TAR Roma, sez. II, sentenza 2019-03-26, n. 201904014

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. II, sentenza 2019-03-26, n. 201904014
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201904014
Data del deposito : 26 marzo 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/03/2019

N. 04014/2019 REG.PROV.COLL.

N. 01785/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1785 del 2016, proposto dal Dott. A M, rappresentato e difeso dall'avvocato C R, con domicilio digitale ex art. 25 cpa ed in Roma, viale delle Milizie, 9;

contro

Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero della Giustizia e Presidenza della Repubblica, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex art. 25 cpa ed in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

R P, non costituito in giudizio;

per la declaratoria di illegittimità

delle delibere del Consiglio di Presidenza di Giustizia Amministrativa n. 24/2015 e 27/2015 della IV commissione e del plenum del 25/09/2015 e per il risarcimento del danno conseguente all’illegittimo operato amministrativo.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa e di Presidenza del Consiglio dei Ministri e di Ministero della Giustizia e di Presidenza della Repubblica;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 dicembre 2018 il dott. F M T e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.Il ricorrente, magistrato amministrativo in servizio dal 1982 e all’epoca dell’instaurazione del giudizio in servizio presso il Consiglio di Stato con la qualifica di consigliere, agisce al fine di vedersi risarcito il danno subito per effetto di una dedotta illegittima attività amministrativa posta in essere dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa (di seguito solo Consiglio di Presidenza ovvero Consiglio), il quale, in relazione alla domanda dall’istante stesso presentata per il conferimento delle funzioni di presidente di TAR, lo avrebbe ingiustamente pretermesso all’esito di una erronea valutazione.

In particolare, deduce il ricorrente che sarebbe stato previsto che, per i posti che si sarebbero resi vacanti a partire dalla data di esecutività della delibera n. 99/14, non potessero essere nominati alle qualifiche di Presidente di Sezione del Consiglio di Stato o Presidente di TAR, i Consiglieri di Stato e i Consiglieri di Tribunale Amministrativo Regionale il cui residuo periodo di permanenza in servizio, fino al collocamento a riposo per sopraggiunti limiti di età, fosse inferiore ad anni tre (in via assoluta e senza predeterminazione di criteri).

Ricorda l’istante che il Consiglio di Presidenza, nella seduta del 31 novembre 2014, dopo aver richiamato quanto previsto dall’art. 2 comma 3 DL n. 90/2014, convertito con modifiche nella legge 11 agosto 2014 n. 114, relativo ai magistrati ordinari e considerato che tali norme non si applicano ai magistrati amministrativi, aveva deciso di estendere in via analogica tale disciplina nei confronti di questi ultimi ai sensi dell’art. 52 D.Lgs n. 160/2006.

Ciò è stato motivato, prosegue il ricorrente nell’atto introduttivo, con la finalità di definire un vincolo anche per il futuro esercizio della discrezionalità che valesse ad introdurre un criterio certo ed omogeneo, “al fine di esercitare con modalità uniformi e trasparenti il criterio discrezionale che il 5° comma del citato art. 21 (legge n. 186/1982) attribuisce a questo Consiglio di Presidenza per definire una volta per tutte le regole da applicare ai casi concreti”.

Il citato quinto comma dispone che la nomina a Presidente di Sezione del Consiglio di Stato o di Presidente di TAR “può non essere disposta nei confronti di magistrati il cui periodo di permanenza in servizio, fino al collocamento a riposo per raggiunti limiti di età, sia inferiore a tre anni dalla data di conferimento dell’incarico”.

Deduce l’istante inoltre che la delibera non avrebbe previsto né un regime transitorio né “un regime temporale e graduato” di applicazione della nuova regolamentazione, sull’errato presupposto che ciò avrebbe altrimenti causato un effetto discriminatorio apportando benefici a pochi magistrati peraltro “facilmente individuabili”.

Lamenta il ricorrente che non sarebbero stati posti criteri idonei a definire un vincolo anche per il futuro esercizio di tale discrezionalità, tale da introdurre un criterio certo ed omogeneo;
tanto è vero che le successive nomine a Presidente sarebbero state fondate solo sul criterio del tempo residuo di permanenza in servizio del magistrato, mentre la norma di legge imporrebbe una specifica motivazione per la mancata nomina alle funzioni direttive di magistrati mancanti del requisito dei tre anni di servizio.

Motivazione che sarebbe stata vieppiù necessaria proprio considerando la differente natura e dimensione dei vari TAR, dei quali taluni hanno necessità organizzative meno pressanti rispetto ad altri, onde sarebbe pur possibile nominare a Presidente anche colui il quale abbia anche un periodo di permanenza più breve di tre anni.

Assume altresì che la ragionevolezza di tale ultima impostazione sarebbe stata peraltro confermata dallo stesso Consiglio di Stato, il quale ha accolto il ricorso proposto da altro Consigliere, escluso dalla presidenza del TAR Trentino Alto Adige.

In tale occasione il Giudice di appello aveva rilevato come la delibera citata attribuiva al Consiglio di Presidenza sì una facoltà discrezionale, ma da esercitarsi in concreto e caso per caso, in relazione alle esigenze organizzative della sede da assegnare, alle condizioni soggettive dello scrutinato e alla durata del residuo periodo di servizio (vedi ordinanza n. 832/2015 la cui motivazione è trascritta in ricorso).

Conseguentemente, lo stesso Consiglio di Presidenza, in sede di riesame della mancata nomina del citato consigliere (al quale come detto era stata negata originariamente la presidenza del TAR Trentino Alto Adige), aveva rilevato che nel caso allora in esame doveva tenersi conto della ridotta dimensione organizzativa del Tribunale monosezionale, connotato anche da carichi di lavoro non particolarmente gravosi, dal che si poteva inferire che poteva superarsi la prassi recente che imponeva una permanenza minima in sede di tre anni (evidentemente non funzionale né necessaria al corretto funzionamento di un ufficio giudiziario quale quello di Trento).

Tale proposta veniva peraltro respinta dal Plenum, con motivazione stigmatizzata dal ricorrente, in quanto incentrata sulla ritenuta complessità dell’incarico siccome contemplante asserite ulteriori funzioni di interlocuzione con gli organi politici della Regione a statuto speciale (oltre a quelle specifiche intestate al presidente di TAR).

Ricorda infine l’istante la confusione e la fluidità interpretativa che avrebbe caratterizzato l’operato del Consiglio di Presidenza, laddove, con riferimento alla nomina di altro magistrato a Presidente della Sezione Staccata di Lecce, avrebbe ritenuto non rilevante la mancanza del requisito della permanenza minima in servizio di due anni (stabilito per le Sezioni staccate), ammettendo così la scrutinabilità della domanda per una sede che, pur staccata, avrebbe un ambito territoriale e necessità organizzative non indifferenti.

Ne ritrae il ricorrente una sostanziale situazione di “abuso del potere” in cui sarebbe incorso il Consiglio di Presidenza, il quale avrebbe sostanzialmente continuato ad utilizzare, nel trattare le domande di nomina a funzioni direttive, motivazioni fittizie e strumentali, palesatesi con tutta evidenza anche con riferimento all’istanza presentata dall’esponente.

L’istante articola i seguenti motivi di diritto, dai quali si evincerebbe l’illegittimità degli indicati atti del Consiglio di Presidenza:

- Violazione e falsa applicazione art. 21 legge 186/82. Violazione e falsa applicazione art. 3 legge 241/90. Violazione art. 97 Cost. - Eccesso di potere sotto il profilo di difetto di motivazione, illogicità, incongruità, irragionevolezza, falsità dei presupposti, difetto di istruttoria, sviamento.

Lamenta, in particolare, il ricorrente che, avendo presentato in data 23 giugno 2015 domanda per le presidenze delle Regioni Umbria, Abruzzo, Emilia Romagna, Liguria, Marche, Molise, Basilicata e Calabria, il Consiglio avrebbe disatteso la legittima istanza proposta, a mezzo delle gravate delibere della Commissione n. 24 del 2 luglio 2015 e n. 27 del 7 settembre 2015 nonché del Plenum del 25 settembre 2015.

Contesta in via preliminare di non essere stato per nulla scrutinato dal Plenum per la presidenza del TAR Liguria e del TAR Calabria, dal che già un primo profilo di illegittimità.

Contesta in secondo luogo che il Plenum avrebbe respinto le sue richieste di presidenza del TAR Umbria, Molise e Basilicata esclusivamente per la mancanza del requisito del residuo servizio di tre anni, il quale tuttavia, come già rilevato, non sarebbe da solo sufficiente, soprattutto dato il carattere monosezionale dei citati TAR e dunque le loro non rilevanti esigenze organizzative.

Ricorda che anche prima dell’approvazione della delibera n. 99/2014, il Consiglio aveva addirittura conferito incarichi direttivi anche per periodi largamente inferiori al triennio e non solo per presidenze di piccoli Tribunali ma anche di grandi sedi di TAR.

Né potrebbero valere le “pseudo motivazioni” poste a fondamento del diniego, secondo cui il ricorrente non avrebbe mai conseguito la qualifica di Presidente di TAR né quella di Presidente di Sezione del Consiglio di Stato (la pretestuosità della motivazione si evincerebbe anche dal fatto che il ricorrente, avendo optato per il passaggio al Consiglio di Stato non avrebbe mai potuto chiedere la presidenza di una Sezione interna o di una Sezione staccata dei TT.AA.RR. né avrebbe mai potuto conseguire la Presidenza di Sezione del Consiglio di Stato, essendo stata la sua anzianità azzerata in questo ruolo).

Lamenta ancora che anche il collega poi nominato alla presidenza del TAR Umbria versava, a ben vedere, nella sua stessa situazione e che dunque l’unico motivo posto a base del diniego sarebbe stata proprio la meccanica applicazione del criterio basato sul difetto del servizio residuo triennale (ossia proprio quel criterio che il Consiglio di Stato aveva reputato di per sè solo insufficiente per giustificare il diniego del conferimento della presidenza di TAR monosezionali).

Alla illegittimità delle delibere citate si aggiungerebbe, al fine di integrare i presupposti della fattispecie di responsabilità, anche la colpa dell’amministrazione.

Il Consiglio di Presidenza, pur composto da magistrati di alto profilo professionale, avrebbe disatteso i dettami contenuti dell’ordinanza n. 832/2015 del Consiglio di Stato, non avrebbe adottato criteri e parametri onde regolare l’esercizio della futura discrezionalità.

Evidente sarebbe l’illiceità della condotta amministrativa, laddove all’istante sarebbero state negate le chieste presidenze per i TT.AA.RR. monosezionali Umbria, Molise e Basilicata;
il tutto con motivazione apparente.

Lamenta infine che la condotta del Consiglio di Presidenza sarebbe stata dettata non da corrette valutazioni giuridiche o organizzative, bensì da “pressioni sindacali”, volte a favorire le nuove generazioni di magistrati a scapito degli anziani.

Così configurata la responsabilità dell’intimata amministrazione, il ricorrente espone di aver riportato il danno non patrimoniale rappresentato in atti (sia sotto il profilo del danno biologico, sia sotto il profilo del danno morale ovvero esistenziale, per non aver potuto acquisire una posizione di prestigio a cui ambiva);
il tutto come meglio illustrato in ricorso e supportato anche da documentazione medica.

Insiste dunque per la condanna dell’amministrazione a risarcire il danno subito, equitativamente determinato nella somma complessiva di € 150.000,00.

Si sono costituiti la Presidenza della Repubblica e il Ministero della Giustizia, contestando il ricorso ed eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva.

Si è altresì costituito il Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, controdeducendo ed instando per il rigetto del ricorso.

La causa è stata discussa e trattenuta in decisione all’udienza del 19 dicembre 2018.

2. Tanto premesso in fatto, deve essere preliminarmente dichiarato il difetto di legittimazione passiva della Presidenza della Repubblica e del Ministero della Giustizia, in quanto non coinvolti nel procedimento dal quale sono derivate le delibere tacciate di illegittimità.

3. Ciò chiarito, rileva il Collegio l’infondatezza della domanda risarcitoria proposta.

Il ricorrente contesta la legittimità delle delibere gravate e ne deduce l’illegittimità a fini risarcitori ai sensi dell’articolo 30 comma 3 cpa, non avendo optato per la tutela caducatoria autonoma.

In particolare, come esposto in fatto, l’istante lamenta che il Consiglio:

- per un verso, non avrebbe per nulla scrutinato la sua domanda di presidenza per il Tar Liguria e per il Tar Calabria;

- per altro verso, avrebbe respinto la domanda per le sedi del Tar Umbria, Molise e Basilicata, solamente facendo leva sulla mancanza del residuo servizio triennale, criterio, tuttavia, che, per quanto già rilevato, non potrebbe essere di per sè solo decisivo sotto il profilo della sufficienza motivazionale per denegare le ambite presidenze di Tar, posto che trattavasi di sedi monosezionali non connotate da rilevanti esigenze organizzative nonché di continuità di gestione (a tal riguardo le due motivazioni poste a fondamento del diniego si atteggerebbero a mero simulacro di motivazione, soprattutto laddove si deduce che l’istante non avrebbe mai conseguito la qualifica di presidente di TAR né quella di presidente di sezione del Consiglio di Stato).

4. Orbene, il Collegio reputa illegittime le delibere impugnate, per vizio di omessa motivazione, solo con riferimento alla negata nomina a presidente per il TAR Marche, il TAR Basilicata ed il TAR Molise.

Ed invero dalla lettura dei verbali del 2 luglio 2015 e del 7 settembre 2015 della IV Commissione nonché dall’esame del verbale del plenum del 25 settembre 2015 emerge che per le presidenze dei TT.AA.RR. Umbria, Abruzzo, Emilia Romagna e Liguria, il Consiglio ha congruamente motivato la mancata nomina del ricorrente alle relative presidenze.

Il Consiglio ha valorizzato invero la circostanza che il residuo e limitato periodo di servizio (1 anno, 7 mesi e 24 giorni) non consentisse di fare acquisire all’istante la dovuta padronanza con le nuove funzioni direttive.

Utilizzando il parametro discrezionale previsto dall’art. 21 comma 5 Legge n. 186/1982, il CPGA ha infatti valutato che un candidato, il quale per la prima volta eserciti una funzione direttiva, giocoforza abbia necessità di più tempo per padroneggiare il nuovo ruolo apicale.

La motivazione contenuta a pag. 4 del verbale della IV Commissione n. 24 del 2 luglio 2015 è sostanzialmente ribadita per tutte le sopra citate sedi (con l’aggiunta, per la nomina a presidente del TAR Emilia Romagna, di un ulteriore profilo di incompatibilità prodotto dalla presenza contemporanea della consorte del ricorrente, che presiedeva la Sezione Staccata di Parma).

Il CPGA ha correttamente preso atto dell’impossibilità di utilizzare, quale criterio automatico ed esclusivo (al fine di negare la nomina a presidente), la mancanza del triennio residuo di servizio (criterio automatico stigmatizzato dal Consiglio di Stato con la riferita ordinanza n. 832/2015);
ha tuttavia esercitato il proprio potere discrezionale, esaminando il caso concreto e così ritenendo, per tutte le sopra nominate sedi ed in assenza del triennio residuo di servizio, l’inidoneità del ricorrente per la nomina a presidente.

Con la opportuna precisazione che, se per le sedi “plurisezione” la complessità di gestione è agevolmente evincibile già in ragione delle dimensioni del TAR, la mancata nomina a presidente del TAR Umbria (tribunale monosezionale) è stata opportunamente motivata con un elemento in più: e cioè in ragione della particolare difficoltà in cui versa il predetto ufficio giudiziario (organico ridotto, verosimile peggioramento della situazione per il collocamento a riposo dell’attuale presidente, eventualità che taluno dei magistrati ivi in servizio potesse aspirare a funzioni semi direttive in altra sede).

Ciò posto, rileva il Collegio che anche per il TAR Calabria, a ben vedere, emerge una sufficienza motivazionale che rende la relativa delibera immune da vizi.

Ed infatti, dall’esame dei due verbali di commissione nonché dall’esame del verbale del plenum, può facilmente inferirsi, seppur per relationem, il ragionamento del Consiglio e la motivazione a fondamento della mancata nomina.

Il TAR Calabria è infatti TAR composto dalla sede centrale di Catanzaro plurisezione e dalla sede staccata di Reggio Calabria.

Con la conseguenza che, la pur ellittica motivazione della mancata nomina, è agevolmente rinvenibile nell’aver l’organo ritenuto che una sede connotata da ontologica complessità (anche ambientale) non potesse essere diretta da un magistrato che aveva un limitato periodo residuo di servizio, tale da non consentirgli di acquisire la dovuta dimestichezza con il nuovo ruolo direttivo, e che, per giunta, non aveva in passato mai svolto funzioni presidenziali.

In sostanza, per tutti i tribunali citati nonché per il TAR Umbria (monosezionale), è stata fornita dal CPGA una congrua motivazione sul perchè non fosse opportuno nominare il ricorrente alle relative presidenze.

Tale valutazione è insindacabile, in quanto esito della spendita del potere valutativo latamente discrezionale che è intestato in capo all’organo di autogoverno.

Il Consiglio non può negare la nomina a presidente, sic et simpliciter, solo sulla base del vieto criterio del triennio residuo di servizio, ma può, ciò non di meno, in presenza di un servizio residuo infratriennale, ritenere l’inidoneità del soggetto rispetto al ruolo direttivo con valutazione in concreto e nella spendita della propria motivata discrezionalità.

5. Ciò posto, rileva tuttavia il Collegio che, in effetti, quanto alle presidenze dei TT.AA.RR. Marche, Basilicata e Molise, tutti monosezionali, non è data rinvenire una motivazione idonea dalla quale poter comprendere le ragioni della mancata nomina.

Nel verbale n. 24 del 2 luglio 2015 nulla è riportato ovvero deliberato con riferimento alle tre citate sedi.

Nel verbale n. 27 del 7 settembre 2015:

- per la nomina a presidente del TAR Marche, al punto 6 del verbale è solo contenuto un richiamo da parte del relatore alla “proposta negativa formulata sul Cons. Metro” (VGS verbale n. 24 del 2 luglio 2015), verbale tuttavia nel quale nulla è riportato con riferimento al TAR Marche;

- ugualmente al punto 10 del medesimo verbale, con riferimento alla nomina a presidente del TAR Molise, il relatore “richiama la proposta negativa formulata sul Cons. Metro” (VGS verbale n. 24 del 2 luglio 2015);

- al punto 11, anche con riferimento alla nomina a presidente del TAR Basilicata, il relatore richiama la proposta relativa formulata sul Cons. Metro (VGS verbale n. 24 del 2 luglio 2015), verbale tuttavia che anche in questo caso non contiene alcun riferimento a tale TAR.

Inoltre nel verbale del plenum del 25 settembre 2015, quanto alla presidenza dei TT.AA.RR. Marche, Basilicata e Molise, viene semplicemente riferita la proposta negativa formulata in commissione (v. pagg. 51, 57 e 60).

Sulla base di tali riscontri, appare evidente che, per le tre citate sedi giudiziarie, il Consiglio non ha provveduto a motivare la mancata nomina, neppure allegando una qualche circostanza che in concreto suggerisse la ritenuta inidoneità dell’aspirante presidente.

Se anche si ritenesse che il rinvio alla “proposta negativa del relatore” sia da intendersi come un rinvio alla motivazione già esposta in commissione per gli altri TT.AA.RR, appare comunque ravvisabile un deficit motivazionale.

I tre citati tribunali sono tutti monosezionali e per essi non vale il rilievo ostativo insito nella ontologica complessità gestionale delle sedi plurisezione;
in particolare, per le tre sedi delle Marche, della Basilicata e del Molise non risulta essere stata effettuata quella ulteriore valutazione in concreto che il Consiglio ha invece riservato al TAR Umbria.

Il diniego di nomina del ricorrente alle relative presidenze avrebbe imposto, come verificatosi per quest’ultimo, una (seppur sintetica) valutazione in concreto circa asserite peculiari circostanze che sconsigliassero la scelta di un presidente con un limitato periodo di residuo servizio.

Detto altrimenti, il Consiglio, in presenza di un periodo di servizio residuo infratriennale, avrebbe dovuto spiegare, anche con espressione brachilogica, perché i tre citati TAR monosezionali della Basilicata, delle Marche e del Molise, versassero in situazioni gestionali concrete, tali da sconsigliare la nomina a presidente del ricorrente.

Ne consegue l’illegittimità in parte qua delle impugnate delibere per la ricorrenza del vizio di omessa motivazione.

6. Così ritenuta l’illegittimità degli atti, deve essere esaminato il profilo inerente la dedotta responsabilità dell’amministrazione.

Sul punto, osserva il Collegio che, pur essendo il Consiglio dotato di ampio potere discrezionale, la mancata motivazione dei riferiti dinieghi di nomina alle presidenze dei citati TT.AA.RR. appare colpevolmente adottata, posto che era ben chiaro come, anche in presenza di un limitato servizio di periodo residuo, andasse spiegato anche sinteticamente il perché della ritenuta inidoneità.

Che il Consiglio fosse consapevole di tale necessità, lo si evince anche dal fatto che una succinta e pur tuttavia bastevole spiegazione è stata fornita per la mancata nomina al TAR Umbria (problematiche di organico) ed anche, seppur tramite rinvio ed in modo brachilogico, per il TAR Calabria, le cui complessità gestionali facilmente si deducono dal carattere plurisezionale e dal fattore ambientale (che costituisce fatto notorio).

Solo per le ambite nomine alle sedi delle Marche, Basilicata e Molise nulla il Consiglio ha dedotto se non un inammissibile rinvio ai verbali precedenti, dai quali tuttavia, neppure per implicito rinvio, è possibile ritrarre una spiegazione che giustificasse il diniego.

Ne consegue che sussiste anche l’elemento soggettivo della fattispecie di responsabilità, dovendosi ravvisare nel caso di specie una grave negligenza in cui è incorso il Consiglio.

Reputa tuttavia il Collegio che il danno lamentato dal ricorrente resti totalmente eliso per l’operare dei seguenti fattori.

In primo luogo, versandosi in tema di risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo, per poter configurare una lesione risarcibile, è necessario condurre il noto giudizio prognostico sull’esito favorevole del riesercizio del potere, dal quale l’istante avrebbe potuto conseguire il bene della vita.

Esito questo, tuttavia, per nulla scontato, posto che l’organo di autogoverno avrebbe potuto ugualmente negare la nomina stavolta apportando le congrue giustificazioni.

Ed invero la spettanza del bene della vita dipendeva, nel caso di specie, dal rinnovato esercizio di un potere connotato da ampia discrezionalità, tanto da rendere, già in tesi, incerto il relativo giudizio prognostico.

In secondo luogo, in via assorbente, opera la nota regola causale contemplata dall’art. 1227 comma 2 c.c., la quale conferisce rilevanza, in termini di elisione del nesso causale tra condotta ed evento dannoso, all’inerzia colposa dell’asserito danneggiato, il quale poteva e doveva agire con l’azione di annullamento avverso gli atti lesivi, in particolare spiegando l’opportuna domanda cautelare.

L’esponente ha invece preferito, a fronte dell’ultimo atto lesivo rappresentato dalla delibera del 25 settembre 2015, notificare in data 29 gennaio 2016 un ricorso contenente una domanda risarcitoria proposta ai sensi dell’art. 30 comma 3 cpa, previa declaratoria di illegittimità dell’atto.

Per converso, in una vicenda come quella in esame il mezzo di tutela precipuo, per neutralizzare il lamentato danno, era l’azione costitutiva di annullamento con annessa domanda cautelare, la quale avrebbe verosimilmente consentito all’interessato di ottenere in forma specifica il bene della vita anelato e dunque di evitare il pregiudizio patito per effetto dell’iniziale mancata nomina.

L’istante ha invece optato per la tutela per equivalente, così di fatto causalmente provocando la stabilizzazione di un danno la cui produzione avrebbe potuto tuttavia impedire usando l’ordinaria diligenza.

Né è a dirsi che la proposizione della domanda annullatoria, con richiesta cautelare annessa, potesse rappresentare condotta inesigibile, sostanziando viceversa la reazione fisiologica e normale che la parte lesa poteva esperire entro il limite dell’apprezzabile sacrificio.

Non può condividersi, sul punto, l’assunto difensivo di parte istante secondo cui l’azione di annullamento e la domanda cautelare sarebbero stati sostanzialmente inutili, in quanto il Consiglio aveva già mostrato di non voler mutare in alcun modo atteggiamento.

È facile obiettare come si tratti di una mera congettura.

Non può certo escludersi che l’organo di autogoverno, melius re perpensa, all’esito della proposizione di apposita domanda cautelare, potesse riconsiderare la posizione del ricorrente, con riferimento alla presidenza della tre succitate sedi giudiziarie, e soddisfare le sue legittime aspettative.

In ragione delle sopra esposte considerazioni, il lamentato danno non patrimoniale risulta del tutto eliso, sia per la incertezza del giudizio prognostico sull’attribuzione del bene della vita in caso di riesercizio del potere, sia per la avvenuta interruzione del nesso causale tra condotta ed evento prodotta dal mancato esperimento, a cura del danneggiato, della necessaria e tempestiva impugnazione dell’atto in uno alla pronta richiesta cautelare.

Deve anche osservarsi, quanto poi allo specifico profilo del lamentato danno biologico, che difetta pure il nesso causale tra le lamentate lesioni e la condotta illecita dell’amministrazione, non potendosi inferire dalla semplice documentazione depositata una relazione eziologica diretta (almeno secondo il criterio della regolarità causale e secondo l’id quod plerumque accidit) tra la dedotta insorgenza della patologia e il mancato ottenimento della anelata nomina a presidente.

Alle luce delle superiori considerazioni, la domanda risarcitoria deve essere rigettata perché infondata nei sensi sopra esposti.

Sussistono tuttavia i presupposti di legge per compensare le spese di lite tra tutte le parti.

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