TAR Ancona, sez. I, sentenza 2024-02-19, n. 202400151

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Ancona, sez. I, sentenza 2024-02-19, n. 202400151
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Ancona
Numero : 202400151
Data del deposito : 19 febbraio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 19/02/2024

N. 00151/2024 REG.PROV.COLL.

N. 00418/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 418 del 2007, proposto da
I M, rappresentata e difesa dall'avvocato L G, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. A V, in Ancona, corso Garibaldi, 111;

contro

Comune di Fratte Rosa, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati M P e N P, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Domenico D'Alessio, in Ancona, via Giannelli, 36;

per l'accertamento

del diritto all'esenzione dal pagamento dei contributi concessori relativi all'intervento assentito con concessione edilizia n. 19 del 18 ottobre 2000,

nonché, per quanto occorrere possa, per l’annullamento del provvedimento comunale prot. n. 891 del 1° marzo 2007, notificato in data 15 marzo 2007, avente ad oggetto la domanda di recupero dei contributi concessori relativi all'intervento edilizio di cui alla concessione edilizia n. 19 del 18 ottobre 2000,

e per la condanna

del Comune di Fratte Rosa al risarcimento dei danni.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Fratte Rosa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 gennaio 2024 il dott. Tommaso Capitanio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La sig.ra M, nella spiegata veste di ex proprietaria di un immobile ricadente nel territorio del Comune di Fratte Rosa, agisce in questa sede per l’accertamento del suo diritto all’esenzione dal pagamento dei contributi concessori relativamente all’intervento assentito dal Comune con concessione edilizia n. 19 del 18 ottobre 2000, previo, se necessario, annullamento della nota comunale prot. n. 891 del 1° marzo 2007, notificatale il successivo 15 marzo 2007, avente ad oggetto la richiesta di versamento dei suddetti oneri concessori. La ricorrente chiede altresì la condanna del Comune al risarcimento dei danni.

2. In punto di fatto nel ricorso si espone quanto segue.

Nel dicembre 1999 la sig.ra M aveva acquistato l’immobile per cui è causa (ricadente in via dei Valli s.n.c., in zona classificata agricola dal vigente P.R.G.) e il terreno circostante dal sig. Rodolfo Rosatelli, il quale era un coltivatore diretto che utilizzava quindi l’immobile in parte come abitazione del proprio nucleo familiare e in parte per finalità legate alla conduzione del fondo.

Poiché l’immobile versava in cattivo stato di manutenzione, poco dopo l'acquisto la ricorrente chiedeva al Comune di Fratte Rosa il rilascio di una concessione edilizia avente ad oggetto la ristrutturazione del fabbricato, il quale, dopo i lavori, sarebbe stato destinato unicamente alla residenza della proprietaria. Il Comune rilasciava la concessione edilizia n. 19 del 18 ottobre 2000, in cui l’amministrazione, in stretta applicazione dell’art. 3 della L. n. 10/1977 (oggi trasfuso nell’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001), dichiarava l’intervento non soggetto al pagamento degli oneri concessori.

I lavori avevano inizio regolarmente e nel giro di alcuni anni l’immobile veniva completamente ristrutturato. In seguito, per motivi personali legati alle difficoltà di utilizzo del fabbricato, la sig.ra M, con atto dell’8 febbraio 2007, lo alienava, determinando il prezzo di vendita senza computare la somma dovuta a titolo di oneri concessori che il Comune ha richiesto con l’atto impugnato.

Del tutto inaspettatamente, dunque, e dopo che erano trascorsi sette anni dal rilascio della concessione edilizia e nonostante il fatto che la ricorrente avesse nel frattempo alienato il fabbricato, con l’atto del 1° marzo 2007 oggetto del presente giudizio il Comune di Fratte Rosa richiedeva alla sig.ra M il pagamento degli oneri concessori, quantificati in complessivi € 3.649,60, di cui € 2.720,35 a titolo di oneri di urbanizzazione ed € 929,25 a titolo di costo di costruzione.

Dal tenore del provvedimento impugnato non è possibile conoscere quali ragioni hanno indotto l'amministrazione a richiedere solo nel 2007 il pagamento dei contributi concessori, così come non è dato comprendere in base a quali calcoli il Comune sia pervenuto alla quantificazione della somma pretesa.



Per questi motivi

, in data 17 aprile 2007 il tecnico progettista delle opere depositava presso gli uffici comunali, per conto della ricorrente, un’istanza di chiarimenti alla quale, alla data di notifica del ricorso, l’amministrazione non aveva ancora dato riscontro.

3. Ritenendo illegittimo l’operato del Comune, la sig.ra M ha quindi proposto il presente ricorso, articolando, come detto, sia la domanda di accertamento negativo della debenza degli oneri concessori, sia la domanda di annullamento dell’atto con cui l’amministrazione intimata ha chiesto il versamento delle somme de quibus (riservando al riguardo la proposizione di motivi aggiunti una volta che il Comune avesse reso nota la motivazione dettagliata dell’atto impugnato), sia la domanda di condanna del Comune al risarcimento dei danni, esponendo in punto di diritto quanto segue.

A) La richiesta di pagamento degli oneri concessori formulata dal Comune di Fratte Rosa è illegittima per palese violazione dell'art. 16 T.U. Edilizia, norma con la quale il legislatore ha introdotto nell'ordinamento il principio per cui il contributo relativo agli oneri di urbanizzazione e al costo di costruzione va determinato al momento del rilascio del titolo.

La norma prevede, è vero, che le due tipologie di contributi possono differire tra loro per quanto attiene alle modalità di pagamento, ma la genesi dell'obbligazione contributiva risale, in entrambi i casi, alla data del rilascio del titolo abilitativo.

L’art. 16, così interpretato, è stato del resto introdotto al fine di consentire al soggetto che richiede il rilascio di un titolo di edilizio di conoscere ex ante quale sacrificio economico dovrà sostenere per l’esercizio del ius aedificandi e di determinarsi di conseguenza. E anche la giurisprudenza conferma che questa è la ratio della norma, avendo chiarito che “ …il privato, al momento del rilascio del provvedimento concessorio dovrebbe essere posto nelle condizioni di valutare consapevolmente l’onere finanziario che affronta e quindi l’effettiva convenienza dell’attività che si accinge a compiere… ” (così T.A.R. Sicilia - Catania, n. 604/1999).

Tale principio generale non è scalfito dall’orientamento giurisprudenziale che riconosce al Comune il potere di “rideterminare” l’importo degli oneri concessori laddove esso sia stato erroneamente quantificato al momento del rilascio del titolo, poiché questo orientamento muove dal presupposto che l’amministrazione abbia comunque determinato l’onerosità della concessione edilizia, di modo che la “rideterminazione” è finalizzata unicamente a stabilire l’esatto ammontare del contributo di cui all’art. 16 del T.U. n. 380/2001.

Nel caso di specie, al contrario, avendo il Comune di Fratte Rosa stabilito che nulla era dovuto a titolo di oneri concessori, il potere di determinare la debenza del contributo è stato interamente consumato, per cui non si comprende nemmeno quale tipo di azione abbia inteso esercitare l’amministrazione con il provvedimento impugnato, visto che:

- il potere di “determinazione” degli oneri concessori, alla luce del chiaro disposto dell’art. 16, è da ritenere consumato;

- il termine di prescrizione decennale, che la giurisprudenza individua come momento oltre il quale l’Ente perde il diritto di domandare il pagamento degli oneri concessori, ha ad oggetto senza dubbio l’esercizio dell’azione con cui il Comune domanda l’adempimento di un’obbligazione già venuta ad esistenza all’atto del rilascio del titolo edilizio (al riguardo la ricorrente richiama la sentenza di questo T.A.R. n. 143/2004).

Una volta esercitato il potere di determinare gli oneri ai sensi dell’art. 16 del T.U. (nella specie “in negativo”, ossia dichiarando che l’intervento non era soggetto al pagamento del contributo), il Comune perde la possibilità di riesercitare il potere, per cui l’unica strada percorribile è eventualmente quella di agire nei riguardi del privato ai sensi dell’art. 2041 c.c., sempre che ne sussistano i presupposti.

In ogni caso, però, l’amministrazione sarebbe comunque tenuta a risarcire i danni colposamente arrecati al titolare del permesso edilizio, il che nella specie implica la responsabilità del Comune di Fratte Rosa per avere impedito alla ricorrente di determinare in modo corretto il prezzo della rivendita dell’immobile de quo , includendovi anche gli oneri concessori.

I limiti all’esercizio del potere comunale di “rideterminazione” (o “determinazione” con effetti ex tunc ) degli oneri concessori sono stati ribaditi anche dalla (recente, all’epoca dei fatti) sentenza del C.G.A.R.S. n. 64/2007, in cui si chiarisce che l’esercizio del potere di autotutela che incide su rapporti paritetici tra amministrazione e privato, come è quello in questione, non può non risultare condizionato anche dalle disposizioni del codice civile in materia di obbligazioni e contratti, fra cui l’art. 1236 c.c.;
infatti, poiché ai sensi dell’art. 16 del T.U. Edilizia l’obbligazione contributiva sorge al momento del rilascio del titolo edilizio, se il Comune ritiene non dovuto il contributo concessorio ciò vuol dire che l’ente ha rinunciato al proprio diritto di credito, il che, come è noto, implica l’estinzione dell’obbligazione.

Dal tenore del provvedimento impugnato sembra di capire che il Comune ritenga di essere incorso in errore nell’interpretazione dell’art. 3 ( rectius , 9) della L. n. 10/1977 nel momento in cui ha dichiarato la non debenza degli oneri concessori, e pertanto occorre valutare se tale errore sia sufficiente ad elidere il valore estintivo della propria dichiarazione. Anche in questo caso, però, debbono applicarsi i principi del codice civile, ed in particolare quelli desumibili dagli artt. 1429 e 1431 c.c., secondo cui l’errore rileva come causa di annullabilità del contratto purché esso sia essenziale e riconoscibile.

Nel caso di specie, però, non sussiste il requisito della riconoscibilità dell’errore da parte del privato, visto che la determinazione degli oneri concessori spetta unicamente al Comune, il quale è tenuto sia a stabilire periodicamente i criteri di determinazione del contributo sia ad applicare tali criteri, di modo che i privati sono indotti a prestare affidamento sulla correttezza delle determinazioni assunte di volta in volta dall’amministrazione.

Non era dunque possibile che la ricorrente potesse avvedersi dell’errore in cui fosse eventualmente incorso il Comune al momento del rilascio della concessione edilizia, e pertanto il potere di rideterminazione del contributo è stato esercitato in violazione del dovere di correttezza e buona fede.

Del resto, anche in subiecta materia trovano applicazione i principi giurisprudenziali formatisi in tema di recupero di somme indebitamente erogate dalla P.A., ed in particolare il principio secondo cui il relativo potere incontra il triplice limite della buona fede del percipiente, del tempo trascorso dal momento della liquidazione delle relative somme e della tenuità del quantum (limiti che sussistono anche nel caso di specie, essendo trascorsi ben sette anni dalla data di rilascio della concessione edilizia).

Nel caso in esame, poi, esiste anche una circostanza ulteriore che legittima la ricorrente a contestare la pretesa del Comune e a pretendere eventualmente il risarcimento dei danni, ossia il fatto che l’immobile è stato medio tempore alienato senza che la sig.ra M abbia potuto traslare sull’acquirente l’importo relativo agli oneri concessori.

B) Il provvedimento di recupero del contributo concessorio emesso dal Comune di Fratte Rosa è inoltre illegittimo, sempre per violazione dell'art. 16 T.U. Edilizia, nella parte in cui esso comprende anche il costo di costruzione, il quale, per giurisprudenza univoca, ha natura tributaria.

Ma se così è, ne consegue che occorre verificare se sono stati rispettati i limiti al libero esercizio del potere di autotutela in materia tributaria.

Ribadito che l’obbligazione contributiva sorge al momento del rilascio del titolo, la risposta al quesito è negativa, come emerge dal consolidato orientamento della Corte di Cassazione ( ex multis , sentenza n. 17576/2002) e dalla citata sentenza del C.G.A.R.S. n. 64/2007.

Nella specie esiste infatti l’affidamento incolpevole del privato, protrattosi per ben sette anni, sulla natura gratuita dell’intervento edilizio de quo , per cui anche sotto questo profilo l’operato del Comune è illegittimo e fonte di responsabilità aquiliana.

C) La domanda di pagamento degli oneri concessori è inoltre illegittima perché la somma richiesta a titolo di oneri concessori è stata determinata prendendo in considerazione l’immobile nella sua totalità, senza tenere in debita considerazione la natura, già parzialmente residenziale, del fabbricato.

Infatti, e sebbene dal provvedimento impugnato non è dato comprendere le modalità di calcolo delle somme pretese dal Comune (non essendo in particolare indicata la superficie utile considerata), sembra potersi desumere che l’amministrazione abbia incluso nel computo anche la parte del fabbricato già adibita ad uso residenziale ad opera del precedente proprietario, mentre è del tutto evidente che l’intervento di ristrutturazione eseguito dalla sig.ra M ha modificato la destinazione d’uso solo della parte che era utilizzata per le attività inerenti la conduzione del fondo.

Pertanto, considerato che un intervento edilizio è assoggettato al pagamento degli oneri concessori solo se e in quanto determina un aumento del carico urbanistico, si deve ritenere che, a fronte di un aumento parziale di detto carico, anche gli oneri concessori vanno parzialmente ridotti (al riguardo viene richiamata la sentenza di questo T.A.R. n. 221/2006, relativa a vicenda non proprio identica ma assimilabile).

Il Comune di Fratte Rosa va pertanto condannato in ogni caso a rivedere l’importo del contributo risultante dal provvedimento impugnato, escludendo dal computo i locali del fabbricato che hanno mantenuto la precedente destinazione residenziale.

D) Quanto alla domanda risarcitoria, la ricorrente evidenzia che, a seguito della sentenza della Corte di Cassazione n. 500/1999, la P.A. è tenuta a risarcire i danni cagionati colposamente nell’esercizio del potere.

Nella specie esistono tutti gli elementi dell’illecito civile, ossia:

- l’evento dannoso (danno patrimoniale);

- il nesso di causalità fra la condotta della P.A. e l’evento dannoso;

- la colpa dell’amministrazione, la quale ha violato le regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione.

4. Per resistere al ricorso si è costituito in giudizio il Comune di Fratte Rosa.

La causa è passata in decisione alla pubblica udienza del 24 gennaio 2024.

5. Il ricorso, per quanto fondato su argomenti giuridici degni di considerazione e in parte anche molto innovativi per l’epoca di redazione dell’atto introduttivo, va respinto con riguardo a tutte le domande proposte dalla sig.ra M, e ciò per le ragioni che di seguito si espongono.

Il rigetto delle domande nel merito esonera il Collegio dall’esame dell’eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso per omessa notifica al funzionario comunale che ha adottato il provvedimento impugnato, eccezione formulata dalla difesa comunale nella memoria di costituzione.

6. Va premesso che la ricorrente affida le proprie domande sia ai principi affermati all’epoca dei fatti in alcune sentenze del giudice amministrativo (principi che sono stati oggetto di successiva rimeditazione), sia a quelli affermati, sempre in quel periodo, in decisioni della Corte di Cassazione che però, come si vedrà, non sono attagliabili alla presente controversia in quanto riferite alla materia tributaria.

Sempre in premessa si deve rilevare che, se è vero che all’epoca di proposizione del presente ricorso esistevano pronunce giurisdizionali che avevano affermato la rilevanza del legittimo affidamento maturato dal privato sulla gratuità della concessione edilizia, è altrettanto vero che nella specie tale affidamento non può essere ritenuto sussistente sotto questo profilo, visto che il T.A.R. Marche, con sentenza n. 250/1998 (confermata dal Consiglio di Stato con la decisione n. 6289/2004), aveva già statuito che in casi del genere la concessione edilizia è onerosa (e ancora prima nello stesso senso si era pronunciato il T.A.R. Toscana con la sentenza n. 1398/1984). Ne consegue l’inapplicabilità, in ogni caso, dei principi affermati nella decisione del C.G.A.R.S. n. 64/2007.

Successivamente, questo Tribunale, con la sentenza n. 854/2009 (resa in una vicenda analoga a quella che coinvolge la sig.ra M), aveva invece affermato la gratuità della concessione edilizia, ma la pronuncia è stata annullata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 6005/2013;
al riguardo è importante evidenziare che la vicenda sottostante risaliva al 1998 e questo conferma vieppiù l’esistenza di orientamenti differenziati anche a livello dei singoli Comuni marchigiani, il che esclude in radice l’esistenza di un consolidato affidamento circa la gratuità della concessione edilizia nei casi in cui un fabbricato ex rurale ricadente in zona agricola viene sottoposto ad interventi implicanti il cambio di destinazione d’uso eseguiti da un soggetto non in possesso della qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale.

Non vi può essere dunque alcun dubbio circa il fatto che nel caso di specie la concessione edilizia fosse onerosa, ai sensi e per gli effetti dell’art. 9, let. a), della L. n. 10/1977, visto che la sig.ra M non risulta aver mai posseduto la qualifica di I.A.T.P.

7. Passando dunque a trattare le varie censure proposte dalla ricorrente, le stesse, come si è visto, sono finalizzate ad evidenziare, oltre al difetto di motivazione che affliggerebbe il provvedimento impugnato:

- in primo luogo, l’avvenuta consumazione del potere del Comune di “determinare” l’importo degli oneri concessori;

- in secondo luogo, la lesione del legittimo affidamento (che nella specie sussisterebbe anche in ragione del tempo trascorso dalla data di rilascio del titolo) e la violazione del principio di immodificabilità della pretesa tributaria;

- in terzo luogo, la parziale erroneità del computo effettuato dal Comune, laddove il costo di costruzione è stato ragguagliato anche alla superficie dell’immobile che già in origine era adibita ad uso residenziale.

Tali doglianze, per quanto abilmente prospettate, non sono però convincenti.

7.1. Partendo dal primo profilo, si osserva che in parte qua la difesa della ricorrente fonda il proprio ragionamento su una sottigliezza linguistica che non è condivisibile né in assoluto né con riguardo al caso di specie.

In effetti, se fosse vero che di “rideterminazione” può legittimamente parlarsi solo quando il Comune, al momento del rilascio del titolo, ha comunque stabilito l’onerosità del titolo edilizio, allora si dovrebbe conseguentemente ritenere che “in prima battuta” sarebbe sufficiente stabilire un importo anche irrisorio (persino il c.d. nummo uno ), suscettibile poi di qualsiasi incremento che l’amministrazione dovesse stabilire entro il termine prescrizionale.

Ma, se è così, non si vede in che modo questo scenario differirebbe in maniera sostanziale dal caso odierno, nel quale l’importo rideterminato dal Comune è praticamente irrisorio e tale da non cagionare alcuna lesione degli interessi patrimoniali della ricorrente.

In realtà, dunque, la “rideterminazione” - ovviamente nel termine prescrizionale - può aversi sia quando il Comune ha già stabilito ab origine l’onerosità del titolo (errando solo nella quantificazione della somma dovuta dal privato), sia quando ha inizialmente (ma erroneamente) ritenuto la gratuità dell’atto autorizzativo.

7.2. Con riguardo al secondo profilo, il Collegio ritiene sufficiente richiamare i principi ribaditi di recente dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 12 del 2018, in cui il massimo organo della giustizia amministrativa, dopo aver esaminato anche le tesi più favorevoli ai privati affermate all’epoca dei fatti da alcune sentenze del C.G.A.R.S. (fra cui la n. 64/2007 richiamata in ricorso) ha avuto modo di precisare che:

- il contributo di costruzione rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione, ricollegata sul piano eziologico al surplus di opere di urbanizzazione che l’amministrazione comunale è tenuta a realizzare in relazione al nuovo intervento edificatorio posto in essere dal richiedente il titolo edilizio. Inoltre, il contributo per il rilascio del permesso di costruire ha natura di prestazione patrimoniale imposta, di carattere non tributario, ed ha carattere generale, prescindendo totalmente delle singole opere di urbanizzazione che devono in concreto eseguirsi, venendo altresì determinato indipendentemente sia dall’utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette opere;

- gli atti con i quali la pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione di cui all’art. 16 del T.U. n. 380/2001 non hanno natura autoritativa, ma costituiscono l’esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge in favore del Comune per il rilascio del permesso di costruire, stante la sua onerosità, nell’ambito di un rapporto obbligatorio a carattere paritetico e soggetta, in quanto tale, al termine di prescrizione decennale. Pertanto a tali atti non possono applicarsi né la disciplina dell’autotutela dettata dall’art. 21- nonies della L. n. 241/1990, né gli altri principi generali stabiliti dalla stessa legge n. 241 per gli atti di natura provvedimentale;

- il Comune può sempre rideterminare, sia a favore che a sfavore del privato, l’importo del contributo concessorio, in principio erroneamente liquidato, richiedendone o rimborsandone la differenza al titolare del permesso edilizio, sempre entro l’ordinario termine di prescrizione decennale, decorrente dalla data di rilascio del titolo edilizio. Il privato, pertanto, non è tenuto ad impugnare gli atti determinativi del contributo nel termine di decadenza, potendo ricorrere al giudice amministrativo, munito di giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art. 133, comma 1, let. f), c.p.a., nel medesimo termine di dieci anni, anche con un’azione di mero accertamento;

- l’amministrazione comunale, nel richiedere gli importi dovuti a titolo di contributo di costruzione, rideterminati a seguito di liquidazione erronea iniziale, con atti non aventi natura autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato, ai sensi dell’art. 1, comma 1- bis , della L. n. 241/1990, ma si deve escludere l’applicabilità della disciplina dettata dal codice civile in materia di errore nella conclusione dei contratti, in quanto l’errore nella liquidazione del contributo compiuto dalla pubblica amministrazione non attiene ad elementi estranei o ignoti alla sfera del debitore ed è quindi per definizione un errore riconoscibile, in quanto o riguarda l’applicazione delle tabelle parametriche, che al privato sono o devono essere ben note, o è determinato da un mero errore di calcolo, ben percepibile dal privato;

- la tutela dell’affidamento e il principio della buona fede, che in via generale devono essere osservati anche dalla pubblica amministrazione dell’attuazione dei rapporti obbligatori, possono trovare applicazione ad una fattispecie come quella in esame solo nella eccezionale ipotesi in cui la conoscibilità e la verificabilità non siano possibili con l’ordinaria diligenza richiesta al debitore, secondo buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.), nell’ottica di una leale collaborazione volta all’attuazione del rapporto obbligatorio e al soddisfacimento dell’interesse creditorio vantato dal Comune. Al riguardo, però, si è già detto in precedenza che nella specie non può riconoscersi in capo alla ricorrente un legittimo affidamento, visto che all’epoca del rilascio della concessione edilizia n. 19 del 2000 esistevano già numerose pronunce del G.A., ed in particolare del T.A.R. Marche, che in casi analoghi avevano affermato l’onerosità della concessione.

7.3. Nemmeno la doglianza relativa all’errata quantificazione del costo di costruzione è fondata, visto che, come correttamente eccepito dalla difesa comunale, tutto l’edificio, una volta trasformato da fabbricato rurale a casa di civile abitazione, subisce la modificazione della destinazione d’uso. Va infatti evidenziato che nel caso di fabbricati rurali l’uso residenziale è tendenzialmente residuo rispetto all’uso principale degli immobili ed esso è consentito solo per ragioni pratiche e storiche, legate alla specificità del lavoro agricolo.

7.4. Non sussiste nemmeno il dedotto difetto di motivazione, visto che la ricorrente e il suo tecnico di fiducia avevano la possibilità di verificare la correttezza del calcolo elaborato dal Comune semplicemente mettendo a confronto le tabelle parametriche vigenti ratione temporis nel territorio di Fratte Rosa e i dati progettuali.

Quanto invece all’onerosità della concessione, la stessa, come detto, discendeva dalla piana applicazione dell’art. 9 della L. n. 10/1977, per cui sotto questo profilo il parere della Provincia di Pesaro e Urbino richiamato nell’atto ha avuto solo valore rafforzativo della disposizione di legge applicabile alla fattispecie.

7.5. Dal rigetto della domanda impugnatoria discende anche il rigetto delle altre domande, essendo risultato legittimo l’operato del Comune (il quale non può dunque aver cagionato alla ricorrente alcun danno “ingiusto”).

Con specifico riguardo alla domanda risarcitoria va comunque rilevata l’assoluta assenza di qualsiasi elemento probatorio o anche solo indiziario in base al quale si possa ritenere che la ricorrente sarebbe riuscita a spuntare in sede di compravendita dell’immobile de quo un prezzo tale per cui gli oneri concessori sarebbero stati traslati sul compratore (e comunque l’incidenza della somma pretesa dal Comune è veramente irrisoria rispetto al prezzo al quale la compravendita è stata effettivamente conclusa).

8. In conclusione, il ricorso va respinto con riguardo a tutte le domande proposte.

Le spese del giudizio possono essere integralmente compensate, stante la durata del giudizio e l’esistenza, all’epoca dell’incardinazione del ricorso, di pronunce del giudice amministrativo potenzialmente favorevoli alla ricorrente.

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