TAR Torino, sez. II, sentenza 2011-08-01, n. 201100898
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N. 00898/2011 REG.PROV.COLL.
N. 00261/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 261 del 2007, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
RIZZANTE MARIO, PAGLIA GRAZIELLA, in proprio ed in qualità di legali rappresentanti della RIZZANTE S.A.S. DI PAGLIA GRAZIELLA &C., rappresentati e difesi dall'avv. M Y, con domicilio eletto presso M Y in Torino, via Maria Vittoria, 6;
contro
COMUNE DI VALPERGA, rappresentato e difeso dall'avv. G S, con domicilio eletto presso G S in Torino, via Paolo Sacchi, 44;
COMUNE DI FAVRIA,
COMUNE DI SALASSA,
COMUNE DI SAN PONSO;
nei confronti di
MOLINO PEILA S.P.A., rappresentata e difesa dall'avv. Paolo Federico Videtta, con domicilio eletto presso Paolo Federico Videtta in Torino, via Cernaia, 30;
COMUNITA' MONTANA ALTO CANAVESE,
ARPA PIEMONTE,
A.S.L. TO 4, già A.S.L. 9 IVREA;
per l'annullamento
del provvedimento n. 45/06 dell'11 dicembre 2006, comunicato al difensore dei ricorrenti il 29 dicembre 2006 con la lettera del 28 dicembre 2006 n. prot. 6636, con il quale la Commissione edilizia del Comune di Valperga ha espresso parere favorevole alla richiesta della Molino Peila S.p.A. del 9 novembre 2006 di rilascio del permesso di costruire in variante alla d.i.a. del 10 febbraio 2006;
nonché degli altri atti illegittimi, presupposti, preordinati, consequenziali o comunque connessi del procedimento, ed in particolare del nulla osta dell'11 dicembre 2006 dei Comuni di Favria, Salassa e San Ponso all'esecuzione dell'intervento in questione in relazione alla Roggia di Favria, non in possesso dei ricorrenti;
nonchè con i motivi aggiunti depositati in data 8.04.2011, per l'annullamento,
- del permesso di costruire n. 45/06 rilasciato dal Comune di Valperga il 29 settembre 2007 e conosciuto dai ricorrenti il 1° marzo 2011;
- del provvedimento autorizzativo unico dello Sportello Unico per le attività produttive della Comunità Montana Alto Canavese n. 190 dell'11 ottobre 2007 e conosciuto il 1° marzo 2011 e dei relativi allegati conosciuti in pari data: il parere tecnico dell'ARPA Piemonte del 15 febbraio 2007;il Parere igienico sanitario dell'ASL 9 di Ivrea dell'11 maggio 2007;l'Autorizzazione comunale in virtù di sub-delega di funzioni amministrative nelle zone soggette ai disposti del Titolo II del D.Lgs. 490/99 n. 1/2006 dell'8 marzo 2006;
- nonchè di ogni ulteriore atto illegittimo presupposto, preordinato, consequenziale o comunque connessi del procedimento;ivi comprese le Denunce di inizio attività rivolte dalla Molino Peila s.p.a. al Comune di Valperga il 22 luglio 2004 ed il 9 febbraio 2006, pienamente conosciute dai ricorrenti solo il 1 marzo 2011.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune Valperga e di Molino Peila S.p.a.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 luglio 2011 il dott. A M e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. I signori M R e G P sono proprietari di un immobile, sito in Valperga (TO), fraz. Gallenca n. 54, confinante con lotti di proprietà della Molino Peila s.p.a. sui quali sorge uno stabilimento industriale destinato alla produzione ed alla lavorazione dei cereali. Quest’ultimo manufatto, in particolare, sorge in adiacenza alla Roggia di Favria, ossia di un’area sulla quale insiste un consorzio irriguo gestito, in forma associata, dai Comuni di Favria, Salassa e San Ponso.
La Molino Peila s.p.a. ha avviato, sui lotti di sua proprietà, un intervento edilizio qualificato come “adeguamento tecnologico silos”, avente ad oggetto l’integrale demolizione del corpo di fabbrica centrale dello stabilimento e la sua successiva ricostruzione e sopraelevazione fino a 22 metri. A tal fine, essa ha – tra l’altro – presentato domanda di permesso di costruire in variante di precedente d.i.a. al Comune di Valperga il quale, con nota prot. n. 6636, del 28 dicembre 2006, ha comunicato il parere favorevole della Commissione edilizia (n. 45/06 dell’11 dicembre 2006).
Nel parere si legge che l’intervento risulta assentibile, sia pure “ qualora siano verificate le condizioni di cui all’art. 54, comma 4, lettera c), delle Norme tecniche di attuazione del PRGC ”. La commissione ha inoltre espresso parere favorevole “ anche ai fini dell’autorizzazione paesaggistica in subdelega (LR 20/89) ”.
In data 11 dicembre 2006, poi, i Comuni di Favria, Salassa e San Ponso (titolari della gestione in forma associata della Roggia di Favria) hanno rilasciato il nulla osta all’intervento.
Tutti i lavori sono stati eseguiti ed ultimati in data 31 luglio 2008.
2. Con il ricorso in esame i signori Rizzante e Paglia hanno impugnato il suddetto parere favorevole ed il nulla osta comunale all’intervento, chiedendone l’annullamento.
Questi i motivi di gravame sollevati:
1) violazione dell’art. 54, comma 4, lett. c , delle n.t.a.: il manufatto oggetto di intervento si trova in area di classe IIIa di pericolosità geomorfologica, così come classificata nella Carta di sintesi dell’idoneità all’utilizzazione urbanistica del Comune. Per tale classe l’invocato art. 54 delle n.t.a. esclude la possibilità di “nuovi insediamenti”, consentendo unicamente la manutenzione, gli adeguamenti igienico-funzionali, la ristrutturazione e gli ampliamenti funzionali dei manufatti già esistenti: ma l’opera che la controinteressata vorrebbe realizzare sarebbe da qualificare come “nuova costruzione”, quindi non ammissibile nella zona;
2) violazione dell’art. 29 della legge della Regione Piemonte n. 56 del 1977, nonché dell’art. 52 delle n.t.a.: si tratterebbe, infatti, di una nuova edificazione collocata all’interno della fascia di rispetto (di 15 metri) stabilita da tali norme a protezione dei corsi d’acqua;peraltro, anche a voler considerare l’opera come ristrutturazione edilizia (anziché nuova costruzione), essa non sarebbe comunque consentita, posto che l’art. 52 delle n.t.a. consente bensì le ristrutturazioni all’interno delle fasce di rispetto, ma soltanto “senza incrementi volumetrici e di superfici”, condizione nella specie non osservata, essendo prevista la sopraelevazione dell’edificio sino a 22 metri di altezza;
3) incompetenza del Comune per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica: tale autorizzazione sarebbe di competenza regionale, posto che l’art. 13, comma 1, della legge della Regione Piemonte n. 20 del 1989 non prevede l’ipotesi della nuova costruzione fra gli interventi per i quali è conferita la subdelega ai Comuni;
4) violazione degli artt. 10, 20 e 22 del d.P.R. n. 380 del 2001, in quanto la società proprietaria del silos avrebbe dovuto chiedere, sin dall’inizio, il permesso di costruire per realizzare l’adeguamento e l’innalzamento della struttura, anziché procedere mediante una d.i.a. e chiederne successivamente una variante con permesso di costruire;
5) violazione dell’art. 13 della legge regionale n. 56 del 1977, il quale contempla gli interventi ammessi in materia di uso del suolo: quello di “adeguamento tecnologico silos” non è previsto tra gli interventi ammissibili;
6) violazione della legge n. 447 del 1995 e della legge regionale n. 52 del 2000, attuata con d.G.R. 2 febbraio 2004 n. 9-11616, in materia di tutela dell’ambiente dall’inquinamento acustico: la documentazione previsionale di impatto acustico allegata alla domanda di permesso di costruire non sarebbe conforme a quanto prescritto dal punto 4 della d.G.R. 2 febbraio 2004 n. 9-11616.
3. In data 17 aprile 2007 si è costituito in giudizio il Comune di Valperga, in persona del Sindaco pro tempore , depositando documenti (tra i quali, le due d.i.a. presentate in data 22 luglio 2004 e 10 febbraio 2006 dalla controinteressata) e chiedendo il rigetto del ricorso.
L’amministrazione eccepisce, preliminarmente, l’inammissibilità del gravame, essendo quelli impugnati “atti procedimentali e inidonei a vincolare la determinazione conclusiva”.
Si eccepisce, inoltre, la tardività dell’impugnazione. Gli atti oggetto di gravame (e, con essi, la variante in corso d’opera richiesta), infatti, riguarderebbero soltanto la collocazione, sul silos, di pannellature continue anziché finestrate e l’installazione di una scala di sicurezza, ma non anche il complessivo intervento di sopraelevazione della struttura: quest’ultimo era stato oggetto delle due d.i.a. presentate in data 22 luglio 2004 e 10 febbraio 2006, mai impugnate.
Nel merito, il Comune evidenzia che “l’intervento non ha comportato incremento di volume né di superficie, trattandosi di impianto tecnologico non computabile volumetricamente e che ha mantenuto la preesistente superficie”.
4. Con memoria depositata il 14 marzo 2011, i ricorrenti hanno riferito di aver esercitato accesso amministrativo ai documenti presso il Comune in data 1° marzo 2011, venendo così a conoscenza, solo in tale data, del permesso di costruire n. 45/06 che l’amministrazione, a conclusione del procedimento, ha rilasciato alla Molino Peila s.p.a. in data 29 settembre 2007.
5. Con ricorso per motivi aggiunti, depositato in data 8 aprile 2011, i ricorrenti hanno impugnato anche il sopravvenuto permesso di costruire n. 45/06, insieme ad altri atti del procedimento parimenti conosciuti in data 1° marzo 2011, in sede di accesso: tra questi, formano oggetto di gravame anche il provvedimento autorizzativo unico dello Sportello Unico per le Attività Produttive della Comunità Montana “Alto Canavese” (n. 190 dell’11 ottobre 2007) nonché le due d.i.a. rivolte dalla Molino Peila s.p.a. al Comune di Valperga rispettivamente in data 22 luglio 2004 e 9 febbraio 2006.
I motivi aggiunti ripercorrono, nella sostanza, le doglianze già sollevate con il ricorso principale, estendendole anche agli atti di nuova impugnazione.
In particolare, con riferimento alle due d.i.a. presentate, nel 2004 e nel 2006, dalla Molino Peila s.p.a., i ricorrenti sostengono di averne avuto piena conoscenza solo in occasione dell’accesso amministrativo, “quando [...] hanno potuto esaminare le tavole allegate alle denunce”: tavole che invece, in precedenza, il Comune aveva omesso di depositare in giudizio.
6. Si è costituita in giudizio la Molino Peila s.p.a., in persona del proprio legale rappresentante, la quale, con successiva memoria, ha anch’essa eccepito l’inammissibilità del ricorso principale sia perché quelli impugnati sarebbero atti di natura endoprocedimentale sia perché le contestazioni avanzate dai ricorrenti avrebbero dovuto essere dirette, sin dall’inizio, contro le due d.i.a. presentate, nel 2004 e nel 2006, dalla medesima società. Con l’istanza di permesso di costruire in variante, datata 9 novembre 2006, infatti, quest’ultima si sarebbe limitata “a chiedere di poter realizzare sul prospetto prospiciente la proprietà Rizzante Paglia una ‘pannellatura continua’ in luogo di quella ‘finestrata’ (originariamente prevista), nonché una scala antincendio”.
Quanto ai motivi aggiunti, la controinteressata ne sostiene la tardività allorché vengono impugnate, per la prima volta solo in tale sede, le d.i.a. presentate al Comune nel 2004 e nel 2006.
7. Con memoria depositata il 3 giugno 2011 anche il Comune di Valperga ha eccepito la tardività dei motivi aggiunti con riferimento all’impugnazione delle due d.i.a.: ciò, sul presupposto che il termine di impugnazione del titolo edilizio da parte dei terzi che assumano di aver subito pregiudizio dalle costruzioni assentite “decorre dalla piena ed effettiva conoscenza del provvedimento”, non essendo sufficiente, a tal fine, il mero inizio dei lavori, ma occorrendo l’ultimazione di questi. Nella fattispecie, i lavori sono stati ultimati fin dal luglio del 2008, come attestato dalle denunce di conclusione dei lavori depositate in atti.
8. Con memoria depositata in data 16 giugno 2011 è giunta la replica dei ricorrenti, anche sul punto della pretesa tardività dell’impugnazione, con i motivi aggiunti, delle due d.i.a. In proposito, sostengono i ricorrenti che la fattispecie per cui è causa ricadrebbe tra le ipotesi in cui, “anche quando i lavori si siano conclusi, solo il materiale esame delle tavole di progetto permette di individuare la lesione delle norme edilizie”.
9. Alla pubblica udienza del 7 luglio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Con l’impugnativa in esame i ricorrenti – che rivestono la qualità di proprietari frontisti di un manufatto a destinazione industriale di proprietà della società controinteressata – contestano la legittimità delle opere di demolizione e di ricostruzione del silos centrale dello stabilimento, con sua sopraelevazione sino a 22 metri e conseguente notevole incremento della volumetria rispetto al fabbricato preesistente.
Il gravame è articolato in un ricorso principale – mediante il quale sono stati impugnati il parere favorevole della Commissione edilizia ed il nulla osta all’intervento rilasciato dai Comuni limitrofi – ed in motivi aggiunti – aventi ad oggetto il sopravvenuto provvedimento di permesso di costruire “in variante” nonché le originarie dichiarazioni di inizio di attività che la società controinteressata, negli anni 2004 e 2006, aveva indirizzato al competente ufficio comunale.
2. Ai fini di un corretto inquadramento della fattispecie, giova ricostruire i punti di fatto salienti della vicenda.
In data 22 luglio 2004 la società controinteressata ha presentato una prima d.i.a. al Comune (doc. n. 2 dell’amministrazione). Le opere oggetto di denuncia (qualificate come “adeguamento tecnologico silos”) risultano essere descritte, in modo sufficientemente intellegibile, nella relazione di conformità allegata alla d.i.a. e sottoscritta dall’architetto incaricato dott. D B: ivi si legge, infatti, che, in considerazione dell’“ esigenza della committenza di procedere alla sopraelevazione di parte del fabbricato di loro proprietà, in cui trovano ubicazione silos di stoccaggio prodotti sfarinati, al fine di poter installare nuove apparecchiature atte alla produzione di una nuova linea di prodotti ”, è stata prevista la “ sopraelevazione di una manica che attualmente vede la localizzazione di silos circolari a terra [...] che comporterà la trasformazione dell’esistente porzione di fabbricato in una manica che raggiungerà l’altezza dell’attuale molino principale di m. 20,95 [...]. La struttura di copertura della nuova sopraelevazione sarà realizzata in latero-cemento... ”. Non vi può essere, pertanto, nessun dubbio che, già in base a tale documento, si prevedeva la “sopraelevazione” dell’esistente fabbricato, con conseguente sua “trasformazione”, fino a raggiungere l’altezza complessiva di metri 20,95.
In data 10 febbraio 2006 la società controinteressata ha presentato una seconda d.i.a. (doc. n. 3 dell’amministrazione), questa volta in variante della precedente d.i.a. del 22 luglio 2004. La nuova denuncia si era resa necessaria perché – come si legge nell’atto – a seguito di nuovi rilievi “ sono emerse alcune differenze di quota nelle altezze dei fabbricati oggetto di intervento rispetto a quanto indicato negli elaborati grafici allegati ”. Nessun dubbio, pertanto, che la nuova denuncia si collocasse nel medesimo solco di quella precedente, essendo ribadito che oggetto di intervento era l’altezza dei fabbricati industriali.
In data 9 novembre 2006, poi, la società controinteressata ha presentato al Comune domanda di permesso di costruire (doc. n. 4 dell’amministrazione) per l’esecuzione di opere così indicate: “ Variante in corso d’opera alla D.I.A. del 10.02.2006 – Adeguamento Tecnologico Silos ”. Nell’atto è riportata la dichiarazione che le opere da realizzare riguardavano un immobile realizzato e/o modificato in conformità alla d.i.a. del 22 luglio 2004 ed alla d.i.a. del 10 febbraio 2006. La relazione tecnico-illustrativa allegata all’istanza, a firma dell’architetto dott. D B, nel descrivere l’intervento da realizzare, così si esprime: “ La presente variante in corso d’opera nasce dalla decisione della committenza di non realizzare le finestre previste sul fronte est dell’impianto tecnologico attualmente in costruzione, nonché dall’esigenza di inserire una scala di emergenza e sicurezza in carpenteria metallica sul fronte ovest di parte del fabbricato distinto in mappa con il n. 77 del Foglio VI ”. Successivamente, al par. n. 2.1, si specifica che la variante ha ad oggetto “ la chiusura delle finestre previste sul fronte est e l’inserimento di un vano scala di emergenza e sicurezza a servizio dell’impianto automatizzato ”, con l’ulteriore precisazione (rinvenibile al par. n. 4.2.1) che l’intervento previsto sarebbe stato realizzato “ mantenendo invariate altezza e profilo del mulino ”, riguardando esso “ la chiusura delle finestre previste sul fronte est, verso il Canale di Favria, il quale sarà completamente cieco e tamponato da pannelli prefabbricati coibentati con profili metallici ondulati di colore grigio alluminio;risulta, inoltre, opportuno l’inserimento di una scala di emergenza e sicurezza in carpenteria metallica a servizio dei vari piani del molino ”. Nessun dubbio, pertanto, che mediante il nuovo intervento non si sarebbe toccata l’altezza dell’edificio, la quale sarebbe rimasta invariata rispetto a quella indicata nelle precedenti d.i.a., la nuova opera limitandosi solo alla chiusura delle finestre sul fronte est dell’edificio ed all’inserimento della scala di emergenza.
3. Alla luce del contenuto degli atti così ricostruiti, nonché della loro successione temporale, l’impugnazione proposta dai ricorrenti si palesa in parte inammissibile ed in parte irricevibile.
3.1. E’ anzitutto inammissibile il ricorso principale, per due convergenti ragioni.
In primo luogo, con tale ricorso sono stati impugnati atti meramente endoprocedimentali, privi come tali di un’attuale lesività per i ricorrenti. Si tratta, nel dettaglio, del parere favorevole della Commissione edilizia al rilascio del permesso di costruire in variante (permesso che era stato richiesto con l’istanza depositata in Comune il 9 novembre 2006) e del nulla osta dei Comuni limitrofi alla realizzazione delle opere di cui alla medesima istanza. Con tutta evidenza, tali atti non sono quelli finali del procedimento di rilascio del permesso di costruire, essendo essi solo prodromici all’effettivo assenso dell’amministrazione: solo quest’ultimo atto, pertanto, avrebbe potuto comportare – in teoria – la lesione lamentata dai ricorrenti.
In secondo luogo, come emerge dalla ricostruzione del quadro fattuale della vicenda, anche ammettendo che gli atti impugnati potessero considerarsi teoricamente lesivi degli interessi dei ricorrenti, essi non lo sarebbero stati in concreto: ciò perché entrambi afferivano ad un procedimento finalizzato non alla costruzione (previa demolizione) ed all’innalzamento del silos centrale fino a 22 metri, ma unicamente alla realizzazione di opere affatto secondarie (chiusura delle finestre sul fronte est;inserimento della scala di emergenza) che sarebbero accedute all’edificio già esistente. La richiesta di permesso di costruire (a seguito della quale è stato aperto il procedimento nel corso del quale sono stati adottati i due atti impugnati) non riguardava, pertanto, l’innalzamento del corpo centrale della fabbrica fino a 22 metri (ciò di cui si dolgono i ricorrenti), essendo quest’ultimo l’oggetto della precedente d.i.a. presentata in data 22 luglio 2004.
Il vero oggetto di impugnazione, pertanto, doveva essere la d.i.a. del 2004, eventualmente integrata con quella presentata il 2 febbraio 2006.
3.2. Per la stessa ragione, sono inammissibili i motivi aggiunti con i quali è stato impugnato il permesso di costruire n. 45/06 rilasciato dal Comune in data 29 settembre 2007. Con tale atto, infatti, non si è assentito all’innalzamento del silos fino a 22 metri (ciò che costituisce la lesione lamentata dai ricorrenti), ma si sono consentite unicamente le opere di chiusura delle finestre e di inserimento della scala di emergenza.
Anche in questo caso, oggetto di impugnativa dovevano essere le due d.i.a. originariamente presentate dalla società controinteressata, posto che solo con esse si era dato avvio all’opera di demolizione, ricostruzione ed innalzamento del corpo centrale della fabbrica.
3.3. Tali due d.i.a., invero, sono state impugnate con i medesimi motivi aggiunti di ricorso (notificati il 5 aprile 2011).
Tale impugnazione, tuttavia, è manifestamente tardiva, con conseguente irricevibilità dei motivi aggiunti in parte qua .
Vi è da considerare, infatti, che quantomeno in data 17 aprile 2007, ossia nel giorno del loro deposito presso la Segreteria di questo Tribunale, i ricorrenti sono venuti a conoscenza di tali due atti. Né vale replicare, in contrario, che i ricorrenti non potevano ricevere una “piena conoscenza” dell’asserito abuso edilizio in mancanza delle tavole progettuali (le quali non sono state depositate in questo giudizio insieme alle d.i.a., ma sono state da loro conosciute solo all’esito dell’accesso, in data 1° marzo 2011): invero, come è reso evidente da quanto sopra riportato, era ben possibile individuare la reale portata dell’intervento preannunziato anche solo in base alle denunce quali depositate in giudizio dall’amministrazione, essendo all’uopo più che sufficiente la descrizione delle opere fatta dal tecnico nominato dalla società.
Peraltro, i lavori di realizzazione di tutte le opere (sia quelle di demolizione, ricostruzione ed innalzamento, sia quelle secondarie di cui al permesso di costruire) risultano ultimate in data 31 luglio 2008 (come risulta dalle relative denunce di conclusione dei lavori depositate in atti: docc. nn. 14 e 15 dell’amministrazione). Quantomeno, pertanto, è a partire da tale data che può considerarsi iniziato il decorso del termine per impugnare, laddove ci si riferisca a quell’orientamento giurisprudenziale in base al quale è solo con l’ultimazione dei lavori che si concretizza la “piena conoscenza” della lesione. Anche in tale prospettiva, pertanto, i motivi aggiunti sarebbero ugualmente tardivi, posto che nel caso specifico, anche in considerazione del tipo di censure sollevate (concernenti, tra l’altro, l’ubicazione dell’opera in zona di pericolosità geomorfologica ovvero in zona di fascia di rispetto fluviale, circostanze facilmente sperimentabili a prescindere dalla conoscenza delle tavole progettuali), con l’ultimazione delle opere era ben possibile per i ricorrenti avere piena conoscenza di tutti gli aspetti lesivi, poi tradotti nei motivi di censura.
Del resto, i ricorrenti non hanno evidenziato concreti profili in base ai quali si potesse, nel caso specifico, giustificare la possibilità di impugnazione unicamente all’esito della conoscenza delle tavole progettuali conosciute solo in data 1° marzo 2011: ciò, ad indiretta conferma che quelle tavole nulla hanno aggiunto, in realtà, ai dati già conoscibili in base alla mera lettura della relazione tecnica di conformità allegata alla d.i.a. del 2004 (e depositata in giudizio in data 17 aprile 2007).
3.4. Ancora sul profilo della tardività dei motivi aggiunti avverso le due d.i.a., devono confutarsi due ulteriori affermazioni compiute dai ricorrenti nella memoria difensiva da ultimo depositata.
Sotto un primo profilo, non può affatto dirsi che la produzione in giudizio non determina l’effetto sostanziale della conoscenza del documento depositato in capo alla parte ricorrente, ma unicamente la conoscenza c.d. processuale in capo al solo difensore. Al contrario, che la conoscenza sostanziale debba ritenersi estesa anche in capo ai ricorrenti discende dalla stessa ratio dell’istituto dei motivi aggiunti, che è quella – come è noto – di consentire alla parte ricorrente di dedurre censure che si siano potute formulare solo in seguito alla produzione di documenti da parte dell’amministrazione o dei controinteressati (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 5498 del 2005;TAR Liguria, sez. I, n. 479 del 2006;TAR Veneto, sez. I, n. 528 del 2003). Non vale, in proposito, citare il precedente di Cons. Stato, sez. IV, n. 3508 del 2000: in tale fattispecie è stato bensì affermato che la produzione in giudizio non determina l’effetto sostanziale della comunicazione al ricorrente, ma tale produzione era lì avvenuta in un procedimento diverso e la fattispecie, peraltro, riguardava un rimedio esperibile “senza difesa tecnica”.
Sotto un secondo profilo, poi, i ricorrenti mostrano di aderire alla tesi per cui la d.i.a., anche in materia edilizia, non avrebbe natura provvedimentale, consistendo in un atto di natura privata, con la conseguenza che esso non sarebbe un atto impugnabile in sede giurisdizionale e che, quindi, nessun onere di impugnativa delle d.i.a. potrebbe dirsi, nella fattispecie, sussistente. In realtà, dalla natura privata (anziché pubblica) della d.i.a. non può certo derivare l’impossibilità di contestare, in sede giurisdizionale, l’assetto di interessi che ne deriva: il problema, semmai, è di individuare lo strumento giuridico utilizzabile a tal fine. In proposito, è noto il conflitto giurisprudenziale attualmente esistente, oscillandosi tra una soluzione che propugna la tesi della d.i.a. come atto amministrativo (con relativa impugnabilità nell’ordinario termine decadenziale), ed una soluzione che, nella premessa della natura privata dell’atto, consente al terzo di reagire con l’azione di accertamento da considerarsi soggetta al termine decadenziale di sessanta giorni. In ogni caso, tuttavia, una via di tutela giurisdizionale per il terzo è comunque praticabile: con la conseguenza che la sua inerzia è unicamente a lui imputabile e non ad una presunta carenza di sistema.
4. In definitiva, il ricorso principale deve essere dichiarato inammissibile ed i motivi aggiunti devono essere dichiarati in parte inammissibili ed in parte irricevibili.
In considerazione delle questioni trattate, il Collegio tuttavia rinviene giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite.