TAR Roma, sez. 2T, sentenza 2015-01-13, n. 201500411

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2T, sentenza 2015-01-13, n. 201500411
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201500411
Data del deposito : 13 gennaio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02263/2010 REG.RIC.

N. 00411/2015 REG.PROV.COLL.

N. 02263/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2263 del 2010, proposto da:
Società Sea Fishes Srl, in persona del suo legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avv. A P, con domicilio eletto presso Aurelio Gentili in Roma, Via Po, 24;

contro

Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

D.M. 11/08/08 con cui veniva dichiarato lo stato di calamità naturale a seguito delle avversità meteo marine del 13 e 14 febbraio 2007 ed altro;

nonché,

per il risarcimento danni


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 novembre 2014 il cons. Giuseppe Rotondo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il ricorso in esame, la ricorrente (società in liquidazione) chiede che – previa declaratoria di illegittimità degli atti impugnati - sia accertata la responsabilità civile dell’intimata Amministrazione per i danni causatile dall’illegittimo ritardo nella emanazione del provvedimento di riconoscimento dello stato di calamità naturale e del relativo contributo di cui all’art. 14 del D.Lgs n. 154 del 2004 (Fondo di solidarietà nazionale della pesca marittima e dell’acquacoltura).

Premette in fatto che:

-in data 27 marzo 2007, per il tramite della “Lega Pesca”, fu presentata istanza al Ministero delle Politiche Agricole affinché venissero avviate le procedure di cui all’art. 14 del D.Lgs n. 154 del 2004 ed all’art. 23 bis del decreto medesimo, preordinate alla (eventuale) dichiarazione dello stato di calamità naturale a seguito delle avversità meteo marine del 13 e 14 febbraio 2007 nella zona costiera di Palmi (RC);

-a tale data (27 marzo 2007), i criteri e le modalità di liquidazione del contributo di cui al D.Lgs n. 154 del 2004 erano disciplinati dal D.M. 3 marzo 1992 (recante le “Modalità tecniche e criteri relativi alle provvidenze previste dalla legge 5 febbraio 1992, n. 72”, concernente il fondo di solidarietà nazionale della pesca), come modificato dal D.M. 4 agosto 2000;

-l’efficacia del D.M. 3 marzo 1992 veniva a cessare a causa dell’entrata in vigore del D.M. 8 gennaio 2008 che, all’art. 7, modificava in senso restrittivo parametri di liquidazione del contributo di cui all’art. 14 del D.Lgs n. 154 del 2004;

-i criteri di liquidazione previsti in detto ultimo decreto sarebbero stati successivamente ed ulteriormente aggravati e limitati con l’entrata in vigore del D.M. 23 settembre 2009 attraverso l’aggiunta all’art. 7 delle parole: “L’entità dei danni deve essere calcolata in base alla perdita di fatturato dell’impresa considerata rispetto al fatturato medio del triennio precedente l’entrata l’evento dichiarato calamitoso”;

-in data 11 agosto 2008, in spregio al termine di trenta giorni fissato sia dalla normativa a quel tempo ormai subentrata (D.M. 8 gennaio 2008) che di quella previgente (D.M. 3 marzo 1992) per l’emanazione del provvedimento, il Ministero riconosceva lo stato di calamità naturale;

-in data 31 marzo 2009, essa presentava la domanda di concessione del contributo;

-il successivo 5 ottobre, la stessa sollecitava notizie in merito al procedimento;

-in data 2 dicembre 2009 veniva emanato il decreto del Dirigente Generale che riconosceva alla ricorrente la somma di € 72.896,60 per i soli danni alle strutture aziendali.

L’interessata deduce violazione dei termini di conclusione del procedimento, illegittimità diretta e derivata del D.M. 8 agosto 2008, violazione del D.M. 3 marzo 1992, violazione dell’art. 2 della L. n. 241 del 1990.

Si è costituita in giudizio l’Avvocatura dello Stato per resistere al gravame, depositando documentazione.

All’udienza del 12 novembre 2014, la causa è stata trattenuta per la decisione.

Come esposto in premessa, parte ricorrente ha chiesto che, previa declaratoria di illegittimità degli atti impugnati, sia accertata la responsabilità civile da illegittimo ritardo nella emanazione del provvedimento di riconoscimento dello stato di calamità naturale e del relativo contributo di cui all’art. 14 del D.Lgs n. 154 del 2004 (Fondo di solidarietà nazionale della pesca marittima e dell’acquacoltura), con pedissequa condanna dell’Ente al risarcimento dei danni per equivalente.

L’interessata circoscrive la propria pretesa al solo risarcimento del danno per equivalente, sollecitando a tal fine lo scrutinio incidentale di legittimità degli atti impugnati di cui non postula l’annullamento diretto.

In limine , il Collegio ritiene di affermare, ex officio , la competenza territoriale di questo Tribunale.

La controversia in esame impinge atti (da scrutinare incidentalmente ai fini della legittimità) e comportamenti (ritardo provvedimentale che si asserisce fonte di pregiudizio) assolutamente privi di portata generale e tanto meno normativa, né capaci di produrre effetti sull'intero territorio nazionale, bensì che operano in seno al singolo rapporto cui essi afferiscono spiegando i loro effetti diretti nell'esclusivo ambito della circoscrizione territoriale ove quest'ultimo è costituito e si svolge (nella fattispecie: regione Calabria, nella quale l’azienda ha la propria sede legale ed operativa).

L’art. 13, c. 1, secondo periodo del D.Lvo n. 104/2010 - come modificato dal D.Lvo 14 settembre 2012, n. 160 recante “Ulteriori disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, recante codice del processo amministrativo, a norma dell'articolo 44, comma 4, della legge 18 giugno 2009, n. 69” – così recita: “Il tribunale amministrativo regionale è comunque inderogabilmente competente sulle controversie riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti di pubbliche amministrazioni i cui effetti sono limitati all’ambito territoriale della regione in cui il tribunale ha sede”.

La disciplina della competenza (e del rilievo della incompetenza) è, dunque, radicalmente mutata con la normativa sopravvenuta di cui al D.Lgs n. 104 del 2010, che è improntata ai principi della inderogabilità e della rilevabilità anche di ufficio.

Sennonché, il ricorso in esame è stato depositato nella segreteria della Sezione l’11 marzo 2010, ben prima che il codice del rito amministrativo entrasse in vigore.

Si pone, pertanto, una questione di diritto transitorio.

Il problema interpretativo di diritto transitorio o intertemporale, in assenza di disposizioni specifiche nel c.p.a., è stato risolto dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (v. ordinanza 7 marzo 2011, n. 1) alla stregua dell’articolo 11 delle disposizioni del codice civile sulla legge in generale (“La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”).

L’alto Consesso – investito dalla sesta Sezione del C.d.S. ai sensi dell’art. 99 del c.p.a. - ha affermato che la nuova disciplina della competenza ( id est , art. 13 c.p.a.), ivi compresi i modi di rilevabilità di cui all’art. 15 c.p.a., sia applicabile solo ai processi instaurati sotto la sua vigenza, e cioè a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, 16 settembre 2010, dovendosi intendere “instaurati” i ricorsi per i quali a tale data sia intervenuta la prima notifica alle controparti con cui si realizza la “proposizione del ricorso” (cfr sentenza della Corte costituzionale 26 maggio 2005, n. 213).

Ne consegue che, essendo stato notificato il ricorso in esame l’11 marzo 2010, l’odierna controversia può essere decisa dal Tar Lazio a mente della precedente disciplina che, come è noto, prevedeva la rilevabilità solo a istanza di parte dell’incompetenza e con il rispetto di tempi ristretti (regolamento c.d. di tipo preventivo).

Nel merito, come seguono le considerazioni del Collegio.

Parte ricorrente agisce in giudizio per la tutela del proprio diritto a vedersi riconoscere il risarcimento dei danni patiti a causa del ritardo con cui l’Amministrazione resistente ha emanato il provvedimento dichiarativo dello stato di calamità naturale nel territorio di Palmi e provveduto, altresì, alla concessione del contributo del Fondo di solidarietà nazionale della pesca e dell’Acquacoltura di cui all’art. 14, D.Lgs n. 154 del 2004, calcolato in base ai danni subiti alla produzione a causa dell’evento calamitoso.

Essa sostiene che il ritardo nell’accertamento dello stato di calamità abbattutosi in data 13 e 14 febbraio 2007 sul territorio del comune di Palmi, prodromico al riconoscimento dei danni, abbia determinato la sottoposizione della domanda ad un diverso regime di liquidazione del contributo previsto dall’art. 14 del citato decreto.

Tale ritardo, ad avviso della ricorrente, “ha fatto sì che nelle more della emanazione del provvedimento ricognitivo del diritto al contributo, entrasse in vigore il D.M. 8 gennaio 2008 che rendeva impraticabile e di fatto impediva la liquidazione dei danno alla produzione dalla medesima subita, siccome identificati dalla vigente normativa di rango primario”.

In pratica, mentre sotto il vigore della precedente normativa di cui al D.M. 3 marzo 1992 il contributo per i danni veniva riconosciuto sulla più ampia base dei danni alla produzione, il nuovo decreto 8 gennaio 2008 ha, invece, limitato tale riconoscimento alle sole ipotesi di decremento del fatturato comparato con il fatturato del triennio precedente.

Pertanto, se il procedimento di dichiarazione dello stato di calamità, avviato con la richiesta avanzata per il tramite della “Lega Pesca” in data 27 marzo 2007, si fosse concluso tempestivamente nel termine di trenta giorni dall’avvio, il decreto di riconoscimento dell’evento calamitoso sarebbe stato pubblicato entro il 27 aprile 2007.

L’impresa danneggiata avrebbe, poi, avuto trenta giorni di tempo per la presentazione della domanda (art. 3, D.M. 3/3/1992), fino al 27 maggio 2007.

Il provvedimento di liquidazione del contributo, a questo punto, sarebbe stato emanato, a tutto concedere, il 27 agosto 2007 (entro novanta giorni da tale ultima data) in epoca anteriore, quindi, al D.M. 8 gennaio 2008;
ciò che avrebbe comportato, ai sensi dell’articolo unico del D.M. 4 agosto 2000, la liquidazione di un contributo in favore dell’impresa per danni alla produzione pari ad euro 516.456,90 come da relazione tecnica di stima del dr. C.C. alla quale la ricorrente integralmente si riporta a comprova della perdita di produzione pari al 53% in quantità e 63% in termini di valore.

In questi sensi, la quantificazione dei danni subiti dalla società istante per il “mancato rispetto dei termini di legge relativi all’emanazione del provvedimento ai sensi dell’art. 14 del D.Lgs n. 154 del 2004”.

Quanto all’elemento soggettivo della fattispecie illecita, parte ricorrente non ha dubbi nel ritenere che l’intimata Amministrazione versi in “oggettiva e grave colpa, dal momento che dalla presentazione della domanda ha messo il D.M. dichiarativo dello stato di calamità naturale ben 17 mesi dopo (11 agosto 2008) e concluso il procedimento dopo due anni e mezzo.

Il ricorso è infondato.

I termini invocati dalla ricorrente per la conclusione del procedimento dichiarativo dello stato di calamità e di quello conseguente per l’erogazione del contributo, in mancanza di una espressa previsione normativa, non sono perentori, nel senso che non producono, laddove superati, l’automatica violazione del diritto a conseguire il beneficio, bensì appaiono funzionali alla sollecita attivazione delle procedure intese a verificare lo stato di calamità meteo-marina e ad accertarne i danni conseguenti.

Essi, pertanto, debbono essere interpretati alla luce della ratio legis sottesa alla disciplina di settore.

Ciò non significa, beninteso, che quei termini siano privi di rilevanza giuridica;
ma la loro rilevanza consiste in ciò, che qualora il ritardo nella dichiarazione dell’evento calamitoso renda – magari a cagione di sopravvenienze normative - più restrittivi gli accertamenti di competenza, o comunque incerto il loro esito, le conseguenze saranno a carico della parte che vi abbia dato motivo con la propria negligenza ( imputet sibi ...).

Sennonché, questo non si verifica nel caso in esame, giacché gli atti del Ministero dimostrano in modo non equivoco che esso ha svolto utilmente tutte le indagini del caso, e che ha emanato il provvedimento dichiarativo dello stato di calamità senza incorrere in vizi sostanziali.

La cronistoria degli eventi, ricostruibile sulla base della documentazione in atti, dimostra che la ratio della citata normativa - funzionale alla cura in via primaria dell’interesse pubblico all’accertamento dello stato di calamità naturale - non è stata in alcun modo frustrata dal ritardo nella conclusione del procedimento di cui agli artt. 14 e segg. del D.Lgs n. 154 del 2004 sicché esso non appare irragionevole né stigmatizzabile nei termini ritenuti dalla ricorrente.

La società istante, in data 27 marzo 2007, per il tramite della “Lega Pesca” ha chiesto al Ministero che venissero avviate le procedure finalizzate all’accertamento delle (pre)condizioni per gli interventi di cui all’art. 16, c. 2 del D.Lgs 26 maggio 2004, n. 154, per l’eventuale riconoscimento dello stato di calamità, segnalando che nel territorio di Palmi si era verificato l’evento calamitoso meglio descritto in precedenza.

Il Collegio ritiene che in questa fase (anteriore alla fase istruttoria della domanda di erogazione del contributo) la società istante non vantasse alcuna pretesa forte nei confronti dell’Amministrazione, non essendosi ancora inverati i presupposti necessari (accertamento delle condizioni per la sussistenza dell’evento calamitoso) sui quali innestare la domanda di contributo.

L’istruttoria, molto complessa (v. art. 14, 16, 23 bis del D.Lgs n. 154 del 2004), ha richiesto un primo esame della documentazione cui ha fatto seguito la necessità di acquisire ulteriori documenti.

Completata la prima fase istruttoria mediante acquisizione e verifica di tutta la documentazione necessaria, è stato chiesto il prescritto parere (obbligatorio) all’Istituto Centrale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica Applicata al Mare (ICRAM;
oggi ISPRA).

Detto Istituto, a mente del citato decreto, è deputato agli “accertamenti sulla esistenza e sulla rilevanza del fenomeno denunciato”, nonché “sull’incidenza dello stesso sui bilanci economici dell’impresa e delle cooperative della pesca”.

La relazione – con esito di riconosciuta eccezionalità dell’evento - è stata prodotta dall’Istituto in data 11 giugno 2008.

A questo punto, si è inserita nel procedimento la Commissione consultiva centrale della pesca e sull’acquacoltura cui è stato chiesto il parere di competenza sul “riconoscimento di calamità naturale a seguito dell’evento descritto”;
parere reso in senso favorevole nella seduta del 9 luglio 2008.

Ha fatto seguito, in data 11 agosto 2008, il decreto di “dichiarazione dello stato di calamità naturale nelle zone di Palmi a seguito delle avversità metereologi del 13 e 14 febbraio 2007”.

Nella circostanza, il Ministero (v. art. 2 del decreto) ha anche fissato le modalità ed i termini per la prestazione delle istanze per ottenere la concessione del contributo.

Il decreto è stato trasmesso, in data 4 settembre 2008, all’Ufficio Centrale del Bilancio per la registrazione.

Dopo di che, l’Ufficio lo ha trasmesso alla Corte dei Conti per i controlli di competenza prima della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

Il 31 ottobre 2008, la Corte dei Conti ha richiesto documentazione in merito al decreto ministeriale, che le è stata inviata l’ 11 novembre 2008.

Il 29 gennaio 2009 il decreto è stato restituito all’intimata Amministrazione.

Il successivo 6 marzo, lo stesso è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale (comprensivo dei modelli di istanza da presentare per la concessione del contributo).

Il 31 marzo dello stesso anno, la società ricorrente ha presentato la domanda di concessione del contributo.

Il successivo 29 luglio, l’Amministrazione ha richiesto alla società istante la “documentazione contabile che l’ISPRA ha ritenuto di acquisire ai fini di una corretta valutazione della perdita subita” (bilanci degli esercizi 2004 e 2005, essendo già in possesso degli altri).

Il 10 agosto 2009, la ricorrente ha inviato la documentazione.

Pervenuta la documentazione in data 14 agosto 2009, è stato emanato il decreto datato 2 dicembre 2009 con il quale l’Amministrazione ha provveduto ad assumere l’impegno di spesa ed il contestuale pagamento della somma di euro 72.896,60.

Appare evidente, dal breve excursus storico della vicenda sin qui esaminata, che non può essere imputata all’Amministrazione una condotta colpevolmente tardiva nella conclusione del procedimento preordinato alla dichiarazione dello stato di calamità e conseguente erogazione del contributo, a meno di non dedurre apoditticamente tale responsabilità - come sembra prospettare in tesi la ricorrente- dalla violazione meramente formale dei termini procedimentali, di natura non perentoria.

I tempi di gestione del procedimento appaiono plausibili ove tenuto conto della complessità procedurale che ha caratterizzato l’iter di accertamento dell’evento calamitoso, se solo si considera l’elevato numero di passaggi amministrativi cadenzati dalla normativa primaria, il numero di organi consultivi che si sono dovuti pronunciare sul riconoscimento dell’eccezionalità dell’evento, i supplementi istruttori resi necessari dagli approfondimenti e verifiche del caso, le richieste di integrazioni documentali motivate anche da carenze imputabili alla domanda di impulso della procedura, nonché i tempi dei controlli contabili.

Il Collegio ritiene, pertanto, che la dilatazione dei termini non sia imputabile, nella particolarità del caso specifico, ad una condotta negligente dell’Amministrazione trovando essa non irragionevole giustificazione nella complessità dell’istruttoria, tanto più se si considera che il passaggio tecnico che ha allungato i termini è stato, in particolare, quello relativo alla gestione del parere obbligatorio da parte dell’ICRAM, soggetto che peraltro si pone all’esterno del Plesso amministrativo che ha gestito il procedimento de quo.

Deve escludersi, pertanto, che ricorrano nella fattispecie i presupposti della fattispecie illecita ex art. 2043 Cod. civ. non emergendo, nella condotta dell’Amministrazione evocata in giudizio, profili di illegittimità attizia né elementi di dolo o colpa a suo carico alla luce delle regole che informano l’esercizio della funzione amministrativa, tali da fondare l’illegittimità incidentale degli atti e la responsabilità civile dell’amministrazione.

In presenza di un termine ordinatorio, il ritardo contestato all’Amministrazione (da cui sarebbe derivato il pregiudizio a cagione della sopravvenuta, più restrittiva disciplina indennitaria) s’appalesa, alla stregua delle superiori considerazioni, non irragionevole rispetto alla ratio della normativa di settore, tenuto conto delle difficoltà oggettive di carattere procedurale, legate al complesso accertamento dell’evento calamitoso, che hanno posto l’Amministrazione nell’impossibilità di accertare tempestivamente i presupposti per la dichiarazione dello stato di calamità.

Correttamente, ad avviso del Collegio, il Ministero - tempus regit actum - si è determinato sulla domanda di erogazione del contributo sulla base del D.M. 8 gennaio 2008, ratione temporis vigente al momento della dichiarazione dello stato di calamità (11 agosto 2008) e della richiesta di erogazione del contributo (31 marzo 2009). .

Va soggiunto, ad ogni buon fine, che il decreto 8 gennaio 2008 – nell’introdurre un regime più restrittivo - ha fatto pedissequa applicazione dell’orientamento comunitario 2008/C84/06 che limita il “danno alla produzione” di cui all’art. 14 del D.Lgs n. 154 del 2004 alla sola diminuzione del fatturato dell’impresa rispetto al fatturato medio dei tre anni precedenti.

Per quanto sin qui argomentato, il ricorso in esame è infondato e va, perciò, respinto.

Le spese processuali, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

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