TAR Roma, sez. 1T, sentenza 2014-04-14, n. 201404005
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N. 04005/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00706/2002 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 706 del 2002, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
C G, L M, L P V e T M, rappresentati e difesi dagli avv.ti A R e F L, con domicilio eletto presso lo studio della prima, situato in Roma, Foro Traiano n. 1/A;
contro
Regione Lazio, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dall'avv. L B, con domicilio eletto presso lo studio del difensore, situato in Roma, viale Tiziano n. 80;
Ipab Isma - Istituti di Santa Maria di Aquiro, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Giuseppe Sigillò Massara e Alfredo Samengo, con domicilio eletto presso lo studio dei difensori, situato in Roma, via Po n. 25/B;
nei confronti di
R Francesco, n.c.;
per l'annullamento
- quanto al ricorso introduttivo:
della delibera 30 ottobre 2001, n. 1628, pubblicata nel B.U.R.L. del 10 dicembre 2001, con la quale la Giunta Regionale del Lazio ha disposto lo scioglimento del Consiglio di Amministrazione dell’I.P.A.B. Istituti Santa Maria in Aquiro e, contestualmente, nominato il Presidente in carica del C.d.A., avv. Francesco R, commissario regionale per la gestione dell’Ente “fino alla ricostituzione dell’ordinario organo di amministrazione e comunque per un periodo non superiore a sei mesi”;
di ogni altro atto presupposto, connesso o conseguente ed, in particolare, della nota 22 ottobre 2001, richiamata fra le premesse alla delibera impugnata ma ignota ai ricorrenti, recante la relazione sullo stato amministrativo contabile dell’Istituto predisposta dal Presidente R, nella quale verrebbero “rappresentate e documentate gravi irregolarità nella gestione del patrimonio immobiliare dell’ente”;
nonché per l’adozione delle pronunce consequenziali ai sensi dell’art. 7 l. T.A.R., così come modificato dall’art. 7 l. 205/2000, in ordine al risarcimento dei danni ingiustamente subiti dai ricorrenti, da accertarsi e liquidarsi in corso di causa;
- quanto ai motivi aggiunti:
della relazione in data 22 ottobre 2001;
della già indicata deliberazione della G.R. del 30 ottobre 2001, n. 1628;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti ed i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Lazio e di Ipab Isma - Istituti di Santa Maria di Aquiro;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 gennaio 2014 il dott. A M e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Attraverso l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato in data 28 dicembre 2001 e depositato il successivo 2 gennaio 2002, i ricorrenti – già componenti del Consiglio di Amministrazione dell’I.P.A.B. Istituti di Santa Maria in Aquiro (di seguito, ISMA) – impugnano la delibera 30 ottobre 2001, n. 1628, con il quale la Giunta Regionale del Lazio ha disposto lo scioglimento del su indicato Consiglio e, contestualmente, nominato il Presidente in carica del C.d.A., l’avv. R, “commissario regionale” per la gestione dell’ente “fino alla ricostituzione dell’ordinario organo di amministrazione e comunque per un periodo non superiore a sei mesi” e ciò in ragione del rilievo – in sintesi - che “i criteri gestionali adottati non consentono il perseguimento degli scopi statutari in misura proporzionata alle potenziali risorse patrimoniali dell’ente con grave pregiudizio degli interessi dello stesso”.
In particolare, i ricorrenti espongono quanto segue:
- di essere stati nominati con delibera del 20 aprile 1998, n. 1416, della Giunta Regionale del Lazio, su designazione del Comune di Roma, componenti del Consiglio di amministrazione dell’ISMA;
- presidente del Consiglio fu nominato l’on. S, poi dimessosi nel marzo 2001;
- in sostituzione dell’on. S, fu nominato l’avv. R con deliberazione G.R. del 3 agosto 2001, n. 1256;
- dopo solo due mesi da tale nomina è stata adottata la delibera impugnata, sulla base di irregolarità di gestione.
Averso tale delibera i ricorrenti insorgono deducendo i seguenti motivi di diritto:
I) Violazione dei principi che regolano il procedimento per omessa informativa e contestazione dei fatti addebitati. Omessa instaurazione del contraddittorio. Violazione dell’art. 46 l. 17.7.1980, n. 6972, nonché dell’art. 20 d.lgs. 4.5.2001, n. 207. Difetto di motivazione, in quanto alcun contradditorio è stato mai instaurato con gli interessati ed alcun termine è stato mai assegnato all’Amministrazione per conformarsi alle norme “che si presumono violate”.
II) Violazione dell’art. 46 l. 17.7.1980, n. 6972, nonché dell’art. 20 d.lgs. 4.5.2001, n. 207, sotto diverso profilo: commissariamento dell’Isma al di fuori dei casi previsti dalla legge ed in assenza dei presupposti. Travisamento dei fatti, difetto di istruttoria e carenza di motivazione. Eccesso di potere per sviamento. Dal provvedimento non emerge quali sarebbero le gravi irregolarità compiute dal C.d.A, idonee a giustificarne l’immediato scioglimento. Per quanto riguarda le singole vicende richiamate, è necessario precisare che – in relazione a Palazzo Rivaldi – non si è tenuto conto dei provvedimenti di adeguamento alle direttive della Regione in seguito adottati (in particolare, le deliberazioni concernenti la vendita del palazzo, “comprese quelle aventi ad oggetto la transazione con la Fondazione S. Raffaele del Monte Tabor, “conduttrice dell’immobile in forza di un contratto di locazione stipulato il 21 dicembre 1990”);per la vicenda della R.S.A. di via Valcannuta, si precisa che, allo scopo di realizzare tale residenza assistenziale, era stato sottoposto alla Regione un progetto comprendente la vendita, tra l’altro, di un palazzo a via del Babuino, tale iniziativa non fu condivisa dalla Regione – come da nota del 3 ottobre 2001 - e, dunque, il C.d.A. si è adeguato interamente a tali rilievi. In definitiva, il C.d.A. si è sempre adeguato alle direttive dell’organo di controllo, sicché non si comprendono i presupposti sulla base di cui la Regione ha esercitato i propri poteri sostitutivi ed, anzi, evidente si configura il travisamento dei fatti. Per quanto attiene alle altre irregolarità, difficile ne è la comprensione, non avendo conoscenza della relazione predisposta dal Presidente, avv. R. Preso atto di quanto rappresentato, emerge un ulteriore motivo di illegittimità, individuabile nello sviamento di potere.
In ultimo, i ricorrenti formulano domanda di risarcimento dei danni ingiustamente subiti, derivanti dalla cessazione anticipata del mandato (il quale avrebbe dovuto avere una durata di 5 anni, così come prescritto dall’art. 6 dello Statuto dell’ISMA) e dalla gravissima lesione della loro immagine e del loro decoro.
Con atto depositato in data 16 luglio 2002 si è costituita la Regione Lazio, la quale – in medesima data – ha prodotto numerosi documenti.
2. In data 8 gennaio 2003 i ricorrenti hanno depositato motivi aggiunti, notificati il precedente 18 dicembre 2002, proposti specificamente per l’annullamento della relazione del Presidente R del 22 ottobre 2001, depositata in giudizio dalla Regione Lazio il precedente 16 maggio 2002.
A tale fine i ricorrenti formulano le seguenti censure:
I) Violazione dell’art. 46 l. 17.7.1890, n. 6972, e dell’art. 20 d.lgs. 4.5.2001, n. 207, per avere disposto il commissariamento dell’ISMA al di fuori dei casi previsti dalla legge ed in assenza dei presupposti. Violazione dell’art. 3 l. 241/1990 per difetto di motivazione. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento dei fatti nonché per sviamento. Nella relazione de qua, articolata in 11 capitoli, i singoli fatti vengono esposti genericamente e sommariamente, gli episodi di gestione ed amministrazione vengono riportati in maniera parziale, incompleta e fuorviante, senza, tra l’altro, “alcuna prova”. Appare, dunque, evidente che tale relazione “non è idonea a sostenere la motivazione della grave determinazione adottata dalla Regione Lazio”. In ragione di tale constatazione si perviene alla conclusione che il procedimento non è stato regolare, sia per difetto di istruttoria che per carenza di contraddittorio, sicché risulta evidente “l’eccesso di potere per sviamento”, avendo la Regione fatto un uso strumentale del proprio potere di vigilanza, abusandone.
II) In relazione al contenuto della nota: difetto di motivazione;eccesso di potere per difetto assoluto dei presupposti di fatto e di diritto, travisamento dei fatti, contraddittorietà intrinseca ed estrinseca, perplessità e genericità manifeste nonché per carenza di istruttoria e sviamento. La relazione dell’avv. R contiene una serie di affermazioni non corrispondenti al vero, quali quelle afferenti alla vendita – e, specificamente, al valore – dell’immobile a via del Babuino ed a Palazzo Rivaldi. Non è dato, in particolare, conto dell’immediato uniformarsi del C.d.A. alle prescrizioni della Regione. I fatti, poi, esposti in relazione ai rapporti di lavoro, al Segretario Generale ed al bilancio sono “in linea di principio estranei alle competenza del CdA o comunque non direttamente imputabili ai ricorrenti”. Il comodato a favore dell’Istituto Regionale per la Comunicazione Montecelio – rispondente, in ogni caso, agli scopi dell’ISMA – non è stato stipulato. La gestione degli appartamenti è sempre stata nei termini di legge.
Con atto depositato in data 17 gennaio 2003 si è costituito l’ISMA.
3. In data 6 dicembre 2013 i ricorrenti hanno prodotto copia di articoli di giornali che – all’epoca – relazionarono sulla vicenda.
Con memoria prodotta in data 13 dicembre 2013 la Regione Lazio ha così supportato la correttezza del proprio operato: - a seguito di sopralluoghi e contestazioni (riguardanti palazzo Rivaldi e la decisione del C.d.A. di dismettere il patrimonio immobiliare dell’Ente), in data 25 marzo 1999 ma anche in epoca successiva la Regione Lazio ha diffidato l’ente ad adeguarsi alle direttive impartite, pena l’applicazione degli artt. 46 e ss. legge 1890 n. 6972 (scioglimento del Consiglio);- il C.d.A. è stato, poi, sciolto in quanto la sua attività pregiudicava gli interessi dell’Ente, sicché non era necessario alcun invito all’IPAB ad uniformarsi alle “norme violate”;- il richiamo dell’art. 20 d.lgs. n. 207 del 2001 è inconferente, in quanto disciplina la differente ipotesi dell’accertata inattività;- non era necessaria la contestazione degli addebiti e la comunicazione dell’avvio del procedimento in quanto si trattava di un provvedimento non sanzionatorio, “vincolato”;- in ogni caso, vi è stata partecipazione, tenuto conto anche dei numerosi incontri tra i membri del C.d.A. e funzionari della Regione;- la motivazione è completa, facendo riferimento in termini precisi a numerosi episodi atti ad impedire il perseguimento da parte dell’IPAB dei propri fini sociali (quali quelli inerenti a palazzo Rivaldi ed alla chiara volontà di dismettere il patrimonio immobiliare “in assenza di qualsiasi tipo di progetto di reinvestimento e di miglioramento del patrimonio”, la carenza di interventi idonei a garantire il livello assistenziale a favore di orfani, minori di età, minori disagiati o meritevoli e persone anziane di cui alle norme statutarie, la gestione del personale con riferimento anche al conferimento di incarichi esterni per cui sono intervenute sentenze di condanna della Corte dei Conti, l’affitto di locali ecc.). In ultimo, la Regione Lazio ha evidenziato l’infondatezza della domanda di risarcimento del danno, anche per genericità
Con memoria depositata in data 16 dicembre 2013 i ricorrenti hanno insistito sulle domande formulate.
L’ISMA ha – a sua volta – prodotto una memoria in data 16 dicembre 2013, soffermandosi – in particolare - sulla deliberazione commissariale n. 16 del 28 novembre 2001, con cui si è proceduto all’annullamento d’ufficio di numerose deliberazione del CdA riguardanti interventi finalizzati all’alienazione graduale del patrimonio immobiliare dell’istituto, e su sentenze di condanna della Corte dei Conti, emesse in relazione al conferimento di incarichi esterni (dal medesimo depositate il precedente 5 dicembre 2013).
Con memoria prodotta il successivo 23 dicembre 2013 la Regione Lazio ha ribadito la gravità delle irregolarità riscontrate nella gestione dell’IPAB.
All’udienza pubblica del 16 gennaio 2014 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Il ricorso introduttivo è infondato e, pertanto, va respinto.
Per quanto attiene ai motivi aggiunti, emergono profili di inammissibilità per tardività, in ordine ai quali si ritiene – comunque – di poter soprassedere, atteso che anche tale gravame è infondato e va respinto.
In definitiva, le impugnative proposte non sono meritevoli di positivo riscontro;se ne procederà ad una trattazione congiunta, tenuto conto della sostanziale identità della questione oggetto di esame.
2. Come esposto nella narrativa che precede, i ricorrenti – già componenti del Consiglio di Amministrazione dell’I.P.A.B. Istituti Santa Maria in Aquiro, di seguito indicata come ISMA, in virtù della deliberazione della Giunta Regionale del Lazio del 20 aprile 1998, n. 1416 – impugnano la deliberazione del 31 ottobre 2001, n. 1628, con cui la già citata Giunta Regionale ha disposto lo scioglimento del Consiglio di amministrazione in ragione del rilievo che i “criteri gestionali adottati non consentono il perseguimento degli scopi statutari in misura proporzionata alle potenziali risorse patrimoniali dell’ente con grave pregiudizio degli interessi dello stesso”, e gli atti alla stessa presupposti (in particolare, la relazione in data 22 ottobre 2001, redatta dal nuovo Presidente dell’Istituto, Av. R).
A tale fine denunciano, tra l’altro, la violazione dell’art. 46 della legge n. 6972 del 1980, dell’art. 20 del d.lgs. n. 207 del 2001 e dell’art. 3 della legge n. 241/90, nonché eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di istruttoria e sviamento.
Tali censure non sono meritevoli di condivisione.
2.1. Ai fini del decidere, appare opportuno ricordare che, come risulta dallo statuto dell’Ente:
- l’ISMA è un’istituzione pubblica di assistenza e beneficienza, con sede nella città di Roma (art. 1), la quale deve perseguire i seguenti scopi:
“a) ospitare ed assistere orfani di minore età, momentaneamente sprovvisti di quanto necessita loro per lo svolgimento o il completamento di qualsivoglia ordine di studio e/o di formazione, al fine di avviarli – ove possibile – ad un’arte, un mestiere o una professione;
b) ospitare ed assistere minori, disagiati o meritevoli, garantendo il sussidio e l’assistenza necessari a conseguire adeguata formazione al lavoro e/o istruzione scolastica;
c) favorire l’istituzione di comunità che possano ricreare nel minore l’ambiente tipico della famiglia e/o fornire un sostegno economico direttamente alle famiglie che vertono in condizioni di acclarata povertà, per consentire ai minori la formazione e/o l’istruzione necessarie a garantire il loro inserimento nella società;
d) erogare borse di studio per i giovani di cui alle lettere precedenti che si siano dimostrati particolarmente meritevoli al fine di offrire loro un aiuto per il perseguimento degli studi universitari e/o di specializzazione;
e) ospitare ed assistere persone anziane, mediante l’attuazione di servizi aperti e/o residenziali (art. 2);
- l’ente, inoltre, “compatibilmente con le finalità principali”, si prefigge di promuovere e partecipare ad attività di studio, ricerca e documentazione nei settori socio-assistenziali in cui espleta l’attività su indicata e di curare la formazione e l’aggiornamento permanente degli operatori dei settori socio-assistenziali in cui espleta la propria attività (art. 2);
- lo stesso ente è tenuto ad utilizzare – come mezzi per il perseguimento degli scopi istituzionali – le rendite provenienti da fondi urbani, censi, canoni, titoli di Stato per un ammontare patrimoniale netto rivalutato alla data del 31 dicembre 1995 in complessive L. 80.576.275.348, “concorreranno inoltre al perseguimento dei fini istituzionali gli eventuali ulteriori lasciti, oblazioni e contribuzioni a fondo perduto, a qualsiasi titolo pervenuti” (art. 4);
- ai sensi del successivo art. 12, il Consiglio di Amministrazione “determina l’indirizzo politico – amministrativo dell’Ente, mediante l’adozione dei programmi e delle direttive generali, e ne controlla l’attuazione, occupandosi, tra l’altro, delle “assunzioni e/o dei licenziamenti, previa istruzione a cura del Segretario Generale”.
In generale, appare evidente che l’ISMA ha l’obbligo di perseguire ben determinati scopi di carattere assistenziale, mediante l’utilizzo di specifiche utilità economiche, nel rispetto – sempre e comunque – di quanto ne giustifica la stessa esistenza (ossia, l’assicurazione di tutela ed assistenza essenzialmente a “minori”, per agevolarne o, comunque, consentirne un valido inserimento sociale).
Tutto ciò detto, appare evidente che il Consiglio di Amministrazione dell’ISMA risulta tenuto ad operare nel rispetto delle finalità su indicate, in qualità di organo deputato all’amministrazione dello stesso (art. 6 dello Statuto).
Sempre in ragione della natura dell’ente, chiara ed indiscussa è l’applicazione della legge 17 luglio 1980, n. 6972, riportante le “Norme sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza”, la quale – per quanto di rilevanza in questa sede – all’art. 46 prescrive che:
“Salva la facoltà di dare, a norma delle leggi, i provvedimenti richiesti da urgente necessità per tutelare gli interessi dell’istituto di assistenza e beneficienza, quando un’amministrazione, dopo esservi stata invitata non si conformi alle norme di legge o agli statuti e regolamenti della istituzione, ovvero pregiudichi gli interessi della medesima, può essere sciolta con decreto del Prefetto, previo parere del Consiglio di Prefettura”;
con necessità di riferire ora l’esercizio dei poteri de quibus alla competenza delle Regioni, in virtù del decreto del Presidente della Repubblica 15 gennaio 1972, n. 9 (il quale ha disposto il trasferimento alle Regioni a Statuto ordinario delle funzioni amministrative statali “in materia di beneficienza e del relativo personale”).
In definitiva, la prestazione di assistenza a categorie definibili “deboli” rientra tra gli scopi istituzionali di determinati Enti, come nel caso dell’ISMA.
In linea con la rilevanza sociale di questi Enti, la legge prevede coerentemente l’esercizio di un potere di “controllo”, strettamente riconnesso a stati di inefficienza, identificabili nel mancato rispetto delle norme di legge e nello sviamento dalla salvaguardia degli interessi che l’istituto è tenuto a perseguire.
Tutto ciò premesso, il Collegio ritiene che l’Amministrazione regionale sia intervenuta – mediante l’adozione del provvedimento impugnato – in osservanza della su indicata previsione, atteso che:
- nel corso di un periodo di tempo non indifferente, pari a circa due anni, l’attività gestionale dell’Ente si è rivelata carente, ossia non consona a salvaguardare e/o perseguire i fini statutari;
- in particolare, risulta segnalata una serie di iniziative e di decisioni, assunte dal Consiglio di Amministrazione, le quali si rivelano inidonee a salvaguardare il patrimonio dell’ente ed, anzi, concretizzano gravi irregolarità nella gestione di quest’ultimo, a danno degli interessi perseguiti dall’ente;
- come più volte richiamato, tali iniziative – le quali sono indice, tra l’altro, di una compiuta attività istruttoria - si sostanziano nella vicenda del palazzo Rivaldi in via del Colosseo, nella dismissione del patrimonio immobiliare in carenza di un piano di reinvestimento, nella realizzazione di una R.S.A. in Roma senza previa individuazione di specifiche risorse economiche (ed, anzi, con riferimento alla cessione di un immobile sito in via del Babuino ad un prezzo nettamente inferiore all’effettivo valore di quest’ultimo) ed, ancora, in ulteriori irregolarità nella gestione del patrimonio, determinanti un sicuro danno per il patrimonio dell’Ipab e, quindi, per gli interventi a favore delle categorie disagiate previste dallo Statuto;
- l’assunzione delle iniziative di cui sopra risulta ammessa dagli stessi ricorrenti, con l’ulteriore precisazione che l’essere componenti dell’organo di amministrazione dell’ente ne ha comportato l’abbandono a seguito dell’intervento della Regione, con ciò ammetttendosi la “mala gestio” di cui si tratta che ne risulta confermata;
- in aggiunta, è, altresì, addotta la carenza di “interventi idonei a garantire il livello assistenziale a favore di orfani di minore età, minori disagiati o meritevoli” e, in ordine a tale aspetto, la relazione del 25 ottobre 2001 dell’avv. R, espressamente richiamata nel provvedimento, precisa, ancora, che “fatta eccezione per la struttura di assistenza agli anziani di Via Isola Madre, nonostante le numerose risorse finanziarie, l’Ente non eroga altri servizi di assistenza diretta, limitandosi a finanziare passivamente iniziative promosse e gestite da soggetti terzi”.
In definitiva, il Collegio ritiene che il provvedimento impugnato sia stato adottato sulla base di concreti presupposti di fatto, espressamente indicati, i quali si rivelano idonei – anche in ragione della loro gravità - a supportarlo, senza che – al riguardo – valenza alcuna possa essere attribuita alla circostanza che il C.d.A. sia “tornato sui propri passi” a seguito dell’intervento della Regione.
Appare, del resto, evidente che:
- l’individuazione di una corretta e proficua gestione non può che essere ricondotta al modo in cui l’organo di amministrazione ordinariamente opera, al di fuori dell’intervento di fattori esterni;
- l’intervento ripetuto dell’organo di controllo mediante contestazioni e diffide – come avvenuto nel caso di specie – costituisce inequivoca prova della carenza di un modo di operare corretto;
- a fronte di un tale modo di operare, comprovante – come già detto - la commissione di “irregolarità” nella gestione, definibili “gravi”, lo scioglimento ai sensi dell’art. 46 della legge n. 6972 del 1890 si pone come un rimedio sostanzialmente “necessitato”, senza che a nulla valga il successivo abbandono di determinate scelte da parte dell’organo di amministrazione (ancorché definito “pronto” dagli interessati), tanto più se tale abbandono risulta avvenuto per l’esigenza di uniformarsi a direttive all’uopo imposte dall’organo di controllo (il che dimostra che – in carenza di tale intervento – le scelte adottate sarebbero state perseguite e, quindi, le iniziative così intraprese sarebbero state portate a compimento);
- lo stesso modo di operare non può che indurre ad escludere qualsiasi ipotesi di sviamento in relazione all’adozione della delibera impugnata, poggiando quest’ultima su dati concreti, atti a comprovare l’esigenza di un valido intervento al fine di salvaguardare gli scopi statutari e, dunque, gli interessi dell’ente.
In ragione di quanto rilevato, alcuna violazione dell’art. 46 di cui sopra è riscontrabile.
Del pari, non è riscontrabile la denunciata violazione dell’art. 20 del D.Lgs. 4 maggio 2001, n. 207, tanto più ove si consideri che quest’ultimo disciplina ipotesi estranee a quella in esame, ossia l’intervento sostitutivo della Regione in caso di inadempimento “alle previsioni che dispongono la trasformazione delle istituzioni” e, ancora, l’intervento sostitutivo “nei casi di gravi violazioni di legge, di statuto o di regolamento, di gravi irregolarità nella gestione amministrativa e patrimoniale delle aziende pubbliche di servizi alla persona, nonché di irregolare costituzione dell’organo di governo”.
Ad abundantiam, si aggiunge che le considerazioni sopra riportate trovano, altresì, riscontro nella documentazione prodotta dall’IPAB ISMA in data 5 dicembre 2013, la quale dimostra che – per l’immobile in via Babuino – la nuova gestione commissariale è dovuta intervenire per annullare in autotutela numerose deliberazioni della gestione precedente (specificamente, la n. 318 del 2000, la n. 404 del 2001 e la n. 437 del 2001) perché riconosciute palesemente illegittime, nonché l’emissione di sentenze di condanna a carico dei ricorrenti da parte della Corte dei Conti per il conferimento di incarichi esterni.
In conclusione, la censura de qua va riconosciuta infondata, tenuto conto delle numerose e gravi carenze contestate ai ricorrenti in relazione alla gestione dell’Ente, alcune delle quali non risultano, tra l’altro, affatto confutate (quale – ad esempio – la carenza di interventi idonei a garantire il livello assistenziale a favore degli orfani).
3. I ricorrenti deducono, ancora, l’omessa informativa e contestazione degli addebiti nonché l’omessa instaurazione del contraddittorio.
La censura de qua è infondata.
Il Collegio conviene, infatti, con la Regione Lazio che si tratta di un procedimento non di tipo sanzionatorio bensì volto essenzialmente alla tutela degli interessi dell’ente e, dunque, di un procedimento che non impone la contestazione degli addebiti.
Nel contempo, non può esimersi dal rilevare che i numerosi sopralluoghi e le numerose diffide inviate dalla su menzionata Regione agli interessati nel corso degli anni erano idonei – di per sé – a concretizzate una forma di informativa e, quindi, di contraddittorio tra le parti in ordine alla rilevanza dei fatti contestati, che poi hanno condotto all’adozione del provvedimento impugnato, ai sensi del citato art. 46 della legge n. 6972 del 1890.
In ogni caso, è da aggiungere che la Regione ha adeguatamente comprovato che non avrebbe potuto adottare un provvedimento caratterizzato da un differente contenuto.
Tale constatazione necessariamente conduce ad affermare l’irrilevanza – ai sensi dell’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990 – dei vizi di forma, tra cui ricadono le violazioni del genere di quelle denunciate.
4. Tenuto conto della legittimità del provvedimento impugnato, la domanda di risarcimento del danno formulata dai ricorrenti non può essere accolta.
5. Per le ragioni illustrate, il ricorso va respinto.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in complessive € 2.500,00, di cui € 1.250,00 a favore della Regione Lazio ed € 1.250,00 a favore dell’ISMA, oltre IVA e CPA nei termini di legge.