TAR Catania, sez. II, sentenza 2013-06-17, n. 201301821
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N. 01821/2013 REG.PROV.COLL.
N. 04281/1997 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4281 del 1997, proposto da:
P M V, rappresentata e difesa dagli avv. S G e D G, con domicilio eletto presso Salvatore lo studio del primo dei due difensori, in Catania, via L. Sturzo,n.156;
contro
Assessorato Regionale del Lavoro, Previdenza Sociale, Formazione Professionale ed Emigrazione, in persona dell’Assessore p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, domiciliataria per legge in Catania, Via Vecchia Ognina,n. 149;
Centro Reg.Le Siciliano Radio e Telecomunicazioni – Palermo (n.c.);
per l'annullamento
1) del D.A. n. 386/1997/II/PP dell’Assessore al Lavoro, Previdenza Sociale, Formazione Professionale, n. 835/1997 con cui è stata disposta la cancellazione dall'albo degli operatori della formazione professionale - sospensione cautelare dal servizio dell’insegnante P M V;
2)dell’art. 11, lett.B del D.A. n.135/1986;
3)della nota del Centro Regionale Siciliano delle Comunicazioni avente ad oggetto la sospensione cautelare dal servizio della ricorrente;
4) di ogni altro provvedimento antecedente successivo e consequenziale;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’ Assessorato Reg.le;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 aprile 2013 il dott. Giovanni Milana e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso in epigrafe, la signora P M V, premesso di essere iscritta sin dal 1986 all’Albo Regionale degli Operatori della Formazione Professionale, personale docente cat. A/1 gruppo 2° e 3°, e di aver lavorato sin dal 1983 alle dipendenze del Centro Regionale Siciliano delle Telecomunicazioni sede di Catania, ha chiesto l’ annullamento del D.A. n.385/97/II/F.P. dell’Assessore del Lavoro e della Previdenza Sociale, con il quale era stata disposta la sua cancellazione dall’albo degli operatori, e della nota del 02/09/1997 del Centro Regionale Siciliano delle Telecomunicazioni, con la quale le veniva comunicata la sospensione cautelare dal servizio.
Detto provvedimento è stato assunto dall’Amministrazione oggi resistente dopo avere avuto visione della sentenza n. 1316, emessa in data 24/10/1996, con la quale il Tribunale penale di Catania aveva condannato la signora oggi ricorrente alla pena di mesi cinque di reclusione, pena sospesa.
La ricorrente propone avverso il provvedimento impugnato quattro motivi di gravame con i quali formula le censure di: 1) violazione delle garanzie partecipative previste dagli artt. 7 e seguenti della L. n. 241/1990 ed 8 e seguenti dalla LR. n.10/91;2) violazione e falsa applicazione dell’art. 14 L.R. n.24/76, erronea applicazione dell’art. 445 cpp;3) eccesso di potere per erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto, l’eccessiva sproporzione della sanzione applicata e la violazione dell’art. 3 Cost.
Secondo il postulato della ricorrente la condanna subita, in quanto pronunciata sulla base di un “patteggiamento”, non avrebbe la connotazione di una sentenza di condanna, ma costituirebbe una pronuncia sui generis, non riconducibile agli schemi giuridici tradizionali, e, comunque, la sentenza resa ex art.444 c.p.p. non sarebbe equiparabile tout court ad un ordinaria sentenza di condanna. Sicchè nella fattispecie, sarebbe mancata da parte dell'Amministrazione procedente un'autonoma, necessaria valutazione della gravità dei fatti addebitati ad essa ricorrente prima di applicare il provvedimento di destituzione.
L’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, costituitasi in giudizio chiedeva il rigetto del ricorso.
Con ordinanza n. 2571/1997 è stata accolta l’istanza cautelare.
Con memoria depositata in data 25/3/2013 la difesa della ricorrente chiedeva l’accoglimento del ricorso insistendo nei motivi dedotti con il ricorso.
Alla pubblica udienza del 23/4/2013 il ricorso è stato posto in decisione.
Il primo dedotto motivo di gravame si appalesa meritevole di positiva valutazione.
Infatti: 1) non risulta che l’Assessorato oggi resistente abbia provveduto a comunicare alla ricorrente l’avvio del procedimento conclusosi con il provvedimento impugnato;2) nella fattispecie di cui in causa non è dato ravvisare la sussistenza di particolari esigenze di celerità che avrebbero potuto esimere, ai sensi del primo comma dell’art. 7 della L.n. 241/1990, l’Amministrazione dal rispetto delle garanzie partecipative;3) nella fattispecie di cui in causa non può escludersi che un apporto collaborativo nel procedimento non avrebbe potuto mutare il contenuto decisorio e, quindi, soddisfare l’interesse della ricorrente alla conservazione dell’iscrizione.
Ad avviso del Collegio, nella fattispecie di cui in causa, va tenuto conto - al fine di valutare un possibile esito diverso, e favorevole all’interesse della ricorrente, del procedimento, a seguito della partecipazione della ricorrente - del quadro normativo e dell’orientamento della giurisprudenza al momento dell’emanazione dell’atto oggetto del ricorso.
Infatti, l’istituto ha una disciplina diacronica.
Dopo l'entrata in vigore della L. 27 marzo 2001 n. 97 (che nel pubblico impiego, equiparando ai fini disciplinari le sentenze penali di patteggiamento a quelle nelle quali i fatti sono stati ricostruiti ed accertati nelle fasi delle indagini preliminari e nel dibattimento, ha espressamente previsto che ”la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alla Pubblica autorità quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità, e alla affermazione che l'imputato lo ha commesso”) è venuta meno ogni necessità in sede disciplinare di effettuare ulteriori accertamenti, verifiche e dibattiti sulle circostanze accertate in sede penale e, conseguentemente, all'esito della sentenza penale irrevocabile di condanna va valutato soltanto se i fatti penalmente rilevanti configurino al contempo violazioni del regolamento disciplinare, come tali censurabili, con la precisazione che in ordine all'accertamento dei fatti addebitati all'incolpato l'esigenza della motivazione del provvedimento disciplinare è pienamente soddisfatta anche con il mero richiamo alla sentenza penale patteggiata.
Nel regime precedente all’entrata in vigore della legge 27 marzo 2001, n.97 ( disciplina applicabile per ragioni cronologiche alla fattispecie di cui in causa), per contro, i fatti che davano luogo alla sentenza penale di patteggiamento potevano formare oggetto di un'autonoma considerazione e la relativa sanzione doveva essere irrogata sulla base di un separato giudizio di responsabilità disciplinare senza che la sentenza penale patteggiata potesse assurgere a presupposto unico per l'applicazione del provvedimento sanzionatorio, ovvero a parametro valutativo cui conformare la gravità della sanzione da irrogare ( in tal senso Consiglio Stato, sez. IV, 23/05/2001, n. 2853).
Ciò posto, anche avuto riguardo all’entità della pena irrogata, sembra plausibile che, all’epoca dei fatti oggetto della controversia, un eventuale partecipazione della ricorrente al procedimento, connotato all’epoca dei fatti dalla sussistenza di un margine di discrezionalità in capo all’Amministrazione sulla possibilità di irrogare sanzioni di minor gravità, o di non tener conto ai fini disciplinari della condanna “patteggiata”, avrebbe potuto determinare un esito del procedimento diverso è favorevole all’interessata.
Alla luce delle considerazioni che precedono il primo motivo di gravame si appalesa fondato e dirimente;pertanto il ricorso va accolto e, per l’effetto, vanno annullati gli atti impugnati.
L’accoglimento del primo motivo di ricorso comporta l’assorbimento dei motivi non esaminati.
Le spese seguono la soccombenza e sono poste a carico dell’Assessorato resistente.