TAR Campobasso, sez. I, sentenza 2016-11-21, n. 201600480
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Testo completo
Pubblicato il 21/11/2016
N. 00480/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00437/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 437 del 2009, proposto da:
C.R.E.A. Gestioni S.r.l. in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato S G, con domicilio eletto presso l’avvocato M M in Campobasso, via Garibaldi, n. 48;
contro
Comune di Termoli in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato V A P C.F. PPPVTI62S04A662Y, con domicilio eletto presso l’avvocato N C con domicilio in Campobasso, piazza V. Emanuele II, n. 5;
per l'annullamento
del provvedimento del Comune di Termoli, prot. n. 18624 del 12.6.09 con il quale, in esecuzione delle deliberazione di G.C. n. 202 del 5.6.2009, è stato concluso il procedimento di declaratoria di nullità e/o annullamento in autotutela delle delibere giuntali n. 241 del 7.11.00 e n. 142 del 24.05.02, nonché di tutti gli atti precedenti e/o presupposti.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Termoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 settembre 2016 il dott. Domenico De Falco;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La C.R.E.A. Gestioni s.r.l. è il gestore dell’acquedotto di Termoli in forza di concessione del 1993 in favore della SIGESA a cui essa è subentrata per cessione e successiva scissione.
La società espone che, con delibera n. 241/2000 della Giunta, il Comune conferiva ad un tecnico l’incarico di rideterminare le tariffe del servizio idrico e il professionista elaborava un criterio che implicava la sostituzione della tariffa parametrata ai costi del servizio con quella calcolata sulla base del consumo effettivo, criterio fatto proprio dal Comune con la delibera n. 142/2002.
Sennonché nasceva tra la società e il Comune un contenzioso conseguente alla morosità maturata sul pagamento della tariffa da parte dell’Amministrazione che veniva devoluto ad un arbitrato irrituale (ai sensi dell’art. 10 della convenzione accessiva alla concessione) sottoscritto dalle parti in data 2 marzo 2009, all’esito del quale l’Amministrazione veniva condannata al pagamento in favore della concessionaria della somma di 259.666,95 euro oltre interessi fino al saldo.
In data 20 maggio 2009, il Comune avviava il procedimento per l’annullamento d’ufficio delle delibere giuntali di conferimento dell’incarico e di ratifica del nuovo criterio di tariffazione;procedimento che, nonostante le osservazioni contrarie proposte dalla società esponente, si concludeva con il provvedimento di annullamento d’ufficio del 12 giugno 2009 (prot. n. 18624).
Nell’atto di ritiro in parola l’Amministrazione sostiene che le delibere di revisione tariffaria avrebbero natura di atto programmatico che si porrebbe in contrasto con la clausola della convenzione di concessione che riferisce la tariffa al prezzo di costo. Più in particolare, secondo l’intervento in autotutela, le delibere in questione dovevano essere annullate per i seguenti specifici motivi:
<< a) difetto di impegno di spesa a copertura del maggior esborso per le casse comunali che la modifica contrattuale ha provocato, in violazione del combinato disposto dell’art. 284 R.D. n. 383/1934, dell’art. 55, co. 5, n. 142/1990, dell’art. 23 del d.l. n. 66/1989, conv. In l. n. 144/1989, nonché dell’art. 191, del d.lgs. n. 267/2000;
b) impossibilità di affidare ad un soggetto terzo, definito super partes, che ha operato alla stregua di arbitratore, la revisione delle tariffe;
c) impossibilità di modificare le condizioni economiche della convenzione 1993, in quanto la fornitura delle utenze comunali a prezzo di costo costituiva una delle condizioni economiche della concessione siccome già inserita nello schema di convenzione posto a base di gara e poi pedissequamente trasfuso nella convenzione;
e) impossibilità di modificare le pattuizioni contenute nella convenzione in assenza di formale deliberazione del Consiglio comunale >>.
Avverso tale provvedimento insorge la società esponente con ricorso notificato in data 6 ottobre 2009 e depositato il successivo 3 novembre 2009, sulla base dei seguenti motivi.
1) Nullità del provvedimento amministrativo per violazione e/o elusione del lodo arbitrale.
Secondo la società ricorrente il gravato provvedimento di autotutela sarebbe illegittimo, in quanto sarebbe stato utilizzato quale strumento per riproporre le medesime eccezioni già proposte innanzi al collegio arbitrale, di modo che l’intervento in autotutela costituirebbe un improprio strumento per rimediare alla soccombenza nel procedimento arbitrale dopo avervi preso parte. Semmai il lodo avrebbe dovuto essere impugnato con gli specifici rimedi previsti dall’ordinamento.
2) Violazione degli artt. 21-quinquies, 21-octies e 21-nonies della l. n. 241/1990.
Non ricorrerebbe nelle delibere oggetto di ritiro alcuno dei vizi previsti di cui all’art. 21-octies della l. n. 241/1990, di modo che non vi sarebbero i presupposti per l’annullamento d’ufficio, senza considerare che l’intervento in autotutela è stato posto in essere a distanza di un cospicuo lasso temporale (9 anni) dal momento dell’adozione dei provvedimenti oggetto di ritiro, in violazione del criterio della ragionevolezza del termine entro il quale l’atto di ritiro può essere posto in essere.
3) Eccesso di potere per difetto di motivazione e travisamento dei fatti.
Insufficiente sarebbe poi la motivazione addotta a supporto del gravato provvedimento consistente nel difetto di impegno di spesa a fronte del nuovo criterio tariffario.
Con atto depositato in data 4 novembre 2009 si è costituito in giudizio il Comune di Termoli che ha eccepito in via preliminare la carenza di interesse essendo stato gravato il solo provvedimento datato 12 giugno 2009 avente carattere meramente esecutivo rispetto alla presupposta delibera della Giunta comunale n. 202/2009 che, invece, non è stata impugnata;in ogni caso il Comune eccepisce l’improcedibilità del ricorso per tardività del deposito in quanto eseguito oltre il termine dimidiato (15 giorni) applicabile ai sensi dell’ art. 23-bis della l. n. 1034/1971 che includeva nel rito abbreviato i giudizi aventi ad oggetto i provvedimenti in materia di affidamento ed esecuzione dei servizi pubblici.
Nel merito, comunque, il ricorso sarebbe infondato perché le delibere oggetto di autotutela avrebbero comportato un maggior esborso senza però indicare la copertura finanziaria per il nuovo impegno di spesa, con ciò incorrendo nell’illegittimità/nullità delle stesse con la conseguente esclusione della formazione di un legittimo affidamento in capo alla ricorrente.
All’udienza del 28 settembre 2016 la causa è stata introitata per la decisione.
Occorre scrutinare preliminarmente le eccezioni in rito sollevate dalla difesa del Comune resistente. Entrambe sono prive di pregio. Con riguardo alla dedotta carenza di interesse del ricorrente per non aver impugnato la deliberazione del consiglio comunale di autotutela di cui il provvedimento del Direttore Generale del Comune impugnato in questa sede costituirebbe atto meramente esecutivo, si osserva che l’art. 21-bis della l. n. 241/1990 dispone che: “ Il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso effettuata ”. Ne consegue che la produzione degli effetti e la concreta lesione lamentata da parte ricorrente debba ricondursi al provvedimento impugnato e non invece alla delibera del Consiglio che, non producendo effetti nei confronti della società, non ha assunto connotati di lesività, ravvisabile, invece, nel provvedimento adottato dal Direttore Generale del Comune di Termoli, impugnabile anche isolatamente, in quanto supportato da istruttoria e motivazione autonome.
Con la seconda eccezione preliminare parte resistente lamenta la tardività del deposito del ricorso, in quanto notificato in data 6 ottobre 2009 e depositato il successivo 3 novembre oltre il termine dimidiato di 15 giorni assuntamente applicabile alla fattispecie in forza della previsione, ratione temporis vigente, di cui all’art. 23-bis della legge 1034/1971 che contempla tra le materie sottoposte al rito abbreviato anche quelle relative a: “ provvedimenti relativi alle procedure di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di servizi pubblici e forniture ”.
Ritiene il Collegio che con il riferimento all’esecuzione del servizio pubblico il Legislatore della legge TAR abbia inteso riferirsi all’esecuzione del rapporto convenzionale nascente dall’affidamento dell’appalto o della concessione e non anche alla fattispecie, oggetto di causa.
Ed infatti, il provvedimento impugnato nel presente giudizio non è un atto direttamente incidente sull’esecuzione della concessione perché non modifica direttamente la tariffa, ma riguarda le delibere con le quali il Comune aveva deciso di conferire ad un tecnico l’incarico di stabilire un nuovo criterio di tariffazione e poi di ratificare la metodologia approntata.
Il provvedimento gravato che ritira in autotutela i predetti atti incide solo in via mediata sulle tariffe e, comunque, non le ridetermina direttamente e non può, quindi, considerarsi propriamente afferente “all’esecuzione del servizio pubblico”;ne consegue l’inapplicabilità della dimidiazione del termine prevista dall’art. 23-bis l. TAR, dovendosi ritenere che le ipotesi di rito abbreviato contemplate nel predetto articolo (così come quelle ora contemplate nel vigente art. 119 c.p.a.), implicando decadenze, siano di stretta interpretazione (cfr.: Cons. St., sez. VI, 28 maggio 2015, n. 2679).
Accertato il tempestivo deposito del ricorso può ora passarsi allo scrutinio del merito delle censure proposte da parte ricorrente che, data la stretta connessione che le connota, possono esaminarsi congiuntamente.
Esse sono fondate alla stregua delle considerazioni che di seguito si espongono.
Occorre preliminarmente rammentare che, secondo quanto affermato da parte ricorrente e non contestato, tra le parti è intercorso un accordo per la revisione del criterio di determinazione delle tariffe del servizio idrico mediante la sostituzione del criterio precedentemente impiegato del costo con quello del consumo, sulla base dell’attribuzione ad un tecnico designato dalle parti del compito di definirne le modalità di calcolo.
Il tecnico ha svolto l’incarico, stabilendo un criterio che ha dato luogo ad una diversa commisurazione tariffaria, aumentando l’importo dovuto, il cui incremento ha generato una cospicua morosità da parte del Comune accumulata nel corso degli anni. Ne è derivata l’instaurazione di un procedimento arbitrale, previsto nella relativa convenzione accessiva, che si è concluso con la condanna del Comune al pagamento della morosità per un importo di euro 259.666,95 in favore della società ricorrente quale corrispettivo dell’erogazione del servizio idrico negli anni dalla modifica del criterio di tariffazione fino al 2008.
Dopo la condanna subita in sede arbitrale, il Comune ha adottato il gravato provvedimento in autotutela con il quale ha ritirato i provvedimenti che avevano dato il via libera all’aumento delle tariffe e, come detto, alla formazione della predetta rilevante morosità.
Sennonché, in tal modo, il Comune ha posto in essere una condotta finalizzata ad eludere l’osservanza dell’obbligo nascente dal lodo arbitrale, realizzando così una strumentalizzazione del fine pubblico inquadrabile nell’ambito dello sviamento di potere, avendo utilizzato lo strumento dell’autotutela per sottrarsi unilateralmente alla vincolatività di un lodo arbitrale al quale aveva peraltro partecipato, proponendo ritualmente le proprie difese.
Ma il gravato provvedimento di autotutela risulta viziato anche sotto il profilo, dedotto da parte ricorrente, della violazione di legge, per essere stato adottato ad una lunghissima distanza temporale dall’adozione degli atti oggetto di ritiro in violazione dell’art. 21-nonies della l. n. 241/1990.
E infatti, il presupposto della legittimità del potere di autotutela decisoria individuato sin dall’immediato varo dell’art. 21-nonies della L. n. 241 del 1990 avvenuto con la L. n. 15 del 2005, consiste nella tempestività dell’esercizio del potere stesso, ossia nel dispiegarsi di esso entro un ragionevole lasso di tempo decorrente tra il provvedimento oggetto di ritiro in autotutela e quello mediante il quale la stessa si estrinseca.
Orbene, l’art. 21–nonies della L. n. 241/1990, inserito dall'articolo 14, comma 1, della legge 11 febbraio 2005, n. 15, stabilisce sin dalla sua prima versione, vigente ed applicabile al provvedimento impugnato, che “ Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell' articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge ”. Successivamente, nel corpo della norma è stato inserito l’inciso in forza del quale il termine ragionevole deve essere “ comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20 ”, disposizione recata dall'articolo 6, comma 1, lettera d), numero 1) della Legge 7 agosto 2015, n. 124 (c.d. Riforma Madìa, in vigore dal 28 agosto 2015).
In disparte la riportata ultima definizione normativa, nella sua estensione massima, del termine ragionevole, già l’originario testo dell’art. 21-nonies L. n. 241/1990 statuiva, dunque, la necessità che il provvedimento di secondo grado venisse adottato entro un termine ragionevole, la cui concreta individuazione era opera della giurisprudenza, che all’uopo ha valorizzato i più svariati fattori, onde tutelare l’affidamento incolpevole che il privato destinatario del provvedimento di primo grado, eventualmente accrescitivo della sua sfera giuridica, avesse riposto nel silenzio dell’Amministrazione sull’assetto di interessi creato dall’atto amministrativo sul quale solo successivamente essa intervenga in via di autotutela c.d. decisoria.
In chiave ricognitiva della stratificazione normativa succedutasi nel tempo in ordine alla tematica del ragionevole termine di annullamento di provvedimenti amministrativi ad efficacia durevole, rammenta anche il Collegio come sul punto si profili rilevante, in quanto direttamente disciplinante l’annullamento di provvedimenti ampliativi incidenti su rapporti convenzionali o contrattuali intercorrenti tra la P.A. e i privati (qual è indiscutibilmente il caso all’esame), la disposizione dell’art. 1, comma 136 della L. 30 dicembre 2004 n. 311 (Legge Finanziaria per il 2005).
Tale norma, pienamente vigente fino alla sua abrogazione operata con l’art. 6, comma 2, della L. n. 7.8.2015, n 124 appena citata, stabiliva che: “ Al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche, può sempre essere disposto l'annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se l'esecuzione degli stessi sia ancora in corso. L'annullamento di cui al primo periodo di provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati deve tenere indenni i privati stessi dall'eventuale pregiudizio patrimoniale derivante, e comunque non può essere adottato oltre tre anni dall'acquisizione di efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia perdurante ”.
Orbene, considerato che, come si è or ora avvertito, tale norma è stata espunta dall’ordinamento solo con l’art. 6 della L. n. 124 del 7 agosto 2015, doveva fondatamente predicarsene la sua doverosa applicazione da parte del Comune resistente, allorquando è stato assunto l’impugnato provvedimento 12 giugno 2009 discendendone che in forza della disposizione in disamina esso è illegittimo poiché adottato oltre il tempo massimo di tre anni entro il quale, in applicazione dell’art. 1, comma 136 della L. n. 311/2004 poteva essere annullato d’ufficio un provvedimento amministrativo illegittimo ad efficacia durevole – quali quelli oggetto di autotutela con i quali si era stato stabilito di definire nuovi criteri tariffari – incidente su rapporti contrattuali o convenzionali intercorrenti tra la P.A. (Comune di Termoli) e i privati (nella specie, la società ricorrente) ed avente ad oggetto il servizio idrico.
Ne consegue la evidente illegittimità del gravato provvedimento del Comune di Termoli del 12 giugno 2009 (prot. n. 18624), in quanto adottato a distanza di quasi nove anni dal primo provvedimento oggetto di ritiro, con la conseguenza che esso deve essere annullato per violazione dell’art. 21-nonies, L. 7.8.1990, n. 241, interpretato alla luce dell’art. 1, comma 136 della L. n. 311/2004, norma che costituiva dunque positivizzazione legislativa del principio del termine ragionevole (Consiglio di Stato, sez. III, 17 novembre 2015, n. 5259).
Tale esegesi è stata sposata anche dal giudice amministrativo di prime cure, che ha del pari affermato che “ Il limite di tre anni previsto dall'art. 1 comma 136, l. 30 dicembre 2004 n. 311, per annullare d'ufficio provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con i privati traduce in un dato concreto il parametro indeterminato del “termine ragionevole” di cui all'art. 21 nonies, l. 7 agosto 1990 n. 241 previsto in via generale per l'esercizio di tale potere. Esso individua legislativamente un punto di equilibrio tra il potere di annullamento d'ufficio per ragioni di convenienza economico-finanziaria e l'esigenza di certezza nei rapporti contrattuali tra pubblica amministrazione e privati, e non lascia quindi alcuno spazio ulteriore per l'esercizio dell'autotutela finalizzata a evitare un illegittimo esborso di denaro pubblico ” (TAR Toscana, Sez. I, 21 febbraio 2013 n. 263).
Sotto altro e connesso profilo, poi, l’inerzia comunale protratta per circa nove anni non può non aver ingenerato nella società ricorrente un affidamento legittimo ed incolpevole nella definitività dei provvedimenti oggetto di autotutela;affidamento che non è escluso dalla mancata adozione degli atti di copertura finanziaria da parte del Comune.
Ed infatti, un tale accertamento non spettava alla parte privata che non poteva certo essere onerata di verificare l’adozione degli atti di impegno di spesa, senza considerare che i provvedimenti impugnati non determinavano l’ammontare del maggior esborso gravante sull’Amministrazione, atteso che l’esatta commisurazione di esso sarebbe derivata dal concreto consumo idrico.
In definitiva il provvedimento impugnato è illegittimo, il ricorso deve essere accolto e il provvedimento impugnato annullato.
Le spese del giudizio seguono l’ordinario criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo.