TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-03-02, n. 202303529

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-03-02, n. 202303529
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202303529
Data del deposito : 2 marzo 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/03/2023

N. 03529/2023 REG.PROV.COLL.

N. 04681/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4681 del 2019, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato M B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l’annullamento

del provvedimento del Ministero dell’Interno di diniego di concessione della cittadinanza italiana prot. -OMISSIS- del 17 gennaio 2019 notificato al ricorrente in data 11 febbraio 2019;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 87, comma 4- bis , cod. proc. amm.;

Relatore all’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del giorno 10 febbraio 2023 il dott. Enrico Mattei e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe si contesta la legittimità del provvedimento prot. n. -OMISSIS-, emesso dal Ministero dell’Interno in data 17 gennaio 2019, con il quale è stata rigettata la domanda di cittadinanza italiana presentata dall’odierno ricorrente in data 10 luglio 2014, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992, risultando a carico dell’istante i seguenti precedenti penali:

- in data 8 aprile 2011 decreto penale -OMISSIS- esecutivo il 18 agosto 2011 per violazione dell’art. 186, comma 2, lettera c) del d.lgs. n. 285/1992;

- in data 23 settembre 2008 notizia di reato emessa dalla -OMISSIS- per violazione degli artt. 477, 482 e 489 c.p.;

- in data 25 aprile 2010 notizia di reato emessa dal -OMISSIS-per violazione dell’art. 688, comma 1, c.p..

Sostiene in sintesi il ricorrente che le presunte violazioni degli artt. 477, 482, 489 e 688 c.p. contestate dal Ministero non possono in alcun modo sorreggere e legittimare il provvedimento di diniego in quanto, oltre che risalenti agli anni -OMISSIS- non sono state seguite da alcun procedimento penale.

Né può ritenersi sufficiente a legittimare il provvedimento di diniego, in quanto di modesta rilevanza e risalente nel tempo, la condanna per aver guidato in stato di alterazione alcolica;
condanna di cui il ricorrente ha già scontato le conseguenze.

L’Amministrazione non avrebbe inoltre preso in considerazione tutti gli altri elementi, già più volte indicati dal ricorrente, sia in fase di domanda, che in fase di memoria difensiva, utili alla definizione della personalità dello stesso e alla dimostrazione della sua totale integrazione nel tessuto sociale, ossia un rapporto di lavoro continuativo da oltre 10 anni, l’acquisto di un immobile, il costante regolare pagamento della rate del mutuo, e un casellario giudiziale nullo, così come per il certificato dei carichi pendenti.

Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio per resistere al ricorso, contestando nel merito le censure ex adverso svolte e concludendo per il rigetto della domanda di annullamento del provvedimento impugnato.

All’udienza di smaltimento del giorno 10 febbraio 2023 la causa è passata in decisione.

Il ricorso è infondato e va respinto.

Sul punto il Collegio osserva quanto segue in merito alla natura del provvedimento di concessione della cittadinanza alla luce della giurisprudenza in materia, di recente sintetizzata dalla Sezione (TAR Lazio, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2947, 3018, 3471, 5130 del 2022), secondo cui l’acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone un’amplissima discrezionalità in capo all’Amministrazione, come si ricava dalla norma, attributiva del relativo potere, contenuta nell’art. 9, comma 1, della legge n. 91/1992, ai sensi del quale la cittadinanza “può” essere concessa.

Tale discrezionalità si esplica, in particolare, in un potere valutativo in ordine al definitivo inserimento dell’istante all’interno della comunità nazionale, in quanto al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti – consistenti, sostanzialmente, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consente, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si chiede di entrare a far parte), e nella possibilità di assunzione di cariche pubbliche – ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo;
si tratta infatti di determinazioni che rappresentano un’esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (cfr. Consiglio di Stato, AG, n. 9/1999 del 10.6.1999;
sez. IV n. 798/1999;
n. 4460/2000;
n. 195/2005;
sez, I, 3.12.2008 n. 1796/08;
sez. VI, n. 3006/2011;
Sez. III, n. 6374/2018;
n. 1390/2019, n. 4121/2021;
TAR Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012;
n. 3920/2013;
4199/2013).

L’interesse dell’istante a ottenere la cittadinanza deve quindi necessariamente coniugarsi con l’interesse pubblico a inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale.

Se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura “composita”, in quanto teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile dunque comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’agire del soggetto (il Ministero dell’Interno) alla cui cura lo stesso è affidato.

In questo quadro, pertanto, l’Amministrazione ha il compito di verificare che il soggetto istante sia in possesso delle qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprima integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile.

La concessione della cittadinanza rappresenta infatti il suggello, sul piano giuridico, di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di “cittadinanza sostanziale” che giustifica l’attribuzione dello status giuridico.

In altri termini, l’inserimento dello straniero nella comunità nazionale può avvenire (solo) quando l’Amministrazione ritenga che quest’ultimo possieda ogni requisito atto a dimostrare la sua capacità di inserirsi in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato (cfr., ex multis, TAR Lazio, Roma, Sez. I ter, n. 3227/2021;
n. 12006/2021 e sez. II quater, n. 12568/2009;
Cons. St., sez. III, n. 4121/2021;
n. 8233/2020;
n. 7122/2019;
n. 7036/2020;
n. 2131/2019;
n. 1930/2019;
n. 657/2017;
n. 2601/2015;
sez. VI, n. 3103/2006;
n.798/1999).

Tanto chiarito sulla natura discrezionale del potere de quo, ne deriva che il sindacato giurisdizionale sulla valutazione compiuta dall’Amministrazione – circa il completo inserimento o meno dello straniero nella comunità nazionale – non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell’esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole.

Ciò in quanto la giurisprudenza, dalla quale non vi è motivo per discostarsi, ha costantemente chiarito che, al cospetto dell’esercizio di un potere altamente discrezionale, come quello in esame, il sindacato del giudice amministrativo si esaurisce nel controllo del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, e non può estendersi all’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto su cui fondare il giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cittadino.

Il vaglio giurisdizionale non può sconfinare, quindi, nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’Amministrazione (ex multis, Cons. St., Sez. IV n. 6473/2021;
Sez. VI, n. 5913/2011;
n. 4862/2010;
n. 3456/2006;
TAR Lazio, Sez. I ter, n. 3226/2021, Sez. II quater, n. 5665/2012), la quale, nello svolgere tale delicata valutazione, “ben può rilevare che nell’ultimo decennio vi sono state condotte penalmente rilevanti (e quindi espressive di una non compiuta integrazione dello straniero nella comunità nazionale), così come può valutare i fatti per periodi ancora maggiori ai dieci anni” (T.A.R. Lazio, sentenza n. 5615/2015).

Applicando le suesposte coordinate giurisprudenziali al caso di specie, il Collegio ritiene infondate le censure formulate con il ricorso, avendo l’Amministrazione valutato in maniera non manifestamente illogica la situazione dell’odierno ricorrente, risultando a suo carico un decreto penale in data 8 aprile 2011 -OMISSIS-, per violazione dell’art. 186, comma 2, lettera c), del d.lgs. n. 285/1992 (guida in stato di ebrezza con sospensione della patente per anni uno), una notizia di reato in data 23 settembre 2008 per violazione degli artt. 477, 482 e 489 c.p. (falsità) e una notizia di reato in data 25 aprile 2010 per violazione dell’art. 688, comma 1, c.p. (ubriachezza).

I comportamenti ascritti al ricorrente denotano, infatti, una tendenza caratteriale della persona a disattendere i principi di una ordinata convivenza all’interno dello Stato, sia per quanto riguarda il rispetto delle norme che tutelano in via immediata e diretta il bene giuridico della fede pubblica, da individuarsi nella fiducia che la collettività ripone nella verità e genuinità di determinati documenti e nella speditezza e certezza della loro circolazione, nonché, in via mediata ed indiretta, l’interesse specifico che il documento genuino, quanto alla provenienza, e veridico nel suo contenuto, garantisce, sia per quanto riguarda la generalità dei concittadini per l’essersi con noncuranza messo alla guida in condizioni non idonee particolarmente rilevanti in quanto mettono a rischio l’incolumità pubblica e privata.

Come già ripetutamente chiarito da questa Sezione, tale giudizio prognostico è frutto di una valutazione complessa, in cui l’Autorità chiamata a formularlo non si limita a considerare in modo atomistico i singoli precedenti, ma li valuta nel complesso insieme dei loro reciproci rapporti, nella periodicità e reiteratività, nella loro natura: si tratta, appunto, di “indicatori”, cioè di “elementi di fatto” che sono apprezzati, sotto il profilo della loro valenza significativa dell’indole del richiedente, in modo “globale”, trattandosi di esprimere un giudizio “sintetico”, che ha natura di valutazione “d’impatto” (TAR Lazio, sez. V bis, n. n. 3527/2022, 5113/2022, 5348/2022, 6941/22, 7206/22,8206/22, 8127/22, 8131 e 32, 8189/22, 8932/22, 9291/22, ).

In tale prospettiva, pertanto, è stata riconosciuta non irragionevole la valenza prognostica negativa attribuita a quelle condotte che, anche a prescindere dalla rilevanza sotto il profilo della gravità penale, sono considerate come contrarie al dovere di solidarietà, che implica, in primo luogo, quello di non mettere a repentaglio la sicurezza e l’incolumità altrui, quali la guida in stato di ebbrezza inquadrandola nel più ampio ambito dei reati stradali (TAR Lazio, sez. V bis, sentenze n. 2943, 2947, 3026 e 3027, 4469, 4945, 4703, 4945, 6126, 6490, 8045 del 2022;
ord. 4552/2022).

In particolare, proprio in relazione alla sospensione della patente per guida in stato di ebrezza, la giurisprudenza è del tutto consolidata nel ritenere che si tratta di “fattispecie che, pur se contravvenzionale e non grave con riferimento alla pena edittale, oltre a provocare un forte allarme sociale, è connotata da un particolare disvalore rispetto ai principi fondamentali della convivenza all'interno dello Stato, in quanto suscettibile di mettere a rischio l’incolumità dei cittadini: la giurisprudenza è costante nel ritenere che il reato di guida in stato di ebbrezza deve essere oggetto di un serio apprezzamento, in quanto volto a garantire una tutela anticipata della pubblica incolumità;
detto reato, pertanto, giustifica di per sé il diniego della domanda di concessione della cittadinanza per residenza, rilevandone la portata offensiva nell’ambito del giudizio comparativo compiuto dall’Amministrazione (ex multis, Consiglio di Stato, parere n. 702 del 4 aprile 2022, e Sez. I, n. 780/2020;
Tar Lazio, Sez. V bis, n. 3026/2022). Inoltre, è stato altresì osservato che si tratta di un fatto che denota un’insensibilità al rispetto delle norme del Codice della strada, insensibilità che è stata causa, negli ultimi anni, di un enorme numero di incidenti stradali, tanto da indurre il legislatore ad intervenire con misure via via sempre più incisive, fino ad introdurre anche una fattispecie autonoma per la diversa ipotesi dell’omicidio stradale (previsto e punito dall’art. 589-bis c.p., inserito con la legge n. 41/2016), al fine di aggravare il trattamento sanzionatorio dei conducenti che, al momento del fatto, si trovano in stato di ebbrezza o di alterazione conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti” (ex multis, Tar Lazio, Sez. V bis, nn. 15170/2022 e sentenze ivi richiamate).

Inoltre la condanna del 2011 per il grave reato sopraindicato risulta particolarmente significativa, per la valutazione dell’indole dell’interessato, anche per la sua collocazione temporale in quanto ricade in stretta prossimità del c.d. “periodo di osservazione” – cioè nel decennio precedente il momento della domanda di cittadinanza (che nel caso in esame è stata presentata nel 2014) – che rileva ai fini della valutazione dell’acquisizione dei requisiti per la cittadinanza, ai sensi dell'art. 9 legge n. 91 del 1992, inclusi quelli dell’irreprensibilità della condotta (Cons. St., sez. VI - 10/01/2011, n. 52;
TAR Lazio, sez. II quater, n. 10678/13, n. 1833/2015;
TAR Lazio, sez. I ter, n. 5917/21;
da ultimo, TAR Lazio, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2945 e 2946 del 2022).

Le considerazioni che precedono impongono il rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio seguono, come da regola, la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo.

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