TAR Torino, sez. II, sentenza 2012-04-19, n. 201200461
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Testo completo
N. 00461/2012 REG.PROV.COLL.
N. 00565/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 565 del 2010, proposto da:
-Ricorrente-, rappresentata e difesa dagli avv. A B, G V, con domicilio eletto presso G V in Torino, via Moretta, 7;
contro
MINISTERO DELL'INTERNO, rappresentato e difeso dall'Avvocatura, domiciliata per legge in Torino, corso Stati Uniti, 45;
QUESTORE DI ALESSANDRIA;
per l'annullamento
del decreto di rigetto dell'istanza di rilascio di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo nonchè il rifiuto di rinnovo del permesso di soggiorno, ed anche l'annullamento di ogni altro atto, presupposto, preparatorio, prodromico, concernente, connesso o consequenziale, anche non conosciuti e comunque lesivi degli interessi della ricorrente, ed in particolare dell'invito a lasciare il territorio nazionale.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 aprile 2012 il dott. Antonino Masaracchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con provvedimento prot. n. -OMISSIS-, il Questore della Provincia di Alessandria ha respinto l’istanza presentata dalla -ricorrente-, di cittadinanza albanese, volta ad ottenere il “ rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo ”. Nella motivazione dell’atto si legge che la -ricorrente- “ si trova in stato di disoccupazione dal 28/02/2009 ” e che, in base alle norme del d.lgs. n. 286 del 1998, il termine di durata massimo dello stato di disoccupazione è sei mesi.
Avverso tale atto la -ricorrente- ha proposto impugnazione giurisdizionale dinnanzi a questo TAR, chiedendone l’annullamento previa sospensione cautelare. Nel ricorso l’interessata, premesso di essere stata “titolare da anni di regolare permesso di soggiorno per motivi di lavoro”, espone che, mediante l’impugnato atto, la Questura avrebbe “decretato il rifiuto dell’istanza di rinnovo di soggiorno presentata [...] ed anche il rifiuto del rilascio del permesso di soggiorno di lunga durata CE”. In diritto, affida il gravame ai seguenti motivi:
- violazione degli artt. 5 e 22 d.lgs. n. 286 del 1998 nonché erronea valutazione dei fatti e dei presupposti. La ricorrente, come si espone, “ha sempre svolto attività lavorativa, tranne da quando per motivi di forza maggiore [i problemi di gravidanza e la malattia del bambino, n.d.r.] è stata costretta ad interrompere l’attività lavorativa”;inoltre essa avrebbe “sempre avuto a disposizione sufficienti mezzi” per il suo sostentamento “(reddito e risparmi, nonché mantenimento e ospitalità offerto dal coniuge)”. Alla luce di tali circostanze, secondo la ricorrente, essa “aveva ben diritto al rinnovo del permesso di soggiorno”. Sotto altro aspetto, si evidenzia che l’art. 22, comma 11, del d.lgs. n. 286 del 1998 non pregiudicherebbe “la possibilità di estendere il periodo di ricerca di lavoro anche oltre il termine di sei mesi”, contrariamente quindi da quanto sostenuto dall’amministrazione nella motivazione dell’atto impugnato. Ancora, la normativa in materia di permesso di soggiorno “per lavoro subordinato” o per “attesa occupazione” non imporrebbe “che lo straniero debba attestare, ai fini della dimostrazione di sufficienti mezzi di sostentamento, la percezione di un reddito da lavoro”;
- violazione dell’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 286 del 1998, per mancata valutazione di un “nuovo elemento” favorevole alla straniera: si tratterebbe, nella specie, della circostanza che “Al momento del rinnovo del permesso di soggiorno il ricorrente ha dimostrato di essere titolare di legittime fonti di reddito (risparmi ed aiuti economici del marito)”;
- violazione dell’art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998: la posizione della ricorrente rientrerebbe nel raggio di previsione di tale norma (la quale consente il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ossia allorché “ ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano ”), in considerazione della necessità della -ricorrente- di prestare cure al neonato affetto da problemi di salute;
- violazione “dei principi informatori” del d.lgs. n. 286 del 1998 nonché di svariate norme di diritto internazionale concernenti il “diritto al rispetto della vita privata e familiare”;
- violazione dell’art. 10- bis della legge n. 241 del 1990, essendo mancata la motivazione in ordine alle osservazioni che, durante l’ iter procedimentale, l’interessata aveva sottoposto all’amministrazione;
- violazione dell’art. 2, comma 6, d.lgs. n. 286 del 1998, nonché dell’art. 3, comma 3, del d.P.R. n. 394 del 1999, per mancata traduzione del provvedimento di diniego in lingua albanese.
2. Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, depositando documenti (tra i quali una relazione sui fatti di causa predisposta dalla Questura di Alessandria) e chiedendo, con memoria di mero stile, il rigetto del gravame.
Nella relazione, fra l’altro, l’amministrazione riferisce che la -ricorrente- era già titolare di “permesso di soggiorno per lavoro autonomo scadente l’08.12.2008” e che l’istanza originariamente presentata aveva avuto ad oggetto “il rinnovo di detto permesso per motivi di ‘attesa occupazione’. Con il provvedimento indicato in epigrafe, il Questore di Alessandria ha respinto l’istanza”.
3. Con memoria depositata il 26 maggio 2010 la ricorrente ha precisato che, a causa della malattia che ha interessato sin dalla nascita il proprio bambino, ella ha dovuto affrontare una “temporanea riduzione dell’attività lavorativa”, avendo comunque “svolto regolare attività lavorativa sino al 28.02.09 [...] ed ha poi intrapreso il 20.12.09 una nuova regolare attività lavorativa per la ditta The Bet Bar di Lipari Lorenzo”.
Questo TAR, con ordinanza n.-OMISSIS-, ha accolto la domanda cautelare ai fini di una nuova determinazione da parte dell’amministrazione, “alla luce dei motivi di ricorso e della documentazione depositata dalla ricorrente”.
4. Alla pubblica udienza del 3 aprile 2012, quindi, la causa è stata trattenuta in decisione.
5. Il ricorso non è fondato.
5.1. Deve, preliminarmente, farsi chiarezza in ordine all’oggetto del provvedimento in questa sede gravato, essendo il tenore letterale del medesimo in evidente contrasto con quanto riferito in giudizio sia da parte ricorrente sia da parte resistente. Nelle premesse e nel dispositivo, infatti, l’atto di diniego si riferisce unicamente all’istanza di concessione di “permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo”, laddove entrambe le parti in giudizio hanno affermato che esso avrebbe avuto ad oggetto, invece, il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro già in possesso della -ricorrente- ovvero il diniego di rilascio di permesso di soggiorno per attesa occupazione.
Ritiene il Collegio che, in base agli atti versati in giudizio, l’effettivo oggetto del provvedimento sia duplice e vada rinvenuto nel diniego di rilascio sia del permesso di soggiorno per attesa occupazione, ai sensi dell’art. 22, comma 11, del d.lgs. n. 286 del 1998, sia del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, ai sensi dell’art. 9 del medesimo d.lgs.
Quanto al primo aspetto, pur non trattandosi di una tipologia di titolo di soggiorno esplicitamente menzionata nel corpo dell’atto, è però vero che entrambe le parti, nei propri atti difensivi, hanno dato per pacifico che proprio di un diniego di permesso di soggiorno “per attesa occupazione” si trattasse;ed è anche vero che il medesimo provvedimento contiene un passaggio motivazionale calibrato sicuramente su tale tipologia di titolo di soggiorno (allorché si riferisce alla norma di cui all’art. 22, comma 11, del d.lgs. n. 286 del 1998, la quale è del tutto inconferente rispetto all’altra tipologia, quella del permesso di soggiorno CE).
Quanto al secondo aspetto, poi, non vi è dubbio che sia nelle premesse, sia nel dispositivo del provvedimento gravato, si parli di “permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo”, onde il diniego formulato dall’amministrazione è sicuramente indirizzato anche verso tale ulteriore tipologia di permesso di soggiorno.
5.2. Ciò precisato in punto di fatto, deve ora passarsi all’esame delle singole censure le quali – come già anticipato – risultano tuttavia non fondate, sia che le si interpreti come calibrate con riferimento al diniego di permesso di soggiorno per attesa occupazione sia che, invece, le si ritenga indirizzate al diniego di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo.
Quanto alla prima, emerge invero come circostanza pacifica che, nel periodo che va dal 28 febbraio al 20 dicembre 2009, ossia per più di nove mesi consecutivi, la ricorrente è rimasta sprovvista di attività lavorativa. Ciò è confermato, peraltro, in un passaggio della memoria di parte ricorrente depositata in giudizio il 26 maggio 2010. Tale circostanza è dirimente per affermare, anzitutto, che non vi era alcuno spazio per la concessione di un permesso di soggiorno per attesa occupazione: era, infatti, già esaurito il termine massimo di sei mesi previsto dalla legge per la durata dello stato di disoccupazione dello straniero, ai sensi dell’art. 22, comma 11, del d.lgs. n. 286 del 1998 e dell’art. 37, comma 5, del relativo regolamento di attuazione (d.P.R. n. 394 del 1999). In proposito si deve ricordare che – come già ampiamente chiarito dalla giurisprudenza amministrativa, anche di questa Sezione – il termine di sei mesi ivi indicato deve, per l’appunto, intendersi come termine massimo, e non minimo (ossia, discrezionalmente allungabile), per il godimento del permesso temporaneo (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 2594 del 2007;TAR Piemonte, sez. II, nn. 60 del 2012, 4257 del 2010 e 2244 del 2009). La richiamata circostanza, peraltro, è decisiva anche per escludere che alla ricorrente potesse essere rilasciato un permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo: alla mancanza di lavoro – protrattasi fino al giorno in cui l’amministrazione si è pronunciata sull’istanza di rilascio – è infatti, inevitabilmente, conseguita la mancanza di reddito, con conseguente venir meno di un requisito che la legge (art. 9, comma 1, d.lgs. n. 286 del 1998) impone per il titolo di lungo soggiorno. Né, al riguardo, possono avere alcuna rilevanza le “legittime fonti di reddito” delle quali la ricorrente afferma aver avuto la disponibilità, ossia i propri “risparmi” e gli “aiuti economici del marito”: si tratta, all’evidenza, di voci non verificabili e non stabili tali, quindi, da non integrare quegli elementi di certezza che costituiscono la base indefettibile dell’autonomia economica che la norma esige in capo allo straniero che aspiri alla concessione di un titolo di soggiorno di lunga durata.
Va aggiunto, in proposito, che alcuna rilevanza possono assumere le avverse circostanze riferite nell’atto introduttivo, consistite nella difficile gravidanza portata avanti dalla ricorrente nel periodo di disoccupazione e, soprattutto, nella necessità di prestare cure al figlio minore affetto da malattia: siffatte situazioni, invero, possono determinare – semmai – l’applicazione dell’eccezionale rimedio di cui all’art. 31, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998, consentendo cioè la permanenza in Italia della -ricorrente-, anche in deroga alle norme sulla concessione di un titolo di soggiorno, per esigenze di cura del minore, su autorizzazione del Tribunale per i minorenni. Strumento del quale, peraltro, la ricorrente si è anche già giovata, atteso che – come risulta dagli atti di causa: doc. n. 3, depositato in giudizio il 4 novembre 2011 – il Tribunale per i minorenni di Torino l’ha autorizzata alla permanenza in Italia con provvedimento del 21 giugno 2010, oggetto poi di una nuova istanza di rinnovo datata 27 ottobre 2011.
5.3. Non sono fondati neanche i restanti motivi di gravame.
Non può costituire “nuovo elemento” valutabile, ai sensi dell’art. 5, comma 5, prima parte, del d.lgs. n. 286 del 1998, la circostanza che la -ricorrente- potesse godere del reddito del marito. Si tratta, semmai (a tacer d’altro), di una circostanza già in essere alla data di adozione del provvedimento impugnato e, quindi, sicuramente, già a disposizione dell’autorità procedente.
Né può fondatamente sostenersi la ricorrenza, nella specie, di “motivi umanitari” rilevanti ai sensi dell’art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998. Tali “motivi”, infatti, non possono rinvenirsi nella necessità di prestare cure al figlio minore o in altre necessità familiari (necessità che, come già accennato, possono trovare diverso sostegno nell’ambito del testo unico sull’immigrazione, ad esempio mediante il già citato strumento di cui all’art. 31, comma 3), ma attengono a situazioni di diversa natura, ovvero di carattere politico, sociale, religioso, proprie del Paese di appartenenza dello straniero e che potrebbero determinare, a danno di lui, concreti pericoli di persecuzioni (cfr., tra le tante, TAR Puglia, Lecce, sez. III, n. 1398 del 2008;TAR Toscana, sez. I, n. 97 del 2008;TAR Piemonte, sez. II, n. 2732 del 2010).
Non può poi trovare ingresso, in questa disamina giurisdizionale, la censura sollevata ex art. 10- bis della legge n. 241 del 1990, essendo essa – per come è stata formulata – del tutto generica: la ricorrente non ha, infatti, riferito il contenuto delle proprie controdeduzioni procedimentali (rimaste, asseritamente, senza risposta da parte della Questura) e non ha nemmeno provveduto a depositarle in questo giudizio.
Non è fondata, infine, l’ultima censura, concernente la mancata traduzione in lingua albanese del provvedimento impugnato. Deve, in proposito, rilevarsi che – come sostenuto dall’unanime giurisprudenza amministrativa – la mancata traduzione dei provvedimenti concernenti l'ingresso, il soggiorno o l'espulsione degli stranieri in una lingua a loro conosciuta ovvero quanto meno in lingua inglese, francese o spagnola non costituisce un vizio di legittimità, in quanto la relativa previsione (art. 2, comma 6, d.lgs. n. 286 del 1998) non incide sulla correttezza del potere esercitato, ma è tesa esclusivamente a rendere effettivo il diritto di difesa sancito dall'art. 24 Cost. Per cui tale mancata traduzione non rende nullo o annullabile l'atto assunto dall'Amministrazione, ma in ipotesi legittima la concessione dell'errore scusabile, in caso di ritardo nella proposizione del gravame (cfr., ex multis : TAR Lazio, Roma, sez. I- quater , n. 2028 del 2011;TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, n. 511 del 2011;Cons. Stato, sez. VI, n. 9071 del 2010).
6. In conclusione, il ricorso è integralmente da respingere.
Sono tuttavia ravvisabili giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite.