TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2010-09-06, n. 201017306

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2010-09-06, n. 201017306
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201017306
Data del deposito : 6 settembre 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 06999/1991 REG.RIC.

N. 17306/2010 REG.SEN.

N. 06999/1991 REG.RIC.

N. 01810/1991 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 6999 del 1991, proposto da:
M P, rappresentata e difesa dall'avv. G A, con domicilio eletto in Pozzuoli alla 2° traversa Miliscola n. 12;

contro

Comune di Pozzuoli, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura Municipale, con domicilio in Pozzuoli, via Troiano Arco Felice;



Sul ricorso numero di registro generale 1810 del 1991, proposto da:
M P, rappresentata e difesa dall'avv. G A, con domicilio eletto Pozzuoli alla 2° traversa Miliscola n. 12;

contro

Comune di Pozzuoli, in persona del Sindaco p.t., con domicilio in Pozzuoli, via Troiano Arco Felice;

per l'annullamento:

quanto al ricorso n. 6999 del 1991:

delle ordinanze di demolizione n. 349/90 e 349bis/90-91 rispettivamente del 26.11.1990 e del 28.1.1991, del silenzio-rifiuto formatosi sull’istanza di sanatoria ex art. 13 della legge n. 47/85 a seguito della risposta data dal Sindaco n. 23460 del 20.5.1991 edi ogni altro atto preordinato,connesso e conseguente;

quanto al ricorso n. 1810 del 1991:

dell’ordinanza di demolizione n. 349bis/90-91 del 28.1.1991 e di ogni altro atto preordinato, connesso e conseguente;


Visto i ricorsi con i relativi allegati;

Visto tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 giugno 2010 il Cons. Angelo Scafuri e udito per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La ricorrente si duole delle ordinanze di demolizione di opere abusive in epigrafe specificate, consistenti in “realizzazione di un manufatto in c.a…p.t. e 1°piano..occupando una superficie di mq 145 per piano “ (ord. n. 349/1990) e “completamento del 1° piano in ogni opera mentre al P.T. ..tompagnatura con intonaci interni ed esterni e predisposizione imp. elettrico…in aderenza a tale struttura è stato rilevato un locale in pietre di tufo al P.T. di mt 6x13.90 e sovrastante parapetto in tufo su un solo lato alto mt 2 ca” (ordinanza n. 349bis/1991) nonché del “silenzio rifiuto formatosi a seguito della risposta data dal Sindaco ..in data 20/5/1991 prot. n 23460 in merito all’istanza..tendente ad ottenere concessione in sanatoria ex art. 13 della legge n. 47/85”.

A sostegno dei gravami l’interessata deduce di non essere proprietaria del suolo, l’omessa valutazione della sanabilità dell’opera tanto più in presenza dell’istanza ex art. 13 della legge n. 47/85, il difetto di motivazione in particolare sull’interesse pubblico, la sussistenza dell’obbligo di provvedere stante la conformità alla normativa urbanistica..

Il Comune intimato si è costituito in giudizio mediante deposito di copia del ricorso.

Alla pubblica udienza del 9 giugno 2010 le cause sono state introitate per la decisione.

DIRITTO

Preliminarmente i ricorsi devono essere riuniti per evidenti ragioni di connessione oggettiva e soggettiva.

Nel merito sono da respingere.

Per quanto riguarda il primo gravame avverso l’ordinanza di demolizione n. 349bis/90-91 (ric. n.1810 del 12.3.1991) va osservato in primo luogo l’irrilevanza della dedotta qualità di non proprietaria - comunque meramente asserita e non suffragata da alcun elemento probatorio – sussistendo la legittimazione passiva ex lege in primis in capo all’autore dell’abuso, condizione che viceversa non è negata dall’interessata.

Sotto il profilo sostanziale va poi rilevato che le opere sanzionate sono soggette al regime concessorio in quanto incidono per numero, natura e consistenza sull’assetto edilizio preesistente non potendo che essere qualificate come sensibile trasformazione dei volumi e delle preesistenti superfici nonché dell’aspetto esteriore degli edifici.

Il sicuro assoggettamento al regime concessorio rende adeguata la motivazione del provvedimento impugnato, che appunto si basa sulla mancanza della necessaria concessione edilizia.

Al riguardo si rileva che l’incontestato carattere abusivo con conseguente natura dovuta del provvedimento sanzionatorio adottato rende priva di pregio la censura inerente il difetto di motivazione, in particolare sull’interesse pubblico concreto e specifico, tenuto anche conto che per pacifica giurisprudenza l’ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive è sufficientemente motivata con riferimento all’oggettivo riscontro dell’abusività delle opere ed alla sicura assoggettabilità di queste al regime concessorio.

I provvedimenti che ordinano la demolizione di manufatti abusivi non abbisognano di congrua motivazione in ordine all’attualità dell’interesse pubblico alla loro rimozione che è in re ipsa consistendo nel ripristino dell’assetto urbanistico violato (ex plurimis Consiglio di Stato, sez. V n. 628 del 9 febbraio 2010;
questo Tribunale sez. IV del 10.1.2008 e n. 19341 del 7.11.2008).

D’altronde in caso di abuso edilizio non sussiste un affidamento del privato tutelabile da parte dell’ordinamento, per cui l’ordinanza di demolizione non deve essere sorretta da alcuna specifica motivazione in ordine alla sussistenza dell’interesse pubblico a disporre la sanzione, non potendo l’abuso giustificare alcuna aspettativa del contravventore a veder conservata una situazione di fatto che il semplice trascorrere del tempo non può legittimare.

Del pari non possono condividersi le doglianze inerenti la sanabilità dell’opera ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47/85.

In proposito si evidenzia in primo luogo che prima di emanare l’ordine di demolizione il Comune non ha l’obbligo di verificarne la sanabilità ai sensi dell’art. 13 della legge n. 241/1990 (oggi art.36 DPR 380/2001), essendo rimessa all’esclusiva iniziativa della parte interessata l’attivazione del procedimento di accertamento di conformità urbanistica (questa sezione n. 19290 del 6.11.2008).

Nella specie peraltro risultano presentate due istanze di accertamento di conformità.

La prima (n. 274 del 3.1.1991) è rimasta priva di risposta (cfr. deposito della difesa municipale del 12.6.1991 in riscontro alla richiesta istruttoria di cui all’ordinanza cautelare n. 64/1991).

La seconda è stata invece presentata in data 20.3.1991 (protocollo comunale. n.13442 del 25.3.1991), successiva all’ordinanza di demolizione n. 349bis/90-91, e riscontrata solo in via interlocutoria dal Comune con la nota n. 23460 del 20.5.1991.

Quest’ultima, in una con una precedente ordinanza di demolizione n. 349/1990 nonché con il “silenzio rifiuto formatosi”, sono gravate dall’interessata con il secondo ricorso (n. 6999 del 3.10.1991).

Al riguardo va primariamente sancita l’irricevibilità dell’impugnativa avverso la precedente ordinanza di demolizione n. 349/1990, essendo questa stata notificata in data 27.11.1990 mentre il ricorso risulta notificato l’11 settembre 1991, quindi ben oltre i prescritti termini decadenziali.

Per quanto poi riguarda l’istanza di sanatoria si osserva in via generale che l'accertamento di conformità previsto dall'art. 13 della legge n. 47/1985, poi confluito nell'art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, è diretto a sanare le opere solo formalmente abusive, in quanto eseguite senza il previo rilascio del titolo, ma conformi nella sostanza alla disciplina urbanistica applicabile per l'area su cui sorgono, vigente sia al momento della loro realizzazione che al momento della presentazione dell'istanza di sanatoria (cd. "doppia conformità").

Il provvedimento di accertamento di conformità assume pertanto una connotazione eminentemente oggettiva e vincolata, priva di apprezzamenti discrezionali, dovendo l'autorità procedente valutare l'assentibilità dell'opera eseguita senza titolo, sulla base della normativa urbanistica ed edilizia vigente in relazione ad entrambi i momenti considerati dalla norma.

Ciò premesso, va in primo luogo considerato che il silenzio tenuto sulla istanza di accertamento di conformità ex art. 13 della legge n. 47/85 non è qualificabile come silenzio inadempimento o silenzio rifiuto, giacché l’ordinamento ha previsto espressamente quale sia la conseguenza giuridica dell’inutile decorso del termine per provvedere.

Invero l’art. 13 della l. 47/1985, ora trasfuso nell’art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001, espressamente prevede un’ipotesi di silenzio diniego, ovvero di silenzio che la norma costruisce come fattispecie legale tipica avente valore di provvedimento a contenuto negativo, reiettivo dell’istanza (giurisprudenza ormai consolidata: ex plurimis Consiglio di Stato, Sez. V, 11.2.2003, n. 706 e sez. IV 14 febbraio 2006 n. 598;
questa sezione n. 5484 del 5.5.2005 e n 18225/2005, n. 2834 del 9 marzo 2006 e n. 7958 del 7 settembre 2007 e n.756 del 12.2.2008).

D’altro canto, a prescindere dal dato letterale, si tratta invero, come sopra detto, di accertamento concernente una valutazione doverosa e vincolata, priva di contenuti discrezionali, avente per oggetto la realizzazione di un assetto di interessi già prefigurato dalla disciplina urbanistica applicabile e risultando sul piano logico comunque irragionevole imporre alla P.A. un obbligo di pronuncia espressa in relazione ad un’istanza del privato che, violando la legge, ha omesso di chiedere preventivamente il permesso di costruire ed ha in via di fatto realizzato la sua pretesa edificatoria sottraendosi al previo controllo di conformità alla pianificazione urbanistica (questo Tribunale sez. I, n.7952/2003).

La qualificazione del comportamento omissivo dell'Amministrazione come reiezione della richiesta di conformità avanzata dal privato comporta che il silenzio-diniego formatosi può essere impugnato dall'interessato in sede giurisdizionale, nel prescritto termine decadenziale di sessanta giorni, alla stessa stregua di un comune provvedimento, senza che però possano ravvisarsi in esso i vizi formali propri degli atti, quali i difetti di procedura o la mancanza di motivazione.

Invero tale provvedimento, in quanto tacito, è già di per sé privo di motivazione ed è quindi impugnabile solo per il suo contenuto di rigetto (questo Tribunale sez. II n. 10128 del sez. II, 13 luglio 2004).

Per converso, l'obbligo di motivare non può che riguardare l'ipotesi in cui l'Amministrazione ritenga di accogliere la richiesta di accertamento di conformità. L'imposizione di siffatto obbligo, in tale caso, appare altresì coerente con la ragione dell'istituto: trattandosi di sanare ex post un abuso edilizio, la P.A. non può sottrarsi - nell'interesse dell'intera collettività e degli eventuali proprietari confinanti - all'onere di specifica e puntuale esposizione delle ragioni, in fatto e in diritto, che consentono di legittimare l'opera realizzata sine titulo. Il privato, peraltro, non vede diminuito il proprio diritto di difesa per il fatto di non potere dedurre il vizio di difetto di motivazione dell'impugnato silenzio-diniego, ben potendo allegare che l'istanza di sanatoria sia meritevole di accoglimento, per la sussistenza della prescritta doppia conformità delle opere abusive realizzate, adducendo - s'intende - un valido principio di prova.

Sotto tale profilo la ricorrente non ha assolto all’onere di allegazione e probatorio derivante dalla ripetuta norma, omettendo di fornire dimostrazione della conformità dell’opera alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente nella zona interessata.

Le considerazioni di cui sopra valgono per entrambe le istanze di sanatoria presentate.

In ogni caso per la seconda, che deve comunque ritenersi aver assorbito la prima non prodotta agli atti di causa, va altresì rimarcato che «in tema di opere abusive, “non può incidere sulla legittimità del provvedimento di demolizione il mancato esame di un'istanza di accertamento di conformità ex art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001 presentata successivamente i cui effetti l'amministrazione dovrà autonomamente valutare» (così, C.d.S., Sez. IV, 19 febbraio 2008, n. 849).

Ne consegue che la validità ovvero l'efficacia dell'ordine di demolizione non risultano pregiudicate dalla successiva presentazione di un'istanza ex art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001, posto che nel sistema non è rinvenibile una previsione dalla quale possa desumersi un tale effetto, sicché, se da un lato la presentazione dell'istanza ex art. 36 determina inevitabilmente un arresto dell'efficacia dell'ordine di demolizione, all'evidente fine di evitare, in caso di accoglimento dell'istanza, la demolizione di un'opera che, pur realizzata in assenza o difformità dal permesso di costruire, è conforme alla strumentazione urbanistica vigente, dall'altro, occorre ritenere che l'efficacia dell'atto sanzionatorio sia soltanto sospesa, cioè che l'atto sia posto in uno stato di temporanea quiescenza.

All'esito del procedimento di sanatoria, in caso di accoglimento dell'istanza, l'ordine di demolizione rimarrà privo di effetti in ragione dell'accertata conformità dell'intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso sia al momento della presentazione della domanda, con conseguente venir meno dell'originario carattere abusivo dell'opera realizzata. Di contro, in caso di rigetto dell'istanza, l'ordine di demolizione riacquista la sua efficacia, con la sola precisazione che il termine concesso per l'esecuzione spontanea della demolizione deve decorrere dal momento in cui il diniego di sanatoria perviene a conoscenza dell'interessato, che non può rimanere pregiudicato dall'avere esercitato una facoltà di legge, quale quella di chiedere l'accertamento di conformità urbanistica, e deve pertanto poter fruire dell'intero termine a lui assegnato per adeguarsi all'ordine, evitando così le conseguenze negative connesse alla mancata esecuzione dello stesso.

In definitiva la proposizione di un'istanza di accertamento di conformità ai sensi dell'art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001 in tempo successivo all'emissione dell'ordinanza di demolizione, incide unicamente sulla possibilità dell'Amministrazione di portare ad esecuzione la sanzione, ma non si riverbera sulla legittimità del precedente provvedimento di demolizione (questa sezione 24 settembre 2009 n. 5071).

Sussistono le ragioni per disporre la compensazione delle spese di giudizio

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