TAR Milano, sez. III, sentenza 2023-02-08, n. 202300329

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Milano, sez. III, sentenza 2023-02-08, n. 202300329
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Milano
Numero : 202300329
Data del deposito : 8 febbraio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 08/02/2023

N. 00329/2023 REG.PROV.COLL.

N. 01026/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1026 del 2019, integrato da motivi aggiunti, proposto da
-OMISSIS- -OMISSIS- -OMISSIS- S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati C V, E S e F T, con domicilio digitale come da PEC indicata in atti

contro

Comune di Colturano e Unione dei Comuni Sud Est di Milano "Parco dell'Addetta", in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato F D M, con domicilio digitale come da PEC indicata in atti;
Città Metropolitana di Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati M Ferrari, Nadia Marina Gabigliani, Alessandra Zimmitti e Giorgio Giulio Grandesso, con domicilio digitale come da PEC indicata in atti

nei confronti

Fallimento Lavagna Scavi S.r.l. e Azienda Servizi Alla persona Istituti Milanesi Martinitt e Stelline e Pio Albergo Trivulzio, non costituiti in giudizio

per l'annullamento

- dell'ordinanza ex art. 192 del d.lgs. n.152/2006, n. 1 del 4 marzo 2019 del Comune di Colturano, avente ad oggetto la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti sulle aree site nel Comune di Colturano Via Colombara identificate catastalmente al foglio 1- mappale 13, 100, 275, 269;

- di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenti, tra cui la Relazione di servizio del 4 luglio 2016 della Città Metropolitana di Milano e la comunicazione di avvio del procedimento del 22 marzo 2017 dell'Unione dei Comuni Sud Est Milano Parco dell'Addetta,

atti impugnati con ricorso introduttivo;

dell'ordinanza n. 2 del 21 aprile 2021 del Comune di Colturano, comunicata in data 26 aprile 2021, avente ad oggetto “ordinanza n. 1 del 4/3/2019 – estensione al fallimento di Lavagna Scavi s.r.l. e conferma nei confronti di -OMISSIS- -OMISSIS- -OMISSIS-. Rimozione e smaltimento rifiuti ex art. 192, comma 2, D. lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Aree site nel Comune di Colturano Via Colombara identificate catastalmente al foglio 1-mappale 13, 100, 275, 269”,

atto impugnato con motivi aggiunti.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Colturano, di Città Metropolitana di Milano e di Unione dei Comuni Sud Est di Milano "Parco dell'Addetta";

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 gennaio 2023 il dott. Roberto Lombardi e uditi per le parti i difensori come specificato nel relativo verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con ricorso ritualmente depositato in data 16 maggio 2019, -OMISSIS- -OMISSIS- -OMISSIS- S.r.l., società che ha come oggetto sociale l’attività estrattiva e la produzione e commercializzazione di calcestruzzo, ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza n. 1 di cui in epigrafe, adottata ai sensi dell’art. 192 del codice dell’ambiente, evidenziando in fatto e in diritto le circostanze di seguito descritte.

La società ricorrente ha innanzitutto specificato che l’area denominata “Ambito Territoriale Estrattivo g28” (“ATEg28”), presente nel Comune di Colturano, è composta di terreni appartenenti a tre soggetti diversi (oltre la ricorrente, la Lavagna Scavi S.r.l., oggi fallita, e il “Pio Albergo Trivulzio”) e che in tale area -OMISSIS- -OMISSIS- -OMISSIS- ha svolto, dall’anno 2001, attività estrattiva presso una cava destinata all’estrazione di inerti per la produzione del calcestruzzo e altri aggregati, in forza di una serie di autorizzazioni, l’ultima delle quali è costituita dall’autorizzazione dirigenziale della Provincia di Milano n. 501/2009 del 21 ottobre 2009.

In particolare, il progetto di coltivazione e di recupero dell’ATEg28 assentito dall’autorizzazione in questione è formato da una serie di elaborati, da alcuni dei quali si evincerebbe che i residui dell’attività estrattiva, principalmente costituiti da sabbie, fanghi e limi, sarebbero stati utilizzati nell’ambito dell’attività di recupero, comprendente il rimodellamento delle rive del lago di cava.

A decorrere dal 1° gennaio 2011 ogni attività in situ è stata svolta esclusivamente da Lavagna Scavi S.r.l., sulla base di un duplice contratto (vendita e affitto di ramo d’azienda).

Sulla scorta di una nuova autorizzazione rilasciata nel 2014, a Lavagna Scavi sarebbe stato consentito, anche per le operazioni di rispristino finale, l’utilizzo sia dei fanghi e dei limi derivanti dall’attività di cava, sia delle terre e rocce da scavo provenienti dall’esterno e qualificabili come sottoprodotti, sia ancora dei fanghi e dei limi derivanti dalla lavorazione di siffatte terre e rocce da scavo, con qualificazione anche di questi ultimi residui come sottoprodotti.

Inoltre, sarebbe stato individuato l’ampliamento del tratto di sponda in questione “sino ad una consistenza sostanzialmente coincidente con quella attuale”.

In diritto, la società ricorrente ha contestato l’obbligo di rimozione, contenuto nell’ordinanza impugnata, dei rifiuti che sarebbero stati abbandonati o depositati in modo incontrollato da -OMISSIS- -OMISSIS- - posto che tale obbligo risulta limitato all’ampliamento del tratto di sponda realizzato all’interno della cosiddetta Area 2 -, sotto i seguenti profili:

- l’ampliamento del tratto di sponda realizzato da -OMISSIS- -OMISSIS- sino al 2010 sarebbe conforme alle previsioni sia dell’autorizzazione dirigenziale del 2009 che della corrispondente autorizzazione paesaggistica;

- la eventuale difformità nella coltivazione e nelle attività connesse di recupero e di ripristino non sarebbe sufficiente a qualificare i materiali coinvolti come rifiuti, di modo che, trattandosi di materiali costituenti mero ampliamento del tratto di sponda – come tali riutilizzabili -, risulterebbero inapplicabili alla fattispecie gli artt. 183, comma 1, lettera a) e 192 del d.lgs. 152/2006;

- sussisterebbe travisamento dei presupposti di fatto anche in relazione alla qualificazione, operata dagli atti impugnati, dell’ampliamento del tratto di sponda in questione come “piazzale”, trattandosi, invece, secondo la ricorrente, di semplice estensione della sponda del lago e non di manufatto edilizio;

- quanto alle ulteriori attività poste in essere da Lavagna Scavi dopo il 2011, fermi i principi sopra esposti, non sarebbe configurabile responsabilità per culpa in vigilando a carico della società ricorrente, dal momento che, da un lato, -OMISSIS- -OMISSIS- non sarebbe stata “operante in sito per la produzione di calcestruzzo” nel periodo rilevante, dall’altro, la ricorrente, per potersi accorgere di eventuali miscelazioni con altri materiali o con rifiuti, avrebbe dovuto “ingerirsi nell’attività di miscelazione in sito o nell’attività di trasporto”.

Si sono costituiti in giudizio il Comune, l’Unione dei Comuni convenuti e la Città metropolitana di Milano, chiedendo il rigetto del ricorso, e la società ricorrente ha rinunciato per due volte alle proposte domande cautelari, in considerazione dell’accoglimento delle istanze di proroga del termine assegnato dal Comune per la rimozione dei rifiuti chieste dal Fallimento Scavi Lavagna e dalla stessa ricorrente;
tali istanze sono state accolte dall’ente locale fino al 31 gennaio 2021.

Successivamente, -OMISSIS- -OMISSIS- -OMISSIS- S.r.l. ha impugnato con motivi aggiunti anche una seconda ordinanza adottata dal Comune di Colturano, qualificata come di estensione del precedente obbligo di rimozione al Fallimento di Lavagna Scavi s.r.l. e di conferma nei confronti della ricorrente della precedente ordinanza del 2019 (atto impugnato con ricorso introduttivo).

Avverso tale nuova ordinanza, parte ricorrente, oltre a reiterare gli stessi motivi già articolati nel corso del giudizio, come sopra enunciati, ha anche svolto censure autonome.

La difesa del Comune di Colturano ha peraltro eccepito l’inammissibilità dei motivi aggiunti, in quanto l’ordinanza n. 2/2021 si configurerebbe quale provvedimento meramente confermativo della precedente ordinanza n. 1/2019.

La causa è stata infine trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 17 gennaio 2023, dopo un rinvio disposto sul consenso delle parti e a seguito del deposito nel fascicolo di causa di documentazione contenente un “ progetto di sistemazione dell’area interessata dall’ordinanza di rimozione, elaborato dalla società ricorrente dopo approfondite interlocuzioni con l’Ente Parco Sud Milano e i tecnici del settore rifiuti della Città Metropolitana di Milano ”.

Preliminarmente, e in rito, deve essere parzialmente respinta l’eccezione di inammissibilità della domanda di annullamento della seconda ordinanza impugnata, per ciò che concerne la necessaria contestazione degli elementi di diversità presenti nella motivazione di tale ordinanza, che risultano ulteriormente lesivi per la società ricorrente.

Per il resto – ovvero nella misura in cui gli effetti riconducibili agli obblighi della ricorrente, così come derivanti della seconda ordinanza, risultano sostanzialmente sovrapponibili a quelli della prima ordinanza -, -OMISSIS- -OMISSIS- -OMISSIS- non ha invece interesse ad ottenere l’annullamento del secondo provvedimento impugnato, posto che tale annullamento lascerebbe comunque in piedi l’ordinanza gravata con il ricorso introduttivo, ove ritenuta dal Collegio legittima.

Quanto invece all’eccezione di inammissibilità sollevata da Città metropolitana con riferimento ai propri atti (con particolare riferimento alla “Relazione di servizio – Ditta lavagna Scavi S.r.l. – Cava di Colturano” prot. 0148595 del 4 luglio 2016), è senz’altro vero che gli stessi sono da considerarsi come prodromici all’ordinanza di rimozione – e dunque endoprocedimentali -, ma è altresì evidente che tali atti contengono autonomi risvolti lesivi, che possono essere scrutinati congiuntamente all’atto che ne ha recepito le conclusioni, e nella misura in cui siano stati determinanti o comunque rilevanti nell’adozione del provvedimento finale.

Nel merito, il Collegio rileva, in via preliminare, che l’ordinanza del 2019 – provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo, e confermato sul punto da quello successivo, impugnato stavolta con motivi aggiunti, del 2021 – ha ricostruito nel seguente modo la responsabilità della società ricorrente per l’abbandono e il deposito incontrollato di rifiuti, ex art. 192 del d.lgs. n. 152 del 2006:

- imputabilità della deposizione del materiale a ridosso della cava, in quanto gestore diretto dell’attività di estrazione, con creazione del piazzale dell’area 2, avvenuta fin dall’anno 2006, e alterazione dello stato dei luoghi stabilito dalle autorizzazioni estrattive dal 2005 al 2008 e nonostante il Parco, con provvedimento di autorizzazione paesaggistica del 22 luglio 2009, avesse autorizzato il recupero ambientale dell’area tutta, ivi compreso il piazzale “incriminato”;

- imputabilità della condotta di deposito dei rifiuti operata come gestore da Lavagna Scavi, a partire dal 2011, in quanto proprietaria dell’area e operante in sito per la produzione di calcestruzzo, a titolo di culpa in vigilando, perché la ricorrente non avrebbe potuto non sapere “che era in atto l’allargamento non autorizzato del piazzale dopo il 6 giugno 2011”.

Occorre dunque esaminare congiuntamente le singole censure introdotte dalla difesa di -OMISSIS- -OMISSIS- -OMISSIS- S.r.l., delimitandole peraltro in due “blocchi” in relazione al diverso arco temporale in contestazione, e limitatamente ai profili di interesse.

Con riguardo al primo periodo (2006-2011), occorre innanzitutto osservare che la collocazione nel lago di cava dei residui dell’attività estrattiva (sabbie, fanghi e limi) deve considerarsi astrattamente fisiologica e conseguente a quanto consentito dall’autorizzazione all’epoca rilasciata a -OMISSIS- -OMISSIS-.

Nell’ottica del Comune, peraltro, tutti i materiali che siano stati collocati al di fuori del perimetro di stretta autorizzazione sono da considerarsi rifiuti da rimuovere.

Vi è inoltre il problema della natura dei materiali ricollocati, ovvero se fossero effettivamente quelli derivanti dall’autorità autorizzata o fossero presenti anche materiali eterogenei e/o sostanze contaminanti.

Nel dettaglio, nella prima ordinanza impugnata (con ricorso introduttivo), la motivazione dell’ordine nei confronti di -OMISSIS- -OMISSIS- è stata così declinata:

Considerato, con particolare riferimento al piazzale dell’area 2, che:

- la deposizione del materiale a ridosso di cava con creazione del piazzale è avvenuto sin dall’anno 2006, come accertato dall’agente Cassinis esaminando la cronologia dello stato di fatto visibile su Google Earth;

- il deposito di materiale suddetto ha alterato lo stato dei luoghi autorizzato, rappresentato nelle tavole allegate alle autorizzazioni estrattive dal 2005 al 2008;

- -OMISSIS- -OMISSIS- -OMISSIS- S.r.l., come accertato dall’agente Cassinis, ha per la prima volta ufficializzato l’esistenza del piazzale nella tavola allegata alla richiesta di rinnovo dell’autorizzazione presentata nel 2009 (…);

- il Parco, con provvedimento di autorizzazione paesaggistica n. 29 del 22/7/2009, ha autorizzato il recupero ambientale dell’area come rappresentata da -OMISSIS-verdi nella suddetta tavola e dunque comprensiva del piazzale in parola (…);

Ritenuto che il suddetto piazzale realizzato durante la gestione di -OMISSIS- Verdi -OMISSIS- S.r.l., ancorché rappresentato nelle tavole approvate dal Parco e dal Servizio Cave, deve considerarsi come discarica abusiva di rifiuti vietata ai sensi dell’art. 192 T.U. ambiente ”.

Nella seconda ordinanza impugnata (con i motivi aggiunti), l’ampliamento delle ragioni poste a sostegno della responsabilità della società ricorrente ha portato alla seguente descrizione dei presupposti di fatto:

gli allegati cartografici ai provvedimenti autorizzativi n. 50/2001 e n. 43/2005 dimostrano che l’area 2 era integralmente connotata dalla presenza del lago di cava e che essa era estranea al ciclo produttivo dell’estrazione;

i rilievi satellitari riferiti a marzo 2006 e luglio 2008 citati nella relazione dell’agente Cassinis della Città Metropolitana di Milano (richiamata nell’ordinanza 1/2019) attestano l’esistenza a quelle date di un piazzale artificiale ottenuto mediante deposito di materiale (non autorizzato ed incontrollato) nel lago di cava;

l’indebita alterazione dei luoghi tramite indebito ampliamento della sponda con creazione di un piazzale risulta acclarata dall’allegato 1 all’autorizzazione A/D n. 501/2009 redatto dalla Società, che attesta con valore confessorio l’esistenza nel 2009 del citato piazzale abusivo;

il deposito di inerti in area estranea al ciclo estrattivo e a ciò non autorizzato determina la qualifica degli stessi come rifiuti, considerato altresì il loro permanere in loco per oltre tredici anni, con conseguente applicabilità della parte IV del D.Lgs, 152/2006;

(…);

gli allegati cartografici allegati all’autorizzazione del 2009 si limitano a riportare, senza alcun possibile effetto sanante, lo stato di fatto esistente al gennaio 2009 ed evidenziano che in area 2 non doveva essere svolta alcuna attività estrattiva (cfr. all. 2), tale area non era destinata ad alcun intervento di ripristino ambientale (cfr. all. 3), nessun riempimento del lago era comunque previsto (cfr. all.6), nessun intervento di rimodellamento o ampliamento era previsto per la sponda meridionale nella quale è ubicata l’area 2 (cfr. all. 7);

benché l’allegato 8 all’autorizzazione del 2009 preveda la possibilità di utilizzare i rifiuti derivanti dall’attività estrattiva nelle operazioni di recupero ambientale, tra le operazioni di recupero ambientale autorizzate non rientra alcun intervento coinvolgente l’area 2;

anche l’autorizzazione paesaggistica rilasciata nel 2009 non può avere effetto sanante, non essendo ammesse autorizzazioni paesaggistiche in sanatoria rispetto a fatti antecedenti ”.

Il Collegio ritiene preliminarmente che non vi è alcuna prova che nel materiale qualificato come rifiuto dalle ordinanze impugnate fosse presente anche materiale estraneo ai residui estrattivi della cava, quanto meno fino al 2011.

Anzi, dalla consulenza depositata in atti dalla società ricorrente risulterebbe che ancora oggi i cosiddetti rifiuti in contestazione sarebbero omogenei ai citati residui estrattivi.

Il Collegio ritiene altresì che è pacifica la collocazione nel lago di cava, fin dal 2006, del materiale derivante dall’attività di estrazione, con realizzazione di un piazzale artificiale in un’area in cui non era stata autorizzata la suddetta attività.

Si tratta peraltro di materiale che nello stesso piano di gestione dei rifiuti di estrazione (allegato 8 all’autorizzazione n. 501 del 21 ottobre 2009 adottata dalla Provincia di Milano) viene qualificato come “rifiuto di estrazione inerte” ai sensi dell’art. 3, comma 1 del d.lgs. n. 117 del 2008.

Si tratta, cioè, di un rifiuto che, da un lato, rientra tra quelli derivanti dalle attività di prospezione o di ricerca, di estrazione, di trattamento e di ammasso di risorse minerali e dallo sfruttamento delle cave, e, dall’altro, non subisce alcuna trasformazione fisica, chimica o biologica significativa.

Tuttavia, coglie nel segno la difesa del Comune resistente quando sostiene che rientrano nella nozione di “rifiuti di estrazione”, come tali esclusi dall’applicazione delle ordinarie norme sui rifiuti, esclusivamente i materiali che, oltre ad essere derivati dallo sfruttamento delle cave, restino altresì entro il ciclo produttivo della estrazione e connessa pulitura.

Nel caso di specie, da un lato, il semplice raffronto tra lo stato dei luoghi nel 2004, come attestato nell’allegato 1 all’autorizzazione n. 43/2005 rilasciata in data 03/03/2005, nel quale l’Area 2 era integralmente connotata dalla presenza del lago di cava, e lo stato di fatto al 13 gennaio 2009, attestato dall’allegato 1 all’autorizzazione n. 501/2009 del 21 ottobre 2009, che evidenzia l’ampliamento della sponda e la riduzione dell’area lacuale, dimostra in modo oggettivo che l’attività di ampliamento della sponda, e la connessa creazione del piazzale, era stata avviata prima del rilascio della suddetta autorizzazione del 2009;
dall’altro, una condotta che veda l’operatore depositare rifiuti in un lago e ivi li lasci ininterrottamente per svariati anni, con la creazione di un piazzale artificiale, depone per l’intenzione del medesimo operatore di disfarsi di tali rifiuti, e non per un deposito temporaneo collegato in modo inscindibile all’attività estrattiva, con esclusione dunque, dell’applicabilità della deroga prevista dall’art. 185, comma 2, del d.lgs. 152/2006.

Né la condotta posta in essere dalla ricorrente aveva trovato una sorta di “sanatoria” a seguito della successiva autorizzazione all’attività estrattiva rilasciata nel 2009, o di quella paesaggistica ad essa connessa, in quanto tali ulteriori provvedimenti amministrativi hanno semplicemente preso atto della variazione dello stato di fatto, ma non hanno di certo costituito l’autorizzazione espressa, specifica e preventiva dell’autorità competente che è sempre richiesta e necessaria in materia di gestione di rifiuti.

I provvedimenti impugnati sono dunque legittimi, nella misura in cui hanno individuato una responsabilità della ricorrente per l’accumulo di rifiuti nella sua area di pertinenza, con riferimento al periodo dal 2006 al 2011.

Per quanto riguarda invece il periodo successivo all’anno 2011, è argomento sufficiente ai fini dell’accoglimento del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti, oltre che assorbente rispetto agli ulteriori profili evidenziati da parte ricorrente, quello secondo cui risulta dagli atti che -OMISSIS- -OMISSIS- dal 31 dicembre 2010 è stata estranea a qualunque attività svolta nell’area dell’ATEg28 oggetto dell’ordinanza.

A ciò occorre aggiungere la circostanza per cui la società ricorrente, anche in relazione alle specifiche dell’autorizzazione del 2014 rilasciata a Lavagna Scavi (assenso all’utilizzo di sottoprodotti miscelati con i residui dell’attività estrattiva e descrizione del tratto di sponda in questione con un perimetro maggiore rispetto a quello derivante dall’attività di -OMISSIS- -OMISSIS-), non era in grado né di prevedere né di impedire l’abbandono di rifiuti da parte della impresa operante sul sito.

Non è infine congrua la motivazione (contenuta nella seconda ordinanza) che ritiene che “ -OMISSIS- -OMISSIS- avrebbe dovuto essere a conoscenza della prassi di Lavagna Scavi di depositare rifiuti nel lago di cava, per averla essa stessa “inaugurata ”, perché da un lato dà per assodato un assunto che l’interessata ha contestato con ragioni che si fondano anche sul “riconoscimento” della situazione di fatto da parte delle autorità intervenute in sede autorizzatoria nel 2009 – riconoscimento che, peraltro, come visto, non ha avuto e non poteva avere l’effetto di un’autorizzazione in sanatoria -, e perché, dall’altro, salvo prova concreta – che nel caso di specie non è stata offerta -, è logicamente incongruo stabilire una “connessione” in via automatica tra l’attività illecita compiuta da due aziende diverse che si avvicendino sul medesimo sito l’una dopo l’altra, anche se in tesi si tratti di condotta dello stesso tipo.

Ne deriva che non è rinvenibile, per il periodo successivo all’anno 2011, alcun profilo di colpa, nemmeno in vigilando, in capo al proprietario dell’area “incriminata”.

Il ricorso e i motivi aggiunti devono dunque essere accolti soltanto in relazione a tale ultimo limitato profilo, mentre vanno per il resto respinti o comunque dichiarati inammissibili, nei limiti di cui in motivazione.

Le spese del giudizio possono essere compensate tra le parti, in ragione della peculiarità della questione esaminata e della parziale soccombenza reciproca rilevata.

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