TAR Roma, sez. 3T, sentenza 2023-10-11, n. 202315042

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 3T, sentenza 2023-10-11, n. 202315042
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202315042
Data del deposito : 11 ottobre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/10/2023

N. 15042/2023 REG.PROV.COLL.

N. 14902/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 14902 del 2022, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato A G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, P.le Don Giovanni Minzoni, 9;

contro

Università degli Studi di Roma La Sapienza, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

del provvedimento del Decreto Rettorale -OMISSIS- del -OMISSIS- della Sapienza – Università di Roma comunicato con nota del -OMISSIS- (prot. -OMISSIS-), da ritenersi anch'essa impugnata, recante:

• la revoca al ricorrente a far data dal 1.2.2014 dell'assegno personale attribuito con i DD.RR. -OMISSIS- del -OMISSIS-, -OMISSIS-del -OMISSIS-, -OMISSIS- del -OMISSIS-(da ultimo ricalcolato con -OMISSIS-del -OMISSIS- in € 22.659,72);

• il ricalcolo del nuovo stipendio;

• la ripetizione delle somme corrisposte a titolo di assegno ad personam dal 1.2.2014 al 30.3.2022 al netto delle ritenute previdenziali ed assistenziali;

• l'avvio del procedimento di recupero delle ritenute previdenziali ed assistenziali.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi Roma La Sapienza;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 luglio 2023 la dott.ssa Paola Patatini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. L’odierno ricorrente, professore di ruolo di II fascia dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza, ha adito questo TAR per ottenere l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, del decreto rettorale in oggetto con cui è stata disposta la revoca, a decorrere dal 1° febbraio 2014, dell’assegno personale interamente pensionabile attribuitogli dal 1° novembre 2010, con conseguente ripetizione delle somme corrisposte a tale titolo dal 1° febbraio 2014, al netto delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sui predetti emolumenti.

2. Premette in fatto di aver ottenuto, una volta assunto dall’Ateneo resistente, l’attribuzione di un assegno ad personam in ragione del trattamento retributivo goduto quale Viceprefetto aggiunto presso il Ministero dell’Interno prima della sua nomina a ricercatore universitario. Tale assegno, gradualmente riassorbibile, attribuito ai sensi dell’art. 202 del DPR n. 3/1957 e art. 3, comma 57, della legge n. 537/1993 e rimodulato negli anni, veniva a più riprese confermato, anche dopo l’abrogazione del citato art. 202 ad opera della legge n. 147/2013, allorquando l’Università, sulla base della nota del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato (prot. 49968 del 9.6.2014) aveva ritenuto che lo stesso fosse comunque dovuto, in quanto il ricorrente era stato assunto, con riconoscimento dell’assegno, prima dell’avvenuta abrogazione. Detta interpretazione veniva però contraddetta dalla sentenza n. 6620/2019 del Consiglio di Stato, in un’analoga controversia in cui era parte la stessa Sapienza, statuendo pertanto la retroattività impropria della legge n. 147/2013. Sulla base di questa pronuncia, l’Università adottava pertanto l’impugnato provvedimento di revoca.

3. Il ricorso è affidato ai seguenti motivi di diritto:

« 1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 co. 458 e 459 L. 147/2017 con riferimento all’art. 11 delle Disposizioni sulla legge in generale. Violazione ed errata applicazione del principio di irretroattività. Illogicità ed irragionevolezza della pretesa retroattiva. Illegittima soppressione dei diritti quesiti », in quanto la legge n. 147/2013 non avrebbe disposto la caducazione delle prestazioni già erogate, né ne avrebbe disciplinato la sorte nel senso di imporne la ripetizione ai danni dei beneficiari;
essa quindi non potrebbe essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esauritisi prima della sua entrata in vigore, neppure a quelli sorti anteriormente e ancora in vita ove, in tal modo, si disconoscano gli effetti già verificatisi nel fatto passato o si venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali o future di esso. I provvedimenti rettorali recanti l’attribuzione del beneficio economico hanno consumato i loro effetti e, dunque, non potrebbero essere intaccati, ora per allora, dalla disciplina che ne avrebbe conferito l’illegittimità ovvero la base per la loro emissione.

«2. Violazione dell’art. 2909 c.c. per indebita estensione del giudicato amministrativo. Violazione dell’art. 3 L. 241/1990 ed eccesso di potere per motivazione errata ed insufficiente », in quanto l’Università avrebbe esteso ultra partes il giudicato formatosi sulla sentenza n. 6620/2019, senza motivare adeguatamente a fronte del pregiudizio che avrebbe arrecato al beneficiario in buona fede delle somme erogate.

«3. Violazione del combinato disposto di cui agli artt. 3 e 21 quinques e nonies L. 241/1990. Violazione dell’art. 97 Cost. ed 1 L. 241/1990 in tema di buon andamento. Insussistenza dei presupposti per la revoca e l’annullamento », in quanto l’Ateneo avrebbe emesso il provvedimento di revoca in totale carenza dei presupposti giuridico normativi e fattuali previsti dalla relativa disciplina;
analoghe carenze ricorrerebbero anche qualora si intendesse il provvedimento di revoca un annullamento in autotutela di quello recante l’attribuzione e la conferma dei trattamenti ad personam. L’Amministrazione avrebbe in ogni caso dovuto motivare in ordine ai presupposti normativi previsti dall’art. 21 quinquies e nonies legge n. 241/1990, e alla valutazione comparativa eseguita in concreto con riferimento specifico all’interesse del destinatario del provvedimento di autotutela.

«4. Violazione dell'art. 1 commi 458 e 459 della legge n.147/2013, sotto il diverso profilo della erronea interpretazione fatta dalla sentenza della VI Sez. n.6620/2019 richiamata nel provvedimento impugnato. Violazione dell'art. 3 della Costituzione. Illegittima soppressione del diritto quesito del ricorrente », atteso che la sentenza del Consiglio di Stato, su cui è basato il provvedimento di revoca, sarebbe erronea in quanto affetta da un’interpretazione extra legem , perché l’interprete non potrebbe desumere l'effetto soppressivo di diritti quesiti, basandosi sulla sola disposizione abrogativa, nonché contra legem , in quanto accomuna passaggi di ruolo che si riferiscono a tipologie del tutto diverse, stabilendo per entrambe l'adeguamento del trattamento economico in godimento, con la soppressione dell'assegno personale.

«5. Illegittimità per violazione della Convenzione Europea sui diritti dell'uomo (art. 1 Protocollo Addizionale) della richiesta di ripetizione di somme non dovute, come affermato dalla giurisprudenza comunitaria e recepita dalla giurisprudenza amministrativa », in quanto in applicazione del principio affermato dalla giurisprudenza comunitaria della CEDU - per cui la costante attribuzione nel tempo senza riserve di un emolumento, avente carattere retributivo non occasionale, ad un pubblico dipendente in buona fede, tale da integrare il legittimo affidamento sulla spettanza delle somme, impedisce la ripetizione di tali emolumenti - recepito nel nostro ordinamento con la sentenza del Consiglio di Stato n. 5014/2021, il recupero delle somme corrisposte nel caso in esame sarebbe illegittimo.

4. Con successivi depositi, parte ricorrente ha poi prodotto in giudizio l’email dell’Ateneo del -OMISSIS-, recante la quantificazione di quanto dovuto (pari alla “somma lorda complessiva di € 102.574,65. Tale importo verrà recuperato mensilmente nei cedolini paga mediante rate di importo lordo pari ad € 840,79, con effetto sulla retribuzione netta comunque entro il limite del quinto stipendiale. La rateizzazione decorrerà dal corrente mese di dicembre 2022 e con scadenza prevista per il mese di gennaio 2033”), nonché l’ulteriore nota del -OMISSIS-, recante una nuova contabilizzazione del debito (nella somma lorda complessiva di euro 187.167,06).

5. Per resistere, si è costituita in giudizio l’Università degli Studi di Roma La Sapienza, depositando la relativa relazione amministrativa.

6. All’esito della camera di consiglio del 9 gennaio 2023, la Sezione ha accolto l’istanza cautelare limitatamente alla restituzione delle somme (v. ordinanza n. -OMISSIS-).

7. In vista dell’udienza fissata per il 4 aprile 2023, parte ricorrente ha depositato memorie insistendo sulla ricorrenza nella specie di tutti i presupposti perché l’azione di ripetizione intentata dall’Ateneo possa ritenersi violativa dell’art. 1 Prot. Add. CEDU, nonché brevi note d’udienza in cui ha chiesto l’accertamento e la dichiarazione della prescrizione quinquennale dei rati richiesti.

8. Con ordinanza collegiale n. -OMISSIS-, resa all’esito dell’udienza, sono stati quindi disposti incombenti istruttori a carico del ricorrente al fine di acquisire documentati chiarimenti sulle sue concrete condizioni economico-patrimoniali e personali, il quale non vi ha però ottemperato, contestando detta richiesta con una successiva memoria.

9. Alla pubblica udienza del 18 luglio 2023, la causa è passata in decisione.

DIRITTO

1. Viene all’esame del Collegio la legittimità della revoca dell’assegno ad personam , corrisposto all’odierno ricorrente ai sensi del combinato disposto dell’art. 202 del DPR n. 3/1957 e art. 3, comma 57, della legge n. 537/1993, e della ripetizione, a titolo di indebito, di quanto da questi percepito dal 1° luglio 2014 fino all’intervenuta revoca dell’indennità economica in questione.

2. Ad avviso del ricorrente, il decreto rettorale impugnato sarebbe illegittimo sotto più profili, in quanto, in estrema sintesi, l’Amministrazione avrebbe agito retroattivamente su diritti quesiti, o comunque sul legittimo affidamento del ricorrente, in violazione dei presupposti per l’autotutela, sulla base di un pronunciamento erroneo del Consiglio di Stato che non potrebbe far stato anche nei confronti della parte, non potendo ora ripetere gli emolumenti corrisposti indebitamente e percepiti in buona fede.

3. Le censure di parte non possono tuttavia accogliersi per le seguenti ragioni.

4. La disciplina dei cd. passaggi di carriera, prima della sua abrogazione, era invero dettata dall’art. 202 del DPR n. 3/57, secondo cui «[n]el caso di passaggio di carriera presso la stessa o diversa amministrazione agli impiegati con stipendio superiore a quello spettante nella nuova qualifica è attribuito un assegno personale, utile a pensione, pari alla differenza fra lo stipendio già goduto ed il nuovo, salvo riassorbimento nei successivi aumenti di stipendio per la progressione di carriera anche se semplicemente economica», e dall’art. art. 3, comma 57, della legge n. 537/1993, in base al quale «[n]ei casi di passaggio di carriera di cui all'articolo 202 del citato testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, ed alle altre analoghe disposizioni, al personale con stipendio o retribuzione pensionabile superiore a quello spettante nella nuova posizione è attribuito un assegno personale pensionabile, non riassorbibile e non rivalutabile, pari alla differenza fra lo stipendio o retribuzione pensionabile in godimento all'atto del passaggio e quello spettante nella nuova posizione».

Su detta disciplina è quindi intervenuto l’art. 1, comma 458, della legge n. 147/2013 il quale, nell’abrogare gli articoli sopra riportati, ha altresì disposto che «ai pubblici dipendenti che abbiano ricoperto ruoli o incarichi, dopo che siano cessati dal ruolo o dall'incarico, è sempre corrisposto un trattamento pari a quello attribuito al collega di pari anzianità»;
mentre il successivo comma 459 ha stabilito che «[l]e amministrazioni interessate adeguano i trattamenti giuridici ed economici, a partire dalla prima mensilità successiva alla data di entrata in vigore della presente legge (i.d. dal 1° febbraio 2014, n.d.r.), in attuazione di quanto disposto dal comma 458, secondo periodo, del presente articolo e dall'articolo 8, comma 5, della legge 19 ottobre 1999, n. 370, come modificato dall'articolo 5, comma 10-ter, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 13».

4.1. Con la sentenza non definitiva n. 4186/2023, questa Sezione, aderendo all’orientamento giurisprudenziale più recente, ha ritenuto che la norma di cui al comma 458 riguardi tanto l’ipotesi del “passaggio di carriera” – come quella avvenuta nel caso in esame – tanto quella del “rientro in ruolo”, comportando l’abrogazione, con efficacia retroattiva impropria, della generale disciplina dell’assegno ad personam .

4.1.1. La Sezione ha pertanto ritenuto che la legge n. 147/2013 abbia disposto l’immediato adeguamento dei trattamenti giuridici ed economici nei termini di cui all’art. 1, comma 459, a partire dal 1° febbraio 2014, ovvero dalla prima mensilità successiva alla data di entrata in vigore della medesima legge, anche in relazione ai passaggi di carriera precedentemente avvenuti, come quello riguardante il ricorrente, senza che si profilino i prospettati dubbi di illegittimità costituzionale con riferimento all’art. 3 Cost.

4.1. In particolare, si è osservato che “ sebbene il comma 458 cit. si componga di due norme, come anche ricostruito dall’Adunanza Plenaria n. 10 del 2022, per cui «[la] prima abroga espressamente l'art. 202 d.P.R. n. 3 del 1957, unitamente all'art. 3, commi 57 e 58, l. n. 537 del 1993, le quali, come si è detto, completavano la disciplina dei c.d. passaggi di carriera. La seconda fissa la regola per la quale alla cessazione dell'incarico ricoperto (o del diverso ruolo assunto) al dipendente pubblico che rientri (nei ruoli) nell'amministrazione di provenienza spetta un trattamento pari quello del collega con pari anzianità», lo stesso va interpretato alla luce dell’intento del legislatore di abrogazione generale della disciplina degli assegni personali “in caso di passaggio tra diverse amministrazioni di dipendenti titolari di un trattamento economico superiore a quello spettante nella nuova qualifica” (in tali termini, cfr. Lavori Preparatori del Servizio Studi Camera, Schede di Lettura), comprensiva di entrambe le fattispecie, atteso che la seconda parte della disposizione in questione detta unicamente la modalità di definizione del trattamento economico del dipendente pubblico una volta cessato dal diverso ruolo prima ricoperto (o dal precedente incarico assunto), nulla escludendo che il precedente ruolo possa derivare anche da un cd. passaggio di carriera.

5. Tale lettura, contrariamente all’assunto ricorrente, non appare irragionevole e in contrasto con l’art. 3 Cost.

5.1. Ad avviso della difesa ricorrente, la disciplina contenuta all’art. 1, commi 458 e 459, legge n. 147/2013, come interpretata dalla recente giurisprudenza amministrativa, inciderebbe irragionevolmente sul legittimo affidamento riposto dai dipendenti sulla certezza dell’erogazione di un assegno personale, previsto da una disciplina legislativa volta a incentivare la mobilità nel pubblico impiego, neutralizzandone gli effetti retributivi sfavorevoli, risultando pertanto illegittima.

Una simile disciplina sarebbe già stata stigmatizzata dalla Corte costituzionale che, con la sentenza n. 169 del 2022, ha dichiarato incostituzionale per contrasto con l’art. 3 Cost. l’art. 1, comma 261 della legge n. 190/2014 nella parte in cui ha disposto l’abrogazione dell’art. 2262, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 66/2010, che prevedeva l’attribuzione di un premio in favore dei controllori di volo militare del traffico aereo, al fine di ridurre “l’esodo” di detto personale verso l’Ente nazionale di Assistenza al Volo (ENAV) a causa delle migliori condizioni economiche da questo offerte.

Come nella vicenda esaminata dalla Corte - evidenzia il ricorrente - anche nel caso in oggetto “il legislatore ha dapprima creato le condizioni per le quali gli interessati abbandonassero l’amministrazione di appartenenza e passassero ad altra amministrazione, prevedendo a tale scopo un assegno ad personam diretto a colmare le differenze retributive, e, poi, irragionevolmente, una volta raggiunto il risultato, ha abrogato la norma attributiva dell’incentivo economico, disponendone con effetto immediato la mancata erogazione”.

5.2. Sul punto, il Collegio osserva in primo luogo che la giurisprudenza della Corte, nell’affermare che il valore del legittimo affidamento trova copertura costituzionale nell’art. 3 Cost., ha comunque precisato che detto principio «non esclude che il legislatore possa adottare disposizioni che modificano in senso sfavorevole agli interessati la disciplina di rapporti giuridici, “anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti”. Ciò può avvenire, tuttavia, a condizione che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto» (in tali termini, la stessa sentenza n. 169 del 2022 e giur. ivi richiamata).

5.3. Il giudizio sull’irragionevolezza di tali previsioni è quindi operato dalla Corte costituzionale attraverso un’operazione di bilanciamento di valori fatta caso per caso, che vede fronteggiarsi, da un lato, la tutela dell’affidamento e, dall’altro, l’interesse pubblico sopravvenuto che giustifica l’intervento normativo censurato.

5.4. Una simile valutazione, da operarsi caso per caso, induce quindi questo Collegio a tener distinta la vicenda oggetto della pronuncia richiamata dal ricorrente, da quella qui in esame.

Nella prima, la Corte ha infatti dichiarato incostituzionale la norma, affermando in particolare: “poiché l’ordinamento ha creato le condizioni per le quali gli interessati non abbandonassero l’amministrazione militare istituendo il premio in questione, irragionevolmente il legislatore, una volta raggiunto il risultato, alla vigilia del conseguimento delle condizioni per l’erogazione del citato emolumento, ha abrogato la norma attribuita dello stesso”.

Nella presente fattispecie invece, non è ravvisabile quella specifica ratio incentivante, caratterizzante il premio, circoscritta a frenare la tendenza di una particolare categoria di personale (controllori di volo militare del traffico aereo) a lasciare anticipatamente il servizio, così impattando negativamente sia sull’interesse pubblico alla sicurezza dello spazio aereo, perseguito dalle Amministrazioni militari interessate, sia sulle casse delle stesse che, dopo aver impegnato risorse finanziarie nella formazione dei controllori di volo, se ne vedevano poi private.

5.5. La ratio sottesa all’assegno ad personam di cui all’art. 202 del DPR n. 3/57, ossia quella di incentivare la mobilità del personale pubblico, non presenta all’evidenza le medesime peculiarità (platea predeterminata di soggetti beneficiari e peculiarità delle Amministrazioni interessate, circoscritte a quelle militari) e può essere adeguatamente bilanciata dalle opposte esigenze di contenimento della spesa pubblica, esigenze che la stessa Corte costituzionale ha più volte riconosciuto idonee a giustificare e supportare interventi normativi sopravvenuti incidenti negativamente sulle diverse posizioni soggettive (es. sentenza n. 203 del 2016).

5.6. Accanto alle evidenti ragioni di contenimento della spesa pubblica, non mancano poi altre finalità, come quelle di superamento di disparità di trattamento, che pure in altre occasioni la Corte ha ritenuto altrettanto valide.

Nella sentenza n. 241 del 2019, ad esempio, la Corte è stata chiamata a valutare un intervento normativo di riduzione della retribuzione originaria per i docenti provenienti dalla Scuola superiore dell’economia e finanze e trasferiti alla Scuola nazionale dell’amministrazione (SNA), a cui è stato attribuito il medesimo trattamento previsto per i docenti a tempo pieno della SNA;
ritenendo, in tal caso, che la riduzione fosse “sorretta dall’adeguata e ragionevole giustificazione di non creare sperequazioni retributive tra i docenti della stessa SNA, a parità di funzioni esercitate”.

In detta pronuncia, la Corte ha tra l’altro osservato che per il personale in regime di diritto pubblico, «il cui trattamento economico è sempre determinato dalla legge, la giurisprudenza amministrativa (così TAR Lazio, sezione prima, sentenza 10 giugno 2017, n. 6874) sottolinea che il divieto della reformatio in peius della retribuzione – che, del resto, veniva applicato soltanto quando l’impiegato fosse rimasto alle dipendenze dello stesso ente e non anche quando fosse passato ad altra amministrazione (Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 5 settembre 2012, n. 4690) – è stato espunto dalla disciplina generale sul pubblico impiego dall’art. 1, comma 458, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)». In mancanza di copertura costituzionale del principio di irriducibilità della retribuzione (sentenze n. 330 del 1999 e n. 219 del 1998), tale disposizione ha infatti abrogato le norme (contenute negli artt. 202 del d.P.R. n. 3 del 1957 e 3, commi 57 e 58, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, recante «Interventi correttivi di finanza pubblica») che prevedevano – in caso di passaggio del dipendente da un’amministrazione ad un’altra – la corresponsione di un assegno personale (riassorbibile nei successivi incrementi stipendiali) per consentire il mantenimento del trattamento economico in godimento, ove superiore a quello riconosciuto nella posizione di destinazione». Applicando tali principi al caso al suo esame, la Corte ha quindi escluso una lesione dell’art. 3 Cost da parte della norma indubbiata, «laddove prevede, in capo ai docenti ex SSEF, in virtù del loro trasferimento alla SNA, una riduzione della retribuzione originaria, poiché tale riduzione è sorretta dall’adeguata e ragionevole giustificazione di non creare sperequazioni retributive tra i docenti della stessa SNA, a parità di funzioni esercitate».

6. Riprendendo le parole della Corte anche per il caso in esame, può quindi ritenersi che l’aver abrogato l’assegno ad personam, prevedendo la corresponsione di un trattamento pari a quello attribuito al collega di pari anzianità, trovi ragionevole giustificazione, oltre che nella già rilevata esigenza di contenimento della spesa pubblica, anche in quella di “non creare sperequazioni retributive, a parità di funzioni esercitate”.

6.1. La stessa Adunanza Plenaria del 2022 ha invero rilevato che, attraverso le disposizioni in questione, “sono eliminate ragioni di differenziazione dei trattamenti economici all’interno della stessa amministrazione”.

6.2. Alla luce delle considerazioni sopra fatte, l’affermazione della Plenaria, benché espressa con riguardo alla particolare vicenda del rientro in ruolo del professore universitario, prima eletto componente del CSM, può estendersi anche a quella del dipendente che sia assunto presso una nuova amministrazione a seguito di passaggio da una precedente ”.

4.3. Le considerazioni sopra fatte, qui integralmente condivise, destituiscono di fondamento le censure di parte ricorrente, congiuntamente esaminate, atteso che la revoca dell’assegno anche per il caso di passaggio tra diverse amministrazioni, si pone quale atto di natura doverosa, discendente direttamente dalla legge, per cui non colgono nel segno i richiami ai presupposti dell’autotutela come pure quello all’art. 2909 cc. In tale quadro, la pretesa restitutoria è altrettanto doverosa, trattandosi di recuperare somme erogate sine titulo .

4.4. Al riguardo, va ricordato che la giurisprudenza in materia di ripetizione di indebito nel pubblico impiego ha sempre affermato la regola generale dell’art. 2033 cc., escludendo che la semplice buona fede del beneficiario possa legittimare, di per sé, una soluti retentio del trattamento economico così ricevuto, potendo piuttosto rilevare ai fini del temperamento dell’onerosità del recupero operato dall’Amministrazione.

4.4.1. Sebbene non siano mancate, anche di recente, pronunce del giudice amministrativo che, valorizzando le specifiche connotazioni, giuridiche e fattuali, delle singole fattispecie dedotte in giudizio, hanno escluso volta per volta la ripetizione (ex multis, Consiglio di Stato, Sezione Seconda, sentenza n. 5014/2021 e giur. ivi richiamata;
idem, sentenza n. 1373/2022;
Tar Palermo, sentenza n. 2087/2023), non può per ciò solo affermarsi la vigenza di un generale principio di irripetibilità delle somme indebitamente corrisposte a fronte di un affidamento maturato dal percettore, né detto principio è stato sancito dalla giurisprudenza CEDU richiamata dalla difesa, in particolare con la sentenza Casarin dell’11 febbraio 2021.

4.4.2. Con questa pronuncia, la Corte di Strasburgo invero, una volta specificati i presupposti che consentono di identificare un affidamento legittimo in capo all’ accipiens (i.e., pagamento effettuato dall’amministrazione spontaneamente ovvero su domanda del dipendente in buona fede;
apparenza del titolo del pagamento;
durata nel tempo dei versamenti;
assenza della riserva di ripetizione;
buona fede del ricevente), ha piuttosto stigmatizzato la sproporzione dell’interferenza rispetto a detto affidamento - evidenziandone le ulteriori condizioni, quali l’esclusiva imputabilità all’amministrazione dell’errore del pagamento, la natura del versamento indebito quale corrispettivo dell’attività lavorativa ordinaria e la situazione economica del ricevente al momento della domanda di rimborso - pur sempre riconoscendo la legalità dell’ingerenza e la legittimità del suo scopo.

La Corte EDU ha quindi riscontrato la violazione dell’art. 1 Prot. add. CEDU alla luce delle particolari circostanze del caso concreto e delle condizioni di fragilità economico personali dell’ accipiens , ritenendo che la pretesa dell’amministrazione avesse turbato l’equilibrio che deve sussistere tra le esigenze dell’interesse pubblico generale, da un lato, e quelle della protezione del diritto dell’individuo al rispetto della sua proprietà, dall’altro.

4.4.3. In altri termini, come ben evidenziato dalla Corte costituzionale nella recente sentenza n. 8 del 2023, la pur doverosa considerazione dell’affidamento legittimo dell’obbligato e delle sue condizioni economiche, patrimoniali e personali non impone di «generalizzare un diritto alla irripetibilità della prestazione».

4.5. La stessa Corte, chiamata a pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 2033 c.c. - in base al quale chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato - sollevata in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 Prot. add. CEDU, come interpretato dalla giurisprudenza convenzionale, ha respinto la questione in ragione del quadro di tutele offerte dall’ordinamento interno al legittimo affidamento.

4.5.1. Il giudice delle leggi ha, in particolare, evidenziato il ruolo della clausola della buona fede, che impone in primo luogo al creditore di adeguare, tramite la rateizzazione, il quomodo dell’adempimento della prestazione restitutoria, tenendo conto delle condizioni economiche e patrimoniali dell’obbligato, sicché «[l]a pretesa si dimostra dunque inesigibile fintantoché non sia richiesta con modalità che il giudice reputi conformi a buona fede oggettiva»;
inoltre, in presenza di particolari condizioni personali dell’ accipiens che «possono immediatamente palesare un impatto lesivo della prestazione restitutoria sulle condizioni di vita dello stesso», si può giustificare un’ipotesi di inesigibilità temporanea, fino a ritenere «giustificato anche un adempimento parziale, che solo in casi limite potrebbe approssimarsi alla totalità dell’importo dovuto» quando le particolari condizioni personali del debitore siano «correlate a diritti inviolabili», fino a riconoscere, nell’ipotesi di una lesione dell’affidamento, una possibile tutela risarcitoria nelle forme della responsabilità precontrattuale «sempre che ricorrano gli ulteriori presupposti applicativi del medesimo illecito».

4.6. Ne deriva quindi che, ai fini dell’esame della proporzionalità dell’interferenza, l’interprete non può prescindere dalla situazione economica e personale dell’interessato dovendo valutare innanzitutto il quomodo dell’obbligazione restitutoria tenendo conto proprio delle condizioni economico-patrimoniali in cui versa l’obbligato, potendo solo in presenza di «particolari condizioni personali dell’ accipiens e dell’eventuale coinvolgimento di diritti inviolabili», giungere all’inesigibilità della prestazione.

4.6.1. La semplice sovrapponibilità, in punto di fatto, della vicenda esaminata dalla CEDU con quella oggetto del presente scrutinio non comporta di per sé l’illegittimità dei provvedimenti di recupero impugnati, dovendo invece verificare la ricorrenza nella specie di particolari condizioni del ricorrente nei termini sopra visti.

4.7. A tal fine, è stata pertanto disposta un’istruttoria a carico del ricorrente, il quale tuttavia nella memoria da ultimo depositata ha contestato la richiesta istruttoria ritenendola in contrasto sia con ragioni di riservatezza, sia in quanto i dati personali richiesti, di natura prettamente patrimoniale ed economica, sarebbero irrilevanti al fine del decidere.

5. Il Collegio, alla luce delle considerazioni sopra fatte e diversamente dall’assunto di parte, non ritiene che i dati richiesti - che costituiscono peraltro documenti amministrativi ai fini dell’accesso documentale (cfr. Ad. Plenaria n. 19/2020) - siano irrilevanti, dovendo piuttosto valutare il quomodo della restituzione alla luce di tutte le circostanze del caso concreto, che richiedono anche lo scrutinio della situazione economica e personale dell’obbligato, d’altra parte esaminata anche dalla stessa Corte di Strasburgo.

5.1. Di conseguenza, alla luce di quanto sopra e valutato quanto già in atti, questo Collegio non ravvisa alcuna illegittimità nei termini censurati dalla parte, non risultando la pretesa restitutoria azionata dall’Università sproporzionata e oltremodo onerosa per il ricorrente, in violazione dell’art. 1 Prot. add. CEDU, tenuto in particolare conto della rateizzazione del recupero mediante trattenute mensili di importo lordo pari a €840,00 euro nel limite del quinto stipendiale – come dichiarato nelle note dell’Ateneo prodotte dal ricorrente e non contestate – e dell’assenza di specifiche criticità nella situazione patrimoniale dell’interessato ovvero di sue particolari fragilità.

5.1.1. L’attuazione dell’obbligazione restitutoria, come risultante nel caso in esame, non compromette seriamente la capacità del ricorrente di far fronte ai propri bisogni essenziali e incomprimibili – condizione che invece avrebbe potuto giustificare, alla stregua delle coordinate individuate sub. 4.6., l’inesigibilità della prestazione.

6. Quanto alla prescrizione quinquennale dei ratei, anche a prescindere dall’irritualità della domanda avanzata per la prima volta nelle note d’udienza, l’assunto va disatteso in ragione del termine di prescrizione decennale dell’azione di ripetizione: va infatti tenuta distinta la posizione del lavoratore che può agire per ottenere quanto dovuto per le proprie prestazioni nel termine di cinque anni previsto dall'art. 2948, n. 4, c.c. per i pagamenti periodici, da quella in cui lo stesso dipendente ha ottenuto somme non dovute, il che giustifica l'applicazione del diverso regime della prescrizione ordinaria decennale (in tal senso, anche Cons. Stato, sentenza n. 97/2021).

7. In considerazione della particolarità della vicenda e della natura degli interessi coinvolti, le spese di lite possono integralmente compensarsi tra le parti.

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