TAR Torino, sez. II, sentenza 2010-11-29, n. 201004239
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N. 04239/2010 REG.SEN.
N. 00685/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 685 del 2007, proposto da:
UN PO'...DI..., SOCIETA' AGRICOLA SRL, rappresentata e difesa dagli avv. Enrico Collida', N S, S T, con domicilio eletto presso N S in Torino, via Susa, 42;
contro
COMUNE DI MARMORA, rappresentato e difeso dagli avv. P B, C D, con domicilio eletto presso Fulvia Conti in Torino, via Lamarmora, 68;
nei confronti di
COLOMBERO GIORGIO;
per l'annullamento
- del verbale di aggiudicazione del pascolo denominato San Teodoro in data 22.3.2007;
- del provvedimento di esclusione della “Un po’ … di … Società Agricola” dalla gara di aggiudicazione dei pascoli tra cui quello denominato San Teodoro;
- per ogni buon fine, ove occorresse, della Deliberazione del Consiglio Comunale n. 28 del 1.12.2006 (Regolamento per la disciplina degli usi civici e dei pascoli. Approvazione) pubblicata per 15 giorni consecutivi, a decorrere dal 7.12.2006 al 22.12.2006 approvato dalla Regione Piemonte, Direzione Patrimonio e Tecnico – Settore Attività Negoziale e Contrattuale, espropri, usi civici con determina n. 322 datata 15.3.2007 pervenuta al Comune di Marmora in data 21.3.2007;
- nonché di tutti gli atti preordinati, consequenziali o comunque connessi.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Marmora;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 novembre 2010 il dott. A M e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con avviso d’asta del 22 febbraio 2007 il Comune di Marmora (CN) ha indetto una pubblica asta, con il sistema della candela vergine, per aggiudicare l’“appalto” del “pascolo comunale”, suddiviso in più lotti.
La società agricola “Un po’ di...”, a responsabilità limitata, presentava istanza di partecipazione alla gara, limitatamente al lotto n. 2 (pascolo comunale “San Teodoro”).
Con nota prot. n. 448, del 15 marzo 2007, il Comune di Marmora ha comunicato alla predetta società che “non sussistono i presupposti per la partecipazione della Società alla prima gara di aggiudicazione dei pascoli”, con richiamo al “regolamento usi civici comunali approvato dal Consiglio Comunale nella seduta del 01.12.2006”.
La società “Un po’ di...” non ha dunque preso parte alla gara che, all’esito del suo svolgimento, è stata infine aggiudicata al sig. G C (verbale del 22 marzo 2007).
2. Con il ricorso indicato in epigrafe, la società “Un po’ di...”, in persona del proprio legale rappresentante, sig. G B S, ha impugnato i su richiamati atti (ivi compresa la deliberazione del Consiglio comunale di approvazione del Regolamento sugli usi civici), domandandone l’annullamento previa sospensione cautelare.
Premette la società ricorrente di avere la propria sede nel Comune di Marmora e che il suo legale rappresentante, sig. S, è residente in un Comune limitrofo. Il Regolamento comunale per la disciplina degli usi civici, approvato dal Consiglio comunale il 1° dicembre 2006, prevede, all’art. 3, che l’esercizio dell’uso civico di pascolo sulle proprietà comunali “ è un diritto riconosciuto a tutti i cittadini residenti, ai sensi del vigente regolamento anagrafico, nel Comune di Marmora, da almeno 5 anni ” e disciplina, agli artt. 5 ss., le modalità dell’uso civico di pascolo. L’art. 5, rubricato “Diritto di pascolo”, così dispone:
“ 1. Per quanto riguarda il diritto di uso civico di pascolo si individuano due principali categorie di utenti (in possesso dei requisiti di cui all’art. 3 comma 1 del presente regolamento):
a) l’allevatore che mantiene il proprio bestiame sul territorio del Comune di Marmora per tutto l’anno solare. Per tale categoria di utente si precisa che il diritto di uso civico potrà essere esercitato limitatamente ai capi di bestiame di effettiva proprietà e che trascorrono l’intero anno solare nel territorio comunale.
b) L’allevatore che, per esigenze legate alla condizione della stalla ed al numero dei capi in proprietà, trascorre i mesi invernali in pianura, e non possiede capi che trascorrono l’intero anno solare nel territorio comunale.
2. Oltre alle categorie citate ai commi precedenti, si individuano gli utenti ‘allevatori foranei’, i quali, non titolari di uso civico, potranno essere aggiudicatari di pascoli per quanto concerne le eccedenze risultanti dalle aggiudicazioni agli utenti di cui al comma 1 cat a) e b). [...]
3. Le autorizzazioni o concessioni al pascolo saranno emesse a favore degli aventi diritto individuati nei commi precedenti, secondo le modalità descritte nei successivi articoli ”.
2.1. Ciò premesso in linea di fatto, in diritto la società ricorrente argomenta diverse censure avverso gli atti impugnati.
In primo luogo, la ricorrente sostiene che essa “dovrebbe [...] rientrare a pieno titolo nella categoria delineata dall’art. 5 comma 1 lett. A del Regolamento”, posto che non vi sarebbe alcuna differenza “tra una società agricola, avente sede in loco e che ivi mantiene i capi per tutto l’anno e la categoria di cui alla lettera A del menzionato art. 5”. Sussisterebbe, in sostanza, una discriminazione a sfavore di una società, come quella ricorrente, che ha sede nel Comune e che mantiene i propri capi di bestiame nel territorio comunale per tutto l’anno (la quale non può essere aggiudicataria, in base al Regolamento, del diritto di pascolo, solo perché il proprio amministratore non ha la residenza nel Comune) rispetto agli allevatori rientranti nella categoria “B” di cui all’art. 5 del Regolamento, i quali, pur mantenendo una “residenza fittizia” nel Comune, mantengono il bestiame nel territorio comunale solo durante i mesi estivi. Il sig. S, per contro, ritiene “più corretto avere la residenza personale ove effettivamente dimora ed aver piuttosto costituito società corrente in Marmora e possedere capi che trascorrono l’intero anno solare in loco ”: tale situazione sarebbe “meritoria”, rispetto “a quella di chi mantiene una residenza fittizia in Marmora ma in verità dimora altrove (recandosi in Marmora solo per l’alpeggio estivo)”.
Sotto connesso profilo, l’art. 5, comma 1, lett. b , del Regolamento comunale sarebbe in conflitto con l’art. 3, comma 2, del d.P.R. n. 223 del 1989 (recante “Approvazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente”), a norma del quale “ Non cessano di appartenere alla popolazione residente le persone temporaneamente dimoranti in altri comuni o all'estero per l'esercizio di occupazioni stagionali o per causa di durata limitata ”.
Il Regolamento comunale, poi, sarebbe in contrasto con le precedenti deliberazioni comunali in base alle quali l’affitto dei lotti pascolativi era riservato non solo ai cittadini residenti ma anche a coloro che, pur non residenti, avessero esercitato la loro attività nel territorio comunale da almeno cinque anni (fattispecie in cui rientrava la società ricorrente). Il nuovo e “più restrittivo” criterio limiterebbe “in modo illegittimo ed arbitrario la titolarità del diritto a partecipare alle procedure ad evidenza pubblica, escludendo dalle gare soggetti, quali la ditta esponente che esercitano la propria attività nel territorio comunale da ben oltre cinque anni”.
Un’ulteriore profilo di illegittimità del Regolamento consisterebbe nell’“illegittimo ed arbitrario frazionamento dei lotti di terreno di proprietà comunale, assoggettati a pascolo-uso civico”, posto che tale frazionamento “taglierebbe” l’alpeggio a metà “senza tenere in alcun modo conto dello stato dei luoghi, della conformazione naturale del terreno e della distribuzione delle fonti d’acqua”. Nel dettaglio, il pascolo “San Teodoro” risulterebbe “ridotto a soli 170 ettari”, diventando così “praticamente ingestibile”.
Infine, viene dedotta la violazione del principio di uguaglianza, “espresso dall’art. 3 della Carta Costituzionale”. La limitazione dei soggetti abilitati a partecipare alla procedura di aggiudicazione dei pascoli, “oltre ad essere contraria al pubblico interesse”, sarebbe “immotivata” e comprimerebbe illegittimamente gli interessi degli allevatori esclusi.
3. Si è costituito in giudizio il Comune di Marmora, in persona del Sindaco pro tempore , depositando documenti e chiedendo il rigetto del ricorso.
Espone l’amministrazione che, “per non lasciare inutilizzati” i terreni di pascolo (tutti comunque “assoggettati all’uso civico”), “e per evitare liti tra aspiranti utilizzatori”, il Comune ha approvato l’impugnato regolamento con il quale ha deciso di individuare, “nella sua autonomia decisionale e sovranità”, “come per legge, gli utilizzatori di uso civico di pascolo – usucivisti – nei soli residenti”. Con ciò, si è “badato esclusivamente agli interessi della Comunità locale, mirando alla migliore resa ed utilizzazione dei beni di uso civico ed alla legittimità della regolamentazione”.
4. Con ordinanza n. 342 del 2007 questo TAR ha rigettato l’istanza cautelare ritenendo la legittimità, ad un primo sommario esame, della previsione della residenza come criterio di preferenza.
5. In prossimità della pubblica udienza di discussione, l’amministrazione resistente ha depositato nuovi documenti ed una memoria difensiva in data 20 ottobre 2010, quindi oltre i termini di cui all’art. 73, comma 1, cod. proc. amm.
6. Alla pubblica udienza del 10 novembre 2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. La società agricola ricorrente, esclusa dalla gara pubblica indetta dal Comune di Marmora per l’aggiudicazione dei terreni comunali di pascolo, si duole dell’illegittimità del provvedimento di esclusione nonché, a monte, del Regolamento comunale (approvato il 1° dicembre 2006) che ha disciplinato le modalità di utilizzazione degli “usi civici di pascolo”.
Proprio in base a tale regolamento, infatti, la società ricorrente è stata esclusa dalla gara a causa della mancanza di un requisito stabilito dagli artt. 3 e 5 dell’impugnato testo normativo: ossia, a causa della mancanza, in capo all’amministratore unico della società, del requisito della residenza nel Comune da più di cinque anni.
In base all’art. 3 del regolamento comunale solo i cittadini residenti nel Comune da più di cinque anni possono essere “titolari del diritto di uso civico”. E l’art. 5, con specifico riferimento al “diritto di uso civico di pascolo”, individua “due principali categorie di utenti” che possono essere destinatari di un’“autorizzazione” o di una “concessione” al pascolo: da un lato, gli allevatori che mantengono il proprio bestiame sul territorio comunale “per tutto l’anno solare” (categoria “A”);dall’altro lato, gli allevatori che fanno pascolare il bestiame nel territorio comunale solo nei mesi estivi (categoria “B”). Requisito per appartenere ad entrambe le categorie è, però, quello dell’art. 3: essere comunque residenti nel Comune di Marmora da più di cinque anni.
1.1. Va preliminarmente esclusa l’ammissibilità della memoria difensiva e dei documenti depositati dall’amministrazione resistente in data 20 ottobre 2010: tali atti sono stati, infatti, depositati in giudizio oltre i termini indicati dall’art. 73, comma 1, cod. proc. amm. (in relazione alla data fissata per l’udienza pubblica di discussione) e non possono pertanto, in assenza di un consenso prestato dalla controparte, essere utilizzati per la decisione.
2. Venendo al merito dell’impugnazione proposta, è opportuno compiere preliminarmente una ricognizione generale della problematica investita dal presente giudizio.
2.1. Si deve anzitutto premettere che l’operazione messa in atto dal Comune, consistente nell’indizione di una gara ad evidenza pubblica per l’aggiudicazione dell’uso esclusivo del pascolo nei terreni comunali assoggettati ad uso civico, ha determinato una eccezionale modalità di sfruttamento a fini economici ed esclusivi dei terreni in questione.
Va in proposito ricordato che l’uso civico, istituto di antiche origini, conferisce un diritto di godimento ai membri di una determinata collettività, generalmente coincidente con la popolazione di un Comune. L’oggetto del godimento sono terreni normalmente di proprietà del Comune medesimo (ovvero anche di soggetti privati), destinati al soddisfacimento di interessi che la legislazione tuttora vigente (ma pur sempre risalente agli anni Venti del secolo scorso) individua in quelli “essenziali” (per il soddisfacimento dei “bisogni della vita”) ed in quelli “utili” (aventi “in modo prevalente carattere e scopo di industria”) (art. 4, comma 1, della legge n. 1766 del 1927). In particolar modo, i terreni di uso civico adibiti al pascolo del bestiame rientrano nella categoria degli usi civici “essenziali”, così come previsto dal comma 2 del citato art. 4, evidentemente in relazione al tipo di economia (prevalentemente agraria e di allevamento) esistente all’epoca dell’emanazione della legge.
Come è noto, già a partire dalla seconda metà del secolo XVIII, fu promossa un’intensa politica volta alla soppressione degli usi civici, molti dei quali erano risalenti addirittura all’età feudale: punto di arrivo di tale politica fu, nel secolo XX, proprio la citata legge n. 1766 del 1927, la quale istituì speciali “Commissari regionali per la liquidazione degli usi civici”, dotati di funzioni amministrative e giurisdizionali, con il compito di accertare i vari diritti ancora esistenti e di sciogliere le eventuali promiscuità (art. 29), nonché – previa individuazione di un canone da pagare, di natura enfiteutica – di ripartire alcune tipologie di terreni tra le famiglie dei coltivatori diretti che vivessero nel territorio comunale (mediante l’istituto della c.d. quotizzazione, di cui agli artt. 13 ss.), e di legittimare le eventuali già avvenute usurpazioni da parte di terzi (mediante l’istituto della c.d. legittimazione: artt. 9 e 10).
Le terre rimaste ai Comuni dopo la liquidazione, che perciò rimangono tuttora assoggettate ad uso civico, sono destinate “agli usi di tutti i cittadini del Comune o della frazione” (art. 26, comma 1, della legge n. 1766 del 1927). Non si prevede alcuna esclusività nell’uso, se non quella che si possa riferire a tutti i membri della collettività locale: tutti gli aventi diritto hanno eguale possibilità di godere dei terreni adibiti ad uso civico, senza pagamento di alcuna somma a titolo di canone di utilizzo. Le uniche previsioni di pagamento di un canone sono infatti confinate, dalla legge del 1927, alle ipotesi in cui l’uso civico sia stato liquidato, in quanto sottoposto a quotizzazione o a legittimazione: ossia, in tutte le ipotesi in cui l’uso promiscuo già consentito a tutti i membri della collettività abbia lasciato il posto ad un uso esclusivo attribuito ad un privato.
2.2. Ciò nondimeno, nell’elaborazione giurisprudenziale che si è susseguita nel tempo, anche in considerazione della diversa configurazione dell’istituto de quo di fronte ai mutamenti della società economica, è stato ritenuto ammissibile che i terreni demaniali, pur sottoposti al regime dell’uso civico, potessero essere indirizzati a destinazioni c.d. atipiche, laddove essi risultassero eccedenti rispetto ai bisogni della popolazione, ovvero rimanessero temporaneamente non utilizzati dalla medesima, e purché tale diversa destinazione fosse temporanea e non determinasse l’alterazione della qualità originaria dei terreni (cfr. Cassaz. civ., sez. un., n. 2806 del 1995).
In tale prospettiva, è stato ritenuto che i terreni sottoposti ad uso civico possono essere anche destinati al godimento esclusivamente individuale, da realizzarsi mediante atti di concessione amministrativa o contratti d’affitto stipulati dal Comune, in base al rilievo che in tali ipotesi si ha una sicura predeterminazione della durata del rapporto e che, almeno normalmente, ciò non determina alcun riflesso negativo sul carattere originario dei terreni (così Cassaz. civ., sez. II, n. 4694 del 1999).
L’assunto, ripreso poi dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. TAR Abruzzo, L’Aquila, n. 913 del 2003), è stato fatto proprio anche dalla legislazione regionale più recente la quale – come avvenuto, peraltro, nella Regione Piemonte – ha espressamente previsto la possibilità di conferire i terreni di uso civico al godimento individuale mediante concessione e dietro corresponsione di un canone periodico. Così prevede, in particolare, la legge della Regione Piemonte n. 29 del 2009 (recante “Attribuzioni di funzioni amministrative e disciplina in materia di usi civici”), la quale, all’art. 9, comma 2, lett. b , dispone che il regolamento comunale sugli usi civici possa prevedere, tra l’altro, “ le modalità, le forme e le condizioni anche economiche ai fini del rilascio delle concessioni per uso esclusivo delle terre civiche ”. I proventi derivanti dall’utilizzo, a tale titolo concessorio, dei beni di uso civico spettano direttamente al Comune, ai sensi del successivo art. 16.
2.3. Una simile evoluzione del regime giuridico degli usi civici – che porta all’ammissibilità di concessioni amministrative di uso esclusivo ancorché temporanee e tali da consentire, in ogni momento, il ritorno del bene alla fruizione collettiva – deve però essere correttamente inquadrato nei principi di derivazione comunitaria che regolano la concessione di beni pubblici a fini economici, in vista della salvaguardia della concorrenza degli operatori.
Un dato di partenza, in proposito, deve essere chiarito: l’utilizzazione, in modo esclusivo, di un bene normalmente sottoposto ad uso civico non può risentire della limitazione soggettiva che caratterizza quello stesso bene allorché calato nella dimensione ordinaria dell’uso civico. Detto altrimenti: mentre l’utilità tipica del regime di uso civico, è – come detto supra – per sua natura rivolta unicamente agli appartenenti una determinata collettività locale (di norma coincidente con la popolazione di un Comune), nel senso che solo i membri di tale collettività possono legittimamente fare uso del bene, allorché quello stesso bene sia invece sottoposto al diverso regime della concessione (seppure in modo temporaneo) l’individuazione del concessionario non può soggiacere a limitazioni territoriali. Viene meno, infatti, la ratio che, nel regime ordinario di uso civico, assiste la suddetta limitazione: il bene non è più al servizio dei bisogni (“essenziali” o di “utilità”) della collettività territoriale, ma viene radicato in una dimensione di sfruttamento economico che, come tale, deve soggiacere alla ordinarie regole della concorrenza.
In tale situazione, non può quindi farsi più ricorso al concetto di “collettività stanziata sul territorio” ai fini della legittima individuazione del concessionario: i principi comunitari di libera circolazione dei servizi e delle persone, con riferimento alla concessione del bene in uso esclusivo, postulano l’allargamento dello scenario a tutti i possibili operatori economici, indipendentemente da qualsivoglia criterio di collegamento al territorio.
Il punto, del resto, ha trovato un recente chiarimento nella giurisprudenza del Consiglio di Stato con riguardo alla vicenda (per molti versi analoga a quella qui in considerazione) del c.d. diritto di insistenza in materia di concessione di beni demaniali, di cui all’art. 37, comma 2, cod. nav. Nonostante quest’ultima norma (nella formulazione antecedente alla modifica legislativa intervenuta con il decreto-legge n. 194 del 2009, convertito in legge n. 25 del 2010) conferisse preferenza, ai fini del rinnovo della concessione su beni demaniali, al precedente concessionario rispetto a nuovi e diversi operatori (in virtù della mera “insistenza” di costui sul bene), il Consiglio di Stato ha privilegiato un’interpretazione volta a comprimere il “diritto di insistenza” in conformità ai principi comunitari in materia di libera circolazione dei servizi, di par condicio , di imparzialità e di trasparenza: ciò, perché è “pacifico che tali principi si applicano anche a materie diverse dagli appalti, essendo sufficiente che si tratti di attività, suscettibile – come nella specie – di apprezzamento in termini economici;pertanto, i detti principi sono applicabili anche alle concessioni di beni pubblici, fungendo da parametro di interpretazione e limitazione del diritto di insistenza di cui all'art. 37 c. nav., atteso che la sottoposizione ai principi di evidenza trova il suo presupposto sufficiente nella circostanza che con la concessione di area demaniale marittima si fornisce un'occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato, tale da imporre una procedura competitiva ispirata ai ricordati principi di trasparenza e di non discriminazione” (Cons. Stato, sez. VI, n. 3642 del 2008;in precedenza, si vd. anche Cons. Stato, sez. V, n. 2825 del 2007, nonché sez. VI, n. 168 del 2005).
Gli stessi principi non possono non valere, allora, anche nel caso di concessione onerosa di terreno di uso civico, allorché eccezionalmente il Comune addivenga alla scelta di destinare l’uso civico, sia pure temporaneamente e con le limitazioni più sopra ricordate, all’uso esclusivo di un privato concessionario.
3. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso si palesa fondato.
Coglie nel segno, infatti, la prima censura sollevata dalla società ricorrente, con la quale è stata lamentata la discriminazione discendente dalla previsione dell’impugnato Regolamento comunale, in base alla quale solo i residenti (da più di cinque anni) nel territorio del Comune possono essere aggiudicatari della concessione sui terreni di pascolo di uso civico.
3.1. Vanno, in proposito, correttamente inquadrate e distinte le varie norme contenute nell’impugnato Regolamento.
L’intitolazione dell’intero atto normativo reca: “ Regolamento per la disciplina degli usi civici e dei pascoli ”, ed il suo ambito di applicazione è individuato in “ tutti i terreni di proprietà comunale ” che siano da considerarsi “ soggetti al godimento degli usi civici essenziali ” (art. 1). Nessun dubbio, pertanto, che il Regolamento de quo disciplini, ad ampio raggio, tutte le vicende relative all’uso ed alla gestione degli usi civici comunali, sia con riferimento all’ordinaria modalità di uso indifferenziato da parte dei membri della collettività locale, sia con riguardo alle (eventuali ed eccezionali) procedure di concessione o affidamento a terzi.
L’art. 3, rubricato “ Titolari del diritto di uso civico ”, dispone che l’esercizio dell’uso civico “ è un diritto riconosciuto a tutti i cittadini residenti, ai sensi del vigente regolamento anagrafico, nel Comune di Marmora, da almeno 5 anni ”. Tale disposizione è del tutto legittima, essendo essa diretta a ribadire un principio di fondo della legge n. 1766 del 1927, ossia che lo sfruttamento delle terre civiche è dedicato “agli usi di tutti i cittadini del Comune o della frazione” (art. 26, comma 1, della legge n. 1766 del 1927);né è illegittimo il conferimento della titolarità dell’uso solo ai cittadini residenti da almeno cinque anni nel territorio comunale, trattandosi di un criterio non irragionevole di delimitazione degli aventi diritto caratterizzato dal collegamento stabile con la comunità locale.
L’art. 5 del Regolamento, rubricato “ Diritto di pascolo ”, è invece diretto a disciplinare le modalità di rilascio delle “ autorizzazioni o concessioni al pascolo ” (come è chiarito dal comma 3): si tratta quindi, precisamente, dell’uso eccezionalmente esclusivo dei beni civici in forma economica, con obbligazione, in capo all’aggiudicatario, del pagamento di un canone periodico, come è precisato dall’art. 9, comma 3. In proposito – come già ricordato nel cenno del fatto – i possibili utenti sono individuati in due ben precise categorie, entrambe però caratterizzate dal possesso della residenza nel Comune ai sensi del precedente art. 3.
3.2. Ecco allora l’illegittimità commessa dal Regolamento e fondatamente denunziata dalla società ricorrente (mediante la censura di discriminazione): l’uso esclusivo ed eccezionale, a fini economici, degli usi civici non può essere limitato agli utenti facenti parte della collettività locale.
Una tale limitazione, come sopra è stato chiarito, confonde l’uso esclusivo ed eccezionale delle terre civiche con quello collettivo ed ordinario: solo il regime ordinario, così come previsto dalla legge n. 1766 del 1927, ed in aderenza alla ratio dell’istituto, consente la delimitazione dell’uso ai soli cittadini residenti. Al contrario, laddove i terreni di uso civico siano stati destinati all’uso alternativo della concessione onerosa, la naturale predisposizione di quei terreni a soddisfare solo i bisogni della collettività radicata nel territorio cede il posto alla necessaria sottoposizione alle regole comunitarie della libertà di circolazione e della pari concorrenza tra gli operatori economici interessati, regole che impongono una procedura di evidenza pubblica per l’aggiudicazione aperta a tutti i possibili operatori, senza limitazioni di sorta.
3.3. E’, pertanto, illegittimo, e va annullato, il Regolamento comunale nella parte in cui (art. 5) impone il requisito della stabile residenza ai fini dell’ottenimento dell’aggiudicazione del pascolo;con assorbimento dei restanti motivi di censura.
Da tale annullamento deriva la caducazione, siccome illegittimi, degli altri atti impugnati dalla società ricorrente, afferenti allo svolgimento della gara per l’aggiudicazione del pascolo ed alla conseguente aggiudicazione.
4. In considerazione della natura delle questioni trattate, il Collegio rinviene giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite.