TAR Roma, sez. 3T, sentenza 2012-11-20, n. 201209549

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 3T, sentenza 2012-11-20, n. 201209549
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201209549
Data del deposito : 20 novembre 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01239/2012 REG.RIC.

N. 09549/2012 REG.PROV.COLL.

N. 01239/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1239 del 2012, proposto da:
UniCredit Credit Management Bank s.p.a, in virtù di procura conferita da Unicredito Italiano s.p.a., banca incorporante UniCredit Corporate Banking s.p.a., in proprio e quale mandataria di Cassa di risparmio di Fabriano e Cupramontana;
Banca delle Marche s.p.a.;
Banca popolare di Ancona s.p.a.;
Banca CR Firenze s.p.a.;
e Banca dell’Adriatico s.p.a., in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t. , tutte rappresentate e difese dagli avv.ti proff. G G, Antonio D'Aloia e S A, elettivamente domiciliate presso lo Studio Legale Graziadei in Roma, Via A. Gramsci n. 54

contro

il Ministero dello sviluppo economico, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato ex lege ;
Antonio Merloni s.p.a. in amministrazione straordinaria, in persona dei commissari straordinari p.t. , rappresentata e difesa dagli avv.ti prof. Attilio Zimatore e Carlo Cicala, elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in Roma, Via Angelo Secchi n. 9

nei confronti di

QS Group s.p.a. e JP Industries s.p.a., in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t. , Massimo Confortini, Antonio Rizzi e Silvano Montaldo, quali commissari straordinari p.t. della società Antonio Merloni;
tutti n.c.

per l'annullamento

a) della manifestazione di volontà commissariale in seno alla stipula del contratto preliminare di cessione, ovvero in eventuali atti di vendita definitiva già stipulati, alla società J.P. Industries s.p.a., per quanto qui non conosciuti né comunicati, del complesso di beni della società Antonio Merloni s.p.a. in amministrazione straordinaria, così di seguito specificati: i) ramo di azienda, composto dall’insieme dei beni aziendali e dei rapporti contrattuali relativi agli stabilimenti industriali situati in Fabriano (Ancona) e Nocera Umbra (Perugia);
ii) asset minori costituiti da: marchio “Ardo”, marchio “Seppelfricke”, partecipazioni di Antonio Merloni nella Meccano s.r.l. e nella Cassa di risparmio di Fabriano e Cupramontana s.p.a.;

b) di tutte le operazioni della procedura di vendita e delle relative determinazioni autorizzative da parte del Ministero dello sviluppo economico (tra le quali il decreto del 18.10.2011, in relazione al quale è stata presentata istanza di accesso il 27.12.2011, e il decreto di autorizzazione al trasferimento del complesso aziendale Antonio Merloni s.p.a. in a.s.), e delle relative istanze commissariali di richiesta dell’autorizzazione (rispettivamente del 30.9 e del 17.10.2011);

c) in parte qua e nei limiti dei motivi di ricorso, dei pareri adottati dal Comitato di sorveglianza e dei relativi verbali, tra i quali quelli favorevoli all’aggiudicazione del complesso aziendale facente capo alla società Antonio Merloni in a.s., alla rinuncia del credito di detta società nonché al trasferimento del menzionato complesso aziendale alla J.P. Industries s.p.a.;

d) degli atti, dei comportamenti e delle valutazioni finalizzate e preordinate all’adozione delle predette manifestazioni di volontà e determinazioni autorizzative, conosciuti in occasione dell’accesso agli atti del 16.12.2011, e in particolare del contratto preliminare di cessione dei beni della Antonio Merloni s.p.a. in a.s.;

e) della nota ricevuta a mezzo fax il 23.11.2011 con cui l’amministrazione straordinaria della società Antonio Merloni informava parte ricorrente di aver già stipulato il contratto preliminare di cessione e di non potere accogliere la richiesta di sospensione delle “obbligazioni di vendita”;

f) in parte qua e nei limiti dei motivi di ricorso, del disciplinare della procedura di vendita del complesso aziendale, in tutto o in parte, delle partecipazioni societarie e dei singoli cespiti della società Antonio Merloni in a.s., in data 30.9.2010, nella parte in cui prevede la facoltà dei commissari straordinari di procedere a trattativa privata e di modificare in qualsiasi momento la procedura di vendita e il perimetro o la composizione del complesso industriale;

g) del contratto preliminare di cessione dei beni, sottoscritto il 19.10.2011, tra la Antonio Merloni s.p.a. in a.s. e la QS Group s.p.a., conosciuto in occasione dell’accesso agli atti del 16.12.2011, e del contratto definitivo, ove stipulato;

h) di ogni atto connesso (ivi inclusi i verbali della procedura di vendita, le determinazioni autorizzative, per quanto di interesse, i programmi di cessione del complesso aziendale, i provvedimenti di ricognizione e approvazione degli atti della procedura)

nonché

per la declaratoria di nullità o inefficacia del contratto definitivo di cessione, ove stipulato, e per l’accertamento e la dichiarazione del diritto di parte ricorrente al risarcimento del danno conseguente all’illegittimo comportamento dell’amministrazione.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio degli intimati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 25 ottobre 2012 il cons. Mario Alberto di Nezza e uditi per le parti i difensori come da verbale;

Ritenuto e considerato quanto segue in:


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso notificato il 23.1-31.1.2012, depositato il successivo 21 febbraio, le società in epigrafe: a) illustrate le vicende relative all’ammissione (con successiva dichiarazione giudiziale dello stato di insolvenza) della Antonio Merloni s.p.a. alla procedura di amministrazione straordinaria ai sensi del d.l. 23 dicembre 2003, n. 347 (conv., con modif., dalla l. 18 febbraio 2004, n. 39), nonché al relativo programma di cessione dei beni aziendali (approvato dal Ministero dello sviluppo economico il 23.5.2009 e prorogato con decreti del 12.5.2010 e del 5.5.2011), intrapreso attraverso la pubblicazione di un bando recante invito a manifestare interesse in data 30.9.2010 e attuato con la presa in considerazione, tra le offerte presentate e non escluse (sei su otto), di quella avanzata dalla società QS Group, successivamente oggetto di una trattativa privata con gli organi della procedura conclusasi con l’ampliamento, a parità di corrispettivo, del perimetro dei beni da cedere (ramo d’azienda “Business Unit Ricambi e assistenza tecnica”;
marchi “Ardo” e “Seppelfricke”;
partecipazioni nelle società Meccano e Cassa di risparmio di Fabriano e Cupramontana); b) dedotta ulteriormente la titolarità in capo a Unicredit s.p.a. di un credito ipotecario nei confronti della società Antonio Merloni pari al 34,66% della somma di euro 131.507.348,27, legittimante una richiesta di sospensione delle operazioni di vendita (domanda peraltro ricusata dagli organi della procedura sul rilievo della vincolatività del contratto preliminare);
tanto premettendo, hanno chiesto l’annullamento degli atti meglio specificati in epigrafe, prospettandone - previa esposizione delle ragioni a sostegno della scelta di incardinare la controversia innanzi al giudice amministrativo - i seguenti profili di illegittimità:

I) violazione e falsa applicazione degli artt. 62 e 63 d.lgs. n. 270/1999;
eccesso di potere per sviamento rispetto alle finalità e alla causa tipica della procedura di vendita dei beni di imprese in a.s.;
violazione del principio finalistico del “migliore realizzo”;
violazione e falsa applicazione, anche da parte del disciplinare di gara, delle norme sulla procedura negoziata nell’ambito di contratti pubblici (o che coinvolgono organi della p.a.);
eccesso di potere per carenza d’istruttoria e di motivazione, per sviamento e per irragionevolezza;
illegittimità del disciplinare di gara in parte qua :

i) la cessione, a parità di corrispettivo, di ulteriori beni aziendali rispetto a quelli contemplati nell’offerta di QS Group, costituendo l’esito di una trattativa privata intrapresa dagli organi della procedura successivamente alla fase a evidenza pubblica, violerebbe il principio di pubblicità sancito dall’art. 62, co. 2, d.lgs. n. 270/99 (“la vendita di beni immobili, aziende e rami d’azienda di valore superiore a lire cento milioni è effettuata previo espletamento di idonee forme di pubblicità”) e allo stesso tempo i canoni di concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza e proporzionalità (soltanto l’utilizzo di adeguate forme di pubblicità consentirebbe di soddisfare nel miglior modo possibile gli interessi sottesi all’amministrazione straordinaria, ossia quello al risanamento economico, con conservazione degli aspetti produttivo-occupazionali, e quello dei creditori al “miglior realizzo”);
a tanto gli organi della procedura si sarebbero determinati senza esporre alcuna plausibile motivazione e senza verificare se, a fronte di un mutamento così rilevante dell’oggetto, potessero esservi ulteriori interessati (tra cui gli altri offerenti non esclusi), proprio al fine di garantire la migliore protezione dei creditori;
in concreto poi nemmeno le addotte ragioni occupazionali, desunte dalla richiesta di autorizzazione all’aggiudicazione del complesso aziendale (impegno ad assumere settecento addetti in connessione con le nuove attività da sviluppare e a condizione di un accordo con le organizzazioni sindacali per il ricorso alla cassa integrazione per quattro anni), sarebbero idonee a sorreggere la scelta, stante la natura ipotetica ed eventuale delle medesime;
la lesione degli interessi dei creditori risulterebbe infine dall’avvenuta cessione dei beni a un prezzo molto inferiore rispetto al credito vantato (ca. 132 mln. di euro) e alla stima del 2005 (pari a euro 178 mln.);

ii) sotto altri due concorrenti profili, la trattativa privata nella vendita dei beni delle imprese in crisi sarebbe consentita solo rispetto ai complessi aziendali operanti nel campo dei servizi pubblici essenziali (artt. 2, co. 2, e 4 d.l. n. 347/03 cit.) in ragione delle più forti esigenze conservative dei soggetti incaricati dell’espletamento di attività fondamentali per la collettività (ciò sarebbe confermato dalla decisione della Commissione europea del 12.11.2008 su Alitalia), e comunque costituirebbe, su un piano più generale, modalità residuale per la conclusione dei contratti pubblici (come dimostrato dall’art. 27, sui settori esclusi, e dagli artt. 56 ss. d.lgs. n. 163/06);

iii) per le medesime ragioni innanzi esposte, sarebbero parimenti illegittime le previsioni del “Disciplinare di gara” recanti autorizzazione ai commissari straordinari sia a utilizzare la trattativa privata sia a modificare (tra l’altro) il perimetro del complesso aziendale;

II) illegittimità della determinazione autorizzativa del Ministero dello sviluppo economico e degli altri atti e determinazioni impugnati;
eccesso di potere per travisamento dei presupposti e violazione dei principi relativi alla partecipazione al procedimento amministrativo:

l’autorizzazione alla cessione sarebbe stata assunta dall’intimato Ministero su un presupposto erroneo, consistente nell’unanimità – indicata dalla stessa amministrazione quale condizione specifica per dare corso alla vendita - del parere favorevole espresso dal comitato di sorveglianza (verb. n. 37 del 30.9.2011 e nota Mise 12.12.2011) composto anche dai rappresentanti delle banche creditrici;
tale circostanza però non ricorrerebbe in fatto, alla luce della posizione espressa dal soggetto designato dalla Cassa di risparmio di Fabriano e Cupramontana (questi, nonostante l’avvenuta, ma contestata, sottoscrizione del verbale del 30.9, si sarebbe tuttavia astenuto nel corso della successiva riunione dell’1.12 sul trasferimento alla J.P. Industries) e dalla mancata esternazione del proprio avviso da parte di altri componenti del comitato (in specie, i rappresentanti di UniCredit s.p.a.);

III) illegittimità della determinazione autorizzativa del Ministero dello sviluppo economico e degli altri atti e determinazioni impugnati;
violazione degli artt. 62 e 63 d.lgs. n. 270/1999 e, in subordine, eccesso di potere per sviamento e manifesta ingiustizia nei confronti degli interessi dei creditori nell’individuazione del complesso aziendale oggetto di cessione:

sarebbero stati illegittimamente inclusi nel perimetro del complesso aziendale una serie di beni, in particolare immobili, dichiaratamente non strumentali all’attività d’impresa;
tale determinazione, oltre a costituire un sovradimensionamento del compendio da trasferire rispetto alle effettive esigenze connesse alla salvaguardia della realtà industriale (come dimostrato dal patto di opzione incluso nel contratto preliminare di cessione), avrebbe violato gli artt. 63 e 62 d.lgs. n. 270/99, riguardanti rispettivamente il trasferimento di un’azienda in esercizio, in relazione alla quale il prezzo sconterebbe la riduzione dovuta al c.d. badwill (avviamento negativo), e la dismissione di singoli cespiti, ispirata unicamente al criterio del miglior realizzo (ciò comportando l’attribuzione al cessionario, anziché il mantenimento in capo alla procedura, del surplus derivante dall’alienazione di detti cespiti non strumentali all’esercizio dell’impresa).

Si sono costituiti in resistenza il Ministero dello sviluppo economico e la società Antonio Merloni in a.s., che con articolate argomentazioni hanno eccepito l’inammissibilità dell’impugnazione e ne hanno dedotto l’infondatezza nel merito.

Successivamente, depositate dalle parti ulteriori memorie anche di replica - in particolare, a seguito della richiesta avanzata dal Collegio nella camera di consiglio del 22.3.2012, le ricorrenti hanno illustrato le ragioni a sostegno della giurisdizione del giudice amministrativo e della competenza del T.a.r. adito;
la società Antonio Merloni in a.s. ha contrododetto in relazione a entrambi i punti, ricordando in particolare, rispettivamente, l’avvenuta proposizione da parte delle banche creditrici di ricorso ex art. 65 d.lgs. n. 270/99 innanzi al Tribunale civile di Ancona e la presenza di stabilimenti in due regioni diverse (Marche e Umbria) -, all’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.

2. Ritiene il Collegio che non vi siano motivi per discostarsi dall’orientamento di recente espresso dalla Sezione con riguardo al difetto di giurisdizione del giudice amministrativo (non solo, pacificamente, sulla domanda volta alla declaratoria di nullità del contratto di vendita, ma anche sulle logicamente antecedenti pretese dirette a ottenere l’annullamento degli atti e dei provvedimenti intervenuti, meglio specificati in epigrafe, e il conseguente risarcimento dei danni;
cfr. sent. 2 luglio 2012, n. 6011).

2.1. Viene in rilievo la disposizione sull’“impugnazione degli atti di liquidazione”, disciplinata dall’art. 65, comma 1, d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 (“nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi […]”), a mente del quale “contro gli atti e i provvedimenti lesivi di diritti soggettivi, relativi alla liquidazione dei beni di imprese in amministrazione straordinaria, è ammesso ricorso al tribunale in confronto del commissario straordinario e degli altri eventuali interessati”.

Questa previsione ha sostituito l’(abrogato) art. 1 comma 1, l. 23 agosto 1988, n. 391 - secondo cui “sono di competenza dei tribunali amministrativi regionali i ricorsi contro atti e provvedimenti di autorizzazione alla vendita dei beni di proprietà delle imprese sottoposte ad amministrazione straordinaria ai sensi del decreto-legge 30 gennaio 1979, n. 26, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 aprile 1979, n. 95, nonché i ricorsi contro atti o provvedimenti adottati nel corso della suddetta procedura di vendita” -, a suo tempo interpretato dal giudice della giurisdizione nel senso che la portata della norma si esaurisse nel render chiare agli interpreti le modalità del riparto per le controversie sui provvedimenti di autorizzazione alle alienazioni di beni delle imprese in amministrazione straordinaria (ai sensi dell’ancora antecedente art. 6- bis d.l. n. 26 del 1979 cit.: “nei casi di trasferimenti di aziende, impianti o complessi aziendali o di immobili o mobili in blocco è consentita la vendita senza incanto e la vendita ad offerta privata, previa l’autorizzazione dell’autorità di vigilanza e sentito il parere del comitato di sorveglianza”), da attuarsi secondo il consueto criterio del petitum sostanziale.

Il legislatore del 1988 non aveva dunque configurato alcuna ipotesi di giurisdizione esclusiva, producendo l’art. 1 cit. un effetto di tipo meramente ricognitivo (v. Cass. civ., sez. un., n. 12068 del 1990 cit., che richiama Cass. civ., sez. un., 7 giugno 1989, n. 2760: all’esito di un excursus riguardante le finalità pure pubblicistiche della procedura di amministrazione straordinaria, le Sezioni unite hanno chiarito come “anche se il legislatore non fosse intervenuto l’interprete sarebbe potuto giungere egualmente alla conclusione che rientrassero nell’ambito della giurisdizione generale amministrativa di legittimità tutte le impugnazioni di atti amministrativi adottati nel corso della procedura di vendita […]” e come la legge del 1988 non avesse inteso alterare “la protezione della tutela in relazione alla consistenza delle posizioni giuridiche coinvolte, ma molto più semplicemente […] esplicitare normativamente l’attribuzione della giurisdizione”;
cfr. anche Cons. Stato, sez. VI, 29 luglio 1991, n. 492).

Analoga portata ricognitiva va riconosciuta all’art. 65 d.lgs. n. 270/99 cit., in merito al quale si è affermato che la norma “non fa altro che ribadire il tradizionale criterio di riparto fondato sulla natura e consistenza della posizione giuridica fatta valere in giudizio” e che “lungi dal configurare a sua volta un’ipotesi di giurisdizione ordinaria esclusiva, [essa] attribuisce al giudice ordinario le sole controversie riguardanti atti e provvedimenti relativi alla liquidazione dei beni dell’impresa in amministrazione straordinaria ‘lesivi di diritti soggettivi’, mentre per il resto opera il generale criterio di riparto della giurisdizione, in base al quale spetta al giudice amministrativo ogni controversia relativa alla legittimità degli atti lesivi di posizioni di interesse legittimo” (così, di questa Sezione, la sent. 2 novembre 2006, n. 11613).

Per mera completezza, è appena il caso di osservare che detta natura ricognitiva sembra riguardare anche altri due profili di disciplina, parimenti desumibili dai principi, e cioè che l’azione giurisdizionale innanzi al giudice ordinario: a) non è preclusa dalla presenza di “atti e […] provvedimenti lesivi di diritti soggettivi”;
e b) va promossa “in confronto del commissario straordinario e degli altri eventuali interessati”, evocando il primo aspetto l’istituto della disapplicazione degli atti amministrativi e chiarendo, il secondo, che si verte in ipotesi di litisconsorzio necessario (nei confronti degli “altri eventuali interessati”, quali ad es. gli acquirenti dei beni).

2.2. Ne segue che, applicandosi al caso di specie il ridetto art. 65, la giurisdizione va individuata alla stregua degli ordinari criteri di riparto, onde rileva la posizione giuridica fatta valere in giudizio (secondo una massima consolidata, il petitum sostanziale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della causa petendi , ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio e individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati e al rapporto giuridico del quale detti fatti sono manifestazione;
v. da ultimo, ex multis , Cass. civ., sez. un., ord. 27 febbraio 2012, n. 2926).

A questo riguardo, una condivisibile giurisprudenza ha posto l’accento sulla “novità” dell’art. 65, costituita dalla circostanza che “lo stesso decreto legislativo n. 270/99, con riferimento alla sottofase della liquidazione dei beni delle imprese in amministrazione straordinaria, nell’intento di assicurare una tutela piena dei diritti soggettivi di quanti vi fossero coinvolti” ha introdotto per l’appunto la disposizione in argomento, che “esclude la degradabilità [dei diritti] ad interesse legittimo”, come desumibile testualmente dal riferimento agli “atti e provvedimenti lesivi di diritti soggettivi, relativi alla liquidazione dei beni di imprese in amministrazione straordinaria […]”. E tanto, al fine di “garantire - in una procedura caratterizzata da esigenze di politica industriale di carattere generale, la cui valutazione è rimessa, in via esclusiva, all’autorità di vigilanza - ed in ossequio al disposto di cui all’art. 24 della Costituzione, la tutela piena per una pluralità di situazioni individuali, ivi comprese quelle dei creditori, che temano le conseguenze di una vendita antieconomica, che non possono tout court valutarsi come recessive a fronte di esigenze pubbliche che presiedono alla procedura” (così Cons. Stato, sez. VI, 12 aprile 2005, n. 1674;
secondo questa pronuncia, “la tutela dei diritti dei creditori, nella sottofase indicata della vendita del patrimonio della società in amministrazione straordinaria, deve ritenersi, pertanto, sottratta alla tradizionale dicotomia, ai fini del riparto della giurisdizione, interesse legittimo/diritto soggettivo”, per effetto dell’“esplicita attribuzione del carattere della pariteticità agli atti ed ai provvedimenti adottati nell’esaminato subprocedimento di liquidazione. Di modo che il ricorso avverso gli atti dei commissari e del Ministero autorizzatore, sulla cui base si svolge la fase della liquidazione dei beni - anche se trattasi di atti soggettivamente amministrativi - va proposto al giudice ordinario […]”, che “ha cognizione piena in ordine al dedotto rapporto verificando eventualmente, in via incidentale ed ai soli fini della disapplicazione, la legittimità degli atti e provvedimenti del commissario e del Ministero”).

Per l’opinione in disamina, spettano dunque al giudice ordinario le doglianze che, “pur implicando censure relative alla legittimità di provvedimenti dei commissari e del Ministero, riguardano specificamente il subprocedimento di liquidazione del complesso aziendale”, ivi incluse quelle attinenti “alla formazione del contratto di vendita di cui si contesta l’adeguatezza del prezzo e la legittimità delle previste modalità di pagamento, la regolarità delle garanzie, la scomposizione dell’oggetto con l’attribuzione agli immobili di un valore del tutto irrisorio” (giova peraltro precisare che in quella occasione il Consiglio di Stato non ha declinato la giurisdizione sulla doglianza, esaminata nel merito con esito di infondatezza, prospettante l’omessa comunicazione al creditore ipotecario della determinazione di avvio della procedura di alienazione).

A un simile ordine di idee sembra aderire anche la più recente giurisprudenza civile (Cass. civ., sez. un., 27 maggio 2009, n. 12247), che muovendo dall’analitica disamina della normativa sull’amministrazione straordinaria ha enucleato i due fondamentali interessi vantati dai creditori nelle procedure concorsuali finalizzate (come quella in argomento) alla liquidazione del patrimonio del debitore e al soddisfacimento dei creditori sul ricavato, vale a dire: a) quello a che “dalla vendita dei beni del debitore insolvente venga ricavato un prezzo quanto più possibile vicino a quello di mercato” (attinente alla fase liquidatoria);
e b) quello a che “l’attivo ricavato venga ripartito nel rispetto del principio della par condicio creditorum ” (attinente alla fase di ripartizione dell’attivo), chiarendo come il primo interesse fondi “la pretesa di ogni singolo creditore a che la vendita avvenga nella forma più vantaggiosa e, quindi, nel rispetto di tutta la normativa diretta a garantire tale fondamentale interesse”.

Poste tali premesse, la giurisprudenza in rassegna ha precisato:

- come i vincoli normativi posti dalla legge alle operazioni di vendita (tra cui, ad es., osservanza dei criteri generali dettati dal Ministero vigilante o accertamento preventivo del valore dei beni da liquidare), diretti a garantire gli interesse dei creditori e dei lavoratori nonché quello “generale alla conservazione del patrimonio produttivo salvaguardando l’unità operativa dei complessi aziendali”, costituiscano “sicuramente un limite inderogabile al potere discrezionale sia del commissario straordinario che del Ministero” nell’espletamento delle attività richieste per pervenire all’alienazione dei beni e che la violazione delle stesse, aventi carattere di norme imperative, comporta la nullità delle attività negoziali conclusive delle procedure di alienazione (oltre che l’illegittimità degli atti prodromici, ivi incluse le autorizzazioni ministeriali);

- come nel giudizio civile instaurato avverso “gli atti e provvedimenti lesivi di diritti soggettivi” siano parti direttamente coinvolte nella controversia il creditore ipotecario, l’impresa in amministrazione straordinaria (quale parte venditrice) e l’acquirente del cespite (quale “eventuale interessato”), dovendosi invece ricondurre la presenza in giudizio dell’amministrazione vigilante non alla sua qualità di “soggetto, cui ascrivere direttamente detta lesione”, ma soltanto a quella di soggetto “che ha emanato gli atti di autorizzazione alla esecuzione del programma di vendita ed alla conclusione del contratto di compravendita, dei quali il giudice, nell’ambito di un giudizio incidentale, è tenuto ad indagare gli effetti in relazione all’oggetto dedotto in giudizio”;
in tale situazione, il giudice civile è tenuto a disapplicare l’atto amministrativo illegittimo ( ex art. 5 l. n. 2248/1865, all. E) proprio perché le norme disciplinanti le modalità di vendita hanno carattere inderogabile, onde innanzi alle stesse “si arresta il potere discrezionale della p.a.” (in quella fattispecie si è ritenuto come l’autorità di vigilanza non potesse autorizzare la vendita di uno stabilimento non più in esercizio come se fosse in esercizio, con conseguente necessità di disapplicare il provvedimento autorizzatorio illegittimo).

2.3. Facendo applicazione degli esposti principi al caso in esame, ritiene il Collegio che venga a configurarsi proprio la situazione innanzi delineata, avendo le ricorrenti promosso un’azione a tutela del proprio diritto di credito e non ravvisandosi al contempo, rispetto agli atti amministrativi impugnati, l’attitudine degradatoria necessaria ai fini del riconoscimento della giurisdizione del giudice amministrativo.

2.3.1. In linea generale, sembra infatti plausibile sostenere che la posizione del creditore vada tenuta distinta da quella di altri soggetti coinvolti nella procedura, parimenti titolari di interessi, la cui soddisfazione dipenda però dall’esercizio di una potestà discrezionale autoritativa. Tale è, ad esempio, la situazione dell’imprenditore assoggettato alla procedura, che si dolga delle autorizzazioni all’alienazione dei beni dell’impresa (v. di questa Sezione, la sent. 11 marzo 2003, n. 1820;
v. anche Cons. Stato, sez. VI, 17 marzo 2009, n. 1585, concernente i soci illimitatamente responsabili di una società in accomandita semplice, nonché Cass. civ., sez. un, n. 12068/90 cit. sugli eredi dell’imprenditore), o quella dell’aspirante acquirente che abbia partecipato alla gara indetta dagli organi della procedura per l’alienazione dei cespiti (v., di questa Sezione, la sent. n. 11613/06 cit., in cui si precisa espressamente come la parte ricorrente non fosse creditrice dell’impresa in a.s. né vantasse diritti sul relativo patrimonio).

Non pare in altri termini che il condivisibile assunto circa la compresenza di plurimi interessi, anche di natura pubblica, possa portare alla conclusione che ogni atto degli organi della procedura possegga la menzionata attitudine degradatoria dei diritti di tutti privati interessati, e in particolare degli appartenenti al ceto creditorio, poiché ciò significherebbe svuotare di significato le norme sul riparto (attraendo all’alveo pubblicistico tutte le attività connesse all’alienazione dei beni nell’ambito dell’amministrazione straordinaria) e rendere di fatto inoperante l’art. 65 d.lgs. 270/99 (per l’opposta opinione secondo cui i creditori sarebbero legittimati all’impugnativa innanzi al giudice amministrativo, v. T.a.r. Liguria 25 novembre 1998, n. 836;
T.a.r. Piemonte 12 novembre 1997, n. 555;
non pare invece conferente la sentenza C.g.a. 7 marzo 2011, n. 179, in materia di accesso, le cui affermazioni in punto di degradazione del diritto di credito vanno tuttavia riguardate nell’ottica propria dei più ampi presupposti, in punto di condizioni dell’azione e di presupposti processuali, tipici dell’ actio ad exhibendum ).

2.3.2. In conclusione, l’iniziativa giudiziale in esame mira a rimediare alla pretesa lesione dell’interesse delle ricorrenti alla migliore soddisfazione dei crediti vantati (come d’altronde attestato dal ripetuto riferimento, nell’atto introduttivo, al principio del “migliore realizzo”).

Essa attiene pertanto al subprocedimento di liquidazione, le cui denunciate modalità di effettuazione - illegittimo avvio di una fase di negoziazione a trattativa privata dopo l’individuazione del migliore offerente a seguito di procedimento a evidenza pubblica;
autorizzazione ministeriale carente del parere unanime del comitato di sorveglianza;
cessione di beni non strumentali all’esercizio dell’impresa - non possono che rifluire, in ultima analisi, sull’esito (a dire delle ricorrenti, pregiudizievole per le vantate ragioni creditorie) delle alienazioni dei cespiti.

È appena il caso di osservare, infine, con particolare riguardo alla doglianza prospettante l’assenza di unanimità nel parere del comitato di sorveglianza, che sono le stesse ricorrenti ad allegarne l’individuazione quale condizione del contratto di vendita, ciò che può ben essere rilevato in via diretta ( i.e. nemmeno occorrendo disapplicare l’atto asseritamente illegittimo) proprio dal giudice ordinario in sede di cognizione sul contratto (che a voler seguire l’impostazione delle istanti, e sotto questo profilo, sarebbe quantomeno inefficace).

3. Per quanto sin qui osservato, la giurisdizione sulle domande avanzate dalle ricorrenti spetta al giudice ordinario, innanzi al quale la causa potrà essere riassunta ai sensi e nei termini dell’art. 11, comma 2, d.lgs. n. 104 del 2010. Le peculiarità della controversia e le oscillazioni giurisprudenziali permettono di reputare sussistenti le ragioni per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite.

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