TAR Milano, sez. III, sentenza 2009-07-13, n. 200904354

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Milano, sez. III, sentenza 2009-07-13, n. 200904354
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Milano
Numero : 200904354
Data del deposito : 13 luglio 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01790/1999 REG.RIC.

N. 04354/2009 REG.SEN.

N. 01790/1999 REG.RIC.

N. 03917/1998 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 1790 del 1999, proposto da:
Eni Spa gia' Agip Petroli S.p.A., rappresentato e difeso dagli avv. L A, A M, M S, con domicilio eletto presso M S in Milano, viale Regina Margherita, 43;

contro

Comune di Muggio', rappresentato e difeso dagli avv. F C, M A P, S Z, con domicilio eletto presso S Z in Monza, via Italia, 50;

nei confronti di

Provincia di Milano;

Sul ricorso numero di registro generale 3917 del 1998, nonché sul ricorso per motivi aggiunti, relativo ai medesimi atti gravati con il ricorso rubricato sub r.g. 3917/1998: proposto da:
Eni Spa gia' Italiana Petroli Ip S.p.A., rappresentato e difeso dagli avv. Giovanni Acquarone, A M, M S, con domicilio eletto presso M S in Milano, viale Regina Margherita, 43;

contro

Comune di Muggio', rappresentato e difeso dagli avv. F C, M A P, S Z, con domicilio eletto presso S Z in Monza, via Italia n. 50;

per l'annullamento

previa sospensione dell'efficacia,

quanto al ricorso n. 1790 del 1999:

1) deliberazione della Giunta Municipale del Comune di Muggiò n. 40 del 20 febbraio 1998 portante approvazione del progetto esecutivo di collegamento viario della via San Rocco con la nuova strada di arroccamento a lato di viale Repubblica e contestuale dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità della suddetta opera;

2) decreto sindacale prot. n. 19417 del 29 settembre 1998 con il quale è stata disposta l’occupazione d’urgenza delle aree necessarie all’esecuzione dei lavori;

3) decreto di data e numero sconosciuti con il quale è stata espropriata parte dell’area sulla quale sorge l’impianto di distribuzione carburanti della ricorrente.

quanto al ricorso n. 3917 del 1998 e il successivo ricorso per motivi aggiunti:

1) provvedimento del Sindaco del Comune di Muggiò prot. n. 13576 del 30 giugno 1998 avente ad oggetto la dichiarazione di incompatibilità ai sensi del d.l.vo 1998 n. 32 dell’impianto stradale di distribuzione di carburante sito in Muggiò via Mazzini e gestito da Italiana Petroli s.p.a;

2) l’adottata variante generale al P.R.G. di Muggiò nella parte in cui escluderebbe la permanenza in loco dell’impianto della ricorrente;

3) la determinazione assunta in data 23 luglio 1997 con la quale il Consiglio Comunale di Muggiò si espresse contro il mantenimento dell’impianto;

4) la deliberazione consiliare n. 52 del 23 luglio 1997, portante approvazione del progetto di collegamento della via San Rocco con la nuova strada di arroccamento a lato di Viale Repubblica, nella parte in cui interferisce con l’area occupata dall’impianto;

Visti i ricorsi con i relativi allegati;

Visto gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Muggio';

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11/06/2009 il dott. F F e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO

1) Con ricorso rubricato sub r.g. 3917/1998, ritualmente notificato e depositato, la società Italiana Petroli – IP s.p.a. (poi assorbita da Agip Petroli s.p.a. e successivamente da Eni s.p.a., costituitasi in giudizio), ha impugnato gli atti indicati in epigrafe deducendone l’illegittimità sotto diversi profili.

In particolare la società ricorrente ha dedotto i motivi così rubricati:

1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 e dell’art. 3 del d.l.vo 1998 n. 32. Eccesso di potere per difetto dei presupposti e di istruttoria. Illogicità, ingiustizia grave e manifesta. Travisamento. Contraddittorietà. Violazione dell’art. 3 della legge 1990 n. 241. Difetto di motivazione. Sviamento.

2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 5, e 2 del d.l.vo 1998 n. 32 in relazione agli artt. 46 e 61 del codice della strada. Violazione della Circolare del Ministero dell’Industria del 4 agosto 1998. Eccesso di potere per difetto dei presupposti sotto altro profilo;

3) Incompetenza. Violazione e falsa applicazione dell’art. 51 della legge 1990 n. 142, come modificato dall’art. 6 della legge 1997 n. 127;

4) Violazione e falsa applicazione degli artt. 7, 8, 9 e 10 della legge 1990 n. 241. Eccesso di potere per difetto dei presupposti e di istruttoria.

Con separata istanza, ritualmente notificata e depositata, la società ricorrente chiedeva la sospensione degli atti impugnati.

Con ordinanza datata 27.10.1998 il Presidente della terza sezione del Tar Lombardia – Milano disponeva incombenti istruttori a carico dell’amministrazione comunale;
l’ordinanza è stata adempiuta in data 15.12.1998 mediante deposito in segreteria della documentazione prescritta.

Con ricorso per motivi aggiunti, relativo ai medesimi atti gravati con il ricorso rubricato sub r.g. 3917/1998, la società Italiana Petroli s.p.a. ha dedotto ulteriori motivi di impugnazione, così rubricati:

1) primo motivo aggiunto: violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 3 del d.l.vo 1998 n. 32. Eccesso di potere per assoluto difetto dei presupposti. Difetto di istruttoria. Travisamento e difetto di motivazione.

2) Secondo motivo aggiunto: violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 3 del d.l.vo 1998 n. 32. Eccesso di potere per difetto dei presupposti e di istruttoria. Travisamento dei fatti.

Con memoria datata 28.05.1999 si costituiva in giudizio il Comune di Muggiò, chiedendo il rigetto del ricorso avversario.

Con memoria depositata in data 28.05.2009 la società ricorrente insisteva per l’accoglimento del ricorso.

Con successivo ricorso, rubricato sub r.g. n. 1790/1999, ritualmente depositato e notificato, la società Agip Petroli s.p.a (poi assorbita da Eni s.p.a., costituitasi in giudizio) impugnava gli atti indicati in epigrafe, chiedendone la sospensione cautelare e deducendo i motivi così rubricati:

1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 20 della legge 1971 n. 865. Eccesso di potere per difetto assoluto di presupposto legittimante;

2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e seguenti della legge 1990 n. 241;

3) Violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e seguenti della legge 1990 n. 241 sotto ulteriore profilo;

4) Incompetenza . Violazione e falsa applicazione dell’art. 51 della legge 1990 n. 142, come modificato dall’art. 16 della legge 1997 n. 127 e dall’art. 2, comma 12, della legge 1998 n. 191.

5) Invalidità derivata.

Con memoria datata 28.05.1999 si costituiva in giudizio il Comune di Muggiò, chiedendo il rigetto del ricorso avversario.

Con memoria depositata in data 28.05.2009 la società ricorrente insisteva per l’accoglimento del ricorso.

Con ordinanza n. 1481/99 datata 28.05.1999 il Tar Lombardia Milano – sezione terza, previa riunione dei ricorsi rubricati rispettivamente sub r.g. 3917/1998 e r.g. 1790/1999, accoglieva le istanze cautelari presentate dalla società ricorrente.

All’udienza del giorno 11.06.2009, le cause sono state trattenute in decisione.

DIRITTO

1) Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi rubricati, rispettivamente, sub r.g. 3917/1998 e r.g. 1790/1999 – confermando sul punto quanto già disposto dal Tribunale in sede di ordinanza cautelare – in quanto si tratta di impugnazioni connesse soggettivamente ed oggettivamente, atteso che, da un lato, la società Italiana Petroli IP s.p.a. – ricorrente nel ricorso sub r.g. 3917/1998 – è stata assorbita da Agip Petroli s.p.a. – ricorrente nel ricorso sub r.g. 1790/1999 – a sua volta confluita nella società Eni s.p.a. a seguito di fusione per incorporazione (cfr. memoria di Eni s.p.a. depositata in data 06.04.2009), dall’altro, i due ricorsi riguardano provvedimenti adottati dal Comune di Muggiò e incidenti sulla medesima situazione oggettiva, essendo inerenti all’attività dell’impianto di distribuzione di carburante situato nel Comune di Muggiò, via Mazzini e alla destinazione urbanistica dell’area occupata dal distributore medesimo.

2) Con il primo dei ricorsi in esame, rubricato sub r.g. n. 3917/1998, cui si correla il ricorso per motivi aggiunti indicato in epigrafe, la società Italiana Petroli s.p.a. impugna, in primo luogo, il provvedimento n. 13576 datato 30.06.1998 con il quale il Sindaco del Comune di Muggiò ha dichiarato l’incompatibilità, ai sensi dell’art. 3, comma 2, del d.l.vo 1998 n. 32, dell’impianto stradale di distribuzione di carburante gestito dalla società medesima, in quanto contrastante “con le disposizioni a tutela del traffico urbano ed extraurbano, della sicurezza stradale”, nonché “con le previsioni urbanistiche della Variante Generale in fase di approvazione regionale che individua l’area a standard con specifica destinazione a verde pubblico, gioco e sport”.

Il provvedimento impugnato riferisce anche che il Consiglio Comunale “nell’ordine del giorno della seduta del 23.07.1997” si è espresso “contro il mantenimento dell’impianto stradale di distribuzione carburante in via Mazzini per i motivi sopra elencati. Nella stessa seduta con deliberazione n. 52 è stato approvato il progetto di collegamento via San Rocco con nuova strada di arroccamento a lato di viale Repubblica nel quale veniva definita la destinazione di parte dell’area in oggetto”.

L’impugnazione viene poi formalmente estesa ad ulteriori atti, quali: a) l’adottata variante generale al P.R.G. di Muggiò nella parte in cui escluderebbe la permanenza in loco dell’impianto della ricorrente;
b) la determinazione assunta in data 23 luglio 1997 con la quale il Consiglio Comunale di Muggiò si espresse contro il mantenimento dell’impianto;
c) la deliberazione consiliare n. 52 del 23 luglio 1997, portante approvazione del progetto di collegamento della via San Rocco con la nuova strada di arroccamento a lato di Viale Repubblica, nella parte in cui interferisce con l’area occupata dall’impianto.

Nondimeno, in relazione a questi ultimi atti il ricorrente non articola, né mediante il ricorso principale, né mediante il ricorso per motivi aggiunti, delle censure specifiche, atteso che si limita a contestare il provvedimento recante la dichiarazione di incompatibilità dell’impianto ai sensi del d.l.vo 1998 n. 32.

Ne deriva che il ricorso va esaminato solo in relazione all’impugnata dichiarazione di incompatibilità, in quanto oggetto delle censure in esso articolate.

2.1) Rispetto alle censure formulate nei confronti del provvedimento sindacale con il quale è stata dichiarata l’incompatibilità dell’impianto di distribuzione del carburante va esaminata per prima quella contenuta nel terzo motivo del ricorso principale, mediante il quale si lamenta il vizio di incompetenza, in quanto il provvedimento è stato adottato dal Sindaco e non dal dirigente di settore.

Il motivo è fondato.

In primo luogo va osservato che il provvedimento in questione è stato adottato il 30.06.1998, ossia durante la vigenza della legge 1990 n. 142 e dopo l’entrata in vigore del d.l.vo 31 marzo 1998 n. 80 (pubblicato nella G.U. 8 aprile 1998, n. 82, S.O., poi corretto con avvisi pubblicati nella G.U. 18 aprile 1998, n. 90 e nella G.U. 22 maggio 1998, n. 117).

D’altro canto, le norme degli artt. 1, 2 e 3 del d.l.vo 1998 n. 32 - cui si riferisce la fattispecie in esame – si limitano a prevedere che l’attività di installazione ed esercizio di distributori di carburante sono esercitate sulla base di un’apposita autorizzazione rilasciata dal Comune, senza ulteriori precisazioni in ordine all’individuazione dell’organo competente all’adozione di tale provvedimento.

Solo il comma 3 dell’art. 1, nel disciplinare la formazione del silenzio assenso sull’istanza presentata, dispone che “il Sindaco, sussistendo ragioni di pubblico interesse, può annullare l'assenso illegittimamente formatosi, salvo che l'interessato provveda a sanare i vizi entro il termine fissato dal Comune stesso”.

Viceversa, il comma 5 dell’art. 3 assegna al Comune il potere di verifica dell’idoneità tecnica degli impianti, ai fini della sicurezza sanitaria e ambientale, senza alcuna precisazione in ordine all’organo competente.

Ne deriva che la competenza ad adottare la dichiarazione di incompatibilità oggetto di impugnazione deve essere determinata alla luce delle disposizioni che in generale disciplinano il riparto delle competenze tra organi politici e organi di gestione degli enti locali.

Sul punto, l’art. 51, comma 3 lett. f), della legge 1990 n. 142 dispone che “spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l'adozione di atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, che la legge e lo statuto espressamente non riservino agli organi di governo dell'ente. Sono ad essi attribuiti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dall'organo politico, tra i quali in particolare, secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell'ente: … f) i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo, ivi comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie …”

Ne deriva che già in base alla legge 1990 n. 142 si deve ritenere che la dichiarazione di incompatibilità rientri tra le attribuzioni gestionali riservate ai dirigenti, atteso che il d.l.vo 1998 n. 32 non prevede sul punto una specifica competenza sindacale.

In senso contrario non rileva la circostanza che l’art. 1, comma 3, del d.l.vo 1998 n. 32 attribuisca espressamente al Sindaco il potere di autoannullare il silenzio assenso formatosi sull’istanza di autorizzazione all’esercizio di un impianto di distribuzione di carburante, in quanto tale disposizione, da un lato, non si riferisce anche alla dichiarazione di incompatibilità dell’impianto, dall’altro, appare comunque superata dall’art. 45, comma 1, del d.l.vo 1998 n. 80, vigente al tempo dell’emanazione dell’atto impugnato.

Invero, l’art. 45, comma 1, del d.l.vo 1998 n. 80 stabilisce che “a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, le disposizioni previgenti che conferiscono agli organi di governo l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi di cui all'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti”.

Del resto, proprio l’art. 3, comma 2, del d.l.vo 1993 n. 29 ribadisce il contenuto dell’art. 51 della legge 1990 n. 142, riservando ai dirigenti l’adozione degli atti e dei provvedimenti amministrativi che, come nel caso di specie, impegnano l'amministrazione verso l'esterno.

Pertanto, proprio in virtù dell’art. 45, comma 1, del d.l.vo 1998 n. 80 si deve ritenere che le competenze che il d.l.vo 1998 n. 32 riservava al Sindaco siano ormai transitate in capo ai dirigenti.

In definitiva, dal coordinamento normativo ora ricordato emerge la fondatezza del motivo in esame, in quanto la dichiarazione di incompatibilità dell’impianto di distribuzione di carburante rientra tra le competenze degli organi di gestione e non del Sindaco (cfr. sul punto T.A.R. Toscana Firenze, sez. III, 18 dicembre 2001, n. 2040;
T.A.R. Lazio Latina, 17 aprile 2000, n. 190;
T.A.R. Abruzzo Pescara, 11 aprile 2007, n. 436).

Va, pertanto, ribadita la fondatezza del motivo in questione.

2.2) Con il primo dei motivi del ricorso principale e con il primo dei motivi articolati nel ricorso per motivi aggiunti – che possono essere trattati congiuntamente perché strettamente connessi sul piano logico giuridico – la ricorrente lamenta la violazione del d.l.vo 1998 n. 32, contestando in particolare l’illogicità e la genericità della motivazione della dichiarazione sindacale di incompatibilità.

I motivi sono fondati.

In primo luogo merita condivisione la censura con la quale si contesta la genericità della motivazione dell’atto impugnato nella parte in cui asserisce che la permanenza dell’impianto di distribuzione di carburante contrasta con le disposizioni a tutela del traffico urbano ed extraurbano e della sicurezza stradale, senza ulteriori precisazioni.

Invero, per il profilo in esame l’atto si limita a riprodurre pedissequamente il dato normativo senza indicare le circostanze di fatto che in concreto evidenziano un pericolo per la sicurezza stradale.

In definitiva, nella parte in questione la motivazione del provvedimento appare del tutto generica e, pertanto, non idonea a supportare la determinazione assunta dall’amministrazione.

Parimenti – come condivisibilmente evidenziato dalla ricorrente – la circostanza, riferita nell’atto impugnato, secondo la quale una variante al P.R.G. solo adottata dal Comune destinava l’area occupata dall’impianto a “verde pubblico, gioco e sport”, senza ulteriori precisazioni in ordine all’esistenza di specifici vincoli, non vale a rendere incompatibile con la normativa urbanistica vigente la permanenza dell’impianto.

Difatti, l’art. 2, comma 1 bis, del d.l.vo 1998 n. 32 stabilisce che gli impianti di distribuzione del carburante possono essere situati "in tutte le zone e sottozone del piano regolatore generale non sottoposte a particolari vincoli paesaggistici, ambientali ovvero monumentali e non comprese nelle zone territoriali omogenee A".

La giurisprudenza, condivisa dal Tribunale, ha precisato che in base alla norma ora citata, gli impianti di distribuzione del carburante “sono ritenuti compatibili con qualsiasi destinazione di zona, stante la loro attitudine di servire ad ogni tipo di attività”.

In altre parole, la localizzazione di un impianto di distribuzione di carburante ai sensi dell'art. 2 del d.l.vo 1998 n. 32 non è esclusa da una particolare destinazione urbanistica dell’area (verde pubblico nel caso di specie), posto che gli impianti in parola, quali servizi a rete, sono diffusi in tutte le zone urbanistiche, salvo eccezioni espresse basate su particolari ragioni, di cui non vi è traccia nella fattispecie in esame (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 19 settembre 2007, n. 4887;
Consiglio di Stato, sez. V, 13 dicembre 2006, n. 7377;
Consiglio di Stato, sez. V, 21 settembre 2005, n. 4945).

Ne deriva che il generico riferimento contenuto nell’atto impugnato alla circostanza che, in base ad una variante urbanistica non ancora approvata dalla Regione, l’area occupata dall’impianto sarebbe destinata a verde pubblico, gioco e sport non vale a rendere incompatibile la permanenza dell’impianto con la disciplina urbanistica vigente, secondo quanto previsto dall’art. 3, comma 2, del d.l.vo 1998 n. 32.

Va, pertanto, ribadita la fondatezza della censura in esame.

Infine, merita condivisione la censura con la quale la ricorrente evidenzia l’incongruità del richiamo contenuto nell’atto impugnato alla deliberazione consiliare del 23.07.1997.

In particolare, con la deliberazione n. 52 del 23.07.1997 il Consiglio comunale di Muggiò si è limitato ad approvare un progetto preliminare relativo al collegamento della via San Rocco con la nuova strada di arroccamento a lato viale Repubblica, senza assumere determinazioni specifiche relativamente all’area sulla quale sorge l’impianto di distribuzione di carburante, gestito dalla ricorrente.

Solo dal verbale della seduta consiliare del 23.07.1997 risulta che il Consiglio Comunale non ha approvato un ordine del giorno che prevedeva esplicitamente il mantenimento dell’impianto, ma ciò non basta a configurare l’incompatibilità dell’impianto medesimo con la normativa urbanistica vigente, secondo la previsione dell’art. 3, comma 2, del d.l.vo 1998 n. 32.

Invero, si è già evidenziato che gli impianti di distribuzione del carburante, in quanto servizi a rete, sono di regola compatibili con qualunque tipo di zona urbanistica, salvo eccezioni espresse basate su particolari ragioni, la cui sussistenza non è configurabile in forza della mera non approvazione di un ordine del giorno che contemplava, tra l’altro, il mantenimento dell’impianto (cfr. pag 52 del verbale n. 14/1997 presente in atti), non approvazione che non è stata recepita in termini provvedimentali nella deliberazione n. 52 del 23.07.1997.

In altre parole, il corredo motivazionale dell’atto impugnato, in primo luogo, si basa su generiche esigenze di sicurezza stradale non supportate da concreti elementi di riscontro, che, pertanto, si risolvono in affermazioni del tutto apodittiche.

Inoltre, il provvedimento configura un’incompatibilità dell’impianto con la normativa urbanistica vigente che non trova puntuale riscontro nei provvedimenti adottati dall’amministrazione, posto che la semplice destinazione di un’area a verde pubblico, accompagnata dall’approvazione di un progetto preliminare che non si occupa esplicitamente dell’area sulla quale sorge l’impianto e dalla mera non approvazione di un ordine del giorno contemplante, tra l’altro, il mantenimento dell’impianto medesimo, non integra una ragione ostativa alla permanenza dell’impianto, alla luce del citato art. 3, comma 2 del d.l.vo 1998 n. 32, cui rinvia l’art. 1, comma 5, del medesimo decreto n. 32, in forza del quale l’amministrazione ha effettuato la verifica conclusasi con l’atto impugnato.

Va, pertanto, ribadita la fondatezza dei motivi in esame.

Il carattere sostanziale delle censure sinora esaminate consente di ritenere assorbite le ulteriori censure articolate avverso la dichiarazione di incompatibilità nel ricorso rubricato sub r.g. 3917/1998 e nel correlato ricorso per motivi aggiunti.

3) Con il secondo dei ricorsi in esame, rubricato sub r.g. n. 1790/1999 la società Agip Petroli s.p.a. impugna, secondo l’elencazione contenuta nell’epigrafe del ricorso, sia la deliberazione della Giunta Municipale del Comune di Muggiò n. 40 del 20 febbraio 1998, portante approvazione del progetto esecutivo di collegamento viario della via San Rocco con la nuova strada di arroccamento a lato di viale Repubblica e contestuale dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità della suddetta opera, sia il decreto sindacale prot. n. 19417 del 29 settembre 1998 con il quale è stata disposta l’occupazione d’urgenza delle aree necessarie all’esecuzione dei lavori, sia il decreto di data e numero sconosciuti con il quale è stata espropriata parte dell’area sulla quale sorge l’impianto di distribuzione carburanti.

A ben vedere, però, la società ricorrente con il primo dei motivi proposti contesta l’atto datato 12.05.1999 prot. n. 9586 (cfr. doc. 1 di parte ricorrente) con il quale l’amministrazione ha preteso di portare ad esecuzione il decreto sindacale di occupazione d’urgenza datato 29.09.1998 (cfr. doc. 2 di parte ricorrente), sicché anche l’atto datato 12.05.1999 costituisce oggetto del presente giudizio.

Sotto altro profilo, va osservato che i motivi di ricorso investono, oltre all’atto del 12.05.1999, da ultimo richiamato, solo la dichiarazione di pubblica utilità e il decreto di occupazione d’urgenza, sicché l’esame del ricorso va limitato a questi provvedimenti, anche considerando che dalla documentazione versata in causa non risulta che l’area occupata dal distributore sia stata oggetto di un decreto di espropriazione, pure formalmente impugnato.

3.1) In via preliminare deve essere esaminata l’eccezione con la quale l’amministrazione resistente deduce l’inammissibilità del ricorso per omessa notificazione ai controinteressati individuati nel decreto di occupazione d’urgenza.

L’eccezione è infondata.

Invero, il decreto di occupazione d’urgenza reca l’elencazione dei proprietari espropiandi, cui si estende l’occupazione medesima;
tuttavia, tali soggetti sono evidentemente destinatari del decreto e, pertanto, sono direttamente incisi nella loro sfera giuridica dalla disposta occupazione, che, lungi dall’attribuire loro un vantaggio concreto ed attuale, assume natura di atto immediatamente lesivo, in quanto consente all’amministrazione di occupare le aree di loro proprietà e non ancora espropriate.

Ne deriva che i soggetti indicati non assumono la qualifica processuale di controinteressati, essendo tali solo coloro che, individuati o agevolmente individuabili in base all’atto impugnato, conseguono un vantaggio concreto ed attuale, giuridicamente rilevante, dal provvedimento impugnato, ponendosi in una posizione specularmente contraria a quella del ricorrente, pregiudicato, in termini giuridicamente rilevanti, dal provvedimento amministrativo (cfr. in argomento di recente Consiglio di stato, sez. IV, 31 marzo 2009, n. 2012).

In altre parole, i soggetti in questione sono dei cointeressati, in quanto direttamente incisi in termini potenzialmente pregiudizievoli nella loro sfera giuridica dal decreto di occupazione, sicché ad essi non si estende l’obbligo di notificazione del ricorso previsto dall’art. 21 della legge 1971 n. 1034, atteso che, essendo parti meramente eventuali del processo, possono partecipare al giudizio solo mediante la proposizione di una specifica impugnazione avverso l’atto lesivo.

Va, pertanto, ribadita l’infondatezza dell’eccezione proposta, in quanto i soggetti cui si riferisce l’amministrazione non assumono la veste di controinteressati nel presente giudizio.

3.2) Per ragioni di precedenza logica deve essere esaminato prioritariamente il quarto dei motivi proposti, con il quale la ricorrente deduce il vizio di incompetenza, in quanto il progetto esecutivo, cui si correla la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, è stato adottato dalla Giunta Comunale e non dal dirigente di settore.

La censura è infondata.

Sul punto è sufficiente richiamare il costante orientamento giurisprudenziale che assegna alle prerogative della Giunta l'approvazione dei progetti di opere pubbliche, ai sensi dell'art. 35 della legge n. 142 del 1990 – applicabile ratione temporis - e ora dell’art. 48 del d.l.vo n. 267 del 2000, quale competenza di tipo residuale;
del resto, l’art. 1, comma 4, della legge 1978 n. 1, applicata nel caso concreto, riserva espressamente alla Giunta comunale l’approvazione dei progetti definitivi ed esecutivi di opere pubbliche (cfr. in ordine al costante orientamento giurisprudenziale in materia si vedano: Consiglio di Stato, sez. IV, 17 gennaio 1995 n. 23;
Consiglio di stato, sez. IV, 24 febbraio 2000, n. 1018;
Consiglio di stato, sez. IV, 20 marzo 2000, n. 1471;
Consiglio di stato, sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2293;
T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 13 febbraio 2006 , n. 1060;
Cass. Civ., sez. II, 8 luglio 2008 n. 24957).

Va, pertanto, ribadita l’infondatezza del motivo in esame.

3.3) Con il primo motivo la ricorrente lamenta l’illegittimità dell’atto datato 12.05.1999 prot. n. 9586, con il quale il funzionario responsabile del Servizio lavori pubblici del Comune di Muggiò ha preteso di portare ad esecuzione il decreto di occupazione d’urgenza, invitando la società Agip Petroli s.p.a. a non frapporre ulteriori ostacoli allo svolgimento di lavori che ricadono all’interno del perimetro dell’area utilizzata dal distributore.

In particolare si lamenta la violazione dell’art. 20 della legge 1971 n. 865, in quanto l’amministrazione ha preteso di portare ad esecuzione il decreto di occupazione d’urgenza nonostante fosse ormai divenuto inefficace per il decorso del termine di tre mesi dalla sua emanazione.

Il motivo è fondato.

L’art. 20, comma 1, della legge 1971 n. 865, applicabile alla fattispecie in esame ratione temporis, prevede espressamente che il decreto di occupazione d’urgenza “perde efficacia ove l'occupazione non segue nel termine di tre mesi dalla sua emanazione”.

Nel caso di specie dalla documentazione versata in atti risulta che il decreto di occupazione d’urgenza è stato emanato in data 29.09.1998, ma l’amministrazione ha ritenuto di portarlo ad esecuzione solo in data 12.05.1999, ossia dopo il decorso di tre mesi dalla data della sua emanazione e, pertanto, allorché il decreto medesimo aveva perso efficacia in base al citato art. 20 della legge 1971 n. 865.

Sul punto è irrilevante la considerazione sviluppata dall’amministrazione nella memoria di costituzione ove si asserisce che l’omessa tempestiva esecuzione del decreto è dipesa dalla mancanza di un’apposita autorizzazione da parte dell’A.N.A.S., in quanto, al di là del profilo relativo alla rilevanza di siffatta autorizzazione nel caso de quo, resta fermo che una volta decorsi tre mesi dall’emanazione il decreto non poteva più essere portato ad esecuzione, salva la sussistenza dei presupposti per la reiterazione del provvedimento.

In definitiva, la sopravvenuta inefficacia del decreto di occupazione rende illegittimo l’atto dell’amministrazione comunale datato 12.05.1999, con conseguente fondatezza del motivo in esame.

3.4) Con il secondo e il terzo dei motivi proposti – da trattare congiuntamente perché connessi sul piano logico-giuridico – la società ricorrente lamenta la violazione dell’art. 7 della legge 1990 n 241, in quanto l’amministrazione ha adottato sia la dichiarazione di pubblica utilità, sia il decreto di occupazione d’urgenza senza assicurare nei suoi confronti le garanzie partecipative, idonee a consentirle di prospettare le sue ragioni in sede procedimentale.

Sul punto la società ricorrente espone che la comunicazione di avvio del procedimento le avrebbe consentito di evidenziare in sede procedimentale delle scelte progettuali alternative, anche considerando che proprio in sede di approvazione del progetto esecutivo, recante la dichiarazione implicita di pubblica utilità, l’amministrazione aveva – secondo la prospettazione della società - ampliato l’area da sottoporre ad espropriazione.

I motivi sono fondati.

Nel caso in esame l’amministrazione ha adottato implicitamente la dichiarazione di pubblica utilità, ai sensi dell’art. 1 della legge 1978 n. 1, mediante l’approvazione del progetto esecutivo relativo alla realizzazione di lavori di collegamento stradale, approvazione avvenuta con la deliberazione della Giunta del Comune di Muggiò n. 40 del 20.02.1998 (cfr. doc. 3 di parte ricorrente).

Dalla documentazione acquisita emerge che l’amministrazione, nel quadro degli atti adottati in vista della realizzazione del collegamento stradale, ha preso in esame la posizione della società ricorrente, che gestisce l’impianto di distribuzione di carburante interessato dal tracciato.

Difatti – come già ricordato al punto sub 2.2 della motivazione – il Consiglio comunale nella seduta del 23.07.1997, ha esaminato un ordine del giorno in cui si era posto il problema della permanenza dell’impianto e dell’eventuale rinnovo della concessione per il distributore.

Ne deriva che, seppure la società ricorrente non è proprietaria dell’area sulla quale sorge l’impianto, utilizzandola sulla base di un contratto di locazione (cfr. doc. 4 di parte ricorrente), nondimeno l’interferenza della realizzazione dell’opera con l’attività di distribuzione del carburante e, quindi, con le posizioni soggettive della società gerente l’impianto era ben nota all’amministrazione prima dell’adozione della dichiarazione di pubblica utilità.

Del resto, l’art. 7, comma 1, della legge 1990 n. 241 stabilisce che, in assenza di ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento, l’avvio del procedimento medesimo deve essere comunicato non solo ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti e a coloro che per legge debbono intervenirvi, ma anche ai soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai diretti destinatari dell’atto, i quali possano comunque subire un pregiudizio per effetto del provvedimento.

Tale è la posizione della società ricorrente, che, seppure non proprietaria dell’area interessata dalla realizzazione dell’opera dichiarata di pubblica utilità, subisce un evidente pregiudizio dagli atti della procedura espropriativa, che incidono sulla prosecuzione della sua attività, tanto che la sua posizione è stata presa in esame dall’amministrazione in atti prodromici all’adozione della dichiarazione di pubblica utilità e del decreto di occupazione d’urgenza, che, del resto, l’amministrazione ha preteso di portare ad esecuzione nei confronti della società medesima.

Sotto altro profilo, va osservato che per consolidata giurisprudenza la norma dell’art. 7 della legge 1990 n. 241 rileva ai fini della determinazione delle garanzie partecipative da assicurare nei procedimenti che sfociano nell’adozione di una dichiarazione di pubblica utilità implicita.

In particolare, la disposizione in esame, relativa alla comunicazione dell’avvio del procedimento, incide sul procedimento di approvazione del progetto di un’opera pubblica, cui si correla un’implicita dichiarazione di pubblica utilità, nel senso di orientare all’applicazione analogica della disciplina sulla partecipazione dettata per la dichiarazione di pubblica utilità esplicita e strutturata, ai sensi degli artt. 10 e 11 della legge 1971 n. 865, sull’attività di deposito e notificazione del progetto, presentazione di osservazioni da parte degli interessati e pronuncia dell’amministrazione sulle osservazioni medesime (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Pl., 15 settembre 1999 n. 14;
Consiglio di Stato, Ad. Pl., 24 gennaio 2000 n. 2;
nonché tra le tante T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 29 gennaio 2004 n. 851;
T.A.R. Calabria Reggio Calabria, 22 marzo 2007, n. 243)

Nel caso di specie, dal contenuto del provvedimento impugnato e dalla documentazione versata in atti, non risulta che l’amministrazione abbia posto in essere gli adempimenti ora ricordati, né altri idonei a consentire la partecipazione procedimentale dei soggetti interessati, mentre ai sensi dell’art. 7 della legge 1990 n. 241 l’amministrazione procedente era tenuta a consentire tale partecipazione prima dell’approvazione definitiva del progetto esecutivo e della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 5 dicembre 2007 n. 6183).

Del resto, proprio la circostanza che la società ricorrente rivesta – ai sensi dell’art. 7 della legge n. 241 - la posizione di soggetto individuato o, quanto meno, facilmente individuabile destinato a subire un pregiudizio dalla dichiarazione di pubblica utilità, rende palese che l’amministrazione avrebbe dovuto assicurare le garanzie partecipative anche nei suoi confronti.

Va poi rilevato che nel caso in esame non può trovare applicazione l’art. 21 octies della legge 1990 n. 241 nella parte in cui esclude l’annullabilità del provvedimento, anche di natura discrezionale come nel caso di specie, per omessa comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non poteva essere diverso da quello in concreto adottato.

Sul punto il Tribunale condivide il più recente orientamento giurisprudenziale a mente del quale, seppure la norma in esame pone a carico dell’amministrazione l’onere di dimostrare che, nonostante l’omessa comunicazione di avvio del procedimento, il contenuto del provvedimento finale non poteva essere diverso, tuttavia ciò non va inteso come onere per l’amministrazione di dimostrare che ogni eventuale contributo partecipativo del privato non avrebbe modificato l'esito del procedimento, in quanto ciò equivarrebbe a gravarla di una probatio diabolica.

Pertanto, la norma va interpretata nel senso che il privato non può limitarsi a censurare la mancata comunicazione di avvio del procedimento, ma per ottenere l’annullamento dell’atto deve quantomeno indicare o allegare quali sono gli elementi conoscitivi che avrebbe introdotto nel procedimento qualora avesse ricevuto la comunicazione.

Di conseguenza, “solo dopo che il ricorrente ha adempiuto questo onere di allegazione (che la norma implicitamente pone a suo carico), l’amministrazione sarà gravata dal ben più consistente onere di dimostrare che, anche ove quegli elementi fossero stati valutati, il contenuto dispositivo del provvedimento non sarebbe mutato. Ne consegue che ove il privato si limiti a contestare la mancata comunicazione di avvio, senza nemmeno allegare le circostanze che intendeva sottoporre all'Amministrazione, il motivo con cui si lamenta la mancata comunicazione deve ritenersi inammissibile” (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 29 luglio 2008, n. 3786).

Nel caso di specie, come già evidenziato, la società ricorrente ha chiaramente allegato le circostanze che avrebbe potuto rappresentare in sede procedimentale, riferendosi a soluzioni progettuali alternative, correlate al ritenuto ampliamento dell’area da sottoporre ad espropriazione, risultante proprio dall’approvazione del progetto esecutivo recante la implicita dichiarazione di pubblica utilità.

Nondimeno, l’amministrazione non ha in alcun modo dimostrato che il contenuto dispositivo del provvedimento impugnato non poteva essere diverso e ciò rende annullabile il provvedimento stesso ai sensi dell’art. 21 octies della legge 1990 n. 241.

In definitiva, va ribadita la fondatezza del motivo in esame in quanto l’amministrazione ha adottato la dichiarazione di pubblica utilità senza la previa adozione di adempimenti idonei a consentire la partecipazione procedimentale alla società ricorrente, in violazione dell’art. 7 della legge 1990 n. 241.

Parimenti merita condivisione la censura con la quale la ricorrente contesta la mancata comunicazione di avvio del procedimento anche in relazione al decreto di occupazione d’urgenza, che l’amministrazione ha preteso di portare ad esecuzione nei suoi confronti.

Invero, la giurisprudenza consolidata considera che nel rapporto tra dichiarazione di pubblica utilità e decreto di occupazione d’urgenza, solo la prima conserva profili di discrezionalità amministrativa, mentre il secondo si pone come atto meramente attuativo dei provvedimenti presupposti.

Di conseguenza, se il giusto procedimento si è attuato nell’ambito della dichiarazione di pubblica utilità, non ha più ragion d’essere nell’occupazione d’urgenza (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Pl., 7 giugno 1999 n. 14).

In altre parole, è pacifico in giurisprudenza che la comunicazione di avvio del procedimento debba avvenire non al momento dell’adozione del decreto di occupazione di urgenza, ma in relazione ai precedenti atti di approvazione del progetto e di dichiarazione della pubblica utilità dell’opera, con la precisazione però che quando ciò non avviene, anche il decreto di occupazione di urgenza è viziato per illegittimità derivata, essendo necessario che la partecipazione degli interessati sia garantita già nell'ambito del pregresso procedimento autorizzatorio, in cui vengono assunte le determinazioni discrezionali in ordine all'approvazione del progetto dell'opera e alla localizzazione della stessa (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 5 dicembre 2007 n. 6183).

Quest’ultima circostanza non si è verificata nel caso di specie, in quanto, come già rilevato, la dichiarazione di pubblica utilità è stata adottata senza l’osservanza delle garanzie partecipative, sicché tale violazione si riflette anche sul decreto di occupazione d’urgenza, come condivisibilmente dedotto dalla società ricorrente.

Va, pertanto, ribadita la fondatezza dei motivi in esame, che presentano carattere assorbente e consentono di prescindere dalla valutazione delle ulteriori censure dedotte.

4) In definitiva i ricorsi riuniti sono fondati e meritano accoglimento nei limiti dianzi esposti.

La complessità della situazione di fatto sottesa alla fattispecie concreta consente di ravvisare giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio

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