TAR Genova, sez. II, sentenza 2021-08-02, n. 202100741

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Genova, sez. II, sentenza 2021-08-02, n. 202100741
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Genova
Numero : 202100741
Data del deposito : 2 agosto 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/08/2021

N. 00741/2021 REG.PROV.COLL.

N. 00591/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 591 del 2020, proposto dal signor -O-rappresentato e difeso dall’avvocato professor L C con domicilio eletto presso lorenzo.cuocolo@ordineavvgenova.it;

contro

Ministero per la cultura in persona del ministro in carica, rappresentato e difeso dall’avvocatura distrettuale dello Stato di Genova, con domicilio presso l’ufficio;

nei confronti

signor -O-
-O-llc

per l'annullamento

della nota 16.5.2019, n. 14654 della soprintendenza per l’archeologia, le belle arti e il paesaggio per la città metropolitana di Genova

della nota 19.3.2019 del nucleo dei carabinieri di Torino per la tutela del patrimonio culturale

della nota 7.3.2019 della soprintendenza per le province di Alessandria, Asti e Cuneo

della nota 11.3.1966 della soprintendenza di Torino


Visti il ricorso e i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio dell’amministrazione statale resistente;

visti gli atti e i documenti depositati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica tenutasi da remoto il giorno 28 luglio 2021 il dott. P P e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Il signor -O-si ritiene leso dagli atti impugnati, con i quali gli è stato inibito di esportare dall’Italia il dipinto cinquecentesco olio su tavola di centimetri circa duecento per duecento, attribuito ai fratelli Aimo e Balzanino Volpi e raffigurante il Crocifisso con Maria e Giovanni e con i santi Giacomo maggiore, Francesco, Gerolamo e Caterina, acquistato presso una casa d’aste genovese: per ciò l’interessato ha notificato il ricorso in trattazione con cui deduce censure in fatto e diritto e chiede di essere risarcito per il danno subito.

L’amministrazione statale si è costituita in giudizio con memoria e ha depositato memorie difensive.

Le parti hanno allegato documenti e difese.

1 Sono impugnati gli atti con cui l’amministrazione statale ha istruito e poi deciso un procedimento volto all’annullamento d’ufficio di un precedente suo atto.

Gli uffici liguri del ministero avevano autorizzato l’interessato all’esportazione della citata opera d’arte al di fuori dei confini nazionali con l’atto 15970 del 26.6.2018, poco tempo dopo (21.3.2018) che la soprintendenza sempre di Genova l’aveva dichiarata di interesse nazionale.

Gli atti prodotti documentano che, pochi mesi dopo, la soprintendenza del Basso Piemonte (province di Alessandria, Asti e Cuneo) aveva istruito e poi adottato l’atto 7.3.2019, prot. 2683 con cui aveva preso nota del fatto che il dipinto qui conteso era stato inserito tra gli arredi del castello medioevale di Camino Monferrato solo verso la fine del secolo diciannovesimo, ma che esso era ben presto diventato il centro devozionale e artistico per coloro che frequentavano il maniero;
una quasi coeva nota del nucleo di tutela culturale dei carabinieri del Piemonte rilevava che il bene era da considerarsi come intrinseco all’immobile (mobile per destinazione in numerosi atti del giudizio), atteso il suo rilievo pittorico che aveva catturato l’interesse di coloro che avevano occasione di ammirarlo.

Derivò da ciò l’atto impugnato, per il cui annullamento l’interessato deduce i seguenti motivi di impugnazione.

Primo motivo.

Violazione degli artt. 10 comma 3 e 68 del d.lvo 2004/42 in quanto il bene non era stato ricompreso nella dichiarazione di interesse pubblico del 1966, menzionata nell’atto stesso;
carenza di motivazione a corredo dell’assunto secondo cui il dipinto era da considerare un tutt’uno con il castello, sì che il vincolo lo riguardava direttamente.

Secondo motivo.

Violazione della natura restrittiva della lettura da dare agli atti che impongono vincoli sui beni, dovendosi con ciò considerare che l’interesse pubblico riguardava e riguarda il solo immobile e non anche i suoi arredi.

Terzo motivo.

Mancata comunicazione dell’avvio del procedimento.

Come già osservato il giudizio ha visto la produzione di atti e documenti delle parti: un ultimo documento è stato allegato tardivamente dalla difesa dell’amministrazione statale, ma di esso non si può far utilizzo, attesa la fondata eccezione sollevata in tal senso dalla difesa ricorrente.

2 Ciò premesso il collegio ritiene di poter esaminare i primi due motivi nella parte in cui riguardano lo stato del dipinto in relazione alle norme statuali di protezione dei beni culturali.

In fatto va notato che l’opera d’arte oggetto della compravendita contestata risale al quindicesimo secolo, venne ritenuta per molto tempo opera di Macrino d’Alba, mentre attribuzioni più recenti la collocano con sicurezza tra i lasciti dei fratelli Volpi, pittori operanti nel territorio di Casale Monferrato nel torno di tempo indicato.

Il dipinto ebbe una vita separata da quella del castello di Camino Monferrato sino al 1877 o 1879, quando uno dei discendenti della famiglia -XXX- titolare del castello da secoli, ne dispose il trasferimento da una cappella esistente nel villaggio sino all’interno delle mura. Il fatto in questione è ritenuto certo e attendibile dagli studiosi che si sono occupati delle vicende del trittico, posto che all’interno di quella che divenne proprio in quegli anni la cappella del castello vi è tuttora un’iscrizione in vernice nera che comprova la destinazione che un marchese -O- impresse in tal modo al bene.

Va aggiunto qui per completezza che detti aristocratici furono per molti secoli (dal xiv secolo agli anni immediatamente successivi alla fine dell’ultima guerra) titolari del castello che sin dal medioevo sorge a Camino Monferrato: essi avrebbero costituito un’ampia base di ricchezza con l’attività bancaria, tanto che divennero feudatari di vaste zone del casalese e dell’astigiano, e dopo il mutamento ordinamentale, anche proprietari del castello.

L’immobile fu per molti anni il luogo di principale residenza della famiglia poi suddivisasi in numerosi rami, e la testimonianza della presenza degli XXX a Camino anche si evince nella descrizione dei ritratti dipinti dal pittore G che raffigurano i discendenti del casato, e che restarono affissi alle pareti di un ampio locale nel quale venne poi ricavata la cappella che accolse anche il trittico.

3 Le vicende che hanno portato all’odierna lite e che sono utili al fine di decidere sui due motivi in esame risalgono all’atto di destinazione che il ricordato marchese -O- fece alla fine del secolo diciannovesimo, aggiungendo il trittico in questione alla già notevole quadreria di famiglia, almeno per la sua parte che era ubicata nel castello di Camino. Non è necessario in questa sede esaminare se, ai sensi del codice civile del 1865, la pinacoteca costituisse un’universalità di diritti o di fatto, posto che anche il codice civile previgente prevedeva delle entità simili a quella delineata dall’art. 816 cod. civ., e che l’atto in fatto e diritto compiuto dal ricordato aristocratico ebbe l’univoco significato ricordato.

Quel che rileva ai fini del presente decidere è la destinazione legittimamente impressa al dipinto da un componente la famiglia -O- con una manifestazione di volontà che rimpinguò nel senso indicato la quadreria della casata;
si trattò dell’aggiunta di un bene ulteriore all’universalità di mobili già costituita dai dipinti citati, un atto appunto dispositivo che non era impedito nella sua validità così come nella sua efficacia da alcuna norma statuale che riservasse all’ente pubblico il controllo sui beni di valore culturale o artistico.

Una pinacoteca è infatti inquadrabile nell’ambito della categoria giuridica universalità di mobili alla stregua delle biblioteche (a quest’ultimo riguardo, cass. 9225/2020), sì che i singoli beni ad essa conferiti vengono qualificati come pertinenze, attribuendo la legge al proprietario la facoltà di mutarne il regime giuridico.

Ne consegue che il bene per cui è lite divenne nel 1877 ad ogni effetto una pertinenza del castello, dove rimase dalla fine dell’ottocento sino a quando la successiva disposizione di un nuovo proprietario del maniero non ne mutò il regime giuridico, allorché il trittico venne dichiarato come custodito altrove in luogo sicuro, e ciò negli anni cinquanta-sessanta del secolo passato.

Tanto premesso in merito ai fatti di causa e al loro rilievo per il diritto civile, si osserva dal punto di vista del diritto pubblico che era stata introdotta la legge 202 del 1861, che aveva assegnato tra gli altri il governo dei beni di pregio artistico al ministero della pubblica istruzione, ma non aveva introdotto restrizioni di rilievo alla loro circolazione rispetto a quanto avevano disposto le legislazioni di alcuni Stati preunitari, che avevano già considerato non indifferente per la collettività il fatto di essere proprietario o inventore di beni di rilievo culturale.

Da queste notazioni discende la possibilità di differenziare i distinti atti dispositivi sul trittico compiuti alla fine dell’ottocento dal marchese -XXX- rispetto a quanto fu posto in essere dall’ingegner Y, che dopo una pregressa serie di passaggi di proprietà, divenne titolare del diritto reale sull’immobile e sulle sue pertinenze (anni cinquanta-sessanta del secolo decorso).

Il nominato, in proprio e quale socio di una società semplice, acquisì infatti la proprietà sull’immobile e su quanto in esso contenuto: per limitarsi a quanto necessario ai fini del presente decidere si può notare che l’ingegner Y negò a più riprese alla sopraintendenza del Piemonte (ad esempio missiva 17.10.1980 in risposta alle sollecitazioni dell’ente pubblico 4.3.1980, n. 832 e 29.9.1980, n. 3396) di essere in possesso del dipinto in questione, che a suo dire sarebbe stato svenduto all’asta indetta dai Padri Somaschi, i suoi danti causa.

Non di meno le allegazioni dell’ingegner Y si sono rivelate fallaci, posto che il dipinto è stato consegnato alla casa d’asta genovese Wannenes da una delle sue figlie, dal che può dedursi che egli sottrasse il bene dalla destinazione a suo tempo impressa dal marchese -XXX- esercitando con ciò il diritto (art. 818 comma 2 cod. civ) previsto soltanto dalla legge civile di distrarre un bene facente parte di un’universalità di mobili dalla destinazione che gli era assegnata da un precedente avente diritto.

In tutto ciò l’ingegner Yesercitò appunto quanto è riconosciuto al proprietario di un’universalità di beni (artt. 816 oltre al citato art. 818 comma 2 cod. civ.) collocando altrove il dipinto che dal 1877 o 1879 era stato inserito in un contesto di “…preziose testimonianze …decorative, sia esterne che interne … tutte sapientemente composte senza squilibri formali e stilistici…” (così l’atto della sopraintendenza del Piemonte 11.3.1966, n. 807).

Quel che il nominato proprietario non rispettò fu l’obbligo di legge (allora la legge 1089/1939) di dar conto all’amministrazione preposta alla ricognizione e alla tutela dei beni culturali della propria volontà di trasportare altrove il prezioso reperto, al fine di goderne la vista in modo separato rispetto a quanto si poteva fruire nel castello di Camino Monferrato.

4 Le considerazioni svolte consentono di disattendere le censure proposte.

In ordine alla prima la citata relazione 11.3.1966, n. 807 della sopraintendenza di Torino chiarisce che il castello di Camino Monferrato e i beni mobili in esso conservati costituivano un unico inscindibile, nel quale la lunga permanenza dei singoli cespiti si integrava con tutti gli altri nell’armonica relazione sottolineata dall’amministrazione preposta.

A diversa conclusione non può indurre il fatto che in altre determinazioni (ad esempio nell’autorizzazione all’espatrio annullata dall’atto qui gravato in principalità) la p.a. non ritenne che il trittico rivestisse un peculiare interesse culturale: l’istruttoria svolta al riguardo dall’autorità amministrativa è stata infatti integrata dagli atti di indagine o di decisione delle procure della Repubblica di Vercelli e Genova.

Da tali documenti risulta che l’amministrazione competente si premurò di mettere sull’avviso le parti private delle compravendite del compendio che erano state stipulate tra gli anni cinquanta e sessanta del secolo decorso circa il fatto che l’intero bene immobile, insieme con i mobili, era vincolato per il suo elevato interesse culturale, cosa che risulta anche riportato nei diversi rogiti prodotti in causa.

La complessiva lettura delle clausole negoziali riprodotte a tale riguardo e degli atti dell’amministrazione competente adottati in materia al tempo dei fatti era pertanto in grado di rendere avvertiti gli interessati circa la natura e l’estensione dei vincoli imposti sull’intero compendio per le ragioni culturali ravvisate.

Per tali motivi non può neppure ritenersi che l’annullamento d’ufficio impugnato in questa causa necessitasse di un particolare corredo motivo per la sua legittimità.

L’atto annullato con cui l’ufficio esportazione della sopraintendenza ligure assentì in un primo momento la domanda presentata dalla casa d’aste per conto del ricorrente appare infatti illegittimo, anche limitandosi ad una sommaria verifica degli atti con cui l’amministrazione ha seguito le vicende del castello sin dagli anni cinquanta del secolo trascorso.

Per giungere a tale conclusione è sufficiente ricordare il comportamento decettivo posto in essere dall’ingegner Y, che cercò di blandire i funzionari della sopraintendenza con inviti al castello, al fine di distogliere la loro attenzione dell’illecito che egli aveva posto in essere trasportando il dipinto lontano da Camino, forse a Milano, rappresentando in modo callido che il trittico avrebbe potuto essere andato disperso nel corso delle aste che la precedente proprietà ecclesiastica aveva bandito per assorbire l’esborso subito con l’acquisto.

L’abuso commesso consiste allora nell’avere sottratto il trittico al controllo dell’amministrazione, così da poterne fare un utilizzo privato volto alla fruizione o alla successiva vendita senza controllo.

In conclusione il primo motivo è infondato e va disatteso.

5 Con la seconda doglianza l’interessato denuncia l’illegittimità dell’atto impugnato nella parte in cui non ha tenuto conto dell’orientamento restrittivo adottato dalla giurisprudenza amministrativa in merito alla precisione richiesta dalla motivazione dei provvedimenti di vincolo, che dovrebbero precisare se l’atto di tutela è diretto soltanto agli immobili protetti, o anche ai beni mobili in essi eventualmente contenuti.

La censura si sofferma sull’omissione desumibile dagli atti impugnati, e di quelli ad essi presupposti, che descrivono il pregio architettonico e culturale del castello medioevale di Camino Monferrato, ma tacerebbero sul rilievo dei suoi arredi.

In senso opposto il collegio ha già riportato le note descrittive con cui, tra le altre, la relazione della sopraintendenza 11.3.1966, n. 807 considerò inscindibili i vincoli artistico, devozionale e culturale che il trittico in questione realizzò nei decenni in cui venne esposto nel maniero.

Sembra con ciò che possano ritenersi infondate le doglianze riportate, posto che ogni successivo possibile acquirente interessato al compendio avrebbe potuto comprendere senza eccessive difficoltà quale era stata la valutazione data ai beni in questione dagli organi preposti alla tutela.

Anche questo motivo è pertanto infondato e va disatteso.

6 Con l’ultima censura il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 7 della legge 7.8.1990, n. 241, in quanto egli non venne notiziato circa l’apertura del procedimento amministrativo che si è concluso con l’annullamento d’ufficio che è qui impugnato.

In fatto la censura è corretta, ma alla specie può applicarsi la norma introdotta dall’art. 21 octies della legge 241/1990, in quanto si è trattato di riparare ad un evidente errore commesso dall’ufficio esportazione della sopraintendenza ligure, che non era stato posto a conoscenza dell’apertura dei procedimenti amministrativi che hanno poi portato all’adozione dell’annullamento gravato.

La vendita del trittico al pubblico incanto avrebbe infatti dovuto essere circondata dalle cautele che la legge prevede prima di ammettere i beni tutelati alla libera contrattazione: ne consegue che, ancorché fondata, la censura non può comportare l’annullamento dell’atto impugnato.

7 In conclusione il ricorso è infondato e va disatteso, potendosi tuttavia compensare le spese di lite attese l’oggettiva complessità della vicenda e la decisione assunta a proposito dell’ultima censura esaminata.

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