TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2020-01-30, n. 202001303

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2020-01-30, n. 202001303
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202001303
Data del deposito : 30 gennaio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 30/01/2020

N. 01303/2020 REG.PROV.COLL.

N. 10276/2017 REG.RIC.

N. 10281/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10276 del 2017, proposto da
Allianz S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, S B, M F P B, O B, M D, C P, G R, Klaus-Peter Röhler, C S, rappresentati e difesi dagli avvocati F C, M H, M S, L C, con domicilio eletto presso lo studio M S in Roma, viale Parioli 180;

contro

Covip - Commissione Vigilanza Fondi Pensione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;



sul ricorso numero di registro generale 10281 del 2017, proposto da
Allianz S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, Alessandro Cavallaro, Massimiliano Nova, Giorgio Picone, rappresentati e difesi dagli avvocati F C, M H, M S, L C, con domicilio eletto presso lo studio M S in Roma, viale Parioli 180;

contro

Covip - Commissione Vigilanza Fondi Pensione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento,

quanto al ricorso n. 10276 del 2017:

- dei provvedimenti della COVIP del 12 luglio 2017, successivamente comunicati, con i quali è stata disposta, ai sensi dell'art. 5 della Deliberazione

COVIP

30.05.2007 – “Regolamento in materia di procedure sanzionatorie” – l'applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie nei confronti dei sig.ri S B, M F P B, O B, M D, C P, G R, Klaus-Peter Röhler e C S, nonché di Allianz S.p.A., in qualità di soggetto responsabile in solido ai sensi dell'art. 19-quater, comma 4, del d.lgs. n. 252/2005;

e di ogni ulteriore atto a questi annesso, connesso, presupposto e conseguenziale ivi compresa la deliberazione

COVIP

30.05.2007 - “Regolamento in materia di procedure sanzionatorie”.

quanto al ricorso n. 10281 del 2017:

- dei provvedimenti della COVIP del 12 luglio 2017, successivamente comunicati, con i quali è stata disposta, ai sensi dell'art. 5 della Deliberazione

COVIP

30.05.2007 – “Regolamento in materia di procedure sanzionatorie” – l'applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie nei confronti dei sig.ri Alessandro Cavallaro, Massimiliano Nova e Giorgio Picone, nonché di Allianz S.p.A., in qualità di soggetto responsabile in solido ai sensi dell'art. 19-quater, comma 4, del d.lgs. n. 252/2005;
e

- di ogni ulteriore atto a questi annesso, connesso, presupposto e conseguenziale ivi compresa la deliberazione

COVIP

30.05.2007 - “Regolamento in materia di procedure sanzionatorie”.


Visti i ricorsi e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Covip - Commissione Vigilanza Fondi Pensione;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 gennaio 2020 il dott. D T e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con i ricorsi in esame, proposti il primo da Allianz s.p.a. e dai componenti del suo Consiglio di amministrazione, e il secondo dalla medesima società e dai componenti del Collegio sindacale, sono state impugnate le Deliberazioni adottate dalla COVIP il 12 luglio 2017 – nonché il Regolamento COVIP in materia di procedure sanzionatorie, quale atto presupposto della citata Deliberazione – con le quali è stata irrogata una sanzione amministrativa pecuniaria a ciascuno degli odierni ricorrenti, e alla società quale responsabile in solido.

La sanzione è stata emessa all’esito di un accertamento ispettivo che ha rilevato criticità su taluni processi di lavoro relativi alle liquidazioni delle anticipazioni delle posizioni individuali maturate dagli aderenti al Fondo Pensione gestito dalla società ricorrente.

In particolare, le criticità hanno riguardato 50 pratiche del primo quadrimestre del 2014 relative ad anticipazioni liquidate ai sensi dell’825-b497fb275733::LR0078DCAAA3957B2A1E0F::2019-01-17">art. 11, comma 7, lett. a) e b), del d.lgs. n. 252/2005 (concesse per consentire ad aderenti al Fondo Pensione di far fronte a spese sanitarie per gravi patologie o per l’acquisto o la ristrutturazione della prima casa di abitazione).

All’esito di tale esame, la COVIP ha ritenuto di applicare la prevista sanzione, perché “sono emersi casi di violazione della normativa di settore quantitativamente significativi, giacché in un numero rilevante di casi sono state riscontrate irregolarità nella gestione delle anticipazioni”, consistenti, in particolare, in:

a) “avvenuta liquidazione dell'anticipazione sulla base di documentazione insufficiente”;

b) “mancata acquisizione, successivamente alla liquidazione, dei documenti giustificativi delle spese sostenute e delle ragioni addotte a fondamento della richiesta di anticipazione”;

c) “mancata acquisizione di giustificativi di spesa corrispondenti al totale degli importi liquidati”.

Inoltre, la COVIP ha rilevato che “dalla data di liquidazione delle anticipazioni oggetto di contestazione sino alla data di chiusura dell'ispezione non sono risultati essere stati effettuati solleciti o altri interventi volti ad ottenere la documentazione mancante”.

Sia per gli amministratori che per i sindaci, la COVIP ha ritenuto “che la violazione sia imputabile a titolo di colpa”. Per i primi, “non risultando essere stati posti in essere, fino all'adozione della nuova procedura intervenuta solo a luglio 2016, interventi volti ad assicurare, in relazione alle pratiche di anticipazione, la completezza della documentazione acquisita e la congruità degli importi erogati, né idonei presidi di controllo”. E per i secondi, “non essendo stata fornita dimostrazione di aver correttamente vigilato, con la professionalità e la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico, sul porre in essere da parte della Società, fino all'adozione della nuova procedura intervenuta solo a luglio 2016, di interventi volti ad assicurare, in relazione alle pratiche di anticipazione, la completezza della documentazione acquisita e la congruità degli importi erogati, né idonei presidi di controllo”.

Ritenendo ingiusta la sanzione, i ricorrenti hanno proposto i ricorsi in esame.

Alla pubblica udienza del 15.01.2020 la causa è stata posta in decisione.

Preliminarmente, in considerazione della evidente connessione soggettiva e oggettiva, e della circostanza che propongono identici motivi di ricorso, i ricorsi vanno riuniti.

I ricorsi sono infondati, e vanno pertanto rigettati.

1) Con il primo motivo di ricorso, viene fatta valere “violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 della costituzione, dell’art. 1 e seguenti della legge n. 241/1990, dell’art. 24, comma 1, della legge n. 262/2005 e dell’art. 145, comma 1-bis, tub in relazione alla deliberazione covip 30.05.2007 – “regolamento in materia di procedure sanzionatorie”. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e, in particolare, manifesta ingiustizia e difetto di presupposti”.

In particolare, i ricorrenti affermano che la COVIP abbia realizzato una “grave menomazione dei fondamentali principi del giusto procedimento, capisaldi dell’azione amministrativa delle Autorità indipendenti, che ha caratterizzato il procedimento sanzionatorio in esame, causa di illegittimità dei provvedimenti sanzionatori e di conseguente loro annullamento”.

Ciò perché “già dal confronto tra la delibera COVIP del 30 maggio 2007, recante il “Regolamento in materia di procedure sanzionatorie”, e le disposizioni a suo tempo adottate dalle altre Autorità di Vigilanza, emerge come l’attuale procedimento COVIP non sia rispondente ad alcuno dei principi sopra cennati, con conseguente pregiudizio per gli Esponenti”;
nel senso che dal suddetto Regolamento “emerge anzitutto una palese mancanza di trasparenza in merito alle modalità di svolgimento del procedimento sanzionatorio nell’ambito della COVIP”.

In sostanza, secondo i ricorrenti, “mentre è sufficientemente chiaro cosa accade nella fase iniziale, durante la quale vengono formulate le contestazioni degli addebiti ai soggetti ritenuti responsabili e si consente loro la presentazione delle controdeduzioni ed un’eventuale audizione innanzi al responsabile del procedimento (cfr. artt. 3 e 4 della delibera

COVIP

30 maggio 2007), rimane poi del tutto non disciplinata la successiva e fondamentale fase di esame delle controdeduzioni, istruttoria degli Uffici e proposta/adozione della sanzione, come invece è rigorosamente previsto dai regolamenti adottati dalle altre Autorità (Banca d’Italia, Consob, AGCOM)”;
perché all’art. 5 sarebbe solo “laconicamente previsto che, «entro 180 giorni dal ricevimento delle controdeduzioni o dall’audizione […] la Commissione adotta la propria decisione, di archiviazione o di applicazione della sanzione, con provvedimento motivato»”.

E quindi, continuano i ricorrenti, “si può immaginare che gli Uffici della COVIP esaminino le controdeduzioni e formulino una proposta alla Commissione, ma non è dato sapere come esattamente ciò accada e, soprattutto, non v’è alcun riscontro del fatto che l’attività di detti Uffici sia doverosamente improntata ai citati principi del giusto procedimento e che l’analisi delle controdeduzioni presentate dagli interessati venga effettuata con il dovuto approfondimento e coinvolgimento di tutte le competenze necessarie”.

E infine, visto che dai provvedimenti impugnati risulta che vi è stato un «parere del Comitato per l’esame delle irregolarità del 5 luglio 2017 con il quale il Comitato, esaminati gli atti del procedimento e valutate le argomentazioni difensive formulate dalle parti, ha espresso le proprie considerazioni»”, i ricorrenti affermano che “del ruolo di tale Comitato e dei criteri in base ai quali esso operi e si relazioni con gli Uffici della COVIP non v’è traccia alcuna nella cennata delibera del 30 maggio 2007, né è dato sapere - allo stato - quale sia stato il contenuto delle considerazioni espresse dal Comitato nella fattispecie”.

I ricorrenti approfondiscono poi tali censure, precisando che nei procedimenti sanzionatori in esame non sarebbe “garantito il principio della distinzione tra funzioni istruttorie e decisorie, sia per l’apparente mancanza di una dialettica interna tra Uffici della COVIP che curano la fase istruttoria e formulano la proposta di sanzione, sia perché comunque tali Uffici sono gerarchicamente subordinati alla Commissione”.

In secondo luogo, “né la proposta degli Uffici, né il parere del Comitato per l’esame delle irregolarità presentati alla Commissione sono portati a conoscenza dell’interessato, con conseguente violazione del principio di conoscenza degli atti istruttori”.

E ancora, vi sarebbe anche “una macroscopica violazione del principio del contraddittorio, poiché proprio nella fase finale del procedimento sanzionatorio, immediatamente connessa e preordinata all’emanazione del provvedimento, il soggetto interessato è impossibilitato a far valere le proprie difese”.

A sostegno di tali tesi, i ricorrenti citano la sentenza della I sezione di questo Tribunale n. 3070 del 27.02.2002 nonché, soprattutto, le sentenze del Consiglio di Stato nn. 1595 e 1596 del 26 marzo 2015.

E secondo i ricorrenti le suddette sentenze hanno affermato principi “a maggior ragione replicabili per il procedimento sanzionatorio a tutt’oggi adottato dalla COVIP”.

Il Collegio ritiene però che il motivo di ricorso, così variamente articolato, sia infondato, per le ragioni di seguito esposte.

Innanzitutto, va premesso che le due sentenze del Consiglio di Stato invocate non sono pertinenti, perché relative a sanzioni irrogate dalla Consob, che opera in materie completamente diverse da quelle affidate alla cura della COVIP.

Infatti, è vero che le sentenze citate hanno affermato che “la disciplina del procedimento sanzionatorio contenuta nel regolamento Consob 21 giugno 2005, n. 15086, sebbene non presenti direttamente profili di contrasto con l’art. 6, par. 1, CEDU, né con gli artt. 24 e 111 Cost., non risulta, tuttavia, conforme ai principi del contraddittorio, della piena conoscenza degli atti e della distinzione tra funzioni istruttorie e decisorie che, con specifico riferimento ai procedimenti sanzionatori di competenza della Consob, sono espressamente richiamati dalla legge nazionale”.

Tuttavia, il Consiglio di Stato – CdS è giunto a siffatte conclusioni all’esito di un esame combinato della normativa nazionale di riferimento nella materia de qua, gli interessi tutelati dalla Consob, e la CEDU.

Innanzitutto, il CdS ha escluso che il regolamento Consob 21 giugno 2005 n. 15086 – che disciplinava il procedimento di irrogazione delle sanzioni previste dagli artt. 187-ter e 187-quater del T.U.F. – presentasse direttamente profili di contrasto con l’art. 6, par. 1 CEDU.

Ciò perché tale art. 6 “non impone che il procedimento amministrativo di irrogazione delle sanzioni per la fattispecie di c.d. market abuse sia disciplinato in modo da assicurare, già nella fase amministrativa, l’imparzialità oggettiva dell’Autorità che applica la sanzione e il pieno rispetto del principio del c.d. giusto processo. La CEDU, in altri termini, non impone che le sanzioni inflitte dalla Consob siano assistite, già nella fase amministrativa del procedimento sanzionatorio che precede la fase giurisdizionale, da garanzie assimilabili a quelle che valgono per le sanzioni penali in senso stretto”.

Però è importante, anche ai fini in esame, la circostanza, valorizzata dal CdS, che “la nozione di “pena” o “sanzione penale”, rispettivamente accolta dall’ordinamento nazionale e da quello della CEDU, non sono coincidenti”, perché “la nozione di “pena” elaborata dalla Corte EDU è significativamente più ampia rispetto a quella conosciuta dall’ordinamento nazionale, atteso che mentre quest’ultimo utilizza essenzialmente un criterio di qualificazione prevalentemente giuridico-formale, in ambito europeo rilevano anche criteri di carattere sostanziale e funzionale”.

Pertanto, spiega il CdS, “affinché quindi l’art. 6, par. 1, trovi applicazione (nella parte in cui fa riferimento all’accusa penale), è sufficiente che l’infrazione in questione sia di natura penale rispetto all’ordinamento nazionale oppure che abbia esposto l’interessato ad una sanzione che, per la sua natura e gravità, ricada generalmente nella materia penale, avendo carattere punitivo e deterrente e non semplicemente risarcitorio o ripristinatorio”.

E ancora, il CdS ha spiegato anche che:

- “la pragmaticità dell’approccio della Corte europea dei diritti dell’uomo ha dunque portato quest’ultima a riconoscere che non tutte le garanzie di cui all’art. 6, par. 1, CEDU devono essere necessariamente realizzate nella fase procedimentale amministrativa, potendo esse, almeno nel caso delle sanzioni non rientranti nel nocciolo duro della funzione penale, collocarsi nella successiva ed eventuale fase giurisdizionale (cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo 23 novembre 2006, caso n. 73053/01, Jussila c. Finlandia)”;

- “è, pertanto, ritenuto compatibile con l’art. 6, par. 1, della Convenzione che sanzioni penali siano imposte in prima istanza da un organo amministrativo – anche a conclusione di una procedura priva di carattere quasi giudiziale o quasi-judicial, vale a dire che non offra garanzie procedurali piene di effettività del contraddittorio – purché sia assicurata una possibilità di ricorso dinnanzi ad un giudice munito di poteri di “piena giurisdizione”, e, quindi, le garanzie previste dalla disposizione in questione possano attuarsi compiutamente quanto meno in sede giurisdizionale”;

- “con riferimento alla fattispecie di illecito di manipolazione di mercato, di cui all’art. 187-ter T.U.F., la Corte EDU, nella sentenza Grande Stevens ha stabilito che le conseguenti sanzioni pecuniarie abbiano carattere penale, ritenendo così applicabile il profilo penale dell’art. 6, par. 1, CEDU”;

- la Corte EDU, tuttavia, implicitamente richiamando la distinzione tra diritto penale in senso stretto e casi non strettamente rientranti nel c.d. hard core, “ha ritenuto che nell’ipotesi in esame, vertendosi nella seconda situazione, “il rispetto dell’articolo 6 della Convenzione non esclude […] che in un procedimento di natura amministrativa, una «pena» sia imposta in primo luogo da un’autorità amministrativa. Esso presuppone, tuttavia, che la decisione di un’autorità amministrativa che non soddisfi essa stessa le condizioni dell’articolo 6 sia successivamente sottoposta al controllo di un organo giudiziario dotato di piena giurisdizione (Schmautzer, Umlauft, Gradinger, Pramstaller, Palaoro e Pfarrmeier c. Austria, sentenze del 23 ottobre 1995, rispettivamente §§ 34, 37, 42 e 39, 41 e 38, serie A nn. 328 A-C e 329 A C)”;

- “fra le caratteristiche di un organo giudiziario dotato di piena giurisdizione figura il potere di riformare qualsiasi punto, in fatto come in diritto, della decisione impugnata, resa dall’organo inferiore. In particolare esso deve avere competenza per esaminare tutte le pertinenti questioni di fatto e di diritto che si pongono nella controversia di cui si trova investito (Chevrol c. Francia, n. 49636/99, § 77,

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