TAR Salerno, sez. II, sentenza 2017-12-11, n. 201701741

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Salerno, sez. II, sentenza 2017-12-11, n. 201701741
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Salerno
Numero : 201701741
Data del deposito : 11 dicembre 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/12/2017

N. 01741/2017 REG.PROV.COLL.

N. 02039/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2039 del 2007, proposto da:
S M, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato L V, con domicilio eletto presso il suo studio in Salerno, largo Plebiscito, 6;

contro

Comune di Cava dei Tirreni, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati G S, A C, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. G S in Salerno, largo Plebiscito, 6 c/o avv. Scarpa;
Soprintendenza Beni Architettonici, Paesaggio, Patrimonio Storico e Demoetnoantropologico, non costituita in giudizio;
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Salerno, corso Vittorio Emanuele n.58;

per l'annullamento,

quanto al ricorso principale:

dell’atto prot. n.41894/07, recante diniego concessione in sanatoria;

quanto ai motivi aggiunti:

a) dell’ordinanza di sospensione e demolizione n.923/07 de 27.12.2007 del Funzionario U.P.C. titolare p.o. del VI settore – ufficio repressione abusi edilizi del Comune di Cava dei Tirreni;

b) per quanto occorra, delle ordinanze dirigenziali n.708/96 del 10.12.2996, n.1027/04 dell’1.9.2004 e n.758 del 5.9.2006, in una ai verbali di accertamento n.6371/96 del 6.11.1996, n.6716/04 del 258.2004 e n.7290/06 dell’11.8.2006;

c) di ogni altro atto anteriore, presupposto, connesso e conseguenziale.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Cava dei Tirreni e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali;

Visto l’atto di motivi aggiunti;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 ottobre 2017 la dott.ssa M A e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il ricorso indicato in epigrafe, integrato da successivi motivi aggiunti, il ricorrente ha impugnato, dapprima, il provvedimento recante diniego di concessione in sanatoria e, poi, le conseguenziali ordinanze demolitorie, relative, queste ultime, tra l’altro, a un muro di contenimento di un fondo di proprietà realizzato in carenza di previo titolo abilitativo (afferente a un appezzamento di terreno in proprietà di circa 2.264 mq, distinto in catasto l f. n.7, p.lla n. 2088, nel Comune di Cava dei Tirreni).

Il ricorrente esponeva, nel ricorso originario, che, in ragione della particolare conformazione del terreno, a terrazzamenti, era stato indotto alla realizzazione di un muro di contenimento del fondo e della strada di accesso, onde evitare smottamenti;
detta attività edilizia era stata sanzionata con ordinanza n.1027/04, cui era seguita la richiesta di rilascio di permesso in sanatoria ex art. 36 T.U.E. in data 8.11.2004;
integrato il progetto, in ossequio alla prescrizione di cui all’art. 76 delle N.T.A. (secondo cui i muri di sostegno devono essere realizzati in pietra calcarea a faccia vista), la pratica veniva inoltrata alla Soprintendenza solo in data 23.3.2007 e ne seguiva il preavviso di diniego comunicato dal Comune, in ragione del parere negativo espresso dall’organo statale, e successivamente, nonostante le puntuali controdeduzioni di esso ricorrente, il provvedimento definitivo di diniego impugnato.

L’impugnativa deduce in diritto:

1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 10 bis L. 7.8.1990, n.241;
146 e 167 D.Lgs. 22.1.2004, n.42;
97 Cost. - Eccesso di potere per presupposti erronei e carenti, carenza assoluta di istruttoria e di motivazione, violazione del giusto procedimento, illogicità, perplessità e travisamento. Sviamento: nonostante le puntuali controdeduzioni fatte pervenire al Comune di Cava a seguito della comunicazione dei motivi ostativi, l’Amministrazione ha provveduto ignorando completamente le stesse e dunque non motivando sul loro mancato accoglimento;
il provvedimento risente, dunque, della sostanziale carenza del contraddittorio procedimentale;

2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 10 bis della L. 7.8.1990, n.241;
46 e 167 D.Lgs. 22.1.2004, n.42;
97 Cost. Eccesso di potere per presupposti erronei e carenti, carenza assoluta di istruttoria e di motivazione, violazione del giusto procedimento, illogicità, perplessità e travisamento, sviamento: il muro realizzato è conforme a quanto previsto nell’art. 76 delle N.T.A. del Comune di Cava dei Tirreni, che, per le aree ricadenti in zona E3 “Tutela agricola”, sottoposta a vincolo paesaggistico ambientale, consente la costruzione di “muri di sostegno realizzati obbligatoriamente con parametri in pietra calcarea a faccia vista”, così come del resto confermato dall’art. 23 L.R.C. 27.6.1987, n.35 per la viabilità minore;
nel caso di specie, si tratta appunto di muro a sostegno del terrapieno che mantiene, nei punti più critici, la strada di accesso al fondo, per cui è stato previsto il riempimento in pietra calcarea a faccia vista;
l’intervento non determina alcun degrado ambientale né impatta negativamente sul paesaggio, diversamente da come opina, in maniera stereotipa, la Soprintendenza;
il contesto circostante non è affatto privo di opere edilizie ed è anzi caratterizzato dalla presenza di numerosi fabbricati, mentre il muro è mascherato dalla vegetazione, tenuto conto anche dell’inclinazione del piano di posa e del piano di campagna;
il muro non è affatto di considerevoli dimensioni, è fatto a gradoni e ha altezza variabile (da 0,30 metri e 3 metri nel punto più alto, che è la normale altezza di un muro di contenimento);
la sua conformazione a gradoni lo rende, peraltro, armonico con il contesto;
il muro è in fase di completamento, e, una volta ultimato, presenterà un rivestimento in pietra calcarea a faccia vista;

3) Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 10 bis L. 7.8.1990, n.241;
146 e 167 D.lgs. 22.1.2004, n.42, 97 Cost. Eccesso di potere per presupposti erronei e carenza assoluta di istruttoria e di motivazione, violazione del giusto procedimento, illogicità, perplessità e travisamento, sviamento: l’Autorità competente è tenuta a pronunciarsi sull’accertamento di compatibilità paesaggistica entro 180 giorni, ex art. 167 D.lgs. n.42/2004, ma, nel caso di specie, il termine de quo è stato ampiamente disatteso.

A seguito del diniego di sanatoria, il Comune di Cava dei Tirreni procedeva a ingiungere la demolizione dell’opera, emanando l’ordinanza impugnata con i motivi aggiunti (n.923/07 del 27.12.2007), che aveva, tuttavia, ad oggetto: “lavori di completamento di un fabbricato elevatesi su due livelli fuori terra ed al momento costituito dalla sola struttura portante in c.a. completa dei relativi solai di copertura e di interpiano, oltre alla tompagnatura perimetrale del secondo livello. In dettaglio, la nuova struttura, che presenta, per ogni singolo piano, una superficie di mt. 9,30 x mt. 9,30 per un’altezza totale di mt. 6,40 circa, si compone di un piano seminterrato (al momento costituito solamente dal solo piano di fondazione, pilastratura e solaio di copertura) e di un piano rialzato che, a differenza di quello sottostante, risulta anche tompagnato perimetralmente con blocchi di laterizi e malta cementizia oltre che suddiviso internamente in cinque locali di superficie diverse. La copertura è stata realizzata con solaio piano in c.a. e si evidenzia sulla parte esterna, la fuoriuscita di ferri di armatura. Sul lato Nord, ed in piano con il solario di calpestio del livello superiore si evidenzia uno sbalzo in c.a. avente una larghezza di circa mt.1,30 per tutta la lunghezza del lato mt.9,29. tutti i vani finestra, balconi e di accesso sono sprovvisti al momento di infissi, ad eccezione di un vano finestra e di un vano balcone che risultano protetti con precari infissi in alluminio. Si precisa che al momento non esiste alcun collegamento tra i due livelli e l’area esterna circostante il manufatto si presenta parzialmente occupata da materiali per costruzione. Inoltre, sul lato Sud del fabbricato ed a ridosso di un terrapieno si rileva la costruzione di muratura di contenimento in c.a. al momento costituita da casseformi in legno e predisposizione di ferri di armatura con parziale getto di calcestruzzo. Il tutto è completamente allo stato grezzo”;
l’ordinanza proseguiva così nella descrizione degli abusi sanzionati: “in assenza di permesso x costruire, a valle del terreno di proprietà, è in fase di realizzazione una muratura in c.a. di delimitazione e parziale contenimento del terrapieno. La stessa si sviluppa a gradoni x una lunghezza di mt.30, 00 circa con altezza variabile da mt. 3,00 circa a mt. 0,50 circa. La struttura è ancora in fase di completamento, si rileva la fuoriuscita dei ferri di armatura e nella parte più bassa è ancora da completarsi con getto di calcestruzzo”.

Il ricorso per motivi aggiunti riproponeva, in via derivata, tutti i vizi già sollevati con riferimento al diniego di sanatoria, e deduceva inoltre, quali vizi propri del provvedimento sopravvenuto: 4) Violazione e falsa applicazione degli artt. 27 D.P.R. 6.6.2001, n.380, 31 e 36 D.P.R. 6.6.2001, n.380;
7 e seguenti L.7.8.1990, n.241, 97 Cost. Eccesso di potere per presupposti erronei e carenti, carenza assoluta di istruttoria, violazione del giusto procedimento, illogicità, perplessità e travisamento, sviamento: è illegittima l’ordinanza di sospensione die lavori (n. 923 del 27.12.2007) trattandosi di opere già ultimate;
il procedimento inoltre fa seguito a un diniego di sanatoria che ha assorbito tutti i precedenti provvedimenti repressivi afferenti la stessa opera e pendente il procedimento giurisdizionale;
la sanzione ripristinatoria di più manufatti ha inoltre impedito la valutazione del giudice adito e la partecipazione al rinnovato procedimento repressivo;
la tipicità del procedimento inibisce l’ordine cumulativo di demolizione di più manufatti realizzati in epoca e tempi diversi ed oggetto di distinte pratiche di sanatoria;
l’errore è del resto evidente laddove si osservi che è stata ingiunta la demolizione degli altri manufatti sulla scorta di diniego di sanatoria relativo al solo muro di contenimento, restando tuttora inevase le restanti pratiche (di sanatoria) pendenti.

Concludeva per l’accoglimento del ricorso, dei motivi aggiunti e dell’istanza cautelare,

Si costituivano in giudizio il Comune di Cava dei Tirreni e il Ministero dei Beni e delle Attività culturali (quest’ultimo per resistere al ricorso avverso il diniego di sanatoria), chiedendo il rigetto del ricorso, dei motivi aggiunti e dell’istanza cautelare.

Con ordinanza n. 381 del 24.4.2008, il TAR adito accoglieva la proposta istanza cautelare relativamente all’ordinanza demolitoria.

Le parti depositavano memorie illustrative e documentazione a sostegno;
in particolare, il Comune di Cava dei Tirreni esibiva in giudizio copia delle ordinanze nn. 146 del 21.4.2008 e 81 del 4.4. 2011, la prima recante rettifica del provvedimento demolitorio impugnato con i motivi aggiunti, limitando l’ordine al solo muro di contenimento ed escludendo gli altri manufatti oggetto di condono pendente, l’altra diretta a sanzionare la prosecuzione e l’ultimazione del medesimo muro di contenimento“lungo il viale di accesso all’abitazione del sig. S”.

All’esito della pubblica udienza del 25 ottobre 2017, il Collegio riservava la decisione in camera di consiglio.

DIRITTO

Il ricorrente S M realizzava opere edilizie in carenza di titolo abilitativo in Cava dei Tirreni, via G.Vitale n.35.

Dette opere erano così descritte, giusta il provvedimento di diniego di sanatoria impugnato con il ricorso originario: “in assenza di permesso di costruire, a valle del terreno di proprietà, è in fase di realizzazione una muratura in c.a. di delimitazione e parziale contenimento del terrapieno. La stessa si sviluppa a gradoni per una lunghezza di mt.30,00 circa con altezza variabile da mt.3,00 circa a mt. 0,30 circa. La struttura è ancora in fase di completamento. Si rileva la fuoriuscita dei ferri per armatura e nella parte più bassa è ancora da completarsi con getto di calcestruzzo”.

Le opere conseguivano il parere negativo della Soprintendenza, ai sensi della L. 308/2004, vincolante per l’Amministrazione comunale, che veniva così motivato: “trattasi di un muro di cemento armato di considerevoli dimensioni, il suo inserimento nel contesto paesaggistico caratterizzato da una folta vegetazione e dall’assenza di opere edilizie ne costituisce un grave degrado ambientale e impatto paesaggistico negativo”.

Il ricorso principale investe il diniego di sanatoria (ex art. 36 DPR 380/2001) motivato, nel provvedimento comunale, alla stregua degli atti prodotti e del detto parere negativo della Soprintendenza.

Con il primo motivo del ricorso proposto avverso il diniego di sanatoria, il ricorrente deduce violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili, sul rilievo che il provvedimento di diniego non avrebbe tenuto in alcun conto le controdeduzioni presentate da esso ricorrente a seguito del preavviso di diniego (ex art. 10 bis L. 241/90), limitando e violando, in tal modo, la partecipazione procedimentale.

Va preliminarmente precisato che il parere negativo della Soprintendenza, posto a base del diniego impugnato, è stato reso, a seguito di specifica istanza, a termini dell’art. 1, comma 39 della L. 15 dicembre 2004, n.308 (“Delega al governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione”), secondo cui “il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area interessati all’intervento, presenta la domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica all’autorità preposta alla gestione del vincolo entro il termine perentorio del 31 gennaio 2005. L’autorità competente si pronuncia sulla domanda, previo parere della Soprintendenza”.

Tanto è evidente dal tenore del parere reso (cfr. doc. n. 5, in produzione di parte resistente Ministero prodotta in data 27 febbraio 2008) e dal rapporto della stessa Amministrazione statale affoliato al n. 1 della citata produzione.

Ciò precisato, sembra utile, ai fini della decisione, ricostruire la disciplina nella specie applicabile.

Osserva, in proposito, il Collegio che il comma 37 del richiamato art. 1 dispone che, “per i lavori compiuti su beni paesaggistici entro e non oltre il 30 settembre 2004 senza la prescritta autorizzazione o in difformità da essa, l’accertamento di compatibilità paesaggistica dei lavori effettivamente eseguiti, anche rispetto all’autorizzazione eventuale rilasciata, comporta l’estinzione del reato di cui all’articolo 181 del decreto legislativo n. 42 del 2004, e di ogni altro reato in materia paesaggistica alle seguenti condizioni: a) che le tipologie edilizie realizzate e i materiali utilizzati, anche se diversi da quelli indicati nell’eventuale autorizzazione, rientrino fra quelli previsti e assentiti dagli strumenti di pianificazione paesaggistica, ove vigenti, o, altrimenti, siano giudicati compatibili con il contesto paesaggistico…”.

Le limitazioni oggettive contenute nella L. 308/2004 integrano i presupposti di accoglibilità della stessa (dovendo l’autorità preposta alla tutela del vincolo verificare, in concreto, la ricorrenza dei requisiti oggettivi ivi previsti).

Il complesso dispositivo in esame determina dunque con sufficiente chiarezza il perimetro applicativo dell’istituto.

Si è pure osservato in proposito che detto complesso dispositivo si sostanzia in una sorta di “condono paesaggistico straordinario” (o “mini-condono paesaggistico”), limitato nel tempo e ben diverso dal regime ordinario della compatibilità paesaggistica ex art. 167 del codice dei Beni culturali (il quale stabilisce, al comma 4, che “l’autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, nei seguenti casi: a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
b) per l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica;
c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’articolo 3 del decreto del presidente della repubblica 6 giugno 2001, n.380”), entrato in vigore con la stessa L. 308/2004, e riformulato dal D.lgs. 157/2006.

In sostanza, la norma ha consentito, in via eccezionale, l’accertamento postumo di compatibilità ambientale (non più possibile a regime, se non nei limitati casi normativamente stabiliti) relativamente ai procedimenti pendenti aventi ad oggetto gli interventi edilizi sopra descritti, per i quali non era stato richiesto il prescritto previo nulla osta, sotto l’aspetto paesaggistico, con la presentazione di una domanda entro il 31 gennaio 2005, e per i fatti compiuti entro il 30 settembre 2004.

La natura eccezionale dell’istituto fa conseguire che la valutazione della domanda presentata per fruire di detta normativa costituisca indiscutibilmente attività vincolata per l’amministrazione investita del relativo compito, per essere l’eventuale accoglimento legato esclusivamente alla sussistenza dei presupposti, nonché al rispetto dei parametri e delle formalità prescritti appunto dalla specifica legge di riferimento, senza che possano interferire profili di discrezionalità.

Del resto, la ragione del maggior rigore che deve ispirare l’amministrazione preposta alla tutela del bene pubblico, prima, e il giudice, poi, è da rinvenirsi nel rango costituzionale della finalità di tutela del bene paesaggistico che non conosce contemperamento, a differenza dell’interesse pubblico all’ordinato assetto del territorio, cui presiede la disciplina urbanistica, che incontra, come noto, limiti e contrappesi.

In particolare: la regolarizzazione paesaggistica resta indipendente dall’abuso urbanistico, benché costituisca condizione necessaria per sanare le opere anche sotto il profilo edilizio (cfr. Cons. di Stato, n.1905/2014);
non è affatto automatica, ma soggetta alla valutazione dell’ente competente;
non è correlata al condono edilizio straordinario (che segue regole tutt’affatto diverse), ma al regime della sanatoria edilizia ordinaria;
il parere della Soprintendenza, poi, espresso nella sede in questione, è vincolante.

Non è ultroneo considerare, peraltro, che, cospicua parte della giurisprudenza ha pure ritenuto che l’istituto de quo abbia rilevanza solo sotto il profilo penale, ma non anche sotto quello della sanabilità edilizia delle opere realizzate in difformità (o in carenza) dei necessari titoli abilitativi (cfr., ex pluris, TAR Campania, Napoli, n.1864/2009).

La violazione procedimentale di cui si duole il ricorrente deve dunque essere valutata nel contesto della disciplina sopra sinteticamente ricostruita.

Osserva, in proposito, il Collegio che, posto che il provvedimento di diniego si fonda, come detto, essenzialmente sul parere negativo espresso dalla Soprintendenza (a sua volta motivato sulla ritenuta incompatibilità paesaggistica), l’utile partecipazione procedimentale, invocata da parte ricorrente, non avrebbe dovuto limitarsi, come risulta in atti, alla “esposizione dei luoghi e delle trasformazioni avvenute” (come descritta nelle controdeduzioni in atti;
cfr. doc. n. 10 della produzione in parte ricorrente in data 14 dicembre 2007), ma avrebbe dovuto confutare, espressamente, la ritenuta incompatibilità ambientale, o introducendo elementi di fatto idonei a dimostrare l’insufficienza dell’esame soprintendentizio, ovvero desumendo dagli stessi conclusioni diverse, ma oggettivamente apprezzabili, sotto il profilo in esame;
e tuttavia, al contrario, le “controdeduzioni”, in punto di fatto, non negano né le “considerevoli dimensioni” del muro, né il suo negativo “inserimento nel contesto paesaggistico caratterizzato da una folta vegetazione e dall’assenza di opere edilizie“ (circostanze che, anzi, sono confermate in fatto dal riferimento, operato nelle medesime controdeduzioni, alla “fitta vegetazione esistente”, e del resto evidenti sulla base della documentazione fotografica in atti;
cfr. produzione di parte resistente Ministero, sub n. 4 della produzione in atti);
né in alcun modo, peraltro, inficiano la considerazione del “grave degrado ambientale” e del “negativo impatto paesaggistico” rilevati dalla Soprintendenza.

A fronte di tale mancata espressa confutazione, è del tutto evidente che l’esito procedimentale rimesso al Comune, cui le controdeduzioni sono state inoltrate, non avrebbe potuto superare in alcun modo le valutazioni già operate dalla Soprintendenza, in ragione della natura vincolata, per il Comune, di tale parere.

Ed invero, ove le opere risultino, oggettivamente, diverse da quelle ammesse a sanatoria paesaggistica (come indicato nella citato art. 1, comma 39, della l. 308/2004), le competenti autorità non possono che emanare un atto dal contenuto vincolato e cioè esprimersi nel senso della reiezione dell’istanza di sanatoria (cfr., ex pluris, Cons, di Stato, sez.VI, n. 3578/2012).

Alla stessa conclusione deve pervenirsi con riferimento al secondo motivo di ricorso, che tenta di superare, nel merito, dette negative valutazioni, rilevando che i “muri di sostegno realizzati obbligatoriamente con parametro in pietra calcarea a faccia vista” sarebbero addirittura consentiti dall’art. 76 delle N.T.A. del Comune di Cava dei Tirreni per le aree ricadenti in zona e/e “Tutela Agricola”, peraltro con disposizione riproduttiva dell’art. 23 L.R.C. 27.6.1987, n.35 (”gli eventuali muri di sostegno devono essere esclusivamente realizzati con parametro in pietra calcarea a faccia vista senza stilatura dei giunti”).

Pur senza espressamente richiamare l’art 1, comma 37, della L. 308/2004 (che però fa riferimento agli atti di pianificazione paesaggistica), il ricorrente deduce, nella sostanza, che ricorrerebbero le condizioni previste dalla legge per accordare la compatibilità paesaggistica, trattandosi, nello specifico, di opera che, per tipologia edilizia e materiali utilizzati, sarebbe conforme a quelle consentite dagli strumenti urbanistici.

Orbene, va anzitutto ribadito che la compatibilità paesaggistica si pone su un piano valoriale e giuridico diverso dalla mera conformità urbanistica.

Il che sarebbe sufficiente a respingere l’argomento, perché inconferente.

Ma, per dovere di completezza, il Collegio non si sottrae all’esame, invocato da parte ricorrente, delle disposizioni contenute nelle ricordate NN.TT.AA. (in produzione di parte ricorrente) per definirne esattamente la portata.

Secondo il richiamato art. 76 delle NN.TT.AA., dunque, relativo alle zone E3 – Tutela agricola”, che giova leggere estesamente, “non è consentita alcuna nuova edificazione né pubblica né privata. Sono consentiti unicamente i seguenti interventi, previo rilascio di concessione edilizia gratuita di cui all’art. 14 delle presenti N.T.A.: – la realizzazione della viabilità interpoderale indispensabile, secondo progetti dettagliati e redatti in scala non inferiore a 1.500 che rappresentino esattamente e compiutamente la morfologia del suolo, con sezione, comprensiva di cunette, non superiore a ml 3,.00 con aumento longitudinale tale da limitare al massimo sbancamenti e riporti, con eventuali muri di sostegno realizzati obbligatoriamente con parametri in pietra calcarea a faccia vista senza stilatura dei giunti e con piazzole di interscambio a distanza non inferiore a ml 300 e collocate in corrispondenza di idonee conformazioni del suolo atte ad evitare sbancamenti o riporti: - la realizzazione di rampe di collegamento fra i terrazzamenti di larghezza non superiore a mt.1,20;
gli eventuali muri di sostegno dovranno essere realizzati obbligatoriamente con parametri in pietra calcarea a faccia vista senza stilatura dei giunti”;….E’ consentito, previa autorizzazione del Sindaco, il rifacimento dei muri di sostegno degli eventuali terrazzamenti obbligatoriamente con parametri in pietra calcarea a faccia vista senza stilatura dei giunti”.

La operata lettura convince vieppiù della correttezza della valutazione operata dalla Soprintendenza.

Ed invero, dal complesso regolamentare in esame emerge, anzitutto, che la realizzazione di muri di sostegno, lungi dall’essere anodinamente consentita, è invece prevista solo in via “eventuale”, e in occasione della realizzazione della viabilità interpoderale indispensabile, di rampe di collegamento tra i terrazzamenti ovvero in caso di loro “rifacimento”.

La prevista “eventualità” è, nella sostanza, collegata alla verificata indispensabilità degli stessi muri di sostegno in connessione con le opere (viabilità interpoderale, rampe di collegamento tra terrazzamenti) cui gli stessi accedono, o alla loro preesistenza.

Non può dunque convenirsi con il ricorrente sulla assoluta autorizzabilità dell’intervento, che, così come richiesto, e per quanto risulta, non può certamente definirsi neppure conforme alle norme urbanistiche vigenti per il territorio e la zona in cui insiste;
e ciò senza neppure considerare le rigorose specifiche tecniche richieste dalle disposizioni in questione, il cui rispetto in alcun modo è stato comprovato da parte ricorrente.

Quanto poi alla valutazione di incompatibilità resa dalla Soprintendenza, in disparte la discrezionalità tecnica di cui è pervasa, la “presenza di numerosi fabbricati” nell’area in questione, e di folta vegetazione, anche “in relazione all’inclinazione del piano di posa e del piano di campagna”, e la contestazione circa le notevoli dimensioni del muro (anch’essa contraddetta in fatto nelle stesse note di controdeduzioni che riferiscono di una “sezione variabile da m 0,80 a m.3,00 per lo spessore di cm 30, per una lunghezza di m.28,00), non escludono affatto la ritenuta incompatibilità e, soprattutto, non fanno inferire in alcun modo la manifesta illogicità o irragionevolezza necessarie per vulnerare il giudizio reso dall’Amministrazione statale, che resiste, dunque, alla censura sollevata.

Con il terzo motivo di ricorso, deduce il ricorrente che il provvedimento sarebbe comunque illegittimo, atteso che l’Autorità competente sarebbe tenuta a pronunciarsi entro 180 giorni sull’accertamento di compatibilità paesaggistica, termine ampiamente superato nel caso di specie.

Il motivo è infondato, posto che la violazione del termine non incide sulla legittimità dell’atto, solo abilitando, invece, l’interessato, a eventualmente sollecitarne il rilascio con l’attivazione della procedura intesa alla rimozione di quello che è, a tutti gli effetti, un silenzio-inadempimento (cfr., ex pluris e da ultimo, Cons. di Stato., n. 922/2017, secondo cui l’inosservanza del termine dei 180 giorni non comporta, in ogni caso, la consumazione del potere di provvedere in capo all’organo pubblico competente).

Il ricorso avverso il diniego di sanatoria ex art. 36 DPR 380/2001 è, dunque, infondato, conseguendone il suo rigetto.

Passando all’esame del ricorso per motivi aggiunti, rivolto avverso l’ordinanza di sospensione e demolizione n. 923/2007, in una a precedenti atti (ordinanze dirigenziali nn. 708/96, 1027/2004 e 758/2006, con i verbali di accertamento nn. 6371/96, n.6716/04 e 7290/06), occorre anzitutto dar conto della circostanza che, successivamente all’emanazione delle detta ordinanza n.923/2007, l’Amministrazione comunale ha, prima, “rettificato” la stessa, limitandone il contenuto al solo muro di contenimento (già oggetto del diniego di sanatoria di cui al ricorso principale), con l’ordinanza n. 146 del 21.4.2008, e successivamente contestato e sanzionato, con ulteriore ordinanza demolitoria (n. 81 del 4.4.2011), la continuazione dei lavori relativamente allo stesso muro di contenimento.

Detti atti, esibiti in giudizio, costituiscono, ad avviso del Collegio, sopravvenienze rilevanti, risultato di nuova attività istruttoria e decisoria dell’Amministrazione, e la loro mancata impugnazione determina, nei limiti che di seguito saranno meglio chiariti, il sopravvenuto difetto di interesse ad impugnare la demolizione oggetto del ricorso per motivi aggiunti.

A sostegno di tale conclusione sta anzitutto l’ordito motivazionale e dispositivo dell’ordinanza n. 146 del 21.4.2008 che, preso atto della persistente pendenza delle istanze di condono prot. n.61633 del 10.12.2004 e n.61657 del 10.12.2004, “rilevato che le istanze di condono riguardano sia le opere sanzionate con ordinanza n.708/96 del 10.12.1996 che quelle di completamento sanzionate con ordinanza n.758/906 del 5.9.1996” (e cioè i lavori descritti nella nuova ordinanza demolitoria come “lavori di completamento di un fabbricato elevatesi su due livelli fuori terra e al momento costituita dalla sola struttura portante in c.a. completa dei relativi solai di copertura e di interpiano, oltre alla tompagnatura perimetrale del secondo livello, In dettaglio la nuova struttura, che presenta, per ogni singolo piano una superficie di mt 9,30 x mt 9.30 per un’altezza totale di mt. 6,40 circa, ci compone di un piano seminterrato (al momento costituito solamente dal solo paino di fondazione, pilastratura e solaio di copertura) e di un piano rialzato che, a differenza di quello sottoposto risulta anche tompagnato perimetralmente con blocchi di laterizi diversi e malta cementizia oltre che suddiviso interamente in cinque locali di superficie diversa. La copertura è stata realizzata con solaio piano in c.a. e si evidenzia sulla parte esterna, la fuoriuscita di ferri di armatura: Sul lato nord, e in piano con il solaio di calpestio del livello superiore si evidenzia uno sbalzo in c.a. avente una larghezza di circa nt,1,30 per tutta la lunghezza del lato mt. 9,29 tutti i vani finestra, balconi e di accesso sono sprovvisti al momento di infissi, ad eccezione di un vano finestra e di una vano balcone che risultano protetti con precari infissi in alluminio. Si precisa che al momento non esiste alcun collegamento tra i due livelli e area esterna circostante il manufatto si presenta parzialmente occupata da materiali di costruzione. Inoltre sul lato Sud del fabbricato ed a ridosso del terrapieno si rileva la costruzione di muratura di contenimento in c.a. al momento costituita da casseformi in legno e predisposizione di ferri di armatura con parziale getto di calcestruzzo: il tutto è completamente allo stato grezzo”), espressamente, ”revoca l’ordinanza n.923 del 27.12.2007 limitatamente alle opere soggette alle citate istanza di condono”, e “conferma l’ordine di sospensione e di ripristino dello stato dei luoghi n.923 del 27.12.2007”, limitatamente al muro di contenimento del terrapieno (cfr. ordinanza n. 146/2007 in produzione del Comune di Cava in data 4 ottobre 2017).

Ritiene il Collegio che il provvedimento in questione, per un verso, sia espressivo di autotutela relativamente alla imposta demolizione dei manufatti diversi dal muro di contenimento, il che comporta, appunto, il sopravvenuto difetto di interesse alla decisione del ricorso (motivi aggiunti) quanto all’impugnativa di detto contenuto decisorio;
non potendosi revocare in dubbio che sia inutile pronunciarsi sul ricorso proposto avverso detto contenuto provvedimentale, non ricevendone il ricorrente alcun concreto vantaggio, posto che detto contenuto è stato già rimosso dal mondo giuridico (oltre che fattuale) per effetto della operata autotutela.

Per altro verso, invece, il provvedimento è invece confermativo dell’ordinanza di demolizione, relativamente al muro, sulla scorta del pregresso diniego di sanatoria: e, per tale parte, l’interesse del ricorrente tuttora residua all’emanazione della detta ordinanza.

Ritiene il Collegio, inoltre, che può prescindersi dalla ulteriore eccezione di improcedibilità formulata dalla difesa del Comune di Cava con riferimento all’intervenuta emanazione di altra e successiva ordinanza di demolizione (n. 81 del 4.4.2011), che sanziona la realizzazione di “un muro in c.a. di circa 44 ml, per il contenimento del terrapieno antistante ad una quota superiore lungo il viale di accesso all’abitazione del sig. S. Le dimensioni del muro di ml 44 circa sono di varie altezze con una media di circa h. 1,38 m. e larghezza di cm. 30”;
e ciò stante l’infondatezza del ricorso per motivi aggiunti, relativamente al muro di contenimento, come di seguito esplicata.

Al riguardo, occorre evidenziare che, stante l’intervenuta reiezione del ricorso principale avverso il diniego di sanatoria, come sopra espressa, ne consegue anzitutto il rigetto dei motivi articolati sub specie di vizi derivati riproposti avverso la successiva ordinanza demolitoria.

Residuerebbe, avverso l’ordinanza di sospensione/demolizione, e limitatamente, per quanto detto, al muro di contenimento, unicamente il vizio rubricato al n. 4 della narrativa che precede, che è tuttavia infondato sotto tutti i profili dal ricorrente sollevati, per le considerazioni che seguono:

- a) l’ordine di sospensione è del tutto legittimo trattandosi di opere non affatto ultimate, come sostiene il ricorrente, il che è acclarato sia dalla descrizione dei lavori in questione (che documenta la “fuoriuscita dei ferri per armatura” e la necessità di completamento “con getto di calcestruzzo”, a termini della stessa ordinanza impugnata), sia dalla intervenuta continuazione dei lavori (attestata dai successivi verbali di sopralluogo e di sequestro e dalla conseguente nuova ordinanza demolitoria n. 27 del 4.4.2011, il tutto con allegata documentazione fotografica che certifica con evidenza una continuazione dell’attività costruttiva, evidentemente non affatto ultimata all’epoca dell’emanazione del provvedimento in esame);

- b) l’intervenuto diniego di sanatoria, che è posto a base dell’ordinanza demolitoria (quanto al muro di contenimento) e la sua intervenuta impugnazione non ostano affatto al prosieguo dell’attività sanzionatoria, in mancanza di annullamento o sospensione dell’atto in sede giurisdizionale;

- c) il contestato cumulo oggettivo dell’ordine demolitorio (siccome riferito a manufatti diversi) è ben possibile e l’intervenuta “revoca” parziale dello stesso, che ha, per quanto sopra detto, sterilizzato la proposta impugnativa nella parte relativa alle costruzioni diverse dal muro di contenimento, consente il mantenimento dell’efficacia e validità dello stesso relativamente al più ridotto contenuto, nei limiti in cui è “confermato” nell’ordinanza successiva n. 146/2008.

L’ordinanza di demolizione limitatamente al muro di contenimento resta, dunque, non inficiata dall’impugnativa proposta.

Il ricorso per motivi aggiunti va, per quanto precede, in parte dichiarato improcedibile e in parte respinto.

Le spese seguono la soccombenza, da imputarsi per intero al ricorrente, tenuto conto dell’assetto sostanziale come risultante dagli esiti del presente giudizio, e si liquidano nell’importo in dispositivo fissato.

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