TAR Roma, sez. 1T, sentenza 2022-07-26, n. 202210636
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
Pubblicato il 26/07/2022
N. 10636/2022 REG.PROV.COLL.
N. 01313/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1313 del 2016, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato F S, domiciliato presso la Segreteria del TAR Lazio in Roma, via Flaminia, 189;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
del decreto del Ministero dell’Interno del 29 settembre 2015 con il quale viene respinta l’istanza, presentata in data 22 novembre 2012, di concessione della cittadinanza ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f) della legge 91/92;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 luglio 2022 il cons. Anna Maria Verlengia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso, notificato il 18 gennaio 2016 e depositato il successivo 2 febbraio, il cittadino indiano, sig. -OMISSIS-, impugna il decreto del 29 settembre 2015 con il quale il Ministero dell’interno ha respinto la richiesta di cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f) della legge 91/92.
Avverso il provvedimento gravato il ricorrente articola il seguente motivo di doglianza:
- eccesso di potere per carenza di istruttoria e/o erronea interpretazione dei fatti, per avere fondato il diniego su di un'unica risalente condanna per il reato di cui all’art. 469 c.p. per fatti commessi nel 1998, non rientranti nelle fattispecie di cui all’art. 6 della legge 91/92.
Il 16 febbraio 2016 il Ministero dell’Interno si è costituito con atto di rito.
Il 12 maggio 2022 il ricorrente deposita una memoria con cui insiste nelle proprie difese.
Con note del 13 luglio 2022 il ricorrente chiede il passaggio in decisione senza discussione orale.
Il 18 luglio 2022 il Ministero dell’Interno ha depositato documenti.
All’udienza del 19 luglio 2022 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Ai sensi dell’articolo 9 comma 1 lettera d) della legge n. 91 del 1992, la cittadinanza italiana “può” essere concessa allo straniero che risieda legalmente da almeno quattro anni nel territorio della Repubblica.
L’utilizzo dell’espressione evidenziata sta ad indicare che la residenza nel territorio per il periodo minimo indicato è solo un presupposto per proporre la domanda a cui segue “una valutazione ampiamente discrezionale sulle ragioni che inducono lo straniero a chiedere la nazionalità italiana e delle sue possibilità di rispettare i doveri che derivano dall'appartenenza alla comunità nazionale” (v. Consiglio di Stato, sez. IV, 16 settembre 1999, n. 1474 e, tra le tante, da ultimo, CdS sez. III 23/07/2018 n. 4447/2018).
Il conferimento dello status civitatis, cui è collegata una capacità giuridica speciale, si traduce in un apprezzamento di opportunità sulla base di un complesso di circostanze, atte a dimostrare l'integrazione del richiedente nel tessuto sociale, sotto il profilo delle condizioni lavorative, economiche, familiari e di irreprensibilità della condotta (Consiglio di Stato sez. VI, 9 novembre 2011, n. 5913;n. 52 del 10 gennaio 2011;Tar Lazio, sez. II quater, n. 3547 del 18 aprile 2012).
L’interesse pubblico sotteso al provvedimento di concessione della particolare capacità giuridica, connessa allo status di cittadino, impone che si valutino, anche sotto il profilo indiziario, le prospettive di ottimale inserimento del soggetto interessato nel contesto sociale del Paese ospitante (Tar Lazio, sez. II quater, n. 5565 del 4 giugno 2013), atteso che, lungi dal costituire per il richiedente una sorta di diritto che il Paese deve necessariamente e automaticamente riconoscergli ove riscontri la sussistenza di determinati requisiti e l'assenza di fattori ostativi – rappresenta il frutto di una meticolosa ponderazione di ogni elemento utile al fine di valutare la sussistenza di un concreto interesse pubblico ad accogliere stabilmente all'interno dello Stato comunità un nuovo componente e dell'attitudine dello stesso ad assumersene anche tutti i doveri ed oneri (cfr., sul principi ex multis, Cons. St. n.798 del 1999).
Tale valutazione discrezionale può essere sindacata in questa sede nei ristretti ambiti del controllo estrinseco e formale;il sindacato del giudice non può dunque spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell'esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole (Consiglio di Stato sez. VI, 9 novembre 2011, n. 5913;Tar Lazio II quater n. 5665 del 19 giugno 2012).
Nella motivazione del provvedimento, si rappresenta che il ricorrente:
- ha riportato una condanna con sentenza emessa in data 11 aprile 2003 dal Tribunale di Reggio Calabria, irrevocabile dal 18 ottobre 2003, per violazione degli artt. 469 e 62 bis c.p. (contraffazione delle impronte di una pubblica autenticazione);
- è stato segnalato in data 3 marzo 2014 da Stazione dei Carbinieri di Pralboino (BS) per l’art. 12, comma 3, d.lgs. del 25 luglio 1998, n. 286 per favoreggiamento dell’ingresso clandestino o irregolare aggravato;
- in data 9 ottobre 2005 da CP Nucleo Operativo radio Mobile di Verolanuova (BS) per lesioni personali (art. 582 c.p.) e rissa (art. 588);
- in data 10 maggio 2000 da Ufficio Stranieri – RC per truffa ex art. 604 c.p. e per falsità in atti.
La scarsa adesione alle regole di pacifica convivenza ed ai principi essenziali dell’ordinamento è comprovata dalla reiterata violazione di norme di condotta di rilevanza penale e successivamente da una condanna definitiva.
Le suddette circostanze, evidenziate dall’amministrazione, ben possono essere poste alla base di un giudizio prognostico non favorevole, in quanto segnalano una mancata integrazione e volontà di adesione alle regole che informano la vita sociale dello Stato di cui l’istante chiede la cittadinanza.
Vero è che le notizie di reato conseguenti all’unica condanna definitiva alla data in cui è stato adottato il provvedimento non avevano dato luogo a sentenze di condanna, tuttavia, il comportamento tenuto, che comprende reati sia della stessa specie di quelli per i quali è stato condannato in via definitiva, sia reati con violenza contro le persone, sono stati commessi in un arco che rientra nel decennio anteriore alla domanda ed il loro numero è un indizio di mancata adesione all’ordinamento di cui si chiede lo status oltre a non consentire un giudizio prognostico favorevole sul richiedente lo status.
Agli illeciti citati si aggiunga la dichiarazione non veritiera in ordine ai precedenti penali fatta in sede di domanda che, in applicazione dell’art. 75 dpr 445/2000, avrebbe giustificato ex sé la declaratoria di inammissibilità della domanda stessa, potendo dare luogo ad un altro procedimento penale.
Si evidenzia che è onere del richiedente la concessione dello status civitatis essere minimamente edotto sulle regole che governano l’inserimento stabile nella comunità e dare prova di conoscerne i principi di lealtà e legalità che informano l’ordinamento dello Stato di elezione e che costituiscono, al tempo stesso, presupposto per la concessione dello status.
E’ peraltro significativo, e l’Amministrazione lo ha valutato, per quanto si evince dalla lettura del provvedimento, che il ricorrente non abbia compreso la gravità della condotta tenuta, ed abbia, conseguentemente, omesso di dichiarare l’esistenza di una condanna definitiva e diversi procedimenti pendenti, fornendo una falsa dichiarazione, così avvalorando il giudizio di insufficiente adesione ai valori dell’ordinamento del Paese di cui chiede lo status civitatis.
Il Ministero, pertanto, con valutazione insindacabile in questa sede, poiché non affetta da manifesta illogicità o travisamento, ha ritenuto che non sussistesse l’interesse dello Stato alla concessione della cittadinanza, non potendo escludersi che dalla suddetta concessione derivi un danno o un nocumento per la comunità.
Il giudizio, formulato dall’Amministrazione e posto legittimamente a base del diniego, non necessariamente deve integrare una valutazione di pericolosità sociale, che per lo straniero avrebbe ben altre conseguenze, consistenti nella revoca del titolo di soggiorno, ma è sufficiente che l’amministrazione motivi in ordine alla presenza di elementi idonei a non escludere che l’inserimento del richiedente possa recare danno alla collettività nazionale.
Non pertinente è poi il riferimento alle condanne ostative di cui all’art. 6 della legge 91/92 in quanto la previsione invocata si applica alla diversa ipotesi dell’acquisto della cittadinanza ai sensi dell’art. 5 della legge 91/92 e non della concessione del titolo per naturalizzazione (così, ex multis, Tar Lazio, sez. I ter, sentenza n. 1286 del 30/01/2020).
Quanto alla regolare permanenza sul territorio ed allo svolgimento di attività lavorativa, si osserva che ciò rappresenta solo prerequisito per potere presentare domanda di cittadinanza, non merito speciale.
Ciò osservato, il provvedimento appare adeguatamente motivato e scevro dalle dedotte censure, con conseguente reiezione del ricorso, poiché infondato.
La documentazione da ultimo depositata e riferita ad attività successive all’adozione del decreto impugnato non sono rilevanti, in ossequio al principio del tempus regit actum , configurandosi solo come documentazione utile ad una nuova domanda, ma inidonei ad incidere sul provvedimento gravato.
A tale riguardo si evidenzia che il ricorrente non ha fornito prova dell’esistenza dei requisiti reddituali alla data in cui è stato adottato il provvedimento, con il quale è stato negato lo status sulla base di altri presupposti.
Per quanto osservato il ricorso va respinto, poiché infondato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.