TAR Roma, sez. III, sentenza 2017-04-28, n. 201705033

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. III, sentenza 2017-04-28, n. 201705033
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201705033
Data del deposito : 28 aprile 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/04/2017

N. 05033/2017 REG.PROV.COLL.

N. 12088/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 12088 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Telecom Italia S.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati F C e F L, con domicilio eletto presso lo studio Studio Legale Lattanzi - Cardarelli in Roma, via G. Pierluigi da Palestrina, 47;

contro

Autorita' per le Garanzie nelle Comunicazioni, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

della delibera n. 169/15/CONS recante “diffida al rispetto degli artt. 53, 54, 70 e 71 d.lgs. n. 259 del 2003 e dell’art. 4 dell’Allegato A della delibera n. 179/03/CSP, nella parte in cui valuta come non conforme al codice delle comunicazioni elettroniche la manovra tariffaria predisposta da Telecom Italia, intimando alla ricorrente di rispettare le disposizioni di cui agli artt. 53, 54 e 70 comma 1, d.lgs. n. 259 del 2003;
- atto di costituzione ex art. 10 d.P.R. n. -1199/71;

nonché con successivo atto per motivi aggiunti notificato il 29.4.2016

per l’annullamento

previa concessione delle più opportune misure cautelari

- della delibera n. 61/16/CONS recante ordinanza ingiunzione nei confronti di Telecom Italia S.p.a. per l’inottemperanza alla diffida impartita con delibera n. 169/15/CONS nonché di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenti, con particolare riferimento all’atto di contestazione degli addebiti n. 13/15/Dit del 30.7.2015;


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Autorita' Per Le Garanzie Nelle Comunicazioni;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 gennaio 2017 il dott. Claudio Vallorani e uditi per le parti i difensori l'Avv. F. Lattanzi e l'Avvocato dello Stato M. Stigliano Messuti.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con nota del 13.2.2015 n. prot. 366 (doc. 2 ric.) Telecom Italia comunicava all’AGCOM che, per esigenze di razionalizzazione organizzativa e semplificazione delle offerte disponibili per l’utenza, a decorrere dal successivo 1 maggio le offerte di servizi telefonici fissi residenziali sarebbero state aggiornate e ricondotte ai tre profili tariffari di seguito descritti (destinati a sostituire le molteplici offerte in precedenza praticate, che sarebbero venute a cessare):

VOCE: corrispettivo mensile di Euro 19,90, per il solo accesso alla linea telefonica, con una tariffa a consumo per il traffico vocale nazionale (sia verso fisso che verso mobile) pari ad 10 eurocent al minuto ed uno sconto del 50% al superamento delle tre ore di conversazione al mese;

TUTTOVOCE: prezzo di euro 29/mese comprensivo di: accesso alla linea telefonica, chiamate illimitate verso fisso e verso mobile per tutte le numerazioni nazionali, senza nessune variazione con riguardo ad eventuali “offerte dati” già attivate sulla stessa linea;

TUTTO: corrispettivo mensile di euro 44,90 comprensivo di: accesso alla linea telefonica, di chiamate illimitate verso fisso e verso mobile per tutte le numerazioni nazionali, connessione ADSL illimitata con profilo fino a 7 mega.

Il passaggio alle nuove offerte era programmato nei termini seguenti: sull’offerta VOCE sarebbero state allocate tutte le linee telefoniche tradizionali (RTG) sulle quali nel trimestre ottobre-dicembre 2014 non risultavano effettuate chiamate in uscita (linee c.d. “silenti”);
sarebbero stati invece automaticamente dirottati sull’offerta TUTTOVOCE i clienti della Telecom che nel medesimo trimestre avessero effettuato almeno una chiamata;
sarebbero invece automaticamente migrati sull’offerta TUTTO (chiamate nazionali illimitate più connessione internet ADSL, anch’essa senza limiti) soltanto i clienti Telecom già titolari di una delle previgenti offerte ADSL flat, con possibilità di abbinare all’offerta base un pacchetto per la forfettizzazione dei consumi di traffico fonia.

L’imponente manovra tariffaria programmata, che coinvolgeva circa 5,2 milioni di clienti residenziali della Telecom, non prevedeva contributi di attivazione di sorta;
programmava il passaggio dalla fatturazione bimestrale a quella mensile;
identificava a regime un unico marchio aziendale (TIM) per tutte le offerte di telefonia fissa, mobile e internet;
fissava al 31 maggio 2015 il termine ultimo entro il quale esercitare il diritto di recesso ex art. 70, comma 4, d.lgs. n. 259 del 2003 da parte degli utenti in caso di non accettazione del passaggio alle nuove tariffe, assicurando comunque un preavviso, di almeno trenta giorni per l’esercizio di tale diritto.

Alla comunicazione menzionata faceva seguito una fitta corrispondenza, puntualmente documentata da parte ricorrente (docc. 3 – 11 ric.), tra l’Autorità e l’operatore telefonico, finalizzata all’acquisizione, da parte dell’Autorità, di informazioni, chiarimenti e documenti relativi ai contenuti, alla portata e agli effetti del nuovo quadro tariffario.

In esito all’istruttoria svolta l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni adottava la delibera 169/15/Cons del 20.4.2015 (doc. 1 ric.) – in origine impugnata da Telecom Italia S.p.a. con ricorso straordinario al Capo dello Stato notificato in data 12.8.2015, poi trasposto dinanzi all’intestato Tribunale con atto di costituzione ex art. 10 d.P.R. n. 1199 del 1971, notificato in data 15.10.2015 e depositato il successivo 19 ottobre, a seguito di opposizione dell’AGCOM ex art. 10 d.P.R., - nel quale si contestavano a Telecom:

a) alcune carenze informative sulle offerte e sul recesso in quanto: non erano state né pubblicizzate, né comunicate ai clienti le esatte modalità di esercizio del diritto di recesso, anche con riferimento alla tempistiche;
lo stesso annuncio stampa programmato non possedeva i necessari requisiti di trasparenza;
i testi presenti nelle fatture non corrispondevano esattamente alle comunicazioni diffuse sul sito aziendale atteso che, nei primi, in particolare, non si evidenziava la possibilità di passare gratuitamente ad altre e diverse “vantaggiose offerte” ivi compresa l’offerta Voce;
nelle “news” non si esplicitavano le modalità (tramite Servizio Clienti ovvero sito aziendale ovvero negozi TIM) con cui era possibile inoltrare la richiesta di passaggio ad offerta diversa da quella impostata da Telecom;

b) il passaggio automatico degli utenti titolari di linee telefoniche “tradizionali” (con tariffazione a consumo per le sole chiamate in uscita) da una forma tariffaria a consumo all’offerta Tuttovoce, consistente invece nella connessione alla rete telefonica più un “pacchetto” di servizi telefonici ad un prezzo forfetario di Euro 29,00 al mese: secondo l’AGCOM, infatti, tale passaggio non poteva essere qualificato come una mera modifica contrattuale-tariffaria in quanto veniva ad essere strutturalmente modificato il contenuto del contratto, che prima aveva ad oggetto la connessione telefonica alla rete con la possibilità di effettuare eventualmente chiamate, tariffate a consumo, il quale veniva trasformato in un pacchetto di servizi telefonici “flat”.

Sotto quest’ultimo aspetto, ad avviso dell’Autorità, la manovra presentata da Telecom Italia “incide su tutti gli utenti della rete pubblica in postazione fissa, ivi inclusi i fruitori del Servizio Universale. All’interno di tale categoria, occorre distinguere gli utenti titolari di una linea di accesso alla rete (c.d. RTG) priva di offerte di servizi telefonici attive e che eventualmente fruivano di un servizio telefonico (e dati) con tariffa a consumo, da quelli che avevano già aderito a specifiche offerte tariffarie, comprensive del servizio telefonico, come quelle che Telecom cesserà a partire dal 1 maggio 2015. Per i primi….il trasferimento ad un’offerta flat, comprensiva del servizio telefonico con chiamate illimitate altera sostanzialmente l’oggetto (stabilito dalla legge) del contratto di fornitura del Servizio Universale (limitato….all’accesso alla rete con la possibilità di richiedere il servizio telefonico) costringendo l’utente a pagare un servizio ulteriore e determinando, altresì, un sostanziale aumento delle spese” (vedi delibera 169/15/CONS pag. 7);
secondo l’Autorità, esigenze di tutela dell’utenza imponevano che prima dell’attivazione della nuova offerta si sarebbe dovuto acquisire, ai sensi dell’art. 70, comma 1, del Codice delle Comunicazioni Elettroniche, il consenso espresso di ogni utente appartenente alla predetta categoria (fruitori del Servizio Universale a consumo), non essendo sufficiente il semplice meccanismo dell’ “opt out” (diritto di recesso) ex art. 70, comma 4, del medesimo Codice che è invece previsto per le modifiche delle condizioni contrattuali. In altri termini secondo l’Autorità nella “manovra in corso Telecom Italia trasferirà automaticamente sull’offerta “Tutto Voce” – che prevede non solo l’accesso alla connessione da postazione fissa ma anche un pacchetto “flat” di servizio fonia – non solo i clienti che avevano già attive le offerte tariffarie di cui è prevista la cessazione, ma anche gli utenti che erano titolari esclusivamente della linea tradizionale RTG…” (delibera 169/15/CONS).

Conseguentemente, con la delibera impugnata (del 20 aprile 2015), l’Autorità ha diffidato Telecom Italia al rispetto delle norme di cui agli artt. 53, 54, 70 e 71 del d.lgs. n. 259 del 2003 (Codice delle Comunicazioni Elettroniche) e dell’art. 4 dell’Allegato A della delibera n. 179/03/CSP del 24 luglio 2003.

La manovra tariffaria preannunciata ha comunque avuto avvio il primo maggio 2015 e, a distanza di circa tre mesi, l’Autorità ha accertato il permanere della problematica oggetto di diffida, relativa alla mancata acquisizione del consenso degli utenti della categoria sopra descritta, fruitori del servizio universale, ai fini del passaggio al nuovo contratto.

Tale passaggio era comunque stato effettuato in via automatica e le misure successivamente poste in essere, secondo l’Autorità, ancora non avevano assicurato (neanche ora per allora) l’acquisizione del consenso all’offerta “Tuttovoce”, da parte degli utenti titolari di una semplice linea RTG con tariffazione del traffico vocale a consumo.

Pertanto, con atto del 30 luglio 2015 (anch’esso impugnato), la Direzione Tutela dei Consumatori dell’AGCOM contestava alla ricorrente gli addebiti avviando formale procedimento finalizzato all’eventuale irrogazione della sanzione pecuniaria.

Nel corso del procedimento Telecom formulava le proprie osservazioni ponendo in discussione gli assunti giuridici dell’Autorità e fornendo, in ogni caso, la documentazione ritenuta funzionale alle verifiche da parte degli Uffici dell’AGCOM.

Con la delibera n. 61/16 notificata il primo marzo 2016 l’Autorità concludeva il procedimento accertando la parziale inottemperanza da parte di Telecom a quanto prescritto con la precedente delibera n. 169/15 ed irrogando la sanzione pecuniaria pari a euro 2 milioni, ai sensi dell’art. 98, comma 11, d.lgs. n. 259 del 2003. L’Autorità perveniva a tale determinazione ritenendo, sulla prima contestazione (violazione degli obblighi informativi), che le informazioni fornite agli utenti non si erano rivelate del tutto corrette.

Quanto alla questione principale già esaminata nella precedente diffida (mancata acquisizione del consenso preventivo sulla nuova offerta Tuttovoce, tendenzialmente più onerosa, da parte dei titolari di linee RTG, con limitati volumi di traffico telefonico e non destinatari di specifiche offerte “flat” in precedenza attivate da Telecom), l’Autorità rilevava che la Società non aveva apportato elementi utili al fine di dimostrare in punto di fatto l’avvenuta acquisizione del previo consenso espresso, da considerare invece necessario per le ragioni già esposte nell’atto di diffida di cui alla delibera n. 169/15/CONS (impugnata con l’originario gravame).

Secondo l’ipotesi sanzionatoria ritenuta integrata dall’Agcom (vedi delibera n. 61/16/CONS impugnata con i motivi aggiunti), nel breve arco di tempo della manovra tariffaria, la società avrebbe lucrato ingenti ricavi, quantificabili nell’ordine di oltre 18 milioni di euro (“quantum” determinato basandosi su una stima per difetto), in forza del passaggio all’offerta Tuttovoce di un elevatissimo numero di clienti “bassospendenti”, attraverso il meccanismo dell’ “opt out”, in base al quale (non era necessario acquisire il previo consenso ma) era l’utente che avrebbe dovuto attivarsi in prima persona, attraverso l’esercizio del diritto di recesso ex art. 70, comma 4 del Codice o la richiesta di passaggio ad altra e più conveniente tariffa rispetto a quella imposta dall’operatore (di regola individuabile dell’offerta “VOCE”, stante il ridotto livello di consumi riferibile alla categoria di clienti in considerazione), se voleva impedire il proprio re-indirizzamento automatico verso l’offerta Tuttovoce, assai più onerosa.

In tal modo moltissimi utenti “basso spendenti” (in precedenza titolari rapporti contrattuali che prevedevano soltanto il canone di abbonamento alla rete ad euro 18,54 e il corrispettivo delle telefonate a consumo) sono stati assoggettati unilateralmente da Telecom ad un’offerta forfetaria da 29 euro al mese.

Si sottolinea inoltre nella delibera n. 61/16/CONS che, sulla base dei dati acquisiti da Telecom, a distanza di sei mesi dalla manovra tariffaria, la quota di utenze con una spesa inferiore a euro 5,00 di volume di traffico mensile e, quindi, in una situazione di netta “non convenienza” rispetto alla nuova offerta Tuttovoce (anche sommando, ovviamente, il canone di abbonamento di Euro 19,00 al corrispettivo per le chiamate in uscita) rappresenta ancora il 79,38% degli utenti interessati dal passaggio tariffario in esame.

La sanzione pecuniaria irrogata (euro 2.000.000,00) è successivamente stata pagata dalla società.

Con atto per motivi aggiunti notificato in data 29 aprile 2016 e depositato entro il termine di rito, Telecom Italia ha impugnato la delibera da ultimo citata n. 61/16/CONS irrogante l’ingente sanzione in suo danno, reiterando i motivi di gravame già articolati avverso la precitata delibera n. 169/15/CONS recante la diffida al rispetto degli artt. 53, 54, 70 e 71 d.lgs. n. 259/03.

I motivi di ricorso formulati avverso le due delibere impugnate, in effetti, sono unitari e sovrapponibili e attengono entrambi: alla violazione e falsa applicazione dell’art. 59, comma 2bis, d.lgs. n. 259 del 2003 (Codice delle Comunicazioni Elettroniche) e dell’art. 4, par. 3, della Direttiva n. 2009/36;
alla violazione e falsa applicazione dell’art. 70, comma 1 e 4 d.lgs. 259 cit.;
all’eccesso di potere per contraddittorietà manifesta e per erroneità del presupposto. Le critiche di parte ricorrente, in particolare, si appuntano sull’esatta qualificazione giuridica del dirottamento automatico – deciso da Telecom Italia – di quella parte di clientela (in genere “basso spendente”) che fruiva di un’offerta a consumo (basata sul solo costo del canone di connessione alla rete pubblica, più il costo eventuale delle chiamate effettuate) verso l’offerta Tuttovoce, comprensiva di chiamate illimitate verso numeri fissi e mobili nazionali, per un costo forfettizzato mensile di 29 euro.

Secondo Telecom Italia tale passaggio integrerebbe una mera modifica contrattuale sulle modalità di tariffazione e fatturazione del servizio di telefonia, con sostituzione di una fatturazione a consumo con una a forfait e, pertanto, non necessiterebbe della previa acquisizione del consenso dell’utente ai sensi dell’art. 70, comma 1, del Codice delle Comunicazioni Elettroniche, per poter essere perfezionato sul piano contrattuale, essendo sufficiente allo scopo il rispetto della norma di cui all’art. 70, comma 4, del medesimo Codice sul diritto di recesso.

Secondo la ricorrente, infatti, l’oggetto del contratto resterebbe identico, consistendo nella prestazione di servizi telefonici, mentre la sostituzione di un corrispettivo a consumo con uno a forfait, “non sarebbe in grado di alterare il tipo contrattuale, né la sua funzione socioeconomica, che rimarrebbe sempre e comunque quella (cfr. art. 54 codice comunicazioni elettroniche), di mettere a disposizione dell’utente, a prezzi accessibili, una connessione alla rete che lo abiliti ad effettuare chiamate telefoniche o trasmissione dati”.

Sarebbe peraltro erroneo quanto affermato dall’AGCOM, secondo cui le prestazioni del servizio universale si compongono di due diversi aspetti (accesso alla rete e chiamate telefoniche su richiesta) e che un’offerta flat che li ricomprenda entrambi integri una diversa fornitura, vale a dire un diverso contratto. Ad avviso della ricorrente, per definizione normativa, l’accesso alla rete per la fornitura del servizio universale consente sempre di effettuare anche chiamate telefoniche e, quindi, i due contratti si equivalgono sul piano della causa, dell’oggetto e del contenuto essenziale delle prestazioni

Sottolinea in particolare la difesa di Telecom che la tesi sposata dall’AGCOM non abbia alcun riscontro “in natura” in quanto non esisterebbero in termini assoluti “rapporti di utenza nelle comunicazioni elettroniche che abilitino esclusivamente alla connessione alla rete senza consentire, contestualmente, chiamate telefoniche e/o trasmissione dati” (pag. 3 ric.).

Secondo la ricorrente l’art. 54 del d.lgs. n. 259 del 2003 (di seguito anche semplicemente “Codice”), nell’individuare gli obblighi del servizio universale, come noto gravanti su Telecom Italia S.p.a., prevede in primo luogo che l’impresa incaricata di fornire il Servizio Universale sull’intero territorio nazionale fornisca la “connessione in postazione fissa ad una rete di comunicazione pubblica”, con possibilità di supportare le comunicazioni vocali e dati a velocità tali da consentire un accesso efficace a internet;
tuttavia il comma 2bis dell’articolo in commento stabilisce che “qualsiasi richiesta ragionevole di fornitura di un servizio telefonico…attraverso la connessione è soddisfatta quanto meno da un operatore”. Ne deriva, secondo la ricorrente, l’inerenza dei servizi di fonia alla prestazione base dell’accesso alla rete con riferimento alla configurazione normativa del servizio universale nelle comunicazioni elettroniche;
non a caso tutti gli utenti interessati dalla migrazione verso l’Offerta Tuttovoce e appartenenti alla categoria specificamente considerata nella diffida dell’AGCOM (titolari di contratti a consumo, con bassi livelli di spesa) erano titolari di rapporti contrattuali che contemplavano l’accesso alla rete (remunerato con il canone di abbonamento) e consentivano anche l’effettuazione di chiamate (remunerate a consumo).

Non vi sarebbero pertanto ragioni per sottrarre i rapporti contrattuali “de quibus” dalla disciplina delle modifiche contrattuali che prevede come forma tipizzata di tutela il diritto per l’utente di recedere senza costi (art. 70, comma 4, Codice).

Nell’impugnare con motivi aggiunti la delibera 61/16/CONS, oltre a ribadire, anche avverso quest’ultima, le censure già svolte nel gravame introduttivo (come sopra riassunte), Telecom Italia ha aggiunto che l’atteggiamento del regolatore sarebbe ondivago e contraddittorio: da un lato, infatti, l’Agcom – con le delibere impugnate – avrebbe sostenuto l’arbitraria scindibilità, nell’ambito del servizio universale, del servizio di accesso alla rete dal servizio di chiamata telefonica, dall’altro, in diverse e più recenti delibere (delibere nn. 623/15 e 112/16), avrebbe invece espressamente affermato che i due servizi sarebbero naturalmente collegati.

Si è costituita l’AGCOM che resiste al ricorso e ai motivi aggiunti chiedendone l’integrale rigetto sulla base di quanto dedotto con articolata memoria.

Nella camera di consiglio dell’8.6.2016, su concorde richiesta delle parti, la Sezione ha ritenuto che le esigenze cautelari della ricorrente fossero adeguatamente tutelate mediante la sollecita fissazione della pubblica udienza per la trattazione del merito (cfr. ordinanza n. 3101 del 10.6.2016).

In vista delle pubblica udienza entrambe le parti hanno prodotto nutrite memorie conclusionali e note di replica.

All’udienza del giorno 11 gennaio 2017, dopo ampia discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Si evince dalla superiore narrativa in fatto che la questione di diritto dalla cui risoluzione dipende l’esito del presente giudizio è la seguente: si tratta di stabilire se la decisione dell’AGCOM di diffidare Telecom Italia a non dare corso alla rimodulazione tariffaria del 2015 poggi su una valida base legale e cioè sul carattere novativo (e non meramente modificativo) della manovra, tale da comportare l’obbligo della previa acquisizione del consenso preventivo ai sensi dell’art. 70, comma 1, del Codice da parte di quei clienti Telecom che, fino all’attuazione della manovra stessa, fruivano di un contratto di abbonamento alla rete pubblica telefonica con possibilità di effettuare chiamate vocali a consumo e, pertanto, non avevano accettato l’attivazione di alcuna delle offerte “flat” per servizi telefonici, precedentemente commercializzate dalla società ricorrente. Strettamente inerente al problema così impostato è quello relativo alla configurazione contenutistica dell’obbligo di fornitura a carico dell’impresa designata del servizio universale nelle comunicazioni elettroniche, il quale, ad avviso della ricorrente, sarebbe stato erroneamente ricostruito dall’AGCOM in termini di scindibilità tra servizio di “connessione in postazione fissa ad una rete di comunicazione pubblica” (art. 54, comma 1, Codice) e fornitura del servizio telefonico attraverso la connessione (art. 54 cit., coma 2bis) i quali, per Telecom, non sarebbero che due facce inscindibili di una stessa medaglia attenendo sia l’una che l’altro al servizio universale che Telecom è obbligata ad assicurare e non dandosi la possibilità, né a livello tecnico, né a livello giuridico, dell’attivazione di una connessione ad una rete di comunicazione pubblica, che non implichi nel contempo attivazione del servizio di comunicazione vocale.

La soluzione all’essenziale quesito così chiarificato presuppone una sintetica rassegna delle disposizioni normative di riferimento che debbono trovare applicazione nella specie.

Il Capo IV del Codice delle comunicazioni elettroniche (d.lgs. n. 259 del 2003), alla Sezione III, reca la disciplina generale dei Diritti degli utenti finali rispetto ai servizi di comunicazione elettronica. In particolare, l’art. 70 del CCE (rubricato “Contratti ed esercizio del diritto di recesso”) al comma 1, stabilisce che l’adesione dell’utente ad un contratto per servizi di comunicazione elettronica presuppone il consenso espresso del medesimo: “(…) i consumatori ed altri utenti finali che ne facciano richiesta, hanno diritto di stipulare contratti con una o più imprese che forniscono servizi di connessione ad una rete di comunicazione pubblica o servizi di comunicazione elettronica accessibile al pubblico. (…)”. La norma prosegue poi indicando il contenuto minimo del contratto, mentre il successivo art. 71 (Trasparenza e pubblicazione delle informazioni), specifica le modalità per pubblicare le informazioni sulle offerte contrattuali.

Lo stesso art. 70, al comma 4, reca invece la disciplina delle modifiche delle condizioni contrattuali, stabilendo un tempestivo obbligo informativo per l’operatore ed il conseguente diritto di recesso senza penali per l’utente: “Il contraente, qualora non accetti le modifiche delle condizioni contrattuali da parte delle imprese che forniscono reti o servizi di comunicazione elettronica, ha diritto di recedere dal contratto senza penali né costi di disattivazione. Le modifiche sono comunicate al contraente con adeguato preavviso, non inferiore a trenta giorni, e contengono le informazioni complete circa l'esercizio del diritto di recesso. L’Autorità può specificare la forma di tali comunicazioni”.

L’attivazione di un contratto presuppone, dunque, una richiesta espressa (e debitamente informata/consapevole) dell’utente, con il meccanismo del cosiddetto “opt in”.

Viceversa, la modifica delle condizioni contrattuali è regolata dal meccanismo dell’ “opt out”, in forza del quale l’utente ha in primo luogo diritto ad essere informato in modo chiaro e con congruo preavviso della modifica contrattuale proposta dall’operatore telefonico e, quindi, può scegliere di recedere dal rapporto contrattuale modificato in una o più condizioni rispetto all’assetto previgente, senza che gli possano essere addebitate penali o costi di disattivazione.

A fronte delle norme sopra richiamate, il Capo IV del Codice delle comunicazioni elettroniche, alla Sezione I (Obblighi di servizio universale, compresi gli obblighi di natura sociale) reca la disciplina per la fornitura del “servizio universale”, in considerazione delle peculiari caratteristiche del relativo contratto, fissate direttamente dalla legge e svincolate dal meccanismo concorrenziale.

Il servizio universale, infatti, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lettera ll), del Codice è “un insieme minimo di servizi di determinata qualità disponibile a tutti gli utenti sul territorio nazionale, a prescindere dalla loro ubicazione geografica, e, tenuto conto delle condizioni nazionali specifiche, offerti a un prezzo accessibile”.

La fornitura del servizio universale è, dunque, obbligatoria nel senso che determina un obbligo legale di contrarre a carico dell’impresa designata alla prestazione di tale servizio;
ha contenuto predeterminato;
deve rispettare determinati vincoli qualitativi e, soprattutto, deve essere resa ad un prezzo accessibile, nella determinazione del quale può anche intervenire l’Autorità di settore.

Prevede in particolare il comma 1 dell’art. 53 del Codice (in tema di “Disponibilità del servizio universale”) che “Sul territorio nazionale i servizi elencati nel presente Capo sono messi a disposizione di tutti gli utenti finali ad un livello qualitativo

stabilito, a prescindere dall’ubicazione geografica dei medesimi (…)”.

Quanto al contenuto ai sensi dell’art. 54 del Codice (dedicato alla “Fornitura dell’accesso agli utenti finali da una postazione fissa e fornitura di servizi telefonici”), “1. Qualsiasi richiesta ragionevole di connessione in postazione fissa a una rete di comunicazione pubblica è soddisfatta quanto meno da un operatore. Il Ministero vigila sull'applicazione del presente comma.

2. La connessione consente agli utenti finali di supportare le comunicazioni vocali, facsimile e dati, a velocità di trasmissione tali da consentire un accesso efficace a Internet tenendo conto delle tecnologie prevalenti usate dalla maggioranza dei contraenti e della fattibilità tecnologica nel rispetto delle norme tecniche stabilite nelle Raccomandazioni dell’UIT-T.

2-bis. Qualsiasi richiesta ragionevole di fornitura di un servizio telefonico accessibile al pubblico attraverso la connessione di rete di cui al primo comma che consente di effettuare e ricevere chiamate nazionali e internazionali è soddisfatta quanto meno da un operatore.

Il Ministero vigila sull'applicazione del presente comma”.

Va poi sottolineato che l’articolo 28, comma 2, del Codice prevede che “gli obblighi specifici prescritti ai fornitori di servizi e di reti di comunicazione elettronica alle imprese designate per la fornitura del servizio universale, prescritti ai sensi del Capo IV, sezione II del presente Titolo, sono separati sotto il profilo giuridico, dai diritti e dagli obblighi previsti dall’autorizzazione generale”.

Ne consegue che gli obblighi specifici per la fornitura del servizio universale posti in capo a Telecom Italia sono distinti, sotto il profilo giuridico, dagli obblighi dell’autorizzazione generale, atteso che i diritti e gli obblighi della società Telecom Italia, quale titolare di autorizzazione generale per la fornitura di servizi in normali condizioni commerciali (il cui regime legale è stabilito dalla Sezione III, articoli da 70 a 81 del Codice), sono ben distinti dagli obblighi specifici che sulla stessa incombono quale impresa designata del servizio universale.

In tema di servizio universale l’Autorità è competente a verificare l’effettivo rispetto, da parte dell’impresa incaricata, degli obblighi specifici di servizio universale, prevedendo a questi fini oneri di comunicazione delle informazioni da parte dell’impresa e una particolare procedura in caso di accertamento dell’inosservanza (art. 32 Codice).

L’articolo 53, comma 2, del Codice dispone poi che “l’Autorità determina il modo più efficace e adeguato per garantire la fornitura del servizio universale a un prezzo accessibile, nel rispetto dei principi di obiettività, trasparenza, non discriminazione e proporzionalità.

L’Autorità limita le distorsioni del mercato, in particolare la fornitura di servizi a prezzi o ad altre condizioni che divergano dalle normali condizioni commerciali, tutelando nel contempo l’interesse pubblico”.

L’articolo 59, titolato “Accessibilità delle tariffe”, poi, attribuisce all’Autorità svariati poteri di intervento specifici in ordine alle tariffe del servizio universale.

Al comma 1, infatti, la norma citata attribuisce all’Autorità la competenza a vigilare “sull’evoluzione e il livello delle tariffe al dettaglio dei servizi soggetti agli obblighi di servizio universale e sono forniti dalle imprese designate, con particolare riguardo ai prezzi al consumo e al reddito dei consumatori”, mentre ai sensi del comma 2, “può prescrivere all’impresa designata di proporre ai consumatori opzioni o formule tariffarie diverse da quelle proposte in normali condizioni commerciali, in particolare per garantire che i consumatori

a basso reddito o con esigenze sociali particolari non siano esclusi dall’accesso alla rete o dall’uso dei servizi forniti dalle imprese designate e soggetti agli obblighi di servizio universale.”

Ai sensi del comma 3, poi, l’Autorità “può prescrivere alle imprese designate soggette agli obblighi di cui agli articoli 54, 55, 56 e 57 di applicare tariffe comuni, comprese le perequazioni tariffarie, in tutto il territorio, ovvero di rispettare limiti tariffari”. Il comma 4, infine, dispone che l’Autorità “provvede affinché, quando un’impresa designata è tenuta a proporre opzioni tariffarie speciali, tariffe comuni, comprese le perequazioni tariffarie geografiche, o a rispettare limiti tariffari, le condizioni siano pienamente trasparenti e siano pubblicate ed applicate nel rispetto del principio di non discriminazione.

L’Autorità può esigere la modifica o la revoca di determinate formule tariffarie”.

Va infine menzionato l’articolo 2, comma 1, dell’Allegato 11 del Codice, ai sensi del quale per obblighi di servizio universale “si intendono gli obblighi imposti dall’Autorità nei confronti di un’impresa perché questa fornisca la rete o un servizio sull’intero territorio nazionale o su parte di esso applicando in tale territorio, se necessario, tariffe medie per la fornitura del servizio in questione o proponendo formule tariffarie speciali per i consumatori a basso reddito o con esigenze sociali particolari”.

Orbene alla luce delle disposizioni sopra passate in rassegna, ad avviso del Collegio, non appare condivisibile l’affermazione di parte ricorrente secondo cui, in violazione dell’art. 54 sopracitato l’Autorità, nell’impianto motivazionale dei provvedimenti impugnati (si veda in particolare l’atto di diffida impugnato con l’originario gravame, doc. 1 ric.), avrebbe artificiosamente scorporato, ritenendoli separatamente attivabili, il servizio di connessione ad una rete pubblica (di cui al comma 1), da un lato e, dall’altro, quello relativo alla “fornitura di un servizio telefonico accessibile al pubblico attraverso la connessione di rete di cui al primo comma che consente di effettuare e ricevere chiamate nazionali e internazionali” (di cui al comma 2bis), mostrando di individuare soltanto nella connessione ad una rete pubblica l’elemento identificativo del servizio universale che potrebbe, perciò, attivarsi anche a prescindere dalla contestuale attivazione di una linea telefonica in grado di operare immediatamente, affermazione da ritenere palesemente erronea sia alla luce dell’art. 54 cit. che degli assetti tecnologici in atto che non prevedono una connessione “pura” alla rete, priva di contestuale attivazione dei servizi di telefonia.

In realtà non è dato leggere una simile affermazione negli atti impugnati nel cui impianto motivazionale si legge, anzi, che “la connessione, in postazione fissa, a una rete di comunicazione e la fornitura di servizi telefonici rappresentano, dunque, il contenuto, determinato “ex lege” (cfr. articolo 54 del Codice) del contratto di fornitura del Servizio Universale”…che peraltro deve essere garantito ad un prezzo accessibile ai sensi del sopracitato art. 53, comma 2 (vedi doc. 1 pag. 7). La contestazione decisiva dell’AGCOM che, ad avviso del Collegio, risulta fondata, riguarda invero il mutamento profondo del contenuto dei rapporti contrattuali già in essere, unilateralmente determinato dall’operatore in violazione dell’art. 70, comma 1, Codice, laddove ha collocato nella tariffa “Tuttovoce” i clienti che, in precedenza, avevano solo l’accesso alla linea RTG (senza offerte flat attivate) ed erano vincolati, oltre che al pagamento di un canone fisso di abbonamento, soltanto al pagamento del traffico telefonico in uscita sulla base dei consumi effettivi (tariffa a consumo), con conseguente possibilità di non pagare alcunché per il servizio telefonico in caso di chiamate non effettuate nel periodo di riferimento (bimestrale ovvero, a seguito della manovra, mensile).

Ad avviso del Collegio tale passaggio tariffario muta in modo sostanziale l’oggetto del contratto e non può essere ricondotto ad un’ordinaria modificazione tariffaria, rispetto alla quale la tutela dell’utente possa ridursi alla mera possibilità di recedere dal contratto (c.d. “opt out”) ai sensi dell’art. 70, comma 4, Codice, secondo la minimizzante tesi ricorsuale.

E’ bene chiarire che a tale conclusione si deve pervenire anche laddove si intenda il Servizio Universale nei termini propugnati dalla ricorrente, secondo cui i servizi di fonia sono strettamente inerenti e non scindibili dalla prestazione base dell’accesso alla rete, in base alla configurazione normativa del servizio universale nelle comunicazioni elettroniche.

In realtà è la stessa introduzione di un pacchetto “flat” di servizi telefonici in luogo della preesistente tariffa a consumo a mutare il contenuto sostanziale del contratto: non più canone di accesso (pari ad euro 18,54) e tariffazione a consumo, come era in forza del preesistente contratto denominato “Linea telefonica di casa” ma tariffazione “flat” per un pacchetto di servizi mai richiesto dagli utenti, la quale prescinde totalmente dai consumi effettivi, come accade per i contratti “Tuttovoce” (che prevedono un forfait di euro 29,00 per connessione, chiamate nazionali verso fissi e verso mobili).

Come giustamente osserva la difesa erariale (cfr. memoria conclusionale pag. 19), era ben diversa la situazione in cui si trovavano gli utenti coinvolti nella manovra che, oltre alla linea di accesso RTG, avevano già attivato prima del primo maggio 2015, le precedenti opzioni tariffarie commercializzate da Telecom e che permettevano, anch’esse, di usufruire del servizio telefonico e dati “a pacchetto” e non a consumo. Per tali utenti, in effetti, il passaggio all’offerta “Tuttovoce” ha introdotto una mera modificazione tariffaria e non una innovazione contrattuale, come accaduto invece per gli utenti titolari di abbonamento con obbligo di pagare soltanto gli effettivi consumi (categoria all’interno della quale, peraltro, si è rivelata assai ampia la quota degli utenti aventi linee scarsamente utilizzate rispetto ai quali l’innalzamento dell’onere economico mensile si è rivelato assai consistente).

Analogamente di mera modifica tariffaria (legittimamente assoggettabile al meccanismo dell’opt out) si può parlare con riferimento a quegli utenti - individuati da Telecom in base al criterio, invero alquanto arbitrario, del non avere eseguito alcuna chiamata nel trimestre ottobre-dicembre 2014 – che, già titolari della connessione alla rete telefonica con possibilità di effettuare chiamate tariffate a consumo, sono stati collocati da Telecom all’interno dell’offerta “Voce”, subendo un lieve aumento tariffario per l’abbonamento (passato da euro 18,54 ad euro 19,90), fermo restando però l’obbligo di pagare le sole chiamate effettivamente effettuate al costo di 10 eurocent/minuto. Anche in questo vi è una continuità oggettiva e causale tra rapporto contrattuale modificato e “originario”.

Non così invece per gli utenti in discorso (c.d. “bassospendenti”) che non godevano di alcuna offerta flat in precedenza attivata e che si sono visti imporre “ex novo” un pacchetto di servizi a prezzo forfettizzato con superamento di un profilo oggettivo essenziale del rapporto già in corso, costituito dalla possibilità di pagare le sole chiamate vocali in effetti eseguite e di non vedersi addebitare alcun costo (al di là dell’importo fisso di abbonamento) in caso di mancata esecuzione di chiamate.

A ciò si aggiunge la considerazione empirica secondo cui rispetto ad un cliente che usa scarsamente il mezzo telefonico una tariffa flat si rivela inutile e dispendiosa, garantendo a prezzo fisso dei servizi di telefonia di nessun interesse per lui. L’argomento ha avuto un riscontro probatorio nell’indagine eseguita dall’AGCOM in occasione dell’adozione del provvedimento sanzionatorio, dove si legge, come visto nella superiore narrativa (v. doc. 14, pagg. 17-18), che in forza del passaggio all’offerta Tuttovoce di un elevatissimo numero di clienti “bassospendenti” - in precedenza titolari di rapporti contrattuali che prevedevano soltanto il canone di abbonamento alla rete ad euro 18,54 e il corrispettivo delle telefonate a consumo, i quali sono stati assoggettati unilateralmente da Telecom all’offerta Tuttovoce pari a 29 euro al mese - a distanza di sei mesi dalla manovra tariffaria, la quota di utenze con una spesa fino a euro 5,00 di volume di traffico mensile e, quindi, in una situazione di netta “non convenienza” rispetto alla nuova offerta Tuttovoce (considerando, infatti, insieme al traffico mensile usufruito, il canone di abbonamento di Euro 19,00, si perviene ad un importo massimo mensile di euro 24,00) rappresentava circa l’80% degli utenti interessati dal passaggio tariffario in esame. Moltiplicando l’aumento di euro 5,00 per il numero di utenze che, mese dopo mese, hanno continuato ad effettuare un traffico inferiore a 5 euro la società ha potuto ricavare, in appena sei mesi, oltre 18 milioni di euro (dato non smentito da Telecom).

Va infine rilevato, a conferma del carattere innovativo dell’offerta flat Tuttovoce nei casi in cui si è andata a sostituire ai contratti “a consumo” nei termini sopra ampiamente descritti, che, a ben vedere, la forfettizzazione di un prezzo a prescindere dalla quantità di erogazione di un servizio introduce nel precedente assetto contrattuale un elemento di aleatorietà prima inesistente. In effetti, seguendo la migliore dottrina civilistica, nel contratto aleatorio le parti non sono in grado di prevedere il vantaggio o lo svantaggio che deriverà alle loro rispettive prestazioni. Le parti possono rendere aleatorio un contratto che altrimenti tale non sarebbe e ciò accade quando le prestazioni, pur potenzialmente bilaterali ed una in funzione dell’altra, a causa dell’aleatorietà non consentono di prevedere “ex ante” un equilibrio economico predeterminato, giacchè il raggiungimneto di tale equilibrio è soltanto eventuale e non prevedibile a priori (incerto). Con specifico riguardo ai contratti di telefonia per cui è causa è indubbio che il raggiungimento dell’equilibrio, in concreto e caso per caso, dipenderà dal numero e dalla tipologia di chiamate che saranno effettuate dal cliente nel periodo di riferimento, le quali potrebbero “valere” importi molto superiori ovvero molto inferiori al valore dell’offerta forfettizzata (euro 29,00 mese).

Anche questo argomento supporta la validità delle conclusioni a cui è pervenuta l’Autorità che ha individuato nella fattispecie per cui è causa una modifica effettiva e sostanziale rispetto alla categoria di rapporti in concreto considerati.

Ne deriva che l’attivazione delle nuove offerte Tuttovoce richiedeva il consenso espresso ex art. 70, comma 1, Codice, di tutti quei clienti che fruivano del servizio di connessione ad una rete pubblica e di telefonia ma non sulla base di un corrispettivo a forfait e che, pertanto, si sono visti illegittimamente imporre una innovazione essenziale dei contratti già in corso sul piano dell’oggetto e della causa (da commutativa ad aleatoria), subendo peraltro, in gran parte dei casi, un evidente aggravio dei costi di utenza rispetto al precedete assetto.

Per tutto quanto precede il ricorso, al pari dei motivi aggiunti, deve essere respinto. Le spese seguono la soccombenza e sono liquiate come da dispositivo.

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