TAR Roma, sez. 2S, sentenza 2024-03-05, n. 202404404

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2S, sentenza 2024-03-05, n. 202404404
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202404404
Data del deposito : 5 marzo 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 05/03/2024

N. 04404/2024 REG.PROV.COLL.

N. 09236/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Stralcio)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9236 del 2014, proposto da
P C, rappresentato e difeso dall’avv. F C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero della cultura, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avv. U G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Roma, via Tempio di Giove, n. 21;

per l’annullamento

rigetto istanza di condono prot. n. 86/238931 sot. 2 del 3 dicembre 1986.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della cultura e di Roma capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 87, comma 4- bis , cod. proc. amm.;

Relatore all’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del giorno 19 gennaio 2024 il dott. Matthias Viggiano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il ricorrente espone di aver presentato istanza di condono (prot. n. 86/238931), per ottenere la concessione edilizia in sanatoria, ai sensi della l. 28 febbraio 1985 n. 47 (c.d. primo condono ), per l’avvenuta realizzazione di un locale adibito a deposito per mq 56.

1.1. In particolare, l’immobile, asseritamente ultimato in data antecedete al 1° ottobre 1983, ricade in area sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi dell’art. 134, comma 1, lett. a), b) e c) d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (c.b.c.p.) e d.m. 25 gennaio 2010 del Ministero della cultura e delle norme del piano territoriale paesaggistico (Ptp) 15/3 Vallerano Cecchignola Tod/21.

1.2. In data 21 gennaio 2013, dopo il rilascio del parere favorevole dell’ufficio comunale per il condono edilizio, perveniva il parere negativo della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per il comune di Roma (nota prot 3361): dall’atto emergeva come il manufatto oggetto del condono fosse un « elemento estraneo per volumetria, consistenza e materiali al contesto urbanizzato ricadente nel vincolo paesaggistico ».

1.3. In data 18 marzo 2013, l’ufficio locale comunicava al ricorrente il preavviso di rigetto dell’istanza di condono (nota prot. 20308) ai sensi dell’art. 10- bis l. 7 agosto 1990, n. 241, evidenziando il parere negativo dell’organo statale. L’esponente rappresenta di aver contestato le ragioni addotte dall’amministrazione producendo controdeduzioni, le quali non venivano ritenute sufficienti al superamento dei motivi ostativi al rilascio della sanatoria: seguiva, infatti, in data 4 aprile 2014 la determinazione dirigenziale avente ad oggetto la reiezione dell’istanza di condono.

2. Quest’ultimo provvedimento è impugnato in questa sede insieme al parere negativo della Soprintendenza spiegando tre motivi di gravame.

2.1. Con la prima, articolata, censura si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3 e 10- bis l. 241/1990 e dell’arti. 6, comma 2, l.r. Lazio 8 novembre 2004, n. 12, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 10, l. 27 dicembre 1997 n. 449, la violazione del principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., la violazione dell’art. 32, comma 4 l. 47/1985 e l’eccesso di potere per difetto di motivazione e carenza di istruttoria per le seguenti ragioni. Invero, l’amministrazione resistente avrebbe negato il rilascio dell’istanza di condono rinviando per relationem alla generica motivazione contenuta nel parere della Soprintendenza che, a sua volta, risulterebbe contraddittoria in quanto priva di riferimenti circostanziati alle caratteristiche edilizie del manufatto esaminato. Inoltre, nel provvedimento gravato non si rinverrebbero le ragioni per le quali Roma Capitale ha ritenuto di non accogliere le osservazioni depositate a seguito della comunicazione del preavviso di rigetto. In aggiunta, l’amministrazione capitolina, adottato l’atto gravato dopo quasi vent’anni dalla presentazione dell’istanza, avrebbe omesso di approfondire i profili evidenziati nelle controdeduzioni regolarmente acquisite, di fornire rilievo sia al parere favorevole dell’Ufficio condono edilizio di Roma Capitale in relazione alla valutazione di cui all’art. 146 c.b.c.p., sia all’intervenuto rilascio del condono per la restante parte di immobile all’interno del quale si inserisce la struttura di cui si discute nonché di acquisire il parere (obbligatorio) della Soprintendenza archeologica. Con precipuo riferimento al parere della Soprintendenza, il ricorrente evidenzia come l’atto risulterebbe avulso da qualsiasi verifica in merito all’effettiva compatibilità del manufatto rispetto allo stato dei luoghi e all’asserito regime vincolistico.

2.2. Tramite la seconda doglianza si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 31, 32 e 33 l. 47/1985, l’eccesso di potere per difetto di istruttoria, il travisamento dei fatti, l’illogicità manifesta, lo sviamento, la mancanza dei presupposti e la contraddittorietà in quanto la determinazione gravata non avrebbe tenuto conto che il vincolo individuato dalla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per il comune di Roma non sarebbe invocabile in quanto sopravvenuto alla presentazione dell’istanza di condono.

2.3. Con il terzo motivo, parte ricorrente denuncia la violazione dell’art. 35, comma 17 l. 47/1985, la violazione del principio t empus regit actum , l’eccesso di potere per sviamento e ingiustizia manifesta, la violazione delle regole del giusto procedimento e del principio di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa in quanto, essendo state pagate le somme richieste dal comune a titolo di oblazione, trattandosi di vincoli sopravvenuti ed essendo decorsi due anni dalla presentazione dell’istanza, il procedimento si sarebbe dovuto concludere per silenzio-assenso. In subordine, premesso che secondo il ricorrente la normativa applicabile deve essere ricercata in quella in vigore al momento in cui l’istanza viene esaminata, la determinazione sarebbe illegittima in quanto basata su un vincolo sorto non solo dopo la realizzazione della costruzione ma anche successivamente alla data di presentazione della domanda di condono.

3. Si costitutiva in resistenza con memoria formale l’amministrazione statale, mentre Roma Capitale, oltre a costituirsi in giudizio depositava memorie e documenti in vista della pubblica udienza del 19 gennaio 2024, all’esito della quale il Collegio tratteneva la causa per la decisione di merito.

4. Il ricorso è infondato per le ragioni che seguono.

5. Quanto alla prima censura, è opportuno sottolineare come, secondo granitica giurisprudenza, il provvedimento di diniego del condono si intende sufficientemente motivato per il tramite del richiamo al parere dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo, atteso che la motivazione per relationem corrisponde ad una tecnica pienamente ammessa dall’art. 3 l. 241/1990 (in termini, Tar Lazio, sez. IV- ter , 23 ottobre 2023, n. 15672). Diversamente, la necessità di una motivazione maggiormente penetrante ricorrerebbe nel caso di parere favorevole, dovendo l’amministrazione dare conto delle ragioni per cui un concreto e specifico intervento edilizio determini un impatto ambientale negativo (Cons. Stato, Sez. VI, 28 maggio 2015, n. 2678).

5.1. Da tale premessa segue la legittimità della tecnica motivazionale impiegata dall’amministrazione resistente, specie considerato che il parere negativo della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per il comune di Roma – che dà conto sia del tipo di abuso realizzato, sia della sua estraneità per volumetria e consistenza rispetto all’ambito meridionale dell’Agro romano compreso tra le vie Laurentina e Ardeatina – risulta conforme ai canoni pretori: infatti, la giurisprudenza amministrativa, in piú occasioni, ha statuito che l’onere motivazionale può essere assolto mediante l’individuazione, nell’opera abusiva, di caratteristiche che ne impediscono il corretto inserimento nella zona oggetto di specifica tutela (tra le tante, v. Cons. Stato, sez. VI, 24 maggio 2021, n. 4006).

5.2. Con riguardo alla paventata mancata corrispondenza contenutistica tra il preavviso di rigetto, le osservazioni del ricorrente e il provvedimento finale, il Collegio ritiene di seguire il consolidato orientamento in virtù del quale l’onere di cui all’art. 10- bis l. 241/1990, non comporta la puntuale confutazione analitica delle argomentazioni svolte dalla parte privata, potendo l’Amministrazione confermare la propria posizione, implicitamente disattendendo le ragioni esposte dall’istante (Cons. Stato, sez. V, 30 agosto 2023, n. 8063, oppure Cons. Stato, sez. VI, 9 giugno 2022, n. 4685).

5.3. Privo di fondamento è anche il lamentato difetto di istruttoria atteso che, per le ragioni sopra esposte, non sussiste alcuna contraddittorietà tra il parere circa l’autorizzazione paesaggistica resa dall’Ufficio condono edilizio di Roma Capitale e quello della Soprintendenza, attesa la diversa natura e profondità dei due giudizî. Quanto all’avvenuto rilascio della sanatoria relativo all’immobile nel quale si inserisce l’opera di cui si discute, va osservato come ciò non giustifichi la realizzazione di abusi ulteriori, ovvero il «diritto» di condonarne altri. In relazione alla mancata acquisizione del parere della Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma, va rilevato che, anche ove fosse riscontrato, tale vizio non inficerebbe la determinazione conclusiva del procedimento (arg. ex art. 21- octies , comma 2 l. 241/1990), in quanto l’ipotetica compatibilità archeologica non potrebbe comunque superare le descritte criticità paesaggistiche, espresse nel parere della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per il comune di Roma.

6. Passando alla seconda ragione di impugnazione, va rilevato come sia pacifico in giurisprudenza il principio in forza del quale, in sede di rilascio del condono, la compatibilità dell’opera da sanare rispetto al vincolo deve essere vagliata tenendo in considerazione la normativa in vigore al momento dell’esame dell’istanza: si tratta, sostanzialmente, della piana applicazione del principio del tempus regit actum , che impone di attribuire rilievo al momento « in cui la funzione si esplica [ossia nell’istante in cui si] cura [i] l pubblico interesse, in che si concreta la pubblica funzione » (v. Cons. Stato, ad. plen., 22 luglio 1999, n. 20).

7. Infine, in relazione all’ultimo motivo va rilevato come il silenzio-assenso sull’istanza di condono si forma unicamente in caso di costruzione su area non vincolata, essendo nelle altre ipotesi sempre necessario il favorevole parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo (v. Cons. Stato, sez. VI, 10 aprile 2020, n. 2369).

8. Alla luce della complessiva infondatezza di tutte le censure, il ricorso è respinto.

9. Le spese seguono la soccombenza nei confronti di Roma Capitale, mentre possono essere compensate con il Ministero, stante la mera partecipazione formale al giudizio.

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