TAR Roma, sez. 1Q, sentenza 2012-12-21, n. 201210721

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1Q, sentenza 2012-12-21, n. 201210721
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201210721
Data del deposito : 21 dicembre 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02261/2012 REG.RIC.

N. 10721/2012 REG.PROV.COLL.

N. 02261/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2261 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
E T, rappresentata e difesa dall'avv. M O, con domicilio eletto presso M O in Roma, piazza della Liberta', 20;

contro

Ministero della Giustizia - (D.A.P.), rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

A D S, R A, R C;

per l'annullamento

del decreto datato 17 gennaio 2012 con cui l'amministrazione ha conferito al dirigente penitenziario dott.ssa rita andrenacci, l'incarico di direttore dell'ufficio esecuzione penale esterna del provveditorato regionale per il lazio per la durata di anni tre a decorrere dalla data del presente decreto.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia - (D.A.P.);

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 novembre 2012 il dott. Marco Bignami e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

La ricorrente, dirigente dell’amministrazione penitenziaria nel ruolo “esecuzione penale esterna”, ha impugnato, con un primo ricorso notificato il 15 marzo 2012 e depositato il successivo 28 marzo, tre decreti adottati dal direttore generale del personale, recanti altrettanti conferimenti di incarichi dirigenziali.

In particolare, è stato domandato l’annullamento: a) del decreto 17 gennaio 2012, con cui alla dott. Andreacci è stato assegnato l’incarico di direttore dell’ufficio esecuzione penale esterna del provveditorato per il Lazio per anni tre;
b) del decreto 16 febbraio 2012, con cui alla dott. Spena è stato conferito l’incarico di direttore dell’ufficio di esecuzione penale esterna di Roma e Latina per anni tre;
c) del decreto 20 gennaio 2012, con cui alla dott. Crobu è stato attribuito l’incarico di direttore dell’ufficio II-ufficio per l’attuazione dei provvedimenti di giustizia della direzione generale dell’esecuzione penale esterna per anni tre.

Nelle more del giudizio, la ricorrente, a sua volta, è stata nominata direttore dell’ufficio esecuzione penale esterna di Reggio Calabria per anni tre, ed ha impugnato con motivi aggiunti il relativo decreto del 7 maggio 2012.

Contrariamente a quanto dedotto dall’Avvocatura dello Stato, la connessione vertente tra le domande giustifica l’impugnazione di tale ultimo atto con motivi aggiunti.

Il ricorso principale contesta la legittimità della procedura di conferimento degli incarichi alle controinteressate, alla luce degli artt. 7 e 10 del d.lgl. n. 63 del 2006, recante “l’ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria, a norma della legge 27 luglio 2005, n. 154”.

In particolare, si deduce che l’amministrazione non avrebbe né resa nota ai dirigenti legittimati all’incarico, tra cui la ricorrente, la disponibilità dei posti assegnati, né svolto alcuna procedura comparativa tra gli aventi interesse, in violazione, oltre che delle norme appena richiamate, anche degli artt. 3 e 97 Cost., degli artt. 3 e 7 della l. n. 241 del 1990, e con eccesso di potere.

Posto che la ricorrente dichiara di avere un prioritario interesse al conferimento degli incarichi sopra indicati, e aventi sede nel Lazio, il ricorso recante motivi aggiunti mira a conseguire l’annullamento della nomina presso la sede di Reggio Calabria, anzitutto per invalidità derivata (ricorso, pag. 4, ove si dichiara di riproporre i motivi svolti con l’originaria domanda), ed inoltre per vizi propri.

L’atto impugnato avrebbe infatti erroneamente reputato indisponibili gli incarichi in Roma, per i quali già pendeva il ricorso principale;
avrebbe poi illegittimamente stimato la ricorrente inidonea a ricoprire l’ancora disponibile incarico di direttore dell’ufficio di formazione presso l’istituto superiore di studi penitenziari;
avrebbe indebitamente ritenuto sussistenti ragioni di urgenza, tali da sacrificare ogni valutazione comparativa;
avrebbe omesso di considerare che la ricorrente, benché già assegnata presso gli uffici di Reggio Calabria, fin dal 2004 si trova in posizione di distacco in Roma.

A seguito di istruttoria disposta dal Tribunale fin dalla fase cautelare, è stata confermata la fondatezza in fatto dei rilievi mossi in ricorso, quanto alla domanda principale, pur con il seguente distinguo.

Quanto alla assegnazione dell’incarico di direttore dell’ufficio di esecuzione penale esterna di Roma e Latina, il doc. 1 prodotto dall’amministrazione reca l’invito del Ministero della giustizia ai direttori generali, affinchè la disponibilità del posto fosse comunicata “ a tutti i dirigenti presenti nel distretto di competenza”: tuttavia, la ricorrente non viene contestata in giudizio, quando afferma di non avere avuto alcuna notizia in proposito, né l’amministrazione ha dato prova dell’intervenuta notifica.

Ne segue che deve ritenersi processualmente accertato che la ricorrente non ha avuto contezza della procedura.

Tale conclusione si estende, poi, pacificamente, agli altri due incarichi conferiti, per i quali nulla è noto circa l’eventuale comunicazione della disponibilità agli aventi interesse.

Per quanto attiene alle modalità di conferimento, non vi sono altresì segni di alcuna procedura comparativa tra gli aventi titolo, mentre tutti gli atti impugnati dichiarano di considerare inapplicabile l’art. 10, comma 3, del d.lgl. n. 63 del 2006 (che, nell’ambito della valutazione comparativa, indica i criteri di cui tenere conto), stante la mancata specificazione di essi in apposito decreto di attuazione (nei casi delle dott. Di Spena e Crobu, si aggiunge che ricorre un caso di urgenza, dovendosi al più presto coprire le funzioni oggetto dell’incarico).

Il Tribunale premette che gli incarichi per cui è causa hanno per oggetto funzioni proprie del dirigente dell’esecuzione penale esterna, ai sensi dell’art. 3, comma 1, del d.lgl. n. 63 del 2006: l’accesso a tali funzioni non costituisce l’”apice” della carriera dirigenziale nell’amministrazione penitenziaria, che si consegue, con l’unificazione dei ruoli, accedendo alla dirigenza generale (art. 3, comma 2).

In linea astratta, pertanto, non sussiste alcuna ragione, legata alla natura fiduciaria del rapporto che lega l’organo politico al solo dirigente generale “apicale”, che possa sottrarre i conferimenti di incarichi ai principi, propri dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione, in tema di esercizio motivato della discrezionalità amministrativa di nomina dei pubblici funzionari, secondo apprezzamenti congrui rispetto alla carriera di ciascuno dei potenziali aspiranti.

La sola eccezione a tali principi (che si estendono ora alla dirigenza privatizzata, assumendo portata generale: Cass., n. 21088 del 2010) è stata infatti rinvenuta dalla giurisprudenza con riguardo all’incarico di direttore generale (così, con specifico riferimento all’amministrazione penitenziaria, Tar Lazio, n. 8381 del 2009, confermata da Cons. Stato, sez. IV, n. 2059 del 2001).

Peraltro, è direttamente nel dettato normativo che si trova la regola applicabile al caso di specie: l’art. 7 del d.lgl. n. 63 del 2006 stabilisce infatti che:

1. Il conferimento degli incarichi superiori, quali previsti nella tabella A, nel limite dei posti in organico, avviene mediante valutazione comparativa alla quale sono ammessi i dirigenti penitenziari con almeno nove anni e sei mesi di effettivo servizio senza demerito dall'ingresso in carriera.

2. Con decreto del Ministro, su proposta del Capo del Dipartimento, sono determinati con cadenza triennale, in conformità a quanto previsto dall'articolo 1, comma 1, lettera e) della legge, le categorie dei titoli di servizio ammesse a valutazione con riferimento agli incarichi espletati, alle responsabilità assunte, nonche' ai percorsi formativi seguiti, i punteggi da attribuire alle stesse, il periodo temporale di riferimento per la valutabilità dei titoli, nonche' il coefficiente minimo di idoneità all'incarico che comunque non può essere fissato in misura inferiore alla metà del punteggio complessivo massimo previsto per tutte le categorie dei titoli. Non sono ammessi alla valutazione i funzionari che nei tre anni precedenti hanno riportato la sanzione disciplinare superiore alla censura di cui all'articolo 78 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, o, nel giudizio di valutazione annuale di cui all'articolo 13, comma 3, un punteggio inferiore a sessanta centesimi.

3. La commissione prevista dall'articolo 14, sulla base dei criteri determinati ai sensi del comma 2, individua i funzionari idonei al conferimento degli incarichi superiori ed informa il direttore generale del personale e della formazione per l'emissione del provvedimento di conferimento dell'incarico.

Ora, tutti gli incarichi conferiti dagli atti impugnati esulano dalla dirigenza generale e sono ricompresi nella tabella A, sub IV, sicchè ne è certa la soggezione alla previsione di cui al citato art. 7, comma 1, relativo all’obbligo di conferirli, previa valutazione comparativa.

Corollario dell’art. 7 è il successivo art. 10, il cui comma 5 obbliga a comunicare agli aventi titolo i posti disponibili, perché essi li richiedano, mentre il comma 3 specifica i criteri valutativi nei seguenti termini.

3. Il conferimento degli incarichi si compie in applicazione dei seguenti criteri:

a) risultati conseguiti nei programmi e negli obiettivi precedentemente assegnati;

b) attitudini e capacità professionali del funzionario;

c) natura e caratteristica degli obiettivi da conseguire.

Come si è visto, è acclarato che l’amministrazione non abbia né comunicato alla ricorrente la disponibilità degli incarichi presso le sedi laziali, né svolto alcuna procedura comparativa di valutazione degli aspiranti.

La linea di difesa della parte pubblica, a tal proposito, muove dal rilievo secondo cui gli artt. 7 e 10 sarebbero inapplicabili, fino a quando non siano sopraggiunti i decreti che rendano fattibile la procedura comparativa: si tratterebbe, in particolare, del decreto ministeriale indicato dall’art. 7, comma 2, finalizzato ad indicare i titoli valutabili, i punteggi da attribuire, anche con riferimento al “coefficiente minimo” richiesto, il periodo temporale cui la valutazione deve estendersi. Solo sulla base di quest’ultimo, potrebbe essere convocata la commissione di valutazione prevista dall’art. 14 per il conferimento degli incarichi superiori.

Tuttavia, tale ragionamento conduce alla completa paralisi non solo delle regole, ma anche dei principi che sono stati somministrati dal legislatore ai fini in questione, per effetto dell’inerzia colpevole della pubblica amministrazione nel conferire la dovuta attuazione alla legge.

È dunque direttamente il principio costituzionale di legalità, anche nell’accezione minimale di primazia nel sistema delle fonti della legge rispetto agli atti del potere esecutivo, ad imporre, ogni volta che sia possibile, interpretazioni orientate a scongiurare un simile effetto, a favore della piena espansione delle norme primarie.

Certamente, possono esservi casi in cui l’intreccio tra legge e regolamento è così profondo, che, per volontà stessa del legislatore, l’efficacia della prima è subordinata all’adozione del secondo: si tratta, però, di ipotesi residuali, la cui ricorrenza è esclusa ogni qual volta la legge abbia formulato principi, la cui attuazione, in difetto della fonte secondaria, si possa ugualmente conseguire applicando regole generali dell’azione amministrativa, ad essi conformi.

Tale è il caso di specie: una volta affermato il principio secondo cui gli incarichi dirigenziali sono soggetti a procedura comparativa, ed in attesa delle ulteriori specificazioni di carattere secondario, non si vedono ostacoli a procedere, sulla base delle regole generali proprie del procedimento amministrativo, ad una valutazione comparativa, e dagli esiti congruamente motivati, che dia conto delle ragioni per cui un certo candidato è stato preferito ad altri aspiranti, nel’esercizio della discrezionalità amministrativa.

Si tratta, in altri termini, di attuare nel caso concreto moduli che sono fisiologicamente propri della pubblica amministrazione, e che si risolvono, in definitiva, nell’obbligo di informare della disponibilità del posto chi abbia titolo per ambirvi, e nell’obbligo di esplicitare le ragioni per cui, all’esito del giudizio comparativo, si è optato per l’uno, anziché per l’altro candidato.

Peraltro, gran parte della procedura in questione trova una base già immediatamente efficace nella legge: l’art. 14 consente fin d’ora la nomina della commissione di valutazione;
l’art. 10, comma 5, già prescrive l’obbligo comunicativo, cui l’amministrazione, anche in assenza del decreto del capo del dipartimento ivi previsto, può certo assolvere nelle forme ordinarie;
soprattutto, l’art. 10, comma 3, somministra altresì i criteri generali cui sarà necessario attenersi a fini valutativi, specificando i profili su cui deve concentrarsi l’attenzione dei commissari.

Va aggiunto, per estremo scrupolo, che nessun rilievo ha poi la mancata emanazione del d.P.R. indicato dall’art. 20, comma 2, del d.lgl. n. 63 del 2006, di ricezione dell’accordo di contrattazione collettiva vertente sulle materie elencate dall’art. 22, tra le quali non compaiono le procedure di conferimento degli incarichi dirigenziali: esse sono, infatti, integralmente descritte dal capo precedente della legge (Cons. Stato, sez. IV, n. 5044 del 2012).

Va conseguentemente affermato il principio di diritto, secondo cui i conferimenti degli incarichi dirigenziali previsti dall’art. 7 del d.lgl. n. 63 del 2006 debbono essere eseguiti all’esito di un’adeguata procedura valutativa di comparazione tra i candidati legittimati che ne abbiano fatto richiesta, pur nelle more dell’approvazione dei decreti previsti dall’art. 7, comma 2, e 10, comma 5.

Né l’eventuale urgenza nell’assegnare l’incarico può giustificare, sul piano della legittimità, nomine eseguite, con effetti definitivi, in violazione della procedura stabilita dalla legge.

Di conseguenza, gli atti impugnati con il ricorso principale, che si sono discostati dai parametri di legalità appena indicati, vanno annullati. Ne deriva l’illegittimità del conferimento di incarico eseguito a favore della ricorrente, e censurato con motivi aggiunti: esso si fonda, infatti, sul presupposto, oramai venuto meno, per cui non fossero disponibili gli incarichi, aventi sede nel Lazio, cui ella ha dichiarato di ambire.

Una volta annullati gli atti relativi a siffatte posizioni, si riespande l’interesse legittimo della ricorrente a proporre domanda, e ad essere valutata, anzitutto con riguardo agli incarichi illegittimamente sottratti alla procedura comparativa di valutazione.

Restano assorbite le ulteriori censure indirizzate contro l’atto impugnato con motivi aggiunti.

Le spese tra ricorrente ed amministrazione seguono la soccombenza e si liquidano in euro 2500,00, oltre accessori di legge, mentre, in ragione dell’imputabilità alla sola amministrazione dei fatti, meritano di essere compensate quelle tra ricorrente e controinteressate.

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