanto al secondo profilo di doglianza, con il quale si contesta che il provvedimento di rigetto dell’autorizzazione non avrebbe potuto essere fondato sulla contestazioni di violazioni che, per quanto gravi, non risultano accertate in via definitiva, a prescindere dalla circostanza secondo cui la parte non ha comunque allegato alcuna prova in merito all’impugnazione dell’avviso notificatole, va tuttavia osservato che ai sensi dell’art. 23, 6° co, ultimo periodo del Testo Unico sulle Accise (D. Lgs. n. 504 del 1995) “ la predetta autorizzazione è altresì negata […] ai soggetti che abbiano commesso violazioni gravi e ripetute, per loro natura od entità, alle disposizioni che disciplinano l’accisa, l’imposta sul valore aggiunto e i tributi doganali, in relazione alle quali siano state contestate sanzioni amministrative nell’ultimo quinquennio ”.
Alla luce dell’inequivoco dato normativo, si deve considerare che la disposizione in questione vieta il rilascio dell’autorizzazione al deposito fiscale presso terzi dei prodotti energetici, indipendentemente dall’intervenuta definitività dei provvedimenti sanzionatori, specificando che, con riferimento a violazioni gravi in materia di accise, imposta sul valore aggiunto e tributi doganali, è sufficiente la mera contestazione , entro l’ultimo quinquennio, delle sanzioni amministrative conseguenti alle suddette violazioni.
Nel caso in esame, va così osservato che, con l’avviso di accertamento notificato alla Società ricorrente (prodotto dall’Amministrazione in adempimento all’ordinanza istruttoria n. 15/2019 emessa da questo Tribunale in data 14 gennaio 2019), sono state contestate violazioni in materia d’imposta sul valore aggiunto relative all’anno 2016 e, conseguentemente, sono state irrogate le relative sanzioni, per un importo complessivo di ben € 28.024.412,40.
Sotto il profilo della rilevanza delle violazioni contestate, deve essere inoltre constatato che la straordinaria entità del debito tributario e delle sanzioni applicate, unitamente al carattere particolarmente insidioso delle condotte illecite, oggetto della contestazione (rilevantissima frode Iva, attuata mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, emesse da soggetti esteri, fittiziamente interposti, privi di effettiva consistenza economica), integrano quei requisiti di gravità che, sulla base della norma richiamata, impongono all’Amministrazione di denegare l’autorizzazione richiesta.
La censura deve essere pertanto disattesa.
8. Venendo al terzo motivo di ricorso, osserva il Collegio che la specifica rilevanza assegnata dalla norma, ai fini del contestato diniego, ad atti sanzionatori privi dell’attributo della definitività (con il conseguente rafforzamento degli interessi erariali), lungi dall’apparire un dato irragionevole, risulta invero giustificata dall’esigenza di implementare gli istituti giuridici predisposti dall’ordinamento per la protezione del gettito fiscale: protezione che, nel caso in esame, si attua mediante l’introduzione di un automatismo preclusivo che, con prevalenti finalità cautelari, non consente agli operatori raggiunti da contestazioni di particolare gravità di accedere al beneficio della sospensione dell’imposta, connesso al regime del deposito fiscale, così da scongiurare il pericolo di reiterazione di abusi e di analoghe condotte fraudolente.
Anche tale terzo profilo di doglianza non può dunque essere condiviso, sicché il ricorso deve, in conclusione, essere respinto.
9. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.