TAR Firenze, sez. II, sentenza 2022-11-14, n. 202201303

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Firenze, sez. II, sentenza 2022-11-14, n. 202201303
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Firenze
Numero : 202201303
Data del deposito : 14 novembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 14/11/2022

N. 01303/2022 REG.PROV.COLL.

N. 00556/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 556 del 2021, integrato da motivi aggiunti, proposto da
Associazione Italia Nostra-Onlus in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati M C e T V, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Comitato per la Tutela e la Difesa della Val D'Elsa in persona del legale rappresentante pro tempore , B B, E B, F B, B D, E A F, C G, M D'Intignano di Poggio Baldovinetti Pietro, L R, C T, Santa Maria a Poneta di Violanti Susanna &
C. S.a.s. in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentati e difesi dagli avvocati M C, Daniele Granara e T V, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

- la Regione Toscana in persona del Presidente pro tempore della Giunta, rappresentata e difesa dall'avvocato Annamaria Delfino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
- il Comune di Barberino Tavarnelle in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato Fausto Falorni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Firenze, via de' Pucci 4;
- l’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana-A.R.P.A.T. in persona del legale rappresentante pro tempore , non costituita in giudizio;

nei confronti

Distilleria Deta S.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati Leonardo De Vecchi e Valentina Brovedani, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento

con il ricorso introduttivo:

- del decreto del Responsabile del Settore autorizzazioni ambientali della Direzione Ambiente ed energia della Regione Toscana n. 2582 del 19 febbraio 2021, avente ad oggetto l'aggiornamento dell'autorizzazione unica ambientale dello stabilimento della Distilleria DETA s.r.l. in Comune di Barberino Tavarnelle (FI), nonché per l'annullamento di ogni altro atto presupposto, collegato, inerente, conseguente e derivato ivi compresi, ove occorrer possa, i verbali delle riunioni ed i pareri espressi della conferenza di servizi, ivi comprese le riunioni del 15 luglio, 9 settembre e 6 ottobre 2020 nonché i pareri ARPAT - Dipartimento di Firenze tra cui la nota prot. 2020/0078824 del 16/11/2020;

- del permesso di costruire n. 2021/012 del 23/03/2021 rilasciato dal Comune di Barberino Tavarnelle (FI) alla soc. Deta s.r.l. per lavori di "manutenzione straordinaria impianto di trattamento fumi e odori (emissioni E1) con integrazione e sostituzione di servizi tecnologici", nonché dell'autorizzazione unica SUAP n. 21/017 del 23.03.2021 del Responsabile del servizio Area Ambiente, SUAP e SVEC del Comune di Barberino Tavarnelle (FI) e di ogni altro atto presupposto, collegato, inerente, conseguente e derivato ivi compresi, ove occorrer possa, i pareri e i verbali della Commissione edilizia comunale nn. 2021/03 e 2021/04;

con il ricorso per motivi aggiunti depositato il 31 maggio 2021:

- del permesso di costruire n. 2021/012 del 23/03/2021 rilasciato dal Comune di Barberino Tavarnelle (FI) alla soc. Deta s.r.l. per lavori di "manutenzione straordinaria impianto di trattamento fumi e odori (emissioni E1) con integrazione e sostituzione di servizi tecnologici", dell'autorizzazione unica SUAP n. 21/017 del 23.03.2021 del Responsabile del servizio Area Ambiente, SUAP e SVEC del Comune di Barberino Tavarnelle, della controdeduzione all’osservazione prot. 5165/2021, della controdeduzione all’osservazione prot. 5099/2021 di ogni altro atto presupposto, collegato, inerente, conseguente e derivato ivi compresi, ove occorrer possa, i pareri e i verbali della Commissione edilizia comunale nn. 2021/03 e 2021/04.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Toscana, del Comune di Barberino Tavarnelle e della Distilleria Deta S.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 ottobre 2022 il dott. A C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La società Distilleria Deta s.r.l., con sede legale in loc. Zambra del Comune di Barberino Tavarnelle, è titolare di Autorizzazione Unica Ambientale rilasciata dalla Regione Toscana con decreto dirigenziale n. 7707 del 12 agosto 2016, e successivamente aggiornata con i successivi decreti dirigenziali n. 11900/2016, n. 11110/2017, n. 2715/2020 e n. 15693/2020 con cui sono state introdotte prescrizioni specifiche per il parametro odore per l’emissione E1. L’autorizzazione è relativa all'attività di distillazione e lavorazione di vino, vinaccia di uva e feccia di vino per la produzione di distillati alcolici, grappe, brandy, vinaccioli per l’estrazione olio di semi e tartrato di calcio. L’impresa, con istanza presentata allo Sportello Unico per le Attività Produttive (nel seguito “Sportello Unico”) di Barberino Tavarnelle il 3 luglio 2020, ha chiesto l’aggiornamento dell’autorizzazione con modifica sostanziale relativamente alle emissioni in atmosfera, per un incremento della produzione della vinaccia da avviare alla lavorazione e il conseguente aumento della portata di emissione al punto E1 fino a 75.000 Nmc/h, e una durata dell'emissione pari a 300 gg/anno, oltre che lo spostamento fisico di quest'ultimo punto di emissione E1 con variazione della quota da 20 a 60 metri mediante la realizzazione di un nuovo camino dell'altezza, appunto, di 60 metri.

Dopo un preavviso di rigetto e la presentazione di integrazioni e osservazioni scritte da parte dell’impresa, la conferenza dei servizi svolta il 6 ottobre 2020 si è conclusa da un lato, con l'affermazione che "per ridurre le emissioni di polveri e la diffusione degli odori nell'abitato circostante non c'è altra soluzione se non quella di installare il nuovo elettrofiltro e di innalzare il camino di 60 metri", e dall'altro, con l'approvazione della modifica sostanziale proposta dall’impresa con diverse prescrizioni. Ha fatto seguito il rilascio, da parte del Comune di Barberino Tavarnelle, del permesso di costruire 23 marzo 2021, n. 2021, per realizzare il nuovo camino alto 60 metri e da parte dello Sportello Unico dell’autorizzazione unica ambientale 23 marzo 2021, n. 21.

I provvedimenti sono stati impugnati con il presente ricorso, notificato il 20 aprile 2021 e depositato il 3 maggio 2021, lamentando violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili.

Si sono costituiti il Comune di Barberino Tavarnelle, la Distilleria Deta e la Regione Toscana chiedendo la reiezione del ricorso.

Con ricorso per motivi aggiunti, notificato il 20 maggio 2021 e depositato il 31 maggio 2021, sono state formulate nuove censure avverso il permesso di costruire ed è stata richiesta la tutela cautelare.

Con ordinanza 22 giugno 2021, n. 351, confermata con ordinanza del Consiglio di Stato 13 settembre 2021, n. 4932, è stata respinta la domanda cautelare.

All’udienza del 19 ottobre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Nella controversia in esame, con il ricorso principale l’associazione Italia nostra ONLUS, il Comitato per la tutela della difesa della Val d’Elsa e diversi residenti proprietari di immobili e terreni nonché titolari di aziende agricole e agrituristiche della zona impugnano il decreto del Responsabile del Settore autorizzazioni ambientali della Direzione Ambiente ed energia della Regione Toscana 19 febbraio 2021, n. 2582, avente ad oggetto l’aggiornamento dell’autorizzazione unica ambientale dello stabilimento della distilleria DETA s.r.l. nel Comune di Barberino Tavarnelle, unitamente a tutti gli atti presupposti e conseguenti ivi compresi i verbali delle conferenze di servizi;
i pareri espressi dall’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana (nel seguito anche “agenzia”) e il permesso di costruire 23 marzo 2021, n. 2021, rilasciato alla controinteressata dal citato Comune. L’aggiornamento dell’autorizzazione ambientale ha ad oggetto una modifica sostanziale dell’autorizzazione alle emissioni in atmosfera consistente in un incremento della produzione (ossia della vinaccia da avviare alla lavorazione) ed il conseguente aumento della portata di emissione al punto E1 fino a 75.000Nmc/h e una durata dell'emissione pari a 300 gg/anno, oltre che lo spostamento fisico di quest'ultimo punto di emissione E1 con variazione della quota da 20 a 60 metri mediante la realizzazione di un nuovo camino dell'altezza, appunto, di 60 metri. Per quest’ultima è stato rilasciato il permesso di costruire oggetto anch’esso di gravame.

1.1 A dire dei ricorrenti, che a questo proposito formulano primo e secondo motivo di doglianza, nel caso di specie era necessario acquisire ulteriori atti di assenso rispetto all’autorizzazione unica ambientale come prescritto dall’articolo 4, commi 4 e 5, del d.p.r. 13 marzo 2013, n. 59, e dal punto 3.2, lett. b), delle Linee Guida per l’applicazione delle procedure in materia di autorizzazione unica ambientale approvate con deliberazione della Giunta Regionale Toscana 3 dicembre 2018, n. 1332. Il Comune ha espresso il 14 luglio 2020 parere non favorevole sulla compatibilità urbanistica dell’intervento di progetto di camino poiché contrasterebbe con l’articolo 48 delle Norme Tecniche di Attuazione del Regolamento Urbanistico Comunale, che per tale opera richiede una variante al piano attuativo. Tuttavia, nella successiva riunione del 9 settembre 2020 ha evidenziato che l’acquisizione dei titoli per i lavori di realizzazione delle opere esula dal procedimento di rilascio dell’autorizzazione unica ambientale anche qualora la loro costruzione sia considerata necessaria nell’ambito del rilascio della stessa. Sono quindi stati espulsi dall’istruttoria i profili urbanistico-edilizi ponendo in essere una scissione fra autorizzazione unica ambientale e permesso di costruire che avrebbe impedito una valutazione complessiva dell’intervento. Le valutazioni di ordine ambientale sottese al rilascio dell'autorizzazione alle emissioni, e anche dell’autorizzazione unica ambientale comprensiva di tale assenso, non potrebbero rimanere avulse da quelle di ordine urbanistico-edilizio stante la loro innegabile interconnessione reciproca. Si tratterebbe di un profilo non solo di ordine procedimentale ma anche sostanziale, giacché la conferenza di servizi svolta il 6 ottobre 2020 si è conclusa nel senso che "per ridurre le emissioni di polveri e la diffusione degli odori nell'abitato circostante non c'è altra soluzione se non quella di installare il nuovo elettrofiltro e di innalzare il camino di 60 metri". Tuttavia il rilascio dell’autorizzazione unica ambientale è stato disposto malgrado l’incertezza sull’effettiva realizzabilità dell’intervento edilizio quanto alla sua conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia, e quindi sul rilascio del permesso di costruire indispensabile per il nuovo camino di emissione.

Con terzo motivo i ricorrenti lamentano violazione della normativa in materia di industrie insalubri di cui all’articolo 216 del Regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265-Testo Unico delle Leggi Sanitarie. Le distillerie compaiono nell’elenco di cui al decreto del Ministero della Sanità 5 settembre 1994 tra le industrie insalubri di prima classe e quindi il loro esercizio, a dire dei ricorrenti, è subordinato all’assenso del Sindaco del Comune di ubicazione. Tuttavia alcun assenso sindacale risulta essere stato acquisito.

Con quarto motivo deducono che il vigente "PRQUA-Piano Regionale di Qualità dell'Aria Ambiente" della Regione Toscana, approvato dal Consiglio regionale con deliberazione n. 72 del 18 Luglio 2018, all'Allegato 2 ("Documento tecnico con determinazione di valori limite di emissione e prescrizione per le attività produttive"), al § 4 detta prescrizioni riferite alle "Altezze dei camini" prevedendo in termini molto chiari che "l'altezza dei camini non deve in nessun caso essere considerata elemento sostitutivo di possibili soluzioni di contenimento delle emissioni inquinanti, quali modifiche al ciclo produttivo, sostituzione di materie prime e adozione di impianti di abbattimento". Proprio questo, a dire dei ricorrenti, sarebbe avvenuto con il rilascio dell’autorizzazione unica ambientale impugnata che reca la prescrizione del camino di emissione E1 alto 60 metri, individuata come soluzione per il "contenimento" di polveri e di odori nell'abitato. Nel caso di specie risultavano ipotizzabili soluzioni alternative per mitigare le emissioni inquinanti dello stabilimento, indicate anche nella relazione tecnica che i ricorrenti hanno depositato tra cui le seguenti:

- non immettere i vapori e i fumi di combustione nello stesso camino, utilizzando un "filtro a maglie" per abbattere le polveri;

- abbassare la temperatura di combustione delle caldaie;

- condensare i vapori con conseguente riduzione di parte degli odori e evitare così la formazione del tipico pennacchio in cima al camino;

- aggiungere un sistema di "post combustione";

- utilizzare (per essiccare le buccette) un sistema a vapore surriscaldato il quale abbatterebbe in modo considerevole gli odori presenti.

Oltretutto il problema potrebbe essere risolto alla radice eliminando le buccette dal processo di combustione ed essiccazione, essendo queste importanti materie prime per impianti di compostaggio, biodigestori e impianti per la generazione di gas pirolitico.

Con quinto motivo i ricorrenti si dolgono che nell’istruttoria tecnica siano state regolamentate le sole emissioni inquinanti dichiarate dall’impresa senza valutare altri inquinanti che possono essere emessi dall’impianto di cui si tratta. La caldaia è alimentata a biomasse e quindi possono formarsi composti chimici ad alta tossicità e cancerogeni come gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA). Questi si producono non direttamente nella camera di combustione ma immediatamente a valle, nella corrente aeriforme dei fumi a partire da molecole precursori prodotte direttamente da una combustione inefficiente. Da tanto deriverebbe la necessità di adottare camere di post combustione ma questa soluzione impiantistica non è stata valutata e, comunque, non è stata imposta: pertanto, un camino con altezza pari a 60 metri in assenza di post-combustore che minimizzi i precursori delle sostanze tossiche potrebbe costituire un “reattore” che contribuisce al processo di formazione delle sostanze tossiche, finendo col produrre un impatto ambientale più elevato dell’attuale camino alto 20 metri.

Con sesto motivo i ricorrenti lamentano che il limite delle emissioni odorigene derivanti dal camino E1 sono definite in 3.400 uoE/mc non solo nel periodo transitorio, ma anche a regime, e contestano la relativa procedura poiché non era consentita l’esternalizzazione sotto il profilo procedimentale del parere dell’Agenzia 16 novembre 2020 e saremmo in presenza di una contraddittorietà intrinseca in quanto la determinazione della conferenza conclusiva dei servizi svolta il 6 ottobre 2020 fu di mantenere il limite a regime di 2.500 uo/mc, mentre i 3.400 uo/mc dovevano interessare solo la fase transitoria. L’aumento dei limiti sarebbe carente di motivazione e si porrebbe in contraddittorietà con la precedente manifestazione di volontà espressa dalla stessa autorità di controllo con la precedente autorizzazione unica ambientale di cui all’esternazione dirigenziale 5 ottobre 2020, n. 15693.

Con settimo motivo si dolgono che l’emissione del camino E1 deriva da un impianto che è al contempo di combustione delle buccette e di essiccazione delle stesse. Il ricordato "PRQUA-Piano Regionale di Qualità dell'Aria Ambiente" della Regione Toscana, al punto 2 dedicato “impianti di essiccazione” dell’Allegato 2 alla Parte Seconda dell’Allegato 2, stabilisce che per i valori limite di emissione per questi impianti si deve fare riferimento a quelli dell’Allegato 1. Tale ultimo Allegato 1 del PRQUA contiene i “valori limite per tipologie di sostanze inquinanti” prevedendo per l’inquinante polveri (al punto 6.1. “Emissioni canalizzate”) un valore di emissione di 10 mg/Nmc. L’autorizzazione unica n. 2582/2021 qui impugnata stabilisce invece per le Polveri il valore limite di emissione (VLE) ben più elevato di 50 mg/Nmc, il che violerebbe il principio del rispetto dei piani regionali sulla qualità dell'aria stabilito nel primo periodo dell’art. 271, comma 5, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152.

Con ottavo motivo i ricorrenti lamentano che lo studio diffusionale di polveri e odori che la Regione ha chiesto all’azienda preliminarmente al rilascio dell’autorizzazione presenterebbe notevoli carenze tecniche, poichè la mancanza di dati anemometrici specifici della zona in cui è ubicato l’impianto avrebbe invalidato l’approccio modellistico utilizzato.

Con nono motivo deducono che l’autorizzazione impugnata sia stata emessa in variante sostanziale dell'autorizzazione alle emissioni dello stabilimento in esame, in ragione del più che raddoppio del carico emissivo (da 35.000 nmc/h a 75.000 nmc/h) oltreché dei giorni di lavorazione (da 150 a 300 giorni lavorativi/anno). Tuttavia gli elaborati presentati per l'autorizzazione non fornirebbero elementi precisi di questo considerevole aumento di potenzialità dell'impianto, né in termini di combustibile e di materia prima utilizzata né di prodotto finito, in violazione del contenuto minimo della domanda di autorizzazione prescritto dalla normativa statale e regionale (art. 269, comma 2, del d.lgs. 152/2006 e modello di domanda di cui alla deliberazione regionale 905/2015).

Con decimo motivo deducono che i profili di illegittimità di cui al primo motivo comportano l’illegittimità anche del permesso di costruire n. 2021/012 e dell'autorizzazione unica n. 21/017 rilasciati dal Comune di Barberino Tavarnelle alla società controinteressata per la realizzazione del nuovo camino di emissione alto 60 metri, in ragione della scissione procedimentale e provvedimentale tra autorizzazione unica ambientale da un lato, e permesso di costruire dall'altro.

Con motivo undicesimo lamentano che la scissione tra l’aspetto autorizzativo e quello edilizio per il rilascio del permesso di costruire avrebbe avuto l’effetto di condizionare il procedimento per il rilascio del secondo, essendo stata posticipata ogni valutazione sulla conformità dell’intervento alla disciplina edilizia locale al successivo rilascio del permesso stesso.

Con motivo dodicesimo deducono che il permesso di costruire sarebbe invalidato anche dalla mancanza di un’istruttoria comunale sulla nocività dell’industria insalubre nonostante l’articolo 42 delle Norme Tecniche di Attuazione del Regolamento Urbanistico Comunale, con riferimento alle zone aventi carattere esclusivamente industriale, artigianale e commerciale prescriva che "le attività classificate insalubri non devono recare comunque alcun danno alla salute del vicinato;
pertanto, la verifica da parte dell’amministrazione comunale della prova di non nocività deve essere svolta in concreto, con la specifica valutazione dei metodi e cautele rispettate dal gestore, altrimenti, qualora tale riscontro manchi o sia generico, si vanifica la possibilità di dimostrazione della non nocività".

Con il ricorso per motivi aggiunti vengono formulati nuove censure avverso il permesso di costruire.

I ricorrenti lamentano che nel Regolamento Urbanistico oggi vigente (approvato con le deliberazioni n. 8 del 3 aprile 2014 e n. 28 del 21 luglio 2015) l’area interessata è classificata come “Zona omogenea D”. L’art. 42 del Regolamento individua la zona D3/1 “Distilleria Deta” e rinvia, per la relativa disciplina, all’art. 48. Quest’ultimo subordina l’attuazione degli interventi nell’area a un “Piano di recupero di iniziativa privata”. Poiché gli interventi edilizi nella zona D3/1 sono subordinati all’approvazione di un piano di recupero, la disciplina dell’art. 48 ha perso efficacia a seguito della decorrenza del termine quinquennale stabilito dal comma 6 dell’art. 55 della L.R. n. 1/2005 (analoga previsione è oggi contenuta nel comma 11 dell’art. 95 della L.R. n. 65/2014), ai sensi del quale le previsioni del Regolamento Urbanistico subordinate a piani attuativi di iniziativa privata perdono efficacia “allorché entro cinque anni non sia stata stipulata la relativa convenzione”. L’area interessata, quindi, è priva di disciplina urbanistica e nelle aree non pianificate, ai sensi dell’articolo 105, comma 2, della L.R. n. 65/2014 sono consentiti esclusivamente interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, restauro e risanamento conservativo senza mutamento delle destinazioni d’uso o aumento del numero di unità immobiliari. Il progetto della ricorrente consiste nella dismissione dell’attuale impianto con successiva installazione di un camino sostitutivo di quello attuale (alto 20 metri) con altro alto 60 metri. Si tratterebbe secondo l’Amministrazione di opere qualificabili come impianti tecnologici ma a dire dei ricorrenti, il Comune avrebbe ricondotto il nuovo camino nella categoria dei volumi tecnici senza svolgere adeguata istruttoria sulla natura reale dell’intervento. Nel caso di specie l’impianto non è di modeste dimensioni visto che si tratta di un camino alto 60 metri;
non sarebbe necessario alle esigenze tecnico funzionali del complesso industriale e la sua configurazione precede l’intervento edilizio. L’opera dovrebbe invece essere qualificata come nuova costruzione, non ammissibile nella zona interessata.

La conclusione non cambierebbe anche se si ritenesse che la disciplina degli artt. 42 e 48 delle N.T.A. del Regolamento Urbanistico Comunale fosse tuttora efficace poiché in questo caso, infatti, un intervento di nuova costruzione presupporrebbe comunque l’approvazione di un piano di recupero.

Deducono inoltre i ricorrenti che l’intervento progettato dalla controinteressata è funzionale ad una implementazione del ciclo produttivo prevede un aumento dei giorni lavorativi e delle quantità produttive e per questa ragione, la costruzione del camino inciderebbe sugli standard urbanistici della zona. Non si tratta, infatti, di un “ammodernamento” dell’impianto preesistente ma della realizzazione di un’opera indispensabile ad una radicale trasformazione del ciclo produttivo e, quindi, dello stabilimento della controinteressata.

A loro dire, poi, qualora si ritenesse (come invece il Comune ha escluso) che il Piano di recupero n. 11/2003 fosse tutt’ora efficace nonostante la decorrenza del termine di dieci anni dalla sua approvazione, l’intervento sarebbe illegittimo anche per contrasto con tale Piano. Alla scadenza del Piano attuativo, infatti, “permane l'obbligo di osservare nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano attuativo” (art. 68, comma 4, L.R. n. 1/2005) e sulla base di questo la nuova ciminiera sarebbe legittima perché ai sensi dell’art. 6 delle NTA del Piano di Recupero, gli interventi edilizi “dovranno avere caratteristiche architettoniche tali da consentire l’integrazione col complesso edificato esistente”.

1.2 Le difese delle resistenti eccepiscono difetto di legittimazione e di interesse a ricorrere in capo ai ricorrenti.

Quanto alla posizione di Italia Nostra eccepiscono che la sua legittimazione sussisterebbe ove si denunciasse la violazione di interessi a rilevanza ambientale e non urbanistico-edilizia, e a condizione che non si tratti di vizi a carattere meramente procedurale. Gli effetti pregiudizievoli lamentati avrebbero, nel caso di specie, essenzialmente carattere patrimoniale sia per quanto riguarda lo svolgimento delle attività imprenditoriali, sia per quanto riguarda la lamentata diminuzione del valore degli immobili.

In relazione al Comitato per la tutela e la difesa della Val d’Elsa, le parti resistenti eccepiscono che non presenterebbe i requisiti richiesti dalla giurisprudenza ai fini della legittimazione processuale dei portatori di interessi collettivi poiché dal suo statuto, peraltro privo di data certa, risulta che si è costituito non prima del 18 gennaio 2021 e quindi non presenta i caratteri dell’attività protratta nel tempo, anzi, la collocazione temporale della sua costituzione, riferita ad un momento in cui i procedimenti amministrativi di cui si discute erano prossimi alla conclusione, indurrebbe a ritenere che sia stato formato con lo scopo di contestare i provvedimenti rilasciati in favore della controinteressata.

I ricorrenti restanti, persone fisiche e società, non dimostrerebbero poi né di avere proprietà immobiliari nelle vicinanze dell’area né di avere con quest’ultima uno stabile collegamento diverso e, comunque, non fornirebbero prova del pregiudizio asseritamente subito.

La difesa comunale eccepisce poi che i ricorrenti hanno impugnato il decreto regionale n. 2582/2021 ma non anche l’autorizzazione unica dello Sportello Unico 4 marzo 2021, n. 21/04, rilasciata dal Comune, che costituirebbe l’atto conclusivo del procedimento rispetto al quale il precedente provvedimento regionale avrebbe natura di atto endoprocedimentale. L’omessa impugnazione della seconda determinerebbe inammissibilità dell’impugnazione dell’atto regionale con conseguente inoppugnabilità della determinazione amministrativa che ha valutato la necessità di realizzare la canna fumaria alta 60 metri.

Il Comune eccepisce ancora inammissibilità dell’impugnazione poiché cumula l’autorizzazione unica ambientale e il permesso di costruire e i motivi dell’impugnazione riguardano in parte l’uno, in parte l’altro provvedimento senza però che l’annullamento del primo comporti anche caducazione dell’altro. L’impugnazione sarebbe inammissibilmente stata proposta in via cumulativa avverso due provvedimenti emanati all’esito di due procedimenti autonomi e distinti.

La difesa della controinteressata si associa a quest’ultima eccezione e, inoltre, eccepisce difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo a favore del Giudice Ordinario sulla base dell’effettiva situazione giuridica vantata dai soggetti ricorrenti, le cui proprietà sarebbero asseritamente disturbate dalle emissioni dell’impianto di distilleria. Eccepisce anche che i ricorrenti vanterebbero posizioni diverse tra loro e, pertanto, non sussisterebbero i presupposti per l’impugnazione collettiva.

Nel merito, le difese delle resistenti replicano tutte puntualmente alle deduzioni dei ricorrenti.

2. In via preliminare deve essere respinta l’eccezione di difetto di giurisdizione poiché nella presente controversia i ricorrenti non fanno valere un (asserito) diritto soggettivo alla tutela della salute, bensì il loro interesse legittimo al corretto esercizio del potere da parte delle Amministrazioni intimate nella fattispecie in esame. La prospettazione è corretta poiché l’azione amministrativa non si è svolta in carenza di potere o in via meramente fattuale, ma si è concretata nell’esercizio di poteri attribuiti e riconosciuti dall’ordinamento, che i ricorrenti asseriscono essere stati scorrettamente esercitati, i quali hanno la funzione di contemperare tra loro il diritto di iniziativa economica della ricorrente e i diritti alla salute e dominicale dei ricorrenti. La contestazione non cade su un agire amministrativo direttamente impattante su un diritto soggettivo asseritamente leso, ma in ordine all’esercizio (asseritamente illegittimo) di attribuzioni pubblicistiche che sono assegnate dall’ordinamento alle Amministrazioni intimate ai fini sopracitati, delle quali si contesta l’esplicazione in maniera non corretta. In ultima analisi, la posizione dedotta in giudizio è quella dell’interesse legittimo poiché l’azione amministrativa si è svolta attraverso un procedimento, con spendita di discrezionalità, e i provvedimenti in esame hanno carattere conformativo e non meramente accertativo di una situazione fattuale, essendo essi stessi creatori del fatto e non limitandosi ad accertarne l’esistenza e le caratteristiche ai fini della produzione delle conseguenze legislativamente previste. Nel caso in esame la legge non determina direttamente e immediatamente le conseguenze derivanti da un determinato fatto ma attribuisce alle Amministrazioni competenti il potere di regolamentare la situazione fattuale, esercitando attività autoritativa e conformativa delle situazioni giuridiche di coloro con cui entra in contatto. Ciò che viene contestato è il cattivo esercizio di questa attività, che incide su una situazione di interesse legittimo al suo corretto svolgimento chiamando in causa, quindi, ai fini della risoluzione delle relative controversie, la giurisdizione del Giudice Amministrativo.

3. Occorre ora affrontare le eccezioni con cui le difese delle parti resistenti contestano la legittimazione ad agire dei ricorrenti.

3.1 Principiando dalla posizione del Comitato per la Tutela e la Difesa della Val D'Elsa, l’eccezione postula la ricostruzione e l’individuazione del concetto di “interesse collettivo”.

Per lungo tempo l’interesse legittimo è stato visto in chiave essenzialmente individuale e legato alla tutela di posizioni che il singolo individuo fa valere nei confronti della pubblica amministrazione. La giurisprudenza, attraverso un’interpretazione evolutiva, ha aperto la strada alla tutela di posizioni facenti capo non ad una singola persona ma ad una sommatoria di soggetti.

L’interesse legittimo riguarda una posizione di vantaggio personale e differenziata e il problema affrontato si è concretato nell’individuare quale potesse essere il soggetto cui faccia capo un interesse diffuso in un determinato ambito sociale. In linea teorica e astratta anche gli interessi diffusi possono essere compresi nel più ampio genere dell’interesse legittimo alla luce, specialmente, dell’art. 2 della Costituzione il quale riconosce i diritti inviolabili delle persone anche nelle formazioni sociali;
ai fini processuali occorreva però individuare un meccanismo attraverso il quale detto interesse si materializzasse in capo ad un soggetto determinato cui potesse essere riconosciuta la legittimazione ad agire (e a resistere) in giudizio. Ciò è avvenuto mediante l’individuazione di organismi qualificati che agiscono statutariamente per la tutela di detti interessi. In quel momento l’interesse diffuso facente capo a ciascun membro del gruppo si individualizza in capo ad un’organizzazione che agisce a sua tutela e diviene così portatrice di una posizione differenziata, la quale può legittimarla ad impugnare i provvedimenti amministrativi e ad opporsi ad azioni del pubblico potere lesive di detta posizione. L’interesse legittimo collettivo si materializza quindi come posizione pertinente ad una pluralità di soggetti costituenti categoria o gruppo omogeneo, e organizzato per realizzare i propri fini. Si distingue dall’interesse diffuso poiché quest’ultimo, pur essendo anch’esso superindividuale, non fa capo ad una pluralità determinata di individui costituente un’organizzazione.

Nasce però, a questo punto, la necessità di elaborare criteri atti a individuare quali siano gli organismi collettivi legittimati a ricorrere avverso i provvedimenti lesivi degli interessi di cui sono portatori. La problematica ovviamente non riguarda gli enti esponenziali previsti dalla legge, quali ad esempio i Comuni che per previsione legislativa sono deputati a tutelare gli interessi della loro comunità territoriale, e altrettanto dicasi per gli ordini e collegi professionali relativamente agli appartenenti ai rispettivi gruppi professionali.

Nel corso del tempo sono stati individuati diversi criteri a tale scopo.

Dapprima si è fatto riferimento al possesso della personalità giuridica, ma questo criterio è stato presto abbandonato poiché determinava discriminazioni tra enti riconosciuti e non riconosciuti mentre anche gli enti di mero fatto, come i comitati o le associazioni non riconosciute, ben possono farsi portatori della tutela di interessi collettivi.

Si è quindi fatto riferimento al criterio della partecipazione procedimentale, ma anche questo è stato abbandonato poiché la partecipazione, in determinati casi, è prevista non a fini di tutela di un determinato bene ma nei termini di un apporto collaborativo a favore dell’amministrazione procedente. Non sussiste cioè un’automatica equazione tra partecipazione procedimentale e legittimazione ad agire.

Il criterio oggi vigente è quello della rappresentatività che deve essere desunta da: a) previsioni statutarie dell’ente, b) stabile assetto organizzativo, c) stabile collegamento con l’interesse che si assume leso.

A questo si aggiunge il secondo criterio del riconoscimento legislativo. In diversi casi è infatti il legislatore ad operare una legittimazione ex lege a favore di determinate organizzazioni per la tutela di interessi collettivi, come avvenuto per le organizzazioni non governative che promuovono la protezione dell'ambiente che sono riconosciute ai sensi dell’art. 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349.

La legittimazione processuale delle organizzazioni collettive si basa quindi su due criteri alternativi: riconoscimento legislativo o collegamento territoriale congiunto a stabilità ed effettiva rappresentatività della comunità cui fa capo l’interesse asseritamene leso.

La giurisprudenza più recente si mantiene coerente con queste coordinate, stabilendo che “ L'interesse diffuso è una situazione giuridica autonoma che si trova allo stato fluido, “diffusa” tra più soggetti e, per questa ragione, “adespota”, cioè priva di un effettivo titolare, e può essere azionata in giudizio da un ente collettivo in capo al quale si riconosce la legittimazione ad agire per far valere un “interesse proprio”. Il processo di differenziazione dell'interesse diffuso mediante l'attribuzione della sua titolarità ad un ente collettivo può avvenire mediante un riconoscimento legislativo espresso ovvero alla stregua di una previsione legislativa implicita (cd. doppio binario), la quale tuttavia richiede che l'ente sia comunque in possesso dei seguenti requisiti cumulativi tipizzati dalla giurisprudenza: i ) il fine di tutelare tale interesse sia stabilito dallo statuto;
ii ) l'ente abbia una certa dose di rappresentatività ed una organizzazione stabilmente finalizzata a tutelare tale interesse;
iii ) l'interesse diffuso abbia connotati di sostanziale “omogeneità” tra i soggetti che compongono la “comunità”
(C.d.S. VI, 26 gennaio 2022 n. 530;
T.A.R. Puglia-Lecce I, 29 settembre 2011 n. 1665). Ancora, la concreta rappresentatività delle associazioni ambientaliste va accertata con riguardo alla sussistenza di tre presupposti: gli organismi devono perseguire statutariamente in modo non occasionale obiettivi di natura ambientale, devono possedere un adeguato grado di rappresentatività e stabilità e devono avere un'area di afferenza ricollegabile alla zona in cui è situato il bene a fruizione collettiva che si assume leso (T.A.R. Friuli-Venezia Giulia I, 5 luglio 2021 n. 208).

Facendo applicazione al caso concreto di questi principi, è da dire che il Comitato si è costituito solo il 18 gennaio 2021 e, pertanto, non presenta il requisito dello stabile collegamento territoriale necessario affinché assuma legittimazione al ricorso, in quanto radicato nel territorio. La legittimazione di un comitato si radica su tre elementi: adeguato grado di rappresentatività;
collegamento stabile con il territorio di riferimento e azione dotata di apprezzabile consistenza, anche tenuto conto del numero e della qualità degli associati. Inoltre occorre che l'attività del comitato si sia protratta nel tempo e che, quindi, il comitato non nasca in funzione dell'impugnativa di singoli atti e provvedimenti (C.d.S. IV, 7 settembre 2022 n. 7799;
T.A.R Toscana II, 23 marzo 2022 n. 372;
T.A.R Liguria II, 10 febbraio 2017 n. 95). E’ quanto invece accaduto nel caso di specie, ove la recentissima costituzione del comitato lascia facilmente presumere, come correttamente eccepito dalle resistenti, che si sia costituito proprio in funzione della, e avverso la, emanazione degli atti di cui è causa senza presentare quel lasso temporale minimo di operatività che possa qualificarlo come rappresentativo degli interessi della collettività che pretende di rappresentare. Il Comitato deve quindi essere estromesso dal processo per difetto di legittimazione attiva.

3.2 Quanto ai ricorrenti in proprio, secondo la relazione dagli stessi prodotta in atti le loro proprietà sono situate ad una distanza dalla distilleria oscillante tra un minimo di metri 700 e metri 2200. In linea astratta possono quindi essere incisi da emissioni odorigene scaturenti dall’impianto della controinteressata poiché a seconda della direzione dei venti, non si può escludere che le stesse cagionino loro fastidi e minino la fruizione delle loro proprietà. Deve perciò essere affermata la loro legittimazione ad impugnare i provvedimenti epigrafati per ragioni connesse alla tutela ambientale. Non altrettanto vale, invece, con riguardo al ricorso per motivi aggiunti con cui si contesta il titolo edilizio rilasciato per l’innalzamento del camino sotto profili specificamente edilizi, poiché in tal caso manca il requisito dello stabile collegamento, inteso come vicinanza spaziale, tra le loro proprietà e quella della controinteressata, che costituisce presupposto indefettibile per la legittimazione ad agire in materia edilizia. Tale presupposto è il criterio che differenzia la posizione del “vicino” da quella del quivis de populo ed è idoneo a qualificarla nei termini dell’interesse legittimo, differenziandola dal generico interesse al rispetto della legalità proprio di ciascun consociato e che costituisce un interesse di fatto (C.d.S. A.P. 9 dicembre 2021 n. 22). La distanza fisico spaziale dei fondi dei ricorrenti da quello interessato alla sopraelevazione del camino esclude la loro legittimazione ad agire sotto i profili urbanistico-edilizi, poiché la loro posizione non si distingue da quella dell’interesse, non differenziato né qualificato, al rispetto della legalità da parte della Pubbliche Amministrazioni.

3.3 L’associazione Italia Nostra, in base all’articolo 1 del proprio statuto, ha lo scopo di concorrere a tutelare e valorizzare il patrimonio storico, artistico e naturale italiano. Esulano invece dei suoi scopi sociali le controversie nelle quali vengano in rilievo problematiche specificatamente edilizie, prive di risvolti e conseguenze ambientali. Anch’essa è quindi legittimata unicamente al ricorso principale, che ha ad oggetto contestazioni sotto profili ambientalistici ai provvedimenti impugnati, e non alla proposizione del ricorso per motivi aggiunti con cui si censura sotto profili squisitamente edilizi il titolo rilasciato per l’innalzamento del camino.

Da tali considerazioni segue che il ricorso per motivi aggiunti deve essere dichiarato inammissibile per carenza di legittimazione di tutti i ricorrenti, e la controversia deve proseguire per l’esame del ricorso principale con riguardo solamente all’Associazione Italia Nostra e ai ricorrenti in proprio.

4. Il ricorso principale, su cui si concentra ora la controversia, è infondato e pertanto il Collegio prescinde dall’esame delle ulteriori eccezioni formulate dalle resistenti.

4.1 Sono infondati i motivi primo, secondo e undicesimo, che possono essere trattati congiuntamente in quanto involgono la stessa problematica.

Nel caso di specie è applicabile l’autorizzazione unica di cui al d.P.R. 13 marzo 2013, n. 59, istituto che comprende nel suo ambito di applicazione le categorie di imprese di cui all’art. 2 del decreto del Ministero della Attività produttive 18 aprile 2005 ovvero microimprese, piccole imprese e medie imprese. Esso non sostituisce tutti i titoli necessari alla realizzazione di un’opera ma unicamente quelli indicati all’art. 3 del medesimo decreto tra cui non è compreso il titolo edilizio, per il quale occorre attivare uno specifico procedimento. Anche le Linee guida regionali per l’applicazione delle procedure in materia di autorizzazione unica ambientale, approvate con deliberazione di Giunta 3 dicembre 2018, n. 1332, distinguono due categorie di procedimenti a seconda che sia necessario acquisire solo l’autorizzazione unica ambientale o, oltre a questa, anche altri atti di assenso. In quest’ultimo caso compete allo Sportello Unico convocare la conferenza di servizi mentre la Regione svolge la funzione di coordinamento dei soggetti competenti in materia ambientale, anche mediante la conferenza di servizi istruttoria. Poiché la controinteressata ha presentato istanza di modifica sostanziale dell’autorizzazione unica ambientale senza chiedere ulteriori titoli è stata convocata la conferenza di servizi da parte della Regione, nel corso della quale è emersa la necessità di richiedere un titolo edilizio per innalzare il camino. Ma l’acquisizione di quest’ultimo era estraneo al procedimento di rilascio dell’autorizzazione unica ambientale e, pertanto, correttamente la questione è stata rinviata al soggetto competente in materia edilizia, ovvero il Comune di Barberino Tavarnelle. Nella prospettazione dei ricorrenti la questione edilizia avrebbe dovuto essere oggetto di valutazione nell’ambito del procedimento per la modifica dell’autorizzazione ambientale. La tesi non può essere accolta poiché ciò avrebbe comportato un aggravio procedimentale e anche un difetto di competenza, essendo chiamate a decidere sulla questione edilizia Amministrazioni che non possiedono attribuzioni in materia.

La lettura dell’intervento del rappresentante comunale alla conferenza di servizi svolta il 6 ottobre 2020 (pag. 4, secondo capoverso, del verbale della conferenza) evidenzia del resto che non vi era alcuna incertezza sulla realizzazione dell’opera di innalzamento del camino, ma solo sulla tempistica della stessa.

I motivi devono quindi essere respinti e con esso anche il motivo decimo con cui si deduce l’illegittimità derivata del permesso di costruire n. 2021/012 e dell'autorizzazione unica n. 21/017 rilasciati dal Comune di Barberino Tavarnelle alla società controinteressata per la realizzazione del nuovo camino di emissione.

4.2 Il terzo motivo è infondato poiché l’impianto produttivo di cui si tratta già esiste da anni sul territorio ed è ubicato in zona a destinazione industriale. Per tali motivi non è applicabile ad esso il divieto previsto dall’art. 216 del R.d. n. 1265/1934;
ai sensi dell’ultimo comma di questa norma l’obbligo di avviso al Sindaco affinché, in qualità di autorità sanitaria comunale, possa valutare le opportune cautele da disporre è previsto solo per le nuove attivazioni di industrie insalubri di prima classe.

4.3 I motivi da quinto a settimo involgono problematiche similari e vengono quindi trattati congiuntamente.

I motivi sono infondati.

Ai fini della loro trattazione è necessario esaminare il concetto di discrezionalità tecnica.

4.3.1 Si parla di discrezionalità tecnica con riferimento ai casi in cui l’esame di fatti o situazioni rilevanti per l’azione amministrativa comporta l’utilizzo di cognizioni tecniche specialistiche, la cui applicazione non garantisce un risultato univoco. Questa forma di discrezionalità non implica una comparazione tra l’interesse pubblico e gli interessi secondari ma l’applicazione di scienze tecniche al caso concreto.

La discrezionalità tecnica deve essere distinta dall’accertamento tecnico nel quale, invece, trovano applicazione scienze esatte che consentono di arrivare ad un risultato univoco. La prima si caratterizza perché la sua applicazione ai casi concreti può portare a risultati diversi, egualmente apprezzabili, in quanto le sue conclusioni sono caratterizzate dalla opinabilità.

La giurisprudenza si è interrogata a lungo sulla sindacabilità in sede giudiziaria della discrezionalità tecnica.

La tesi tradizionale propendeva per la sua non sindacabilità in sede giudiziaria opinando che ove non sussistono vincoli giuridici all’azione amministrativa, questa sconfina nel merito che è insindacabile dal giudice. Questa posizione si è evoluta nel tempo a partire dalla constatazione che tale forma di discrezionalità non comporta un bilanciamento di interessi, ma l’applicazione di scienze tecniche e pertanto, sotto un profilo teorico generale, nulla impedisce al giudice di controllarne l’esercizio.

Da questa constatazione sono poi derivate due posizioni.

Per una prima tesi (ormai obsoleta) la discrezionalità tecnica potrebbe essere controllata solamente sotto il solo profilo estrinseco, verificandone cioè l’illogicità manifesta, o la contraddittorietà della motivazione o eventuali travisamenti di fatto.

Secondo una diversa e più attuale dottrina il controllo giudiziario sulla discrezionalità tecnica si estende anche all’attendibilità, sotto il profilo della correttezza quanto a criterio tecnico e procedimento applicativo, delle operazioni effettuate. Ciò implica che il giudice potrà verificare il corretto utilizzo, da parte dell’amministrazione, della scienza tecnica rilevante nel caso di specie;
laddove non abbia le necessarie competenze potrà avvalersi della consulenza tecnica. Detto controllo riguarda sia il profilo della correttezza del criterio tecnico individuato dall’amministrazione che quello della correttezza del procedimento seguito per la sua applicazione e si giustifica sulla base della distinzione tra la “opinabilità”, che caratterizza le valutazioni tecniche, e la “opportunità” che connota invece le scelte di merito. Mentre è ragionevole la riserva delle seconde all’amministrazione, è imprescindibile il controllo di legalità sulle regole tecniche richiamate dalle norme giuridiche applicabili nei singoli casi di specie, le quali costituiscono il parametro di riferimento del giudizio di legittimità dell’azione amministrativa. Il controllo giudiziario sul provvedimento frutto di discrezionalità tecnica, una volta accertato il cattivo uso della stessa da parte dell’amministrazione, deve però limitarsi all’annullamento dell’atto impugnato e non può spingersi fino a indicare la corretta soluzione del problema tecnico. La valutazione effettuata dall’amministrazione, quindi, non può essere sostituita da quella del giudice (C.d.S. VI, 3 giugno 2022 n. 4522). Il sindacato giudiziario non può infatti spingersi fino ad individuare, tra quelle egualmente opinabili, la soluzione adatta al caso concreto e deve limitarsi a valutare gli apprezzamenti dell’amministrazione sotto i profili dell’illogicità, arbitrarietà, irragionevolezza, irrazionalità o travisamento dei fatti (C.d.S. V, 28 marzo 2022 n. 2269;
Sez. IV, 1 marzo 2022 n. 1445). In assenza di vizi rapportabili a tali categorie, non può dirsi superata la soglia dell’opinabilità e il sindacato giudiziario deve dunque arrestarsi.

4.3.2 Nel caso in esame i limiti della logicità e della ragionevolezza delle valutazioni tecniche effettuate dalle Amministrazioni intimate non risultano superati, perché le risultanze della relazione tecnica depositata in atti dai ricorrenti vengono puntualmente smentite dalla relazione dell’Agenzia 30 agosto 2022 depositata in atti dalla difesa comunale (all. 18, produzione Comune di Barberino Tavarnelle del 7 settembre 2022), che evidenzia i seguenti elementi di riflessione.

Le polveri prodotte dallo stabilimento della Distilleria Deta derivano dall’attività di essiccazione di vinacce e vinaccioli e quindi, in ragione di tale attività, l’impianto ricade nella categoria n. 27 “Impianti per l'estrazione e la raffinazione degli oli di semi”. Il valore limite di emissione delle polveri, derivanti dall’attività di essiccazione, previsto per questa categoria è pari a 50 mg/Nm3. Per quanto riguarda i parametri ossidi di azoto e COT sono stati utilizzati i valori relativi al processo di combustione ritenuto, in fase istruttoria, più pertinente alla situazione contingente rispetto a quello del processo di estrazione e raffinazione.

L’originaria autorizzazione unica ambientale di cui al decreto dirigenziale n. 7707/2016 aveva stabilito per le polveri il valore di emissione di 150 mg/Nm3, previsto per l’attività di essiccazione degli “Impianti per l'estrazione e la raffinazione di oli di semi” al punto 53 della Parte III dell’Allegato 1 alla Parte V del d.lgs. 152/2006, tuttora vigente. Il limite è stato ridotto a 50 mg/Nm3 nel PRQUA. Con la modifica dell’impianto autorizzata i livelli registrati di emissione di polveri sono stati ridotti a valori anche inferiori a 2 mg/Nm3, al di sotto del limite imposto in autorizzazione e coerenti con quanto previsto dal PRQUA.

Gli idrocarburi aromatici policiclici (IPA) si formano per condensazione di anelli aromatici o per successive addizioni ad anelli o aggregati, tendenzialmente a partire da acetilene e etilene prodotti con processo radicalico in assenza di ossigeno. E’ possibile che siano generati dalla combustione incompleta o dalla pirolisi di sostanza organica da molecole superiori, magari con presenza di anelli aromatici, contenuti in tutti i composti naturali, uva compresa, in condizioni di pressoché assenza di ossigeno, mentre nel caso in esame si registrano concentrazioni di ossigeno del 15%.

In sede di istruttoria sono state valutate le emissioni in condizioni rappresentative della combustione, per cui l’unico parametro potenzialmente critico rispetto ai limiti autorizzati e vigenti, antecedenti all’istallazione del nuovo elettrofiltro, è costituito dal Carbonio Organico Totale (COT), non espressamente normato per la tipologia di emissione, per il quale sono stati stabiliti limiti molto cautelativi.

Quanto alla qualità dell’aria la modellazione, pur con i difetti riscontrati ha evidenziato la non rilevanza degli inquinanti “classici” della qualità dell’aria derivanti dall’attività di Deta ed è comunque in previsione, stante la presenza nel comprensorio industriale di altre attività impattanti, un monitoraggio specifico. Le condizioni di temperatura, umidità e tenore di ossigeno dell’effluente gassoso convogliato nel condotto in questione rendono molto poco probabile la formazione di inquinanti e quindi aumentare il tempo di permanenza dei gas in tali condizioni, a seguito dell’innalzamento del camino, non aumenterebbe la probabilità di formare inquinanti.

In un condotto dove l’effluente, come nel caso in esame, si presenti con concentrazioni misurate di ossigeno oltre il 15% e umidità a saturazione (6-7%), la probabilità di incontro tra loro di frammenti di molecole contenenti solo carbonio e idrogeno a livello di parti per milione senza prima impattare con sostanze ossigenate è pressoché nulla, dunque non è in nessun modo plausibile che l’innalzamento del camino possa favorire la formazione di IPA.

4.3.3 Le valutazioni dell’Agenzia appaiono logiche e ragionevoli, pur nella loro opinabilità che è propria di tutte le scienze specialistiche, e non emergono elementi i quali evidenzino vizi di manifesta illogicità o travisamento negli atti tecnici istruttori.

La modifica dell’autorizzazione ha previsto valori limite di emissione più stringenti rispetto a quelli dell’autorizzazione originaria mentre il valore limite per gli odori è stato stabilito sulla base dei risultati del monitoraggio previsto dal decreto regionale n. 15693/2020.

L’innalzamento del camino non costituisce una soluzione assunta in luogo di altre per il contenimento delle emissioni;
si tratta invece di una opzione che bilancia in modo ragionevole ed equanime gli interessi in gioco, nel rispetto dei principi di precauzione e proporzionalità. L’alternativa sarebbe, come rappresentato nelle difese delle resistenti, l’imposizione di modifiche al ciclo produttivo tali da azzerare la produzione. Il bilanciamento degli interessi in gioco come effettuato dai provvedimenti in questa sede gravati evidenzia che quello alla tutela ambientale è stato sufficientemente considerato, con l’imposizione di scelte tecniche ragionevoli ed efficaci (salvo monitoraggio sui risultati, di cui pure è previsto lo svolgimento) a fronte di una “opzione zero” la cui applicazione rappresenterebbe scelta sproporzionata posto che, si ripete, le deduzioni in linea tecnica dei ricorrenti vengono puntualmente smentite dalla relazione dell’Agenzia, sicché non è dato evidenziare manifesti travisamenti nell’operato delle Amministrazioni intimate.

4.4 Quanto all’ottavo motivo, non si vede perché la mancanza di dati anemometrici infici le conclusioni cui è pervenuta l’Agenzia. Peraltro vi è indicazione di installare, per i futuri monitoraggi, una centralina per l’acquisizione dei dati meteorologici e in particolare di quelli anemometrici, indicazione che è stata recepita nel decreto dirigenziale n. 2582/2021.

4.5 Il nono motivo è privo di pregio poiché l’istanza presentata dalla controinteressata (pag. 15 e seguenti) indica, con i relativi quantitativi su base oraria e su base annua, le materie prime utilizzate;
le sostanze utilizzate per il ciclo produttivo;
i prodotti intermedi e i prodotti finali ottenuti dal ciclo produttivo.

4.6 Il dodicesimo motivo del ricorso principale deve essere a sua volta respinto poiché, come correttamente replica la difesa comunale, la garanzia sul rispetto della tutela della salute del vicinato è fornita proprio dal rilascio dell’autorizzazione unica ambientale, che non pregiudica i poteri di controllo in ordine alle esigenze di tutela igienico sanitaria il cui esercizio può sfociare nell’imposizione di specifiche prescrizioni e limiti.

5. In conclusione, deve essere disposta l’estromissione dal processo del Comitato per la Tutela e la Difesa della Val D'Elsa;
respinto il ricorso principale e dichiarato inammissibile il ricorso per motivi aggiunti.

Le spese processuali seguono la soccombenza e pertanto i ricorrenti sono condannati in solido al loro pagamento, nella misura di € 4.000,00 (quattromila/00) oltre accessori di legge se e in quanto dovuti, a favore di ciascuna parte resistente costituita;
nulla spese per l’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana che non si è costituita.

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