TAR Roma, sez. II, sentenza 2020-02-13, n. 202001980
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Testo completo
Pubblicato il 13/02/2020
N. 01980/2020 REG.PROV.COLL.
N. 09411/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9411 del 2018, proposto da
Comune di Lesina, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato N T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio del difensore in Roma, Via Antonio Bertoloni, 44-46;
contro
Ministero dell’economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio fisico in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
Regione Puglia, in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato Francesco Zizzari, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio fisico eletto in Roma, Via Barberini, 36;
per l’annullamento
- della nota del Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato – Ispettorato generale per i rapporti finanziari con l’Unione europea – Ufficio XIII prot. n. 10384 del 19 gennaio 2018, avente ad oggetto: “ Esecuzione della Sentenza della Corte di Giustizia Ue del 2 Dicembre 2014, Causa C 196/13. Condanna della Repubblica Italiana per inadempimento e mancata esecuzione delle direttive in materia di rifiuti. Reintegro delle somme anticipate dal Ministero dell’economia e delle finanze. Intesa ex art. 43, comma 7, della legge 234/2012 ”;
- di tutti gli atti presupposti, connessi e/o consequenziali, ancorché non conosciuti.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’economia e delle finanze e della Regione Puglia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 novembre 2019 la dott.ssa F Vra Di Mauro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. In esito alla causa C-135/05, proposta dalla Commissione delle Comunità europee contro la Repubblica italiana, la Corte di giustizia ha emesso la sentenza del 26 aprile 2007 (EU:C:2007:250), con la quale ha accolto il ricorso per inadempimento presentato dalla Commissione, ai sensi dell’articolo 226 del TCE – Trattato che istituisce la Comunità europea (ora articolo 258 del TFUE – Trattato sul funzionamento dell’Unione europea), dopo aver constatato che la Repubblica italiana era venuta meno, in modo generale e persistente, agli obblighi relativi alla gestione dei rifiuti, su di essa incombenti ai sensi degli articoli 4, 8 e 9 della direttiva 75/442/CEE, dall’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 91/689/CEE, nonché dall’articolo 14, lettere da a) a c), della direttiva 1999/31/CE, per non aver adottato tutti i provvedimenti necessari per l’attuazione delle suddette disposizioni.
2. Con la successiva sentenza del 2 dicembre 2014, resa nella causa C-196/13, lo Stato italiano è stato condannato a versare alla Commissione europea, sul conto “Risorse proprie dell’Unione europea”, la somma forfettaria di euro 40 milioni, nonché, a partire dal giorno di pronuncia della stessa sentenza e fino all’esecuzione della sentenza Commissione/Italia (EU:C:2007:250), una penalità semestrale calcolata secondo la seguente modalità: (i) per il primo semestre successivo alla decisione, un importo iniziale fissato in euro 42.800.000, dal quale sarebbero stati detratti, per ogni altra discarica messa a norma conformemente alla predetta sentenza, rispettivamente euro 400.000,00, se contenente rifiuti pericolosi, ed euro 200.000,00 in tutti gli altri casi; (ii) per tutti i semestri successivi, una penalità calcolata alla fine del semestre a partire dall’importo della penalità stabilita per il semestre precedente, applicando le predette detrazioni per le discariche oggetto dell’inadempimento constatato messe a norma nel corso del semestre.
La condanna in questione è stata comminata per la mancata adozione da parte della Repubblica italiana di tutte le misure necessarie a dare esecuzione alla sentenza Commissione/Italia (C-135/05, EU:C:2007:250) e per il conseguente inadempimento agli obblighi su di essa incombenti in forza dell’articolo 260, paragrafo 1, del TFUE.
Si è affermato nella decisione che la Repubblica italiana non era stata in grado di dimostrare che l’inadempimento constatato nella sentenza Commissione/Italia (EU:C:2007:250) fosse effettivamente cessato.
La data di riferimento per valutare l’esistenza dell’inadempimento è stata individuata alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato della Commissione (26 giugno 2009), vale a dire al 30 settembre 2009.
Si è respinto l’argomento sostenuto dalla Repubblica italiana secondo cui i provvedimenti di chiusura e di messa in sicurezza delle discariche sarebbero sufficienti per conformarsi a quanto prescritto dall’articolo 4 della direttiva 75/442/CEE, affermando che, al contrario, uno Stato membro è obbligato a verificare se sia necessario bonificare le vecchie discariche abusive e, all’occorrenza, a provvedere in tal senso.
Si è, altresì, affermato nella sentenza che in certi siti i lavori di bonifica erano ancora in corso o non erano stati iniziati alla scadenza della proroga del termine fissato nel parere motivato, mentre per altri siti la Repubblica italiana non aveva fornito alcuna indicazione utile a determinare la data in cui le operazioni di bonifica sarebbero state eventualmente attuate, per cui la Corte ha ritenuto fondata la censura della Commissione basata sulla persistente violazione dell’articolo 4 della direttiva 75/442/CEE.
Per quanto concerne la censura relativa alla violazione dell’articolo 8 della direttiva 75/442/CEE, la Corte ha evidenziato che, in base alla predetta disposizione, volta a garantire l’attuazione del principio dell’azione preventiva, gli Stati membri sono tenuti ad accertarsi che il detentore di rifiuti li consegni a un raccoglitore privato o pubblico o a un’impresa che effettua le operazioni di smaltimento o di recupero di rifiuti, oppure che vi provveda direttamente, conformandosi alle disposizioni della direttiva. Tale obbligo non è soddisfatto quando lo Stato membro ordina il sequestro della discarica abusiva e avvia un procedimento penale contro il gestore di tale discarica.
Lo Stato italiano si era, invece, limitato ad affermare che le discariche in questione erano chiuse alla data di scadenza della proroga del termine impartito nel parere motivato e a sostenere che le sanzioni penali previste in materia dal diritto nazionale fossero adeguate, senza dichiarare che, in assenza di recupero o di smaltimento dei rifiuti di cui trattasi da parte del loro detentore, tali rifiuti fossero stati consegnati a un raccoglitore privato o pubblico o a un’impresa che effettua queste operazioni. Sulla scorta delle predette circostanze, la Corte ha quindi ritenuto che, allo scadere della proroga, la Repubblica italiana continuasse a non soddisfare l’obbligo specifico e che, pertanto, la censura della Commissione relativa alla violazione del predetto articolo 8 dovesse essere accolta.
Quanto alla censura relativa alla violazione dell’articolo 9 della direttiva 75/442/CEE, la Corte ha ricordato che tale disposizione impone agli Stati membri di prescrivere che le imprese o gli stabilimenti che svolgono operazioni di smaltimento di rifiuti sul loro territorio devono essere titolari di un’autorizzazione e, inoltre, di assicurarsi che il regime autorizzatorio prescritto sia effettivamente applicato e rispettato, effettuando a tal fine controlli adeguati e garantendo la cessazione delle operazioni svolte senza titolo abilitativo, nonché di applicare effettivamente le sanzioni in caso di accertamento di violazioni. Di conseguenza, la mera chiusura di una discarica non è sufficiente per conformarsi all’obbligo derivante dall’articolo 9 della direttiva 75/442/CEE.
Al riguardo, lo Stato italiano – secondo quanto evidenziato nella sentenza della Corte – si era limitato ad affermare che tutte le discariche indicate dalla Commissione risultavano chiuse alla scadenza del termine impartito, riconoscendo, tuttavia, che i gestori di alcune di esse non erano mai stati titolari di autorizzazione.
Relativamente alla censura vertente sulla violazione dell’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 91/689/CEE, si è rilevato che, ai sensi di tale disposizione, gli Stati membri devono adottare i provvedimenti necessari a imporre che, ovunque siano depositati, i rifiuti pericolosi siano catalogati e identificati, mentre la Repubblica italiana non aveva dimostrato di aver provveduto, entro lo scadere della proroga del termine impartito nel parere motivato, a una catalogazione e identificazione esaustiva di ciascuno dei rifiuti pericolosi