TAR Brescia, sez. II, sentenza 2021-09-29, n. 202100821
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Testo completo
Pubblicato il 29/09/2021
N. 00821/2021 REG.PROV.COLL.
N. 00293/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 293 del 2021, integrato da motivi aggiunti, proposto da
R B, rappresentata e difesa dall'avvocato M P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Brescia, via Ferramola, n. 14;
contro
Comune di Adro, rappresentato e difeso dall'avvocato M B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Brescia, viale della Stazione, n. 37;
nei confronti
A B e P G L non costituiti in giudizio;
per l'accertamento
per quanto riguarda il ricorso introduttivo :
- dell'obbligo di provvedere e conseguentemente dell'illegittimità del silenzio serbato dal Comune di Adro (BS) sull'esposto/diffida presentato dalla sig.ra R B in data 11/03/2021, tramite pec del proprio legale, avente quale oggetto “Segnalazione di attività edilizia priva di idoneo titolo abilitativo e/o abusiva e richiesta di esercizio dei poteri di vigilanza ex art. 27 D.P.R. n. 380/2001 e di esercizio dei poteri conformativi, ripristinatori e sanzionatori spettanti al comune - Richiesta di esercizio dei poteri di verifica ai sensi dell'art. 19 comma [6] ter L. n. 241/1990”;
E PER LA CONDANNA
del Comune di Adro (BS) ad eseguire le verifiche richieste e ad emanare il provvedimento e/o i provvedimenti richiesti e a provvedere con urgenza all'adozione degli atti dovuti per legge in relazione agli interventi effettuati dal sig. A B e dalla sig.ra P G L sull'immobile sito in Adro (BS), via Provinciale 8 e 8/A, con richiesta di nomina, ai sensi dell'art. 117, comma 3, C.p.A. di un Commissario ad acta per l'ipotesi di ulteriore persistente inerzia;
E PER L'ACCERTAMENTO
della fondatezza della pretesa dedotta, con conseguente condanna del Comune di Adro (BS) all'adozione dei provvedimenti richiesti.
per quanto riguarda i motivi aggiunti :
PER L'ANNULLAMENTO
- della comunicazione di diniego del Comune di Adro Prot. 0005714-12/05/2021 – c_a060-PG-0146-00060004-P, comunicata al difensore della ricorrente a mezzo pec in data 12/05/2021, avente ad oggetto “Segnalazione di attività edilizia priva di idoneo titolo abilitativo e/o abusiva e richiesta di esercizio dei poteri di vigilanza ex art. 27 D.P.R. n. 380/2001 e di esercizio dei poteri conformativi, ripristinatori e sanzionatori spettanti al comune - Richiesta di esercizio dei poteri di verifica ai sensi dell'art. 19, comma [6] ter L. 241/1990”, con la quale il Comune di Adro ha tardivamente e solo parzialmente risposto all'istanza presentata dalla sig.ra R B in data 11/03/2021, non riscontrata dalla P.A. nei termini di legge e avverso la quale la ricorrente ha proposto il ricorso contro il silenzio indicato in epigrafe;
- di ogni altro atto presupposto, connesso ed endoprocedimentale.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Adro;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 settembre 2021 la dott.ssa M B;
Udito per la parte ricorrente il difensore come specificato nel verbale e vista la nota con cui il procuratore di parte resistente ha chiesto che la controversia fosse trattenuta in decisione per la pronuncia cautelare;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso introduttivo la ricorrente ha chiesto l’accertamento dell’illegittimità del silenzio serbato dal Comune sull’istanza volta ad ottenere l’esercizio del potere di autotutela in relazione ai presunti abusi edilizi commessi dai controinteressati e, conseguentemente, la condanna del Comune di Adro ad eseguire le verifiche richieste e ad emanare i correlati provvedimenti repressivi, avanzando anche l’istanza per ottenere la nomina di un commissario ad acta per l’ipotesi di ulteriore persistente inerzia.
Secondo parte ricorrente, infatti, i controinteressati avrebbero, sulla scorta della CILA per opere di manutenzione straordinaria del 24 settembre 2019, proceduto all’esecuzione di lavori che avrebbero interessato anche parti strutturali del fabbricato e, senza il consenso degli altri condomini, porzioni condominiali dello stesso. In particolare, sarebbe stato rimosso il massetto di sottofondo dell’intero piano seminterrato, con escavazione di circa 70/80 cm, poi nuovamente steso con uno spessore di 20 cm dopo aver posato i pozzetti, la stazione di sollevamento delle acque nere, la rete metallica elettrosaldata, sarebbe stata realizzata un’apertura in un muro di spina condominiale al piano seminterrato demolendo la mazzetta muraria ivi presente e demolito parzialmente il solaio interpiano, realizzando una scala interna di collegamento fra il piano seminterrato ed il piano rialzato con contestuale demolizione di un pilastro di sostegno presente al piano rialzato in corrispondenza del gradino caposcala, elemento portante allineato verticalmente con i pilastri del piano seminterrato e primo.
A seguito dell’esercizio del diritto di accesso da parte dell’odierna ricorrente e di due fratelli della stessa, è stata, quindi, presentata una nuova SCIA, prevedendo, per la prima volta, anche i lavori sopra riportati e ritenuti, dai ricorrenti, idonei ad incidere sulla proprietà condominiale (con la sola esclusione della riduzione del pilastro presente al piano rialzato in corrispondenza del caposcala, che è stata prevista solo nella SCIA in variante del 14 luglio 2020).
Il 3 marzo 2020 è stato, dunque, proposto ricorso avanti al Tribunale di Brescia, che si è concluso con un’ordinanza del 9 febbraio 2021 che ha dichiarato infondata l’azione possessoria in quanto “il Ctu ha evidenziato che ora il piano di calpestio è stato ripristinato alla pregressa altezza, che la posa delle tubature degli impianti non ha compromesso il volume del sottosuolo, e quindi l’utilizzabilità futura, e che la conformazione geometrica reale delle fondazioni è questione irrilevante;sul punto poi del possibile sfruttamento del sottosuolo, il Ctu ha rappresentato l’impossibilità di realizzare un secondo piano interrato tutto al di sotto delle fondazioni perché sarebbe un intervento rischioso, difficile e di valore economico minore rispetto al costo d’intervento”.
In data 11 marzo 2021, l’odierna ricorrente ha, quindi, tramite il proprio legale, invitato il Comune ad intervenire adottando i necessari provvedimenti sanzionatori, conformativi e ripristinatori.
Parte ricorrente ha, quindi, dedicato una prima parte del ricorso a censurare la legittimità dei titoli edilizi formatisi a seguito della presentazione della CILA e delle due SCIA in variante più sopra ricordate e una seconda a sostenere l’illegittimità del silenzio serbato dal Comune sull’istanza di intervento in autotutela sollecitata dall’odierna ricorrente.
Il ricorso è stato notificato il 4 maggio 2021 e depositato il 18 maggio 2021.
Il 12 maggio 2021, il Comune ha notificato alla ricorrente la comunicazione in cui riteneva non sussistenti i presupposti per il richiesto intervento in autotutela, la quale è stata impugnata con ricorso per motivi aggiunti.
Tale circostanza non può che condurre alla declaratoria di improcedibilità del ricorso avverso il silenzio inadempimento fatto valere con l’atto introduttivo. A prescindere, infatti, dalla inammissibilità delle censure volte a revocare in dubbio la legittimità di un atto di natura privata, come sono qualificate la CILA e la SCIA per ormai costante giurisprudenza, la domanda principale, volta ad ottenere l’accertamento dell’illegittimità del silenzio serbato dal Comune in relazione alla richiesta di un intervento repressivo in autotutela è, prima ancora che si entri nel merito della sua fondatezza, divenuta improcedibile, avendo il Comune esercitato il proprio potere, seppur escludendo la sussistenza dei presupposti della sollecitata azione sanzionatoria.
Non può condividersi, sul punto, la tesi di parte ricorrente, secondo cui il silenzio dell’Amministrazione permarrebbe perché il Comune non si sarebbe esplicitamente pronunciato su ognuno dei profili dedotti: contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso per motivi aggiunti, infatti, la risposta data dal Comune può essere insufficiente, inadeguata o incompleta, ma vi è stata ed è frutto dell’esercizio del potere sollecitato dalla ricorrente. Ne deriva che deve ritenersi venuto meno il silenzio, generando, eventualmente un problema di rispetto dei parametri della legittimità nell’esercizio dell’azione amministrativa e di censurabilità del diniego dell’esistenza dei presupposti per un intervento repressivo.
Escluso, dunque, il permanere del silenzio dell’Amministrazione, l’interesse dell’odierna ricorrente deve ritenersi traslato sull’accertamento della legittimità dell’impugnato atto di segno negativo.
Non può, peraltro, ritenersi fondata l’eccezione del Comune secondo cui sarebbe inammissibile la proposizione di una domanda di annullamento con un ricorso per motivi aggiunti nell’ambito di un ricorso avverso il silenzio della pubblica amministrazione.
Tale scelta di strategia processuale è ampiamente riconosciuta dalla giurisprudenza (T.a.r. Lazio, sez. II ter, 18 maggio 2011 n. 4310 e sez. III ter, 7 aprile 2011 n. 3092), ancorché ciò comporti la necessità della conversione del rito e, dunque, la cancellazione dal ruolo camerale previsto per i riti speciali per procedere alla nuova iscrizione a ruolo del rito ordinario, con la conseguente applicazione dei termini di legge che, diversamente, risulterebbero elusi. Ciò sulla scorta dello stesso disposto del comma 5 dell’art. 117 del c.p.a., secondo cui, se durante il giudizio sopravviene il provvedimento espresso, o un atto connesso con l’oggetto del contendere, esso può essere impugnato con motivi aggiunti nei termini e con il rito previsto per il nuovo provvedimento e l’intero giudizio prosegue con tale rito, sicché vi sarà una conversione dal rito camerale a quello ordinario.
Pertanto, considerato che, nonostante sia qualificato ancora una volta come ricorso avverso il silenzio, il nuovo gravame (nel quale si sostiene che il Comune avrebbe risposto in misura parziale e incompleta), viste anche le censure dedotte, non può che essere ricondotto alla categoria del ricorso impugnatorio, volto all’accertamento dell’illegittimità dell’atto amministrativo adottato, ne scaturisce, ai sensi del comma 5 dell’art. 117 c.p.a., la necessità della conversione del rito camerale in quello ordinario.