TAR Bari, sez. I, sentenza 2016-07-20, n. 201600944

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Bari, sez. I, sentenza 2016-07-20, n. 201600944
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Bari
Numero : 201600944
Data del deposito : 20 luglio 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01057/2013 REG.RIC.

N. 00944/2016 REG.PROV.COLL.

N. 01057/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

S

sul ricorso numero di registro generale 1057 del 2013, proposto da:
A B, E C, S C, C M C, R P C, Maria Grazia D'Errico, E D L, R G, E G I, M L, F M, M N, G P, C P, M A S, M M V, D C M Z, G P, rappresentati e difesi dall'avv. S D P, con domicilio presso la Segreteria T.A.R. Puglia, Bari, in Bari, Piazza Massari;

contro

Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero della Giustizia, Presidenza del Consiglio dei Ministri, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, domiciliataria in Bari, Via Melo, 97;

I.N.P.S. - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, già Inpdap;

per l’accertamento e la declaratoria

dell’illegittimità del recupero dei contributi previdenziali effettuato mediante ritenuta sullo stipendio,

nonché

per la condanna

delle Amministrazioni resistenti alla restituzione delle somme trattenute, maggiorate di rivalutazione monetaria e interessi legali,

e per l’annullamento

previa sospensione

del provvedimento, di data e tenore sconosciuti, mediante il quale è stato disposto il detto recupero.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze, del Ministero della Giustizia e della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 maggio 2016 il dott. Alfredo Giuseppe Allegretta e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale d’udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con ricorso notificato il 27/7/2013 e depositato in Segreteria il 2/8/2013, i ricorrenti, magistrati ordinari, adivano il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sede di Bari, al fine di ottenere le pronunce meglio indicate in oggetto.

Esponevano di aver fruito dei benefici previsti dall’Ordinanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 3253 del 29/11/2002 (“ Primi interventi urgenti diretti a fronteggiare i danni conseguenti ai gravi eventi sismici verificatisi nel territorio delle province di Campobasso e Foggia ed altre misure di protezione civile ”) ed in particolare, ai sensi dell’art. 7 della detta O.P.C.M., della sospensione “ dei versamenti dei contributi di previdenza e di assistenza sociale e dei premi per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, ivi compresa la quota a carico dei lavoratori dipendenti ” fino al 31/3/2003.

In applicazione di tale ordinanza, il Ministero dell’Economia e della Finanza, per il tramite dei suoi uffici periferici, non operava le trattenute previdenziali nei confronti dei ricorrenti, versando loro in busta paga importi con dicitura “ rimborso ritenuta previdenziale per calamità naturali ”.

Con successive Ordinanze della Presidenza del Consiglio dei Ministri (n. 3279 del 10/4/2003, n. 3308 del 11/7/2003 e n. 3344 del 19/3/2004), la predetta sospensione veniva prorogata sino al 31/12/2005.

Sennonché, con norma di interpretazione autentica di cui all’art.6, comma 1-bis del D.L. n. 263/2006 (convertito in L. n. 290 del 16/12/2006), il legislatore chiariva che le disposizioni di sospensione del versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali sarebbero dovute essere applicate ab origine solo dai datori di lavoro privati. Ciononostante, l’Amministrazione continuava a non trattenere la quota di contribuzione previdenziale a carico dei ricorrenti finché questi non apprendevano che sulle loro buste paga veniva operata una ritenuta mensile per “ recupero ritenuta previdenziale per calamità naturale ”.

I ricorrenti proponevano dunque impugnazione avverso il provvedimento - di estremi e di contenuto sconosciuti - che aveva disposto il recupero dei contributi previdenziali ritenendolo illegittimo, per violazione dell’art. 3, comma 9, L. n. 335/1995, in particolare sollevando eccezione di prescrizione del credito contributivo di cui sopra.

In tesi, in applicazione di quanto disposto dall’art. 3, comma 9, della legge n. 335/1995, il versamento delle contribuzioni previdenziali e di assistenza sociale obbligatoria doveva ritenersi prescritto con il decorso di cinque anni, in quanto, con la formulazione “ cinque anni per tutte le altre contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria ”, il legislatore aveva inteso riferirsi a tutte le forme di previdenza obbligatoria, ivi compresa quella dovuta all’INPDAP per i dipendenti pubblici.

Il dies a quo della prescrizione veniva individuato alternativamente:

1) nel giorno 29/11/2002 (data di emissione della O.P.C.M. n. 3253 del 29/11/2002) in ragione del carattere retroattivo della norma di interpretazione autentica;

2) o, tutt’al più, nel giorno 1/1/2006 in quanto, a seguito delle proroghe intervenute, il periodo di sospensione contributiva era terminato il 31/12/2005 ed a partire dal mese seguente l’Ente previdenziale avrebbe potuto recuperare i contributi sospesi;
ciò anche in considerazione della previsione dell’art. 7, comma 2, dell’O.P.C.M. 29/11/2002, n. 3253 secondo cui la riscossione sarebbe dovuta essere effettuata “ entro il secondo mese successivo al termine della sospensione ”.

Veniva altresì avanzata istanza cautelare, evidenziando, ai fini della sussistenza del periculum in mora , l’illegittima compromissione della retribuzione dei ricorrenti.

Con costituzione formale depositata in Segreteria in data 14/8/2013 si costituivano in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero della Giustizia ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze, chiedendo la reiezione del ricorso.

Nella camera di consiglio in data 11/9/2013 i ricorrenti rinunciavano alla sospensiva.

Con memoria difensiva del 14/4/2016, le Amministrazioni resistenti replicavano alle censure avanzate dai ricorrenti puntualizzando in fatto che:

- a seguito dell’entrata in vigore della norma interpretativa di cui all’art. 6, comma 1-bis del D.L. 9/1/2006, n. 263 (convertito in legge 6/12/2006, n. 290), veniva adottata la O.P.C.M. n. 3559 in cui si disponeva all’art. 21, comma 3 che “ la riscossione dei contributi e premi non corrisposti per effetto della sospensione di cui al comma 2 avverrà mediante 12 rate mensili a decorrere dal mese di gennaio 2008 ”;

- il T.A.R. Molise, con ordinanza del 24/1/2007, sollevava questione di legittimità costituzionale della citata norma interpretativa, cui seguiva la nota prot. n. 2883/D6 del 27/6/2007 dell’INPDAP che sospendeva, sino al 31 novembre 2007, ogni iniziativa di recupero dei crediti;

- intervenuta la sentenza n. 325/2008 della Corte Costituzionale (che giudicava inammissibile la questione di legittimità costituzionale) con ordinanza n. 3642 del 16/1/2008 la Presidenza del Consiglio dei Ministri fissava la data di avvio del recupero dei contributi sospesi al mese di gennaio 2009;

- a seguito di indicazioni dell’INPDAP, il Dipartimento dell’Amministrazione Generale del Personale e dei Servizi - Servizio Centrale per il Sistema informativo Integrato diramava, con messaggio n. 81 dell’8/6/2010, l’elenco del personale per il quale doveva essere disposto il recupero dei contributi sospesi;

- la Ragioneria Territoriale di Foggia provvedeva dunque ad informare i ricorrenti in ordine alle disposizioni ricevute dall’Amministrazione Centrale mediante annotazioni/comunicazioni sui cedolini di stipendio dei mesi di novembre e dicembre 2010, invitandoli altresì a manifestare la propria volontà di effettuare il versamento in unica soluzione o con rateizzazione massima di 60 rate;

- l’inizio del recupero coatto (per coloro, come i ricorrenti, che non avevano esercitato alcuna opzione per la restituzione di quanto dovuto) aveva inizio con la rata di stipendio del mese di luglio 2011.

In punto di diritto, le Amministrazioni resistenti deducevano:

1) preliminarmente, il difetto di legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri, con conseguente domanda di estromissione dal giudizio, in quanto i ricorrenti dipendevano dal Ministero della Giustizia ed erano amministrati (ai fini del trattamento economico) dal Ministero dell’Economia e delle Finanze;

2) l’infondatezza della domanda in quanto:

a) la corresponsione ai magistrati delle somme pari ai contributi previdenziali era avvenuta in assenza di valida causa e, dunque, il recupero operato dall’Amministrazione andava ricondotto alla ripetizione dell’indebito ai sensi dell’art. 2033 c.c., con conseguente applicabilità della prescrizione decennale decorrente dalla data di ciascun pagamento indebito;

b) non trovava applicazione al caso di specie l’art. 3, comma 9, della legge n. 335/1995, poiché concernente esclusivamente il termine prescrizionale relativo al diritto dell’Ente previdenziale nei confronti del datore di lavoro e non anche il correlato diritto del datore di lavoro di rivalersi nei confronti del dipendente per la quota a suo carico versata all’Ente previdenziale;

c) anche qualora dovesse ritenersi applicabile la prescrizione quinquennale ai sensi dell’art. 3, comma 9, della legge n.,335/1995, con le note prot. n. 1643 del 16/4/2007 e prot. n. 4 del 22/2/2010, l’INPDAP aveva interrotto il decorso dei termini prescrizionali chiedendo alle Amministrazioni dello Stato di provvedere al versamento dei crediti contributivi.

Con memoria del 16/4/2016 i ricorrenti insistevano per l’accoglimento del ricorso, in particolare puntualizzando come l’Amministrazione non godesse di alcun diritto alla rivalsa nei confronti dei ricorrenti, in quanto tale diritto sarebbe sorto solo nel caso di tempestivo versamento della contribuzione previdenziale del datore di lavoro all’Ente previdenziale, anche per la quota dovuta dal lavoratore.

All’udienza pubblica del giorno 18 maggio 2016, la causa era definitivamente trattenuta per la decisione.

Preliminarmente ed in rito, l’eccezione di difetto di legittimazione passiva formulata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri può non essere assoggettata a specifica delibazione, stante l’inutilità processuale di una pronuncia su di essa, in considerazione dell’infondatezza nel merito del ricorso così come introdotto.

Nel merito, come detto, il ricorso è infondato e, pertanto, non può essere accolto.

La principale quaestio iuris della vicenda in esame riguarda l’esatta individuazione del termine prescrizionale applicabile al diritto dell’Amministrazione Finanziaria di recuperare le somme indebitamente erogate ai propri dipendenti in erronea applicazione dell’O.P.C.M. n. 3253/2002.

L’eccezione di prescrizione sollevata dai ricorrenti trova le sue radici nell’art. 3, comma 9, della L. n. 335/1995 (“ Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare ”) che prevede la prescrizione del versamento delle contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria con il decorso di cinque anni.

Il Collegio ritiene tuttavia che colga nel segno la tesi esposta dall’Avvocatura erariale, laddove si evidenzia che tale disposizione, pur operando in tutti i settori previdenziali, ivi compreso il settore pubblico, concerna unicamente il diritto contributivo che l’Ente previdenziale ha nei confronti del datore di lavoro pubblico e non quello di ripetizione che il datore di lavoro pubblico può esercitare nei confronti dei lavoratori, laddove abbia erroneamente corrisposto i contributi che avrebbe dovuto trattenere e versare all’Ente previdenziale.

L’art. 6, comma 1-bis, del D.L. 9/1/2006, n. 263 (convertito in legge 6/12/2006, n. 290) ha invero chiarito - con effetti retroattivi - come la sospensione del versamento dei contributi previdenziali non abbia mai operato nei confronti dei datori di lavoro pubblici.

L’Amministrazione, non effettuando le obbligatorie ritenute previdenziali a carico dei dipendenti, bensì accreditando loro in busta paga importi a titolo di “ rimborso ritenuta previdenziale per calamità naturali ”, ha emesso dunque pagamenti “indebiti” ai sensi dell’art.2033 c.c. (“ chi ha eseguito un pagamento non dovuto, ha diritto di ripetere ciò che ha pagato ”).

I pagamenti sono indubbiamente avvenuti in virtù di un titolo inesistente, se pur riconosciuto come tale in via “sopravvenuta” a seguito della citata disposizione interpretativa. Deve invero essere qualificata come ripetizione di indebito “ qualunque domanda avente ad oggetto la restituzione di somme pagate sulla base di un titolo inesistente, sia nel caso di inesistenza originaria, che di inesistenza sopravvenuta o di inesistenza parziale ” (cfr. Cass. Civile, Sez.III, 4/4/2014 n.7897).

Sussiste pertanto il diritto dell’Amministrazione ad ottenere la ripetizione di quanto erroneamente versato ai ricorrenti, con azione soggetta all’ordinaria prescrizione decennale. In tal senso, si richiama anche la costante giurisprudenza del Consiglio di Stato per cui “ l'azione di recupero di somme indebitamente corrisposte al pubblico dipendente da parte della pubblica amministrazione è soggetta all'ordinaria prescrizione decennale di cui all'art. 2946, c.c. ” (cfr. Cons. Stato, Sez.VI, 26/6/2013 n.3503;
Cons. Stato, Sez.VI, 20/9/2012 n. 4989).

Chiarito, dunque, quale sia il termine prescrizionale applicabile, ai fini della composizione della controversia in esame occorre procedere all’individuazione della data di decorrenza di tale termine.

Sul punto le parti hanno operato diverse ricostruzioni, sulla scorta di quale possa essere effettivamente considerato il momento in cui le somme siano divenute “esigibili”.

Il Collegio ritiene che, in applicazione ai principi vigenti in materia di ripetizione di indebito, il dies a quo della prescrizione ordinaria possa essere individuato a partire dalla data di ogni singolo pagamento indebito, elargito mensilmente a partire dalla fine del 2002 (cfr. Cass. Civile, Sez.III, 19/6/2008 n.16612).

Pertanto, tenuto conto delle considerazioni sin qui svolte, si ritiene che - a differenza di quanto affermato dai ricorrenti - alla data dell’inizio del recupero coatto (rata di stipendio del mese di luglio 2011) il termine prescrizionale per il recupero delle somme indebitamente versate non risultava essere maturato e che pertanto il diritto dell’Amministrazione di recuperare i contributi sospesi non fosse in alcun modo estinto.

Ne discende, sotto tale profilo, l’infondatezza del ricorso ed il rigetto delle proposte azioni.

Da ultimo, stante la particolarità in fatto della controversia in esame e le incertezze del comportamento tenuto dall’Amministrazione nel caso di specie, sussistono i presupposti di legge per compensare tra le parti le spese di giudizio.

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